Il
Gioiello del Vaticano
Capitolo
16 - Il Sole
Nei Tarocchi,
la carta del Sole
rappresenta la luce simbolica che salva, che rivitalizza. È la ragione
che
illumina lo spirito. Indica armonia, amicizia, generosità, felicità.
Inclina
alle arti e ai talenti. Dona chiarezza di ragionamento e di giudizio,
dona
onori e successi.
Al negativo, però, indica eccessi di frivolezza, idealismo falso,
sacrificio.
Può essere indicatore di aggressività, di permalosità e di mancanza di
senso
pratico.
Nonostante
le frequenti raccomandazioni di Andrea, Leonardo non aveva ancora
rinunciato
definitivamente alla pratica di fumare oppio. Credeva fosse una buona
idea per
riuscire a fare ordine nei suoi pensieri, ma come suo solito aveva
esagerato e
le palpebre iniziavano ad essere sempre più pesanti.
Doveva
resistere e restare sveglio. Era a Roma per trovare la seconda chiave e
aveva
ancora moltissimo lavoro da fare, mappe da esaminare, piani da
elaborare.
Tuttavia,
i suoi tentativi di concentrarsi sulla miriade di fogli che aveva
sparso sullo
scrittoio furono vani. Istante dopo istante, si rese conto che i
contorni
stavano sbiadendo e che le linee dei disegni erano ormai un groviglio
confuso.
Si
ritrovò a poggiare la testa contro il tavolo senza nemmeno
accorgersene, caduto
in un sonno profondo, ma turbato. Sentiva solo vagamente le dita delle
mani
agitarsi, di tanto in tanto, come percorse da deboli tremiti. Tutte le
informazioni acquisite nelle ultime ore gli affollavano la mente, ma da
Vinci non
riusciva a concentrare la sua attenzione su qualcosa in particolare;
l’unica
cosa che poteva fare era lasciare che quel brusio lo attraversasse,
senza
opporre resistenza.
Uno
spasmo più forte degli altri gli percorse il braccio, tanto da fargli
urtare un
oggetto poggiato lì accanto. Il suono del vetro in frantumi riuscì a
destare
l’artista dal torpore, ed egli alzò la testa di scatto, spalancando gli
occhi.
Cercò con lo sguardo la causa di quel rumore, e quasi sobbalzò dalla
sedia
quando si rese conto che si trattava di una piccola ampolla, un tempo
piena di
sangue.
Sangue
che, in quel momento, si stava espandendo copiosamente sui fogli che
ricoprivano il tavolo. Era impossibile che un oggetto così piccolo
contenesse
tanto liquido, eppure in breve tempo tutto lo scrittoio fu impregnato
di quel
fluido scarlatto, rendendo illeggibili le mappe del Vaticano.
Poco
importava: Leonardo era più che capace di riprodurre tutto a memoria;
eppure
quella scena lo agitò notevolmente, gravandolo della sensazione di
avere un
peso addosso che minacciava la sua possibilità di respirare.
L’ampolla
era ridotta in frantumi, ma il sangue continuò a scorrere, inzuppando
ogni
lembo di carta lungo il suo cammino, fino a giungere ai bordi del
tavolo, gocciolando
sul pavimento. In mezzo a tutto, da Vinci intravide il suo quaderno,
accuratamente avvolto dalla pelle che ne faceva da copertina. Nel
momento in
cui si ricordò quello che conteneva, in particolare su una delle tante
pagine,
tentò di balzare sul tavolo e di salvarlo da quella rovina, ma prima di
poterlo
afferrare il sangue lo raggiunse.
Nello
scatto, la chiave che aveva al collo venne spinta avanti per poi
ricadergli sul
petto, attirando lì lo sguardo dell’artista. Solo allora si accorse che
anch’essa era macchiata di sangue, e la prese tra le mani per cercare
di
ripulirla.
I
movimenti, inizialmente nervosi e concisi, si fecero via via più lenti
e
deboli, mentre lo sguardo di Leonardo tornava sul tavolo davanti a lui,
insieme
ad un terribile senso di inquietudine nel petto.
Solo
allora capì, e riuscì a dare un nome a quel sentimento: era incertezza.
Nonostante
gli piacesse vivere in un mondo tutto suo, convinto di riuscire a
combattere le
leggi e le regole, di poter agire senza limitazioni, sapeva che la
realtà era
molto diversa dalla sua immaginazione e, senza dubbio, molto più
crudele. Ogni
cosa aveva un prezzo, e la ricerca della conoscenza rischiava di
chiederne uno
troppo caro.
Il
sangue davanti a lui ne era la prova.
