Anime & Manga > Card Captor Sakura
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Autore: steffirah    19/04/2019    2 recensioni
A causa del lavoro del padre Sakura verrà ospitata a casa di una sua cugina, in una cittadina dal nome mai sentito prima, nell'estremo nord del Paese. Qui farà nuovi incontri, alcuni dei quali andranno oltre la sua stessa comprensione, mettendo a dura prova le sue più grandi paure. Le affronterà con coraggio o le lascerà vincere?
Una storia d'amore e di sangue, di destino e legami, avvolta nel gelo di un cielo plumbeo, cinta dalle braccia di una foresta, cullata dalla voce di un lupo.
Genere: Angst, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eriol Hiiragizawa, Sakura, Sakura Kinomoto, Syaoran Li, Tomoyo Daidouji | Coppie: Shaoran/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Bufera



Finalmente giunse la settimana in cui si sarebbe tenuta la gita in montagna. Onestamente, non vedevo l’ora che arrivasse: sentivo il bisogno di cambiare aria e sfuggire per un po’ dagli occhi svegli e indagatori di Tomoyo-chan ed Eriol-kun. Sembrava sempre, sempre, che riuscissero a leggermi dentro, comprendendo appieno ciò che infuriava nel mio animo, persino meglio di quanto ci riuscissi io stessa. Vedevo la preoccupazione sui loro volti e mi sentivo terribilmente in colpa perché sì, mi comportavo normalmente, ma dentro di me mi sentivo un po’… diversa. Ed ero certa che essi riuscissero a cogliere quella differenza in me; temevo che potessero identificarla e darvi un nome, quel nome di cui mi vergognavo, che continuavo a costellare di dubbi e insicurezze.
Ecco perché tirai un sospiro di sollievo già dal momento in cui mi sedetti nel pullman, il giorno della partenza. Il viaggio durò all’incirca quattro ore, allo scadere delle quali finalmente intravedemmo il posto scelto dalla scuola per quel breve soggiorno: situata all’estremo nord del Paese, quella minuscola località turistica sembrava bellissima, totalmente immersa in un mare bianco. Le alte cime innevate si elevavano ovunque attorno allo chalet in cui alloggiavamo, mentre su un lato del pendio montuoso si estendeva una vasta foresta di abeti, raggiungibile direttamente dalla porta sul retro dell’edificio.
Ogni secondo trascorso qui rappresentava uno spasso, visto che oltre a dover seguire obbligatoriamente lezioni di sci eravamo anche liberi di bighellonare a piacimento con lo slittino, scivolando fino a valle e risalendo poi con le funivie. Inizialmente non era stata una passeggiata per me, non avendo mai avuto a che fare con questo genere di sport – a Tomoeda nevicava solo per poche settimane nel cuore dell’inverno, ma neppure in maniera tanto fitta da attecchire in quanto i fiocchi si scioglievano dopo poco quando si posavano sul suolo. Di conseguenza non mi era mai capitato di poter fare neppure una battaglia né un pupazzo di neve, quindi cercai di approfittarne al massimo divertendomi come mai, con la fortuna di avere con me le ragazze che mi insegnarono come mettere in atto ogni singola cosa, dal come appallottolare la neve all’indicarmi i metodi giusti per sciare senza correre rischi.
Di giorno mi affidai totalmente a loro e di notte, dato che condividevamo la stanza, ci dilungavamo in lunghe chiacchierate, finché non venivamo scoperte dai prof in ricognizione per assicurarsi che tutti dormissimo. E allora aspettavamo che si allontanassero per profonderci in risolini soffusi, prima di deciderci finalmente ad addormentarci.
Escludendo anche i pasti, il resto del tempo lo trascorrevo sul balcone che affacciava a valle, con una tazza di tè caldo tra le mani e una coperta sulle spalle, insieme alle mie compagne, ammirando quel paesaggio imbiancato. Per loro non era nulla di nuovo, essendo abituate da sempre a visioni simili. Per me, invece, era la prima volta che vedevo una distesa nivea tanto perfetta, come se fosse panna montata spalmata da un pasticciere su una morbida torta al cioccolato, livellata in maniera impeccabile con la spatola. E i nostri passi potevano equivalere a quelli di minuscole fatine dello zucchero, che volavano sulla sua superficie, golose di darvi un assaggio. Me le figurai con vaporosi capelli fatti di zucchero filato rosa e gonfi abiti gialli, simili ai cieli dell’alba. Sorrisi a quella mia fantasia, chiedendomi da quando avessi sviluppato un’immaginazione tanto fervida.
