Serie TV > The Umbrella Academy
Segui la storia  |       
Autore: Nykyo    18/04/2019    0 recensioni
Dopo essere sopravvissuto all'Apocalisse, Diego ha una nuova missione: impedire a Klaus di farsi del male.
Klaus vorrebbe ripagarlo, ma il solo modo che conosce è troppo doloroso e i sentimenti che inizia a provare per il fratello non lo aiutano.
Ma forse Ben ha ragione: si amano, devono solo decidersi a confessarselo. Possibilmente mettendoci meno tempo rispetto ad Allison e Luther ;)
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

II.

 

«Ehi, tutto bene?»

La voce sembrava quella di una ragazza, ma non era possibile, perché non c’erano ragazze in prima linea, e quando c’erano urlavano in una lingua che Klaus non aveva mai imparato e non avevano un tono preoccupato e gentile. In guerra le ragazze morivano, tutti morivano, com’era successo a Dave.

«Non siamo al fronte, Klaus, respira. Ti sei chiuso in un bagno, questa è una discoteca. Respira e cerca il telefono.»

E quello era Ben, almeno su quel punto non c’erano dubbi.

Klaus gli credeva, però non riusciva a calmarsi. Il panico lo stava mangiando vivo. Il suono delle esplosioni di mortaio gli rimbombava nelle orecchie e non riusciva ad aprire gli occhi, figurarsi a cercare quel dannato cellulare.

Lo odiava, era stato tentato di venderlo per comprarsi una dose almeno un milione di volte nelle ultime settimane, ma alla fine se l’era tenuto ed era ridicolo, non aveva nessun numero registrato in rubrica, tranne quello dei suoi fratelli e soltanto perché Diego si era preso la briga di inserirli per lui prima di regalarglielo.

Non si era sprecato in tante parole, a dire il vero. Dopo quella sera in palestra era tornato ai soliti silenzi conditi di occhiatacce, smorfie sarcastiche e, occasionalmente, da qualche raro sorriso. Quelli facevano sempre un certo effetto, proprio perché erano un’eccezione alla regola dei suoi musi lunghi.

Diego gliene aveva mostrato uno anche mentre gli consegnava il telefono. Era entrato in camera sua, si era seduto sul letto, su cui lui se ne stava stravaccato in preda alla noia e al tormento esistenziale, e glielo aveva lasciato cadere sul petto.

Klaus si era agitato per cercare di prenderlo, come se si trattasse di una granata senza la sicura, e a Diego era scappata una mezza risata.

«Ne abbiamo uno per ciascuno. Tutti uguali,» aveva spiegato. «Luther ci teneva.»

Klaus si era chiesto perché, allora, non era stato Uno a darglielo. Aveva aperto la bocca per domandarlo ma poi l’aveva richiusa. Si era detto che non aveva importanza.

«Ci sono già tutti i numeri.» Diego era tornato serio. «Per quel che puoi fartene.»

Si era alzato per andar via, il tutto senza che Klaus avesse pronunciato mezza parola.

Sulla porta si era fermato per un attimo.

«Non sei più andato a cercare un pusher. Non c’è stato bisogno di starti tra i piedi ultimamente. Ma se servisse…»

Era uscito lasciando la frase in sospeso.

Ora Ben pretendeva che Klaus lo chiamasse per chiedere aiuto e, per quanto fosse patetico e poco dignitoso, lui l’avrebbe accontentato, se solo fosse riuscito a smettere di tenersi le mani premute sulle orecchie nel vano tentativo di non sentire più il frastuono della discoteca. Quella dannata cacofonia di rumori che, perfino attenuata com’era, lo raggiungeva lo stesso.

Sapeva che era solamente musica, che al di là della porta del cubicolo, c’era una tizia preoccupata per lui, anche perché era stato troppo stravolto per accorgersi che si stava infilando nel bagno delle donne, ma non riusciva comunque a scacciare le immagini dei traccianti che illuminavano il cielo a giorno e le grida dei moribondi. L’odore di sudore, polvere da sparo e sangue era più forte di quello reale e tipico di un bagno pubblico ed era anche più nauseante.

Klaus se ne stava raggomitolato in un angolo e non riusciva a far niente, nemmeno a rispondere.