Non
aveva esitato a gettarsi a capofitto in una ricerca ben più grande di
lui, a
lasciarsi ogni altra cosa alle spalle, raccontandosi di non aver
bisogno di
altro che non fosse la libertà. E continuava a ripeterselo, ogni qual
volta il
benché minimo dubbio lo assaliva.
Ma
in quel momento, in una dimensione che era molto lontana dalla realtà e
dalle
menzogne che egli stesso si raccontava, poteva permettersi di dirsi la
verità,
e di dimenticarla una volta risvegliato: non era più così sicuro di
voler
proseguire.
Ogni
progresso, ogni passo verso il tesoro che stava cercando, non avevano
portato altro
che sofferenza e distruzione, e più lui si avvicinava a trovare la
strada, più
le conseguenze erano devastanti.
Riabbassò
lo sguardo sulla sua chiave, percorrendo con le dita il cordoncino che
dal
collo scendeva fino al freddo metallo, in un gesto che sapeva di
amarezza e di
nostalgia. Perché una sola persona aveva fatto lo stesso, in più di
un’occasione, e quella stessa persona incarnava al meglio le sue
strazianti
incertezze.
Sentì
dei passi alle sue spalle, lenti ma costanti, dapprima lontani poi
sempre più
vicini, fino a quando non poté scorgere una figura indistinta al suo
fianco,
con la coda dell’occhio.
«Crediamo
sempre che siano la vita e le sue prove il nostro peggior nemico», e
Leonardo
per un momento chiuse gli occhi, cullato da quella voce che non
ascoltava da
troppo tempo. «Ma non ci rendiamo conto che è la verità il più grande
degli
ostacoli».
L’artista
riaprì lentamente gli occhi, e altrettanto lentamente si voltò al suo
fianco,
verso l’artefice del suo tormento più straziante.
Di
fronte a lui, la contessa Riario non era costretta nella divisa del
Vaticano,
né in un contegno considerabile consono all’occasione. Era
semplicemente Gemma,
illuminata solamente in viso, mentre il resto della sua figura era
celato sotto
un pesante mantello di velluto nero, con un cappuccio decorato da
piccole
pietre preziose lungo il bordo.
Niente
però nascose la sua espressione, così diversa da quella che aveva
indossato nei
loro precedenti incontri. E scontri.
Stava
sorridendo; debolmente, ma stava sorridendo. L’espressione libera da
malizia e
scaltrezza, quasi… serena.
Leonardo
non ebbe alcun controllo sul suo corpo quando si ritrovò spinto nella
sua
direzione; le mani corsero senza esitazione all’orlo del cappuccio,
facendolo
scivolare via dal suo volto e scoprendo così una cascata di tanti
piccoli diamanti
tra i morbidi capelli castani della giovane donna.
La
sua mente era così affollata di parole, ma nemmeno una riuscì a
raggiungere le
sue labbra, e si ritrovò suo malgrado ad osservare Gemma in silenzio, a
studiare ogni minimo dettaglio, ad imprimerlo nella sua memoria per
l’eternità.
«Che
cosa vi ferma, Leonardo?», mormorò la contessa con un sorriso dolce,
così
estraneo all’atteggiamento che aveva sempre dimostrato.
Da
Vinci cercò di nuovo le parole, ma la sua voce era misteriosamente
sparita,
forse incapace di donarsi ai troppi pensieri che lottavano per essere
espressi.
Tutto ciò che fu capace di fare fu scuotere la testa, accennando un
debole
sorriso, mentre la sua mano risaliva lungo il profilo del volto della
giovane
donna, fino a sfiorare una delle tante gemme tra i suoi capelli.
«Cercate
di soffocare quelle sensazioni, ma forse dovreste concedere loro la
vostra
attenzione», continuò Gemma, nel tentativo di incoraggiarlo.
«Temo
di aver già compreso…», mormorò Leonardo, con amarezza e un sospiro
sconsolato.
«E pensarci mi fa mancare la terra sotto ai piedi».
La
contessa sollevò delicatamente una mano da sotto il pesante velluto
nero, e
cercò quella dell’artista, per stringerla con forza nella sua.
«Che
cosa è in grado di tormentarvi in questo modo?», chiese Gemma, ma il
suo tono
era più un invito che una vera domanda, e il suo sguardo era quello di
una
persona che conosce già la risposta.
«Voi»,
mormorò Leonardo, accarezzandole il dorso della mano con il pollice.
La
contessa sorrise, e lo fece con una dolcezza a dir poco disarmante,
così
potente da strappare all’artista stesso il medesimo sorriso.
«Siete…
un mistero», proseguì da Vinci, osservandola di nuovo come se fosse la
prima
volta. «Forse il più grande mistero con cui io abbia avuto a che fare».
«E
siete davvero certo che ogni mistero meriti di trovare la verità?»,
domandò
lei, tornando più seria.
Il
giovane artista sospirò, e a malincuore lasciò la sua mano, ma solo per
avvicinarsi pian piano al tavolo e vedere i suoi appunti ormai
illeggibili.
Allungò una mano verso il suo prezioso quaderno, e lentamente sciolse
il nodo
che stringeva la pelle della copertina attorno ai fogli ingialliti e
consumati.
Non
si sorprese di trovare molti di essi macchiati, ma la sua impazienza lo
portò a
sfogliarli velocemente, fino a giungere ad un punto preciso, un punto
che era
stato il suo solo ed unico pensiero, la sua sola preoccupazione, mentre
il
liquido scarlatto dell’ampolla distruggeva ogni indizio raccolto.
Rimase
sorpreso quando trovò quel ritratto ancora intatto, i tratti della
matita
perfettamente delineati e nitidi, come la prima sera in cui erano stati
tracciati sulla carta.
Di
nuovo udì dei passi alle sue spalle, e di nuovo Gemma lo raggiunse,
aspettando
pazientemente al suo fianco. Eppure, fu certo che lei stesse
sorridendo.
«Ne
vale la pena?», mormorò Leonardo, con un filo di voce, stupendosi di
essere
riuscito a dare forma a quel pensiero con tanta facilità.
Si
voltò verso di lei, l’espressione improvvisamente combattuta,
sofferente,
dilaniata da una domanda che lo assillava ogni giorno di più, ma a cui
non
riusciva a dare una risposta.
«Tutta
questa distruzione, tutta questa sofferenza, tutto questo odio…»,
continuò lui,
ripensando a tutto quello che era successo da quando quella ricerca
aveva avuto
inizio. «Vale davvero la pena soffrire tanto?»
Gemma
lo guardò con lo stesso dispiacere e lo sguardo colmo di compassione,
come se
riuscisse a capire perfettamente quale terribile tormento lo straziasse
tanto.
Come
se anche lei fosse vittima della stessa tragica disgrazia.
«Perché
io non ne sono più così sicuro», mormorò infine Leonardo, abbassando lo
sguardo
sul ritratto.
«Non
è la conoscenza il bene che più agognate?», domandò Gemma.
L’artista
non riuscì a trattenere una lieve risata, a quella domanda. Negli
ultimi tempi,
si era consolidata in lui la convinzione che l’infallibile Gemma Riario
fosse
sempre pronta ad ogni imprevisto, sempre capace di trovare una via di
fuga, di scovare
la verità dietro ad ogni quesito. Eppure, in quel momento, la risposta
a una
domanda del genere sembrava così scontata che la perplessità che le
vedeva in
volto fu quasi comica.
«Non
sono più sicuro nemmeno di questo», rispose infine, rialzando lo
sguardo solo
per posarlo su di lei, sui suoi occhi, sul suo viso, ed infine sul
piccolo
fiocco che chiudeva il suo mantello, proprio in corrispondenza della
gola.
Sembrava stretto, quasi soffocante, così tanto che per un momento
Leonardo
stesso si sentì mancare l’aria.
«Dunque
cosa desiderate, per davvero?», chiese la contessa, genuinamente
curiosa,
strappandogli un altro sorriso.
L’artista
si prese qualche istante di silenzio, prima di rispondere.
«Svelare
un mistero», rispose, annuendo con convinzione. «Ma non quello che
avvolge il
Libro delle Lamine», precisò poi, muovendo un passo più vicino a Gemma.
La
sua attenzione venne catturata dal quaderno che ancora stringeva tra le
mani, e
in particolare dalla pagina su cui era ancora aperto.
«Qual
è tale mistero?», lo incoraggiò la contessa, nascondendo le mani e le
braccia
sotto al pesante mantello di velluto.
«Il
vostro», disse immediatamente Leonardo, sfiorando con le dita il
ritratto che
le aveva fatto quella sera, durante il loro primo incontro. «Perché io
sono
profondamente convinto che ci sia molto altro che ancora non so,
Gemma».
La
vide sorridere per la piccola libertà che si era preso chiamandola per
nome, e
avrebbe dato qualsiasi cosa per vederla sempre con quel sorriso, con
quella
sensazione di pace e di serenità.
«E
sono altrettanto convinto che la contessa che ho visto sul campo di
battaglia,
che mi ha minacciato più e più volte, che è ricorsa a misure estreme
per
compiere la sua missione… non sia la vera Gemma», continuò poi, più
serio. «Non
è la giovane donna spigliata e spontanea che ho conosciuto quella
sera»,
aggiunse, avvicinandosi a lei.