La penultima sera soltanto – col consenso dei prof, purché non facessimo troppo tardi – ci riunimmo tutti noi studenti nel salone, mettendoci raggruppati sui divani davanti all’enorme camino; stava andando tutto liscio e mi stavo divertendo a stringere nuove amicizie con le compagne di classe di Meiling-chan, sicché in qualche modo tra una chiacchiera e l’altra si finì con l’affrontare il tipico argomento da gita che avevo sempre abilmente evitato: “storie di fantasmi”.
Tremai tutto il tempo, resistendo alla tentazione di tapparmi le orecchie per non svelare quella mia debolezza; provai anche a pensare ad altro per tenermi occupata, finché non ce la feci più a sopportare quella tortura e mi dichiarai stanca, anticipando le ragazze in camera.
Nel percorso di ritorno incrociai lo sguardo di Li-kun trovandolo apprensivo, ma mi limitai a rivolgergli un flebile sorriso passando oltre. Dinanzi alla porta della mia camera, tuttavia, esitai, col cuore in tumulto. Andava tutto bene, mi bastava stare alla larga dalle finestre in modo tale da non vedere nulla al di fuori di esse.
“Stai calma Sakura, stai calma” mi imposi, prendendo profondi respiri; ciononostante, poggiando la mano sulla maniglia della porta, vidi le mie dita tremare come foglie d’autunno.
E se fosse apparsa una yuki onna e mi avesse attratta fuori con la sua sublime bellezza, per potersi nutrire della mia vita o farmi morire congelata, conducendomi in gelidi luoghi che soltanto ella avrebbe potuto conoscere? O ancor peggio, se avessi visto una yama-uba e fosse riuscita a rapirmi dopo aver incrociato il mio sguardo, nutrendosi poi della mia carne?
«Kinomoto, va tutto bene?»
Sobbalzai a quella nuova voce, voltandomi alla mia destra con il cuore in mano.
«Me- Meiling-chan!» esclamai rincuorata, tirando un sospiro di sollievo.
Lei mi scrutò attentamente, impensierendosi. «Sei pallidissima. Stai bene?»
«Sì.» Annuii anche con la testa per essere ancora più credibile. «Mi dispiace non essere rimasta di più, ma... ecco… mi fanno paura le storie dell’orrore…» ammisi con non poca vergogna, sapendo di suonare come una bambina.
La vidi serrare le labbra, quasi trattenesse una risata, ma non sembrava irrisoria. Ero abbastanza sicura che non fosse per deridermi, ciononostante non riuscivo a comprenderne l’origine.
Ammiccò poi, dandomi una leggera pacca rassicurante sulla spalla.
«Stai tranquilla, ti assicuro che non ti succederà niente.»
La fissai colpita da tanta premura, per cui le sorrisi riconoscente.
«Grazie Meiling-chan. Spero che i miei sogni se ne stiano buoni stanotte» aggiunsi tra me.
«Stai avendo incubi?»
«Non esattamente, sono solo un po’ strani. Ricordo soltanto una voce e una figura che non riesco ad inquadrare bene, è come se fosse avvolta da una fitta nebbia nera.»
Aggrottò le sopracciglia, concentrandosi.
«Cosa ti dice?»
Mi strinsi nelle spalle, fingendo che non fosse importante. «Nulla di preoccupante. Allora, buonanotte.»
Le rivolsi un breve cenno di saluto con la mano, ritirandomi in camera. Mi cambiai nel pigiama, filando immediatamente a letto, senza perdere ulteriore tempo, coprendomi fin sopra la testa. Mi concentrai sul mio respiro e cominciai a contare le pecore per agevolare il sonno, visualizzandole oltre le palpebre chiuse mentre saltavano uno steccato su un prato pieno di fiori colorati, riempiendomi la mente di immagini positive.
Probabilmente così facendo riuscii ad addormentarmi perché quando arrivai attorno alla cinquantesima i miei pensieri furono sovrapposti da quella voce maschile, la quale ben presto li soppiantò. Stavolta riuscivo ad udirla meglio, era tanto dolce da parere un artificio, gradevole, pacata e aveva un che di attraente. Era un tipo di voce che avrebbe persuaso chiunque a fare ciò che voleva. Una di quelle voci da temere, che ti avrebbe sedotta inducendoti a compiere qualunque follia.
Mi ribadiva sempre le stesse cose: di fidarmi di lui, che lui avrebbe esaudito i miei desideri, che se questi fossero stati rivolti al mio amore non corrisposto sarebbe riuscito a cancellare i miei sentimenti, se soltanto lo avessi ascoltato.
«Posso renderti felice» ripeteva, il suo tono scivolava nella mia coscienza come miele liquido, riempiendo ogni singola insenatura che componeva la mia volontà. «Basta che segui la mia voce. Seguila…»
Aprii lentamente gli occhi, mettendomi seduta, fissando il nulla. Se la avessi seguita, cosa sarebbe successo?
«Vieni da me…»
Mi alzai dal letto, facendo meno rumore possibile per non svegliare le altre. Percorsi in maniera del tutto automatica la strada che conduceva alla porta, uscendo all’esterno. Affondai i piedi nella neve, ascoltando. Dove dovevo andare?
«Da questa parte.»
Al suo suggerimento mi diressi verso il bosco, percependo appena la consistenza del suolo innevato sotto le mie nude piante. Proseguii come sotto incantesimo, procedendo tra gli abeti, cercandolo.
«Ci sei quasi, Sakura.»
Non appena pronunciò il mio nome sbattei gli occhi, tornando alla realtà.
Il gelo mi colpì all’improvviso, sferzandomi il corpo, costringendomi ad inginocchiarmi. Tremai, stringendomi le braccia al petto, respirando a fatica in mezzo alla bufera. Com’era potuto accadere? Ero convinta di star sognando, ma allora perché percepivo così distintamente la temperatura e il potente vento che mi ghiacciava le ossa? E perché riuscivo a riflettere su quella condizione? Dovevo fare qualcosa o sarei morta assiderata. Però mi sentivo così fiacca e debole….
Provai a rialzarmi lottando contro quelle pesanti frustate di ghiaccio, ma non feci che ricadere sul suolo. Il pigiama mi si riempì di neve, impregnandosene, i miei arti faticavo a sentirli, percependoli sempre più bloccati, pietrificati. Anche tenere gli occhi aperti era un’impresa. Avvertivo le lacrime scorrermi sulle guance, lasciandomi scie fredde come mai lo erano state.
Sollevai di poco la testa, affannata, sforzandomi di muovere le braccia per poter almeno strisciare fino ad un albero. Magari, se ce l’avessi fatta, con la sua chioma avrebbe potuto tenermi un po’ al riparo insieme ai suoi compagni. Feci diversi tentativi ma ben presto rinunciai, stringendo con quelle poche forze che mi erano rimaste quel bianco manto bruciante. Un enorme iceberg parve formarsi nei miei polmoni, comprimendoli, serrandomeli.
«Ormai sei mia» sogghignò colui che mi aveva condotta lì, tornando ad infestare la mia mente con la sua diabolica voce.
Non feci assolutamente nulla per reagire, sentendomi risucchiata e svuotata di qualsiasi energia. Ciononostante volevo almeno vederlo in faccia, quindi con un ultimo grande sforzo provai a tenere gli occhi aperti, sebbene il mondo dinanzi ad essi fosse tutto velato e tremolante.
Proprio allora udii un’altra voce, più calda e confortante, più familiare, che adesso mi sembrava nel panico e anche arrabbiata, mentre gridava il mio nome a pieni polmoni. Sorrisi in me rincuorata, aspettandomi di vedere Li-kun; ma al suo posto intravidi la sagoma di un lupo, seguita dal buio assoluto.
 
 
 
Quando ripresi i sensi ero avvolta da un piacevole tepore e udivo il crepitare della legna bruciata. Calde fiamme mi sfioravano con le loro lingue di fuoco ed improvvisamente mi sentii benissimo: il senso di torpore svanì, così come anche quella pesantezza che avvertivo addosso, sia nel corpo che nella mente, come se piano piano stessi scongelando.
Aprii gli occhi con lentezza, abituandomi poco alla volta a quella luce aranciata. Guardai in basso verso il camino scoppiettante, capendo di essere stesa sul morbido divano in sala, avvolta in ben cinque strati di coperte di flanella.
Provai a mettermi seduta lievemente stranita, chiedendomi come fossi arrivata lì e a chi appartenesse quel pigiama giallo canarino che stavo indossando, ma prontamente una mano mi si posò sulla spalla, attirando la mia attenzione con la sua delicatezza.
«Resta al caldo.»
Mi voltai verso il pavimento, scoprendo che proprio accanto alla mia testa era seduto a gambe incrociate Li-kun.
Rimasi senza parole, lasciandolo occuparsi di me, mentre mi aiutava ad appoggiarmi contro il divano, rialzandomi le coperte fino al mento. Fatto ciò si allungò a prendere una tazza fumante dalla mensola dinanzi alla bocca del focolare e me la porse.
«Tieni, bevi questo.»
Sbucai con le mani fuori dalle coperte, lieta che finalmente esse rispondessero ai miei comandi, sebbene le punte delle mie dita continuassero a sembrare irrigidite. Esitai prima di prendere la tazza, temendo di rovesciarne involontariamente il contenuto; accorgendosene, Li-kun mi aiutò ad afferrarla con fermezza, avvolgendo le mie piccole mani nelle sue per poco, e anche se la temperatura della sua pelle era la stessa che avevo percepito all’esterno, in qualche modo non mi faceva male. Anzi, era… era scaldante.
Sorrisi dinanzi a tutta quella premura e strinsi la presa sulla tazza, osservando ciò che conteneva, attