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Autore: Amy W Gildeary    17/04/2019    2 recensioni
Il conte Girolamo Riario una volta disse: «Quando si deve trasmettere un messaggio, preferisco servirmi di mezzi che gli altri non userebbero».
Una donna, ad esempio.
E se papa Sisto IV non avesse avuto un figlio, ma una figlia?
E se il bellicoso Santo Padre avesse deciso di sfruttarla come arma per i suoi subdoli piani, approfittando dell'effetto sorpresa?
Cosa sarebbe successo se avesse avuto lei il compito di attaccare Firenze e di ottenere i servigi del geniale artista Leonardo da Vinci?
-
«Sapete chi sono?», domandò la giovane donna, chinando di poco la testa di lato; la voce morbida e vellutata, senza alcuna traccia di turbamento. «Sono Gemma Riario. Contessa di Imola, guida della Santa Romana Chiesa e nipote di Sua Santità, papa Sisto IV».
[...]
«Sì, lo so», commentò la contessa, con un sospiro annoiato. «Rimangono tutti sempre molto sorpresi di vedere una donna», continuò, con una naturalezza e una tranquillità a dir poco disarmanti, ben poco appropriati al contesto. «Volevano un figlio maschio. Lo avrebbero chiamato Girolamo. Ma poi sono arrivata io».
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leonardo da Vinci, Nico, Nuovo personaggio, Zoroastro
Note: What if? | Avvertimenti: Gender Bender
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Il Gioiello del Vaticano
Capitolo 16 - Il Sole

 

 

 

Nei Tarocchi, la carta del Sole rappresenta la luce simbolica che salva, che rivitalizza. È la ragione che illumina lo spirito. Indica armonia, amicizia, generosità, felicità. Inclina alle arti e ai talenti. Dona chiarezza di ragionamento e di giudizio, dona onori e successi.
Al negativo, però, indica eccessi di frivolezza, idealismo falso, sacrificio. Può essere indicatore di aggressività, di permalosità e di mancanza di senso pratico.

 

 

 

Nonostante le frequenti raccomandazioni di Andrea, Leonardo non aveva ancora rinunciato definitivamente alla pratica di fumare oppio. Credeva fosse una buona idea per riuscire a fare ordine nei suoi pensieri, ma come suo solito aveva esagerato e le palpebre iniziavano ad essere sempre più pesanti.

Doveva resistere e restare sveglio. Era a Roma per trovare la seconda chiave e aveva ancora moltissimo lavoro da fare, mappe da esaminare, piani da elaborare.

Tuttavia, i suoi tentativi di concentrarsi sulla miriade di fogli che aveva sparso sullo scrittoio furono vani. Istante dopo istante, si rese conto che i contorni stavano sbiadendo e che le linee dei disegni erano ormai un groviglio confuso.

Si ritrovò a poggiare la testa contro il tavolo senza nemmeno accorgersene, caduto in un sonno profondo, ma turbato. Sentiva solo vagamente le dita delle mani agitarsi, di tanto in tanto, come percorse da deboli tremiti. Tutte le informazioni acquisite nelle ultime ore gli affollavano la mente, ma da Vinci non riusciva a concentrare la sua attenzione su qualcosa in particolare; l’unica cosa che poteva fare era lasciare che quel brusio lo attraversasse, senza opporre resistenza.

Uno spasmo più forte degli altri gli percorse il braccio, tanto da fargli urtare un oggetto poggiato lì accanto. Il suono del vetro in frantumi riuscì a destare l’artista dal torpore, ed egli alzò la testa di scatto, spalancando gli occhi. Cercò con lo sguardo la causa di quel rumore, e quasi sobbalzò dalla sedia quando si rese conto che si trattava di una piccola ampolla, un tempo piena di sangue.

Sangue che, in quel momento, si stava espandendo copiosamente sui fogli che ricoprivano il tavolo. Era impossibile che un oggetto così piccolo contenesse tanto liquido, eppure in breve tempo tutto lo scrittoio fu impregnato di quel fluido scarlatto, rendendo illeggibili le mappe del Vaticano.

Poco importava: Leonardo era più che capace di riprodurre tutto a memoria; eppure quella scena lo agitò notevolmente, gravandolo della sensazione di avere un peso addosso che minacciava la sua possibilità di respirare.

L’ampolla era ridotta in frantumi, ma il sangue continuò a scorrere, inzuppando ogni lembo di carta lungo il suo cammino, fino a giungere ai bordi del tavolo, gocciolando sul pavimento. In mezzo a tutto, da Vinci intravide il suo quaderno, accuratamente avvolto dalla pelle che ne faceva da copertina. Nel momento in cui si ricordò quello che conteneva, in particolare su una delle tante pagine, tentò di balzare sul tavolo e di salvarlo da quella rovina, ma prima di poterlo afferrare il sangue lo raggiunse.