L’espressione
della contessa si fece via via sempre più malinconica e nostalgica, e
lo
sguardo di Leonardo cadde di nuovo su quel nodo, che in quel momento
più che
mai gli diede l’impressione di bloccarle l’aria in gola, rendendole
sempre più
difficoltoso respirare.
Lentamente,
abbandonò il quadernetto e si avvicinò a lei, sollevò le mani
all’altezza della
chiusura del mantello e con delicatezza strinse i lembi di stoffa tra
le dita,
per poi iniziare a sciogliere il fiocco.
«La
donna che mi ha tenuto testa tanto abilmente…», iniziò, abbassando il
tono
della voce. «La donna con cui ho ballato e che ho potuto stringere tra
le
braccia…», continuò, sciogliendo finalmente il fiocco, e vedendola
inspirare
profondamente alla ricerca di aria. «La donna che ho visto regalarmi il
sorriso
più bello che io abbia mai visto… Quella donna esiste, ma è celata»,
concluse,
lasciando cadere a terra il mantello.
Come
a sottolineare maggiormente quanto appena detto dall’artista, il
pesante
velluto nero svanì a terra, scoprendo uno splendido abito bianco. La
seta,
soffice e liscia, avvolgeva delicatamente il corpo della giovane donna,
per poi
scendere morbida e leggiadra fino a terra, tempestata delle stesse
gemme che
brillavano tra i suoi capelli, lasciati sciolti.
Per
quanto la sua bellezza lo stordisse ogni volta come se fosse la prima,
Leonardo
si ritrovò comunque a trattenere il fiato, mentre faceva scorrere gli
occhi
lungo la sua figura. Quando poi tornò a guardarla in volto, rivide la
stessa
espressione di quella sera al banchetto, e sentì il cuore colmo di
gioia.
«Eccoti…»,
mormorò, senza nemmeno accorgersi di aver abbandonato le formalità,
tanto alienato
dall’averla ritrovata.
In
risposta, lei gli sorrise dolcemente, e mosse le mani per cercare le
sue,
producendo un leggero fruscio con la stoffa candida e leggera. Da Vinci
non le
diede nemmeno il tempo di compiere quel gesto fino in fondo che fu lui
stesso a
cercare e stringere le loro mani, desiderando solamente dimenticare
tutti i
suoi dubbi e tutte le sue sofferenze e restare lì, dovunque si
trovasse,
lontano da paure e ombre.
«Ma
sapete meglio di me che la realtà è molto più difficile di così»,
mormorò lei,
il suo sorriso che diventava amaro e malinconico.
«So
che tu ci sei…», rispose Leonardo, sollevando una mano per poterle
accarezzarle
la guancia. «In fondo in fondo, nascosta da un ruolo che ti grava
addosso e che
ti costringe ad annullarti per volere di altri... ma so che ci sei».
Le
accarezzò lentamente lo zigomo, prima di avvicinarsi ulteriormente e
poggiare
la fronte contro la sua, chiudendo gli occhi.
«E
so che vorrei trovarti», mormorò, sospirando con amarezza.
Quando
poi riaprì gli occhi, niente di quanto aveva appena visto era più
davanti a lui.
Nemmeno si accorse di essersi precipitato a cercare il suo quaderno, né
di
essere corso a sfogliare freneticamente le varie pagine, fino a quella
che
conservava come il più prezioso dei tesori.
Percorse
lentamente i tratti a matita con uno sospiro nostalgico, volendo
imprimere
ancora una volta il ricordo di quello sguardo, di quell’anima che aveva
intravisto dietro ad una maschera impregnata di bugie. Osservò il
disegno per
un’ultima volta, prima di chiudere il quadernetto e tornare al tavolo.
Angolo
dell’autrice
Buonsalve
a tutt*!
Ho
scalato di una settimana in più rispetto al solito, ma ho scoperto di
aver
fatto bene perché avrei sì avuto problemi col fuso orario e, in più, non avrei avuto un computer per caricare
il capitolo. Sto aggiornando ora dopo aver betato con il jetleg a
gravarmi
addosso, mi ritengo fiera di me.
Scena
un po’ alienata dalla realtà, in un’atmosfera a sé, ma forse è l’unico
luogo e
l’unico momento per essere sinceri. Vero, Leonardo?
Sicuramente
gli è andata meglio che nella serie, dove Lucrezia lo uccide senza
tanti mezzi
termini.
Che
altro dire? Noi ci rileggiamo tra due settimane, tornando al palinsesto
tradizionale.
Un
bacione
Amy
W. Gildeary