Ben era accucciato davanti a lui e stava ancora parlando con un tono calmo, controllato.

«Usa il potere almeno, così posso fare qualcosa. Ehi, mi senti?»

No, non lo sentiva, non veramente. Ma Ben continuava a ripetergli reagire e qualcuno stava bussando forte sulla porta del bagno e ogni colpo sembrava uno sparo.

«Dave…» Klaus lo vedeva, ma non come avrebbe voluto. La sua sagoma inerte, il sangue… Fu scosso da un conato e dovette aggrapparsi alla tazza del water in cui si ritrovò a rimettere con violenza i suoi stessi succhi gastrici.

Dio, che idea del cazzo che si era fatto venire quando aveva deciso di cacciarsi in quella situazione.

«Chiamalo.» Perfino Ben iniziava mostrare accenni di panico.

Da fuori continuavano a bussare e bussare. Non capivano che così era più difficile.

«Klaus, cazzo. Chiama Diego, fatti venire a prendere.»

Tossendo per scacciare la nausea, lui si fece scivolare una mano in tasca e strinse il telefono finché le nocche non iniziarono a fargli male. Lo tirò fuori a fatica, litigando con la stoffa del cappotto e rimase a fissarlo per un lungo istante sbattendo le palpebre. Poi sbloccò lo schermo e cercò il numero con le dita che tremavano. Inviò la chiamata e gli parve che il suo cuore si fosse sincronizzato sulla cadenza lenta degli squilli. Se nessuno gli avesse risposto alla fine si sarebbe fermato.

«Klaus?»

Cercò di dire “Sì”, ma gli si era chiusa la gola.

«Respira.» La voce di Ben era di nuovo ferma e sicura. «Se non gli dici dove siamo non può venire a tirarci fuori di qui, e tu non vuoi tornare di là in pista, giusto?»

No. Decisamente no, non da solo. Non poteva. Non di là, in prima linea.

«Diego, per favore…»

Dopo aver iniziato, rovesciò nel ricevitore una fiumana di parole e singhiozzi e si meravigliò quando si sentì rispondere: «Resta fermo lì, sto arrivando.»

Come avesse fatto Diego a capire quello che gli stava dicendo e l’indirizzo della discoteca era un vero mistero.

Klaus lasciò cadere il telefono sulle piastrelle, chiuse gli occhi e attese.

Il battito del suo cuore stava tornando a un ritmo quasi accettabile. Gli era bastata la voce di Diego per calmarsi almeno un po’.

Il che significava che era fottuto. Oh, se era fottuto.

Incominciò a ridere isterico e si rivolse a Ben. «Diego… sul serio? Cioè io… lui… Diego?»

Il fantasma seduto accanto a lui fece spallucce. «Sei andato a letto con tizi ben peggiori. Anche parecchio più stronzi.»

«Sì, certo intendevo giusto quello. Non stavo mica parlando di sentimenti assurdi e ridicoli che non ha senso provare.»

Continuava a venirgli da ridere. Oh, sì, era fottuto. Ma proprio tanto.

«Però lo ammetti che ci andresti a letto, e non stai tirando fuori la solita solfa dell’essere fratelli.»

«Ma lo siamo,» protesto Klaus in modo debole e poco convinto.

«Non di sangue, e sarete anche cresciuti insieme, ma un fratello non ti farebbe questo effetto. Né tu a lui.»

Passandosi le mani sul viso Klaus si fece sfuggire un’altra mezza risata soffocata. «Sì, come no. A lui faccio l’effetto di un povero idiota che non sa badare a se stesso e ha bisogno della balia.»

Necessità che gli aveva appena confermato chiamandolo in soccorso in quella maniera pietosa e disperata.  

Da fuori bussarono ancora, interrompendoli.

«Sto bene,» mentì Klaus per essere lasciato in pace.

«Non mi interessa se stai bene o no, devi uscire, è il bagno delle donne.» Non era più la ragazza preoccupata di prima, era un uomo dal tono incazzoso. Doveva essere un buttafuori.

Forse sarebbe stato meglio obbedire. D’altro canto chissà che farsi tirare fuori a forza dal cubicolo e magari incassare qualche pugno non sarebbe servito ad ottenere una visione decente di Dave. Poteva funzionare meglio che ficcarsi apposta in una situazione che ricordava il Vietnam.

Quando Hazel e Cha Cha l’avevano torturato parlare con i morti era stato facile. Magari non bastava essere sobri per evocare proprio quelli che desiderava e tenere alla larga tutti gli altri, ci voleva anche una buona dose di dolore fisico.

«Esci o no, tossico del cazzo? Non mi fare innervosire, è meglio se non mi tocca venire a prenderti.»

Klaus recuperò il telefono e si alzò barcollando. Non voleva tornare nella bolgia della sala ma, nonostante la sua idea riguardo al dolore, dubitava che facendosi pestare avrebbe risolto granché.

«Un attimo.» Tolse la sicura alla porta del cubicolo. «Non c’è mai un po’ di rispetto per i reduci.» Era stupido da dire, ma tragicamente vero. E comunque la sua vena ironica era ciò che gli aveva sempre permesso di sopravvivere, insieme alle droghe. Perfino in quel momento, con le lacrime agli occhi e flash della guerra pronti ad accendersi nel suo cervello, fare il buffone lo aiutava a rimanere a galla.

Il buttafuori, però, non sembrava granché divertito.

Non appena lo vide affacciarsi sulla soglia del separé, lo prese per un braccio e lo strattonò con prepotenza.

«Fuori di qui, subito. Se ti ribecco a farti in bagno o a dar fastidio alle ragazze…»

Mentre si divincolava Klaus protestò. «Non mi stavo facendo, non mi faccio da un sacco di tempo, e non ho molestato nessuno. Ho solo sbagliato bagno.»

«Sì, come no, tossico. Muovi quel culo secco e levati dalle palle. Scommetto che sei pure finocchio.»

Ottimo, di bene in meglio.

La tentazione di voltarsi e rispondere con un cazzotto era forte, ma Klaus non era così stupido da pensare che fosse il caso. Sarebbe servito solo infilarsi in un casino ancora maggiore, e da quando aveva scoperto la piena potenzialità dei suoi poteri aveva anche l’ansia di usarli a sproposito. L’ultima cosa che desiderava era un’esplosione di collera incontrollata e la vita di qualcuno sulla coscienza.

Ben sembrava pensarla come lui perché disse: «Lascialo perdere, andiamo fuori ad aspettare Diego.»

L’idea era proprio quella di levare le tende e Klaus si avviò a passo spedito.

Non fu tanto difficile, finché non si ritrovò in mezzo alla ressa. A quel punto perse di nuovo il controllo. Urtò la spalla di qualcuno, si sentì apostrofare con un verso scocciato, si voltò per scusarsi e impattò contro qualcun altro che lo spinse via con poca gentilezza. Le luci gli ferivano gli occhi e i bassi presero a martellargli nel petto rendendo la corsa del suo cuore di nuovo frenetica. Ovunque guardasse c’erano corpi accalcati in una visione d’insieme che si sovrapponeva all’immagine di una trincea, facendolo sentire circondato. Si avvicinò all’uscita quanto più poteva, ma continuava ad andare a sbattere contro la gente che ballava.

Aveva voglia di piangere e urlare.

Il cellulare prese a vibrargli nella tasca. Klaus lo estrasse e cercò di mettere a fuoco il testo di un messaggio appena ricevuto: “Dove sei?”

Diego.

D’istinto sollevò un braccio tenendo il telefono in alto, sopra le teste delle altre persone.

«Qui!» gridò, anche se era una cosa stupida da fare. «Sono qui!»

Non era quello il modo di rispondere, però non riusciva a ragionare lucidamente, malgrado fosse pulito e non avesse neppure bevuto. Nel suo cervello risuonava un altro grido. «Un medico, vi prego,» strillava la sua stessa voce. Un’invocazione inutile.

Klaus abbassò il braccio e si mise una mano sugli occhi. Stava per crollare. Voleva solo raggomitolarsi in un angolo e morire.

Una mano gli toccò una spalla.

«Ehi.» La voce di Diego. Il suo sguardo preoccupato quando Klaus osò sbirciare attraverso le dita.

Un’ondata di sollievo lo invase e rese le sue gambe un po’ più salde.

«Andiamo a casa,» urlò per farsi sentire nonostante il rumore assordante delle casse.

Diego annuì e lo prese per mano, facendosi subito strada nella folla, attento a che nessuno arrivasse loro addosso.

Per Klaus fu perfino più annichilente che se l’avesse tenuto in braccio come una donzella in difficoltà.

Fissò le loro dita intrecciate, la gente che si agitava a ritmo di musica tutto intorno, ed ebbe un ultimo déjà-vu: lui e Dave che abbandonavano ridendo la pista da ballo per cercare un angolo appartato in cui parlare; i baci, la sensazione di avere qualcuno da amare.

Ma quello era Diego, non Dave.

Klaus ne era consapevole eppure avvertiva una stretta alla bocca dello stomaco, soltanto che era diversa da quella provata in passato. Non meno intensa, solo differente. Mentre i motivi per cui la provava, quelli forse erano gli stessi.

Si aggrappò a Diego, alla sua mano calda, e si lasciò trascinare fuori all’aria aperta.

Appena arrivati nel parcheggio Diego lasciò la presa per fronteggiarlo.

I suoi occhi chiedevano “Stai bene?” ma la piega della sua bocca diceva che era incazzato.

«Cosa stavi cercando di fare? Pensavo che questa volta l’avessi davvero fatta finita con quella merda.»

Klaus pesto un piede sull’asfalto.

«Non ero qui per farmi,» rispose ferito. «Stavo solo cercando… stavo cercando…»

Di farsi del male? In effetti sì. Suonava idiota e folle, anche se aveva avuto buone intenzioni.

«L’ultima volta che sono stato a un rave mi ha riportato a galla così tanti ricordi del Vietnam che ho cominciato a vedere Dave e ho pensato… ho pensato che potesse funzionare di nuovo.»

«Oh.» Adesso Diego sembrava deluso.

«Poteva aiutare anche per la detective…» Klaus si sentiva in colpa e non capiva il perché.

«Torturarti e farti venire un attacco di panico?»

«Te l’ho detto, credevo che funzionasse.»

«Beh, lascia perdere.» Diego appariva di nuovo in collera. «Se ci devi arrivare così lascia stare.»

Klaus inspirò cercando di schiarirsi le idee grazie all’aria fredda della notte.

«Perché? Non ho preso nessuna pasticca.»

«Oh, Signore!» Ben stava sollevando le mani come in segno di resa. «Non ci arriva. Proprio non ci arriva.»

«No, non ci arrivo, cosa ho fatto questa volta di sbagliato?»

La domanda era rivolta a Ben, ma fu Diego a rispondere afferrandolo per le spalle e inchiodandolo con uno sguardo acuminato come i suoi pugnali.

«Farti del male. La devi smettere di farti del male.»

Non aggiunse altro, non gli lasciò diritto di replica, lo afferrò per un polso e se lo tirò dietro – stava diventando un vizio – «Andiamo a casa.»

La stava prendendo proprio male, in un modo del tutto diverso da quello che Klaus si sarebbe aspettato. Ma era anche vero che Diego era cambiato negli ultimi mesi. Come se la sua corazza fosse stata scalfita e una breccia si fosse aperta senza che lui fosse capace di richiuderla. Un tempo l’avrebbe insultato, gli avrebbe voltato le spalle lasciandolo ad arrangiarsi, se ne sarebbe fregato se si ammazzava di droghe o si tormentava.

Il Diego di adesso Klaus lo capiva anche meno di quello del passato. Così come non capiva se stesso, i sentimenti che gli suscitava. Anche in quel momento. Era dispiaciuto, se lo aveva deluso, ma avvertiva di nuovo quello strano tepore al centro del petto. Un calore invadente che proprio non voleva saperne di andarsene.

 

***

 

«Cos’è?» Klaus stava fissando il piatto. La fetta di pancetta più che a un sorriso assomigliava a una smorfia di disgusto e le due uova erano troppo cotte.

«Mamma si sta ricaricando. Mangia, sei uno straccio e sono le quattro del mattino, scommetto che non hai cenato.»

La cena, effettivamente, era stata l’ultimo dei suoi pensieri e lo era ancora, anche perché la nausea non era passata del tutto. Ma lo stupore la stava sopravanzando. Diego ai fornelli era uno spettacolo a cui non avrebbe mai creduto di assistere.

C’era davvero una prima volta per tutto nella vita.

«Preferirei una Tequila,» rispose, però sorrise. La crisi era passata, ma il suo umore rimaneva malinconico. Continuava a fallire, e se Diego faceva così e si comportava in maniera premurosa era più difficile digerire il fatto che lo stava deludendo.

«Scusami,» spostò il piatto e si strinse nel cappotto. «Apprezzo il gesto ma non ho fame.»

Si guardò intorno. Ben si era eclissato ed era un’evenienza rara. Chissà come mai aveva deciso di rimanere in disparte, per una volta lontano dalla sua vita. Si era messo in testa di lasciarli soli? Dovevano discutere seriamente di questa mania che gli era presa di insinuare possibili coinvolgimenti emotivi e comportarsi come se fosse convinto che avrebbero dovuto mettersi insieme.

Lui e Diego erano cresciuti come fratelli eppure a malapena si conoscevano. Anzi, era come se stessero iniziando a farlo sul serio solo negli ultimi mesi. E a lui non dispiacevano per nulla i lati inediti che gli venivano mostrati, era fin troppo facile intenerirsi per cose come quel piatto di uova, o sperare che tutto lo sbattimento che Diego metteva nel tenerlo alla larga dalla droga non avesse come unico fine quello di fargli evocare la sua ex ragazza morta. Però non ci teneva a illudersi. Magari ci stava vedendo una profondità che in realtà non esisteva e, se anche fosse esistita, i suoi sentimenti sarebbero stati a senso unico. Diego gliel’aveva perfino detto in faccia quella sera al bowling: “Se mai decidessi di uscire con un maschio, tu saresti l’ultimo al mondo con cui lo farei”.

E poi c’era Dave. Se si fosse innamorato di un altro, Klaus avrebbe fatto un torto alla sua memoria. Non poteva scordarlo tanto facilmente.

Si passò le mani nei capelli, tirandoli indietro. Stavano diventando lunghi, perciò i ricci gli ricaddero subito sulla fronte.

Aveva bisogno di dormire. Per ore, senza sogni, come un sasso. Che fosse in grado di farlo era un altro paio di maniche.

«Lo so che fa schifo, ma è commestibile.» Diego gli rimise il piatto davanti.

Klaus sollevò i lembi della pancetta verso l’alto, usando le dita, poi li fissò accigliato e li spinse a puntare verso il basso.

«È solo che non sono dell’umore giusto per una colazione felice di prima mattina.»

Una mano gli si strinse su una spalla, quasi in un massaggio. «Certo a vederti non si direbbe che sei stato in guerra, a parte che con te stesso.»

Se era per quello non si sarebbe nemmeno detto che entrambi erano passati indenni attraverso la fine del mondo. O forse sì. Forse si sarebbe detto eccome. Doveva essere per quello che, dopo una vita intera spesa a ignorarsi, ora si capivano. Forse era per quello che continuavano a cercarsi e che, anche con gli altri, la situazione era cambiata.

«Grazie del complimento,» ironizzò, ma sapeva che Diego non l’aveva inteso come un insulto.

Si era seduto sul ripiano del tavolo e lo fissava.

«Sei arrivato in fretta poco fa in discoteca,» Klaus si passò di nuovo una mano sul viso, questa volta sulla bocca, per appianare una smorfia.

«Sì, ero nei paraggi, diciamo.»

La smorfia non voleva saperne di scomparire. «A controllare se il tuo fratellino aveva deciso di riprendere a farsi?»

«No.»

Troppo laconico per essere credibile.

Klaus si alzò facendo strisciare la sedia sul pavimento, e al diavolo se qualcuno si svegliava.

«Aspetta.» Le dita di Diego lo fermarono con una morsa ferrea su un braccio. «L’ho capito che ci stai provando sul serio. È solo che… mi ero abituato a starti dietro. Non lo so, non riuscivo a dormire, ho visto che uscivi con quell’aria furtiva… Ma lo sapevo che non ti saresti sballato.»

La tragedia era che aveva un tono sincero.

«Dovresti comunque smetterla di seguirmi ovunque vada.»

Diego aggrottò la fronte. «Perché?»

Allontanò la mano con cui lo stava trattenendo. «No, ok, lo so, è noioso, sono invadente.»

Aveva uno sguardo che lo faceva sembrare braccato. Da che tipo di sentimenti Klaus non era in grado di dirlo. Ma sapeva che il problema tra loro non era di certo l’invadenza.

Era il cuore che gli schizzava in gola ogni volta che si fissavano troppo a lungo.

E pensare che per una vita non si era mai innamorato. Dopo il primo viaggio nel tempo doveva essergli cresciuto un cuore capace di provare altri sentimenti a parte l’ansia, la paranoia e la paura. E in quel momento stava battendo all’impazzata.

«Puoi sempre venire nei posti con me, anziché seguirmi nell’ombra come un ninja imbronciato. Alla lunga diventa anche un po’ ridicolo.»

Diego non aveva smesso di fissarlo.

«Non mi dispiace averti intorno,» Klaus si disse che doveva stare zitto, stava straparlando. «Sei venuto a prendermi, mi hai cucinato le uova, sei il mio eroe e tutto quanto. Yay! Ma preferisco averti accanto che dietro le spalle.»

«Non sono un eroe,» Il tono era amaro, carico di sottintesi.

«Se è per questo non sei nemmeno il mio fratello maggiore. Non abbiamo lo stesso sangue e tecnicamente ho dieci mesi più di te ora, ma resti il solo che riesce a convincermi che questa sia… beh, casa.»

Accarezzargli una guancia mentre parlava era l’ultima cosa che Klaus avrebbe mai pensato di fare, eppure le sue nocche e il dorso della sua mano stavano sfregando sulla pelle di quel viso ruvido di barba non ancora rasata.

Diego lo afferrò per la nuca, prima che potesse realizzare cosa stava succedendo, e lo baciò togliendogli il respiro.

Fu talmente inaspettato che Klaus non riuscì a chiudere gli occhi e ci mise una frazione di secondo prima di accorgersi che stava succedendo davvero e ricambiare. Quando lo fece, a spiazzarlo ancora di più ci fu la gentilezza del bacio. Nulla di famelico, dettato da chissà quale impeto di passione, niente lingue che combattevano una lotta per il predominio. Diego lo stava baciando con lentezza, una mano infilata nei suoi capelli.

Era dolce, irreale. Klaus avrebbe faticato a crederci, se non fosse stato per la solidità delle spalle a cui d’istinto si era aggrappato.

Era struggente.

Si staccò smarrito proprio per quel motivo. Quel bacio era troppo intenso. Faceva quasi male.

Diego lo fissava, aveva un sorriso triste dipinto sul viso.

Klaus si chiese se stava pensando alla detective, se l’aveva baciato come avrebbe voluto baciare lei. Se, in qualche maniera contorta, si fosse convinto che attraverso di lui che aveva un legame così stretto con i morti il bacio sarebbe arrivato fino alla donna che amava.

Quel pensiero gli fece tremare le labbra. Per lui non era così.

I baci di Dave erano stati dolci, ma diversi. Non aveva pensato a lui, ma solo al sapore di Diego, alla sensazione di averlo tanto vicino, caldo e presente, come in un certo senso era sempre stato negli ultimi mesi.

«Vai a letto,» L’imbarazzo di Diego era evidente. «Stanotte sei sottosopra, in questo stato si fanno un sacco di cazzate.»

Ecco. Era quello il punto. Erano cazzate?

Non gli rispose, cosa avrebbe potuto dirgli che non peggiorasse la situazione e non lo facesse sentire ancora più uno straccio.

Annuì, e lasciò la cucina stringendosi nel cappotto e strascicando i piedi.

Ben continuava a non essere nei paraggi ed era meglio così. Klaus non era in vena di parlare, non voleva vedere nessuno, voleva solo collassare sul letto e scomparire, una buona volta.

Magari l’indomani il mondo avrebbe fatto un po’ meno schifo, anche se avrebbe dovuto affrontarlo da sobrio perché gli era passata perfino la voglia di farsi.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Umbrella Academy / Vai alla pagina dell'autore: Nykyo