Nello scatto, la chiave che aveva al collo venne spinta avanti per poi ricadergli sul petto, attirando lì lo sguardo dell’artista. Solo allora si accorse che anch’essa era macchiata di sangue, e la prese tra le mani per cercare di ripulirla.

I movimenti, inizialmente nervosi e concisi, si fecero via via più lenti e deboli, mentre lo sguardo di Leonardo tornava sul tavolo davanti a lui, insieme ad un terribile senso di inquietudine nel petto.

Solo allora capì, e riuscì a dare un nome a quel sentimento: era incertezza.

Nonostante gli piacesse vivere in un mondo tutto suo, convinto di riuscire a combattere le leggi e le regole, di poter agire senza limitazioni, sapeva che la realtà era molto diversa dalla sua immaginazione e, senza dubbio, molto più crudele. Ogni cosa aveva un prezzo, e la ricerca della conoscenza rischiava di chiederne uno troppo caro.

Il sangue davanti a lui ne era la prova.

Non aveva esitato a gettarsi a capofitto in una ricerca ben più grande di lui, a lasciarsi ogni altra cosa alle spalle, raccontandosi di non aver bisogno di altro che non fosse la libertà. E continuava a ripeterselo, ogni qual volta il benché minimo dubbio lo assaliva.

Ma in quel momento, in una dimensione che era molto lontana dalla realtà e dalle menzogne che egli stesso si raccontava, poteva permettersi di dirsi la verità, e di dimenticarla una volta risvegliato: non era più così sicuro di voler proseguire.

Ogni progresso, ogni passo verso il tesoro che stava cercando, non avevano portato altro che sofferenza e distruzione, e più lui si avvicinava a trovare la strada, più le conseguenze erano devastanti.

Riabbassò lo sguardo sulla sua chiave, percorrendo con le dita il cordoncino che dal collo scendeva fino al freddo metallo, in un gesto che sapeva di amarezza e di nostalgia. Perché una sola persona aveva fatto lo stesso, in più di un’occasione, e quella stessa persona incarnava al meglio le sue strazianti incertezze.

Sentì dei passi alle sue spalle, lenti ma costanti, dapprima lontani poi sempre più vicini, fino a quando non poté scorgere una figura indistinta al suo fianco, con la coda dell’occhio.

            «Crediamo sempre che siano la vita e le sue prove il nostro peggior nemico», e Leonardo per un momento chiuse gli occhi, cullato da quella voce che non ascoltava da troppo tempo. «Ma non ci rendiamo conto che è la verità il più grande degli ostacoli».

L’artista riaprì lentamente gli occhi, e altrettanto lentamente si voltò al suo fianco, verso l’artefice del suo tormento più straziante.

Di fronte a lui, la contessa Riario non era costretta nella divisa del Vaticano, né in un contegno considerabile consono all’occasione. Era semplicemente Gemma, illuminata solamente in viso, mentre il resto della sua figura era celato sotto un pesante mantello di velluto nero, con un cappuccio decorato da piccole pietre preziose lungo il bordo.

Niente però nascose la sua espressione, così diversa da quella che aveva indossato nei loro precedenti incontri. E scontri.

Stava sorridendo; debolmente, ma stava sorridendo. L’espressione libera da malizia e scaltrezza, quasi… serena.

Leonardo non ebbe alcun controllo sul suo corpo quando si ritrovò spinto nella sua direzione; le mani corsero senza esitazione all’orlo del cappuccio, facendolo scivolare via dal suo volto e scoprendo così una cascata di tanti piccoli diamanti tra i morbidi capelli castani della giovane donna.

La sua mente era così affollata di parole, ma nemmeno una riuscì a raggiungere le sue labbra, e si ritrovò suo malgrado ad osservare Gemma in silenzio, a studiare ogni minimo dettaglio, ad imprimerlo nella sua memoria per l’eternità.

            «Che cosa vi ferma, Leonardo?», mormorò la contessa con un sorriso dolce, così estraneo all’atteggiamento che aveva sempre dimostrato.

Da Vinci cercò di nuovo le parole, ma la sua voce era misteriosamente sparita, forse incapace di donarsi ai troppi pensieri che lottavano per essere espressi. Tutto ciò che fu capace di fare fu scuotere la testa, accennando un debole sorriso, mentre la sua mano risaliva lungo il profilo del volto della giovane donna, fino a sfiorare una delle tante gemme tra i suoi capelli.

            «Cercate di soffocare quelle sensazioni, ma forse dovreste concedere loro la vostra attenzione», continuò Gemma, nel tentativo di incoraggiarlo.

            «Temo di aver già compreso…», mormorò Leonardo, con amarezza e un sospiro sconsolato. «E pensarci mi fa mancare la terra sotto ai piedi».

La contessa sollevò delicatamente una mano da sotto il pesante velluto nero, e cercò quella dell’artista, per stringerla con forza nella sua.

            «Che cosa è in grado di tormentarvi in questo modo?», chiese Gemma, ma il suo tono era più un invito che una vera domanda, e il suo sguardo era quello di una persona che conosce già la risposta.

            «Voi», mormorò Leonardo, accarezzandole il dorso della mano con il pollice.

La contessa sorrise, e lo fece con una dolcezza a dir poco disarmante, così potente da strappare all’artista stesso il medesimo sorriso.

            «Siete… un mistero», proseguì da Vinci, osservandola di nuovo come se fosse la prima volta. «Forse il più grande mistero con cui io abbia avuto a che fare».

            «E siete davvero certo che ogni mistero meriti di trovare la verità?», domandò lei, tornando più seria.

Il giovane artista sospirò, e a malincuore lasciò la sua mano, ma solo per avvicinarsi pian piano al tavolo e vedere i suoi appunti ormai illeggibili. Allungò una mano verso il suo prezioso quaderno, e lentamente sciolse il nodo che stringeva la pelle della copertina attorno ai fogli ingialliti e consumati.

Non si sorprese di trovare molti di essi macchiati, ma la sua impazienza lo portò a sfogliarli velocemente, fino a giungere ad un punto preciso, un punto che era stato il suo solo ed unico pensiero, la sua sola preoccupazione, mentre il liquido scarlatto dell’ampolla distruggeva ogni indizio raccolto. Rimase sorpreso quando trovò quel ritratto ancora intatto, i tratti della matita perfettamente delineati e nitidi, come la prima sera in cui erano stati tracciati sulla carta.

Di nuovo udì dei passi alle sue spalle, e di nuovo Gemma lo raggiunse, aspettando pazientemente al suo fianco. Eppure, fu certo che lei stesse sorridendo.

            «Ne vale la pena?», mormorò Leonardo, con un filo di voce, stupendosi di essere riuscito a dare forma a quel pensiero con tanta facilità.

Si voltò verso di lei, l’espressione improvvisamente combattuta, sofferente, dilaniata da una domanda che lo assillava ogni giorno di più, ma a cui non riusciva a dare una risposta.

            «Tutta questa distruzione, tutta questa sofferenza, tutto questo odio…», continuò lui, ripensando a tutto quello che era successo da quando quella ricerca aveva avuto inizio. «Vale davvero la pena soffrire tanto?»

Gemma lo guardò con lo stesso dispiacere e lo sguardo colmo di compassione, come se riuscisse a capire perfettamente quale terribile tormento lo straziasse tanto.

Come se anche lei fosse vittima della stessa tragica disgrazia.

            «Perché io non ne sono più così sicuro», mormorò infine Leonardo, abbassando lo sguardo sul ritratto.

            «Non è la conoscenza il bene che più agognate?», domandò Gemma.

L’artista non riuscì a trattenere una lieve risata, a quella domanda. Negli ultimi tempi, si era consolidata in lui la convinzione che l’infallibile Gemma Riario fosse sempre pronta ad ogni imprevisto, sempre capace di trovare una via di fuga, di scovare la verità dietro ad ogni quesito. Eppure, in quel momento, la risposta a una domanda del genere sembrava così scontata che la perplessità che le vedeva in volto fu quasi comica.

            «Non sono più sicuro nemmeno di questo», rispose infine, rialzando lo sguardo solo per posarlo su di lei, sui suoi occhi, sul suo viso, ed infine sul piccolo fiocco che chiudeva il suo mantello, proprio in corrispondenza della gola. Sembrava stretto, quasi soffocante, così tanto che per un momento Leonardo stesso si sentì mancare l’aria.

            «Dunque cosa desiderate, per davvero?», chiese la contessa, genuinamente curiosa, strappandogli un altro sorriso.

L’artista si prese qualche istante di silenzio, prima di rispondere.

            «Svelare un mistero», rispose, annuendo con convinzione. «Ma non quello che avvolge il Libro delle Lamine», precisò poi, muovendo un passo più vicino a Gemma.

La sua attenzione venne catturata dal quaderno che ancora stringeva tra le mani, e in particolare dalla pagina su cui era ancora aperto.

            «Qual è tale mistero?», lo incoraggiò la contessa, nascondendo le mani e le braccia sotto al pesante mantello di velluto.

            «Il vostro», disse immediatamente Leonardo, sfiorando con le dita il ritratto che le aveva fatto quella sera, durante il loro primo incontro. «Perché io sono profondamente convinto che ci sia molto altro che ancora non so, Gemma».

La vide sorridere per la piccola libertà che si era preso chiamandola per nome, e avrebbe dato qualsiasi cosa per vederla sempre con quel sorriso, con quella sensazione di pace e di serenità.

            «E sono altrettanto convinto che la contessa che ho visto sul campo di battaglia, che mi ha minacciato più e più volte, che è ricorsa a misure estreme per compiere la sua missione… non sia la vera Gemma», continuò poi, più serio. «Non è la giovane donna spigliata e spontanea che ho conosciuto quella sera», aggiunse, avvicinandosi a lei.

L’espressione della contessa si fece via via sempre più malinconica e nostalgica, e lo sguardo di Leonardo cadde di nuovo su quel nodo, che in quel momento più che mai gli diede l’impressione di bloccarle l’aria in gola, rendendole sempre più difficoltoso respirare.

Lentamente, abbandonò il quadernetto e si avvicinò a lei, sollevò le mani all’altezza della chiusura del mantello e con delicatezza strinse i lembi di stoffa tra le dita, per poi iniziare a sciogliere il fiocco.

            «La donna che mi ha tenuto testa tanto abilmente…», iniziò, abbassando il tono della voce. «La donna con cui ho ballato e che ho potuto stringere tra le braccia…», continuò, sciogliendo finalmente il fiocco, e vedendola inspirare profondamente alla ricerca di aria. «La donna che ho visto regalarmi il sorriso più bello che io abbia mai visto… Quella donna esiste, ma è celata», concluse, lasciando cadere a terra il mantello.

Come a sottolineare maggiormente quanto appena detto dall’artista, il pesante velluto nero svanì a terra, scoprendo uno splendido abito bianco. La seta, soffice e liscia, avvolgeva delicatamente il corpo della giovane donna, per poi scendere morbida e leggiadra fino a terra, tempestata delle stesse gemme che brillavano tra i suoi capelli, lasciati sciolti.

Per quanto la sua bellezza lo stordisse ogni volta come se fosse la prima, Leonardo si ritrovò comunque a trattenere il fiato, mentre faceva scorrere gli occhi lungo la sua figura. Quando poi tornò a guardarla in volto, rivide la stessa espressione di quella sera al banchetto, e sentì il cuore colmo di gioia.

            «Eccoti…», mormorò, senza nemmeno accorgersi di aver abbandonato le formalità, tanto alienato dall’averla ritrovata.

In risposta, lei gli sorrise dolcemente, e mosse le mani per cercare le sue, producendo un leggero fruscio con la stoffa candida e leggera. Da Vinci non le diede nemmeno il tempo di compiere quel gesto fino in fondo che fu lui stesso a cercare e stringere le loro mani, desiderando solamente dimenticare tutti i suoi dubbi e tutte le sue sofferenze e restare lì, dovunque si trovasse, lontano da paure e ombre.

            «Ma sapete meglio di me che la realtà è molto più difficile di così», mormorò lei, il suo sorriso che diventava amaro e malinconico.

            «So che tu ci sei…», rispose Leonardo, sollevando una mano per poterle accarezzarle la guancia. «In fondo in fondo, nascosta da un ruolo che ti grava addosso e che ti costringe ad annullarti per volere di altri... ma so che ci sei».

Le accarezzò lentamente lo zigomo, prima di avvicinarsi ulteriormente e poggiare la fronte contro la sua, chiudendo gli occhi.

            «E so che vorrei trovarti», mormorò, sospirando con amarezza.

Quando poi riaprì gli occhi, niente di quanto aveva appena visto era più davanti a lui. Nemmeno si accorse di essersi precipitato a cercare il suo quaderno, né di essere corso a sfogliare freneticamente le varie pagine, fino a quella che conservava come il più prezioso dei tesori.

Percorse lentamente i tratti a matita con uno sospiro nostalgico, volendo imprimere ancora una volta il ricordo di quello sguardo, di quell’anima che aveva intravisto dietro ad una maschera impregnata di bugie. Osservò il disegno per un’ultima volta, prima di chiudere il quadernetto e tornare al tavolo.

 

 

 

Angolo dell’autrice

Buonsalve a tutt*!

Ho scalato di una settimana in più rispetto al solito, ma ho scoperto di aver fatto bene perché avrei sì avuto problemi col fuso orario e, in più, non avrei avuto un computer per caricare il capitolo. Sto aggiornando ora dopo aver betato con il jetleg a gravarmi addosso, mi ritengo fiera di me.

Scena un po’ alienata dalla realtà, in un’atmosfera a sé, ma forse è l’unico luogo e l’unico momento per essere sinceri. Vero, Leonardo?

Sicuramente gli è andata meglio che nella serie, dove Lucrezia lo uccide senza tanti mezzi termini.

Che altro dire? Noi ci rileggiamo tra due settimane, tornando al palinsesto tradizionale.

Un bacione

Amy W. Gildeary  

   
 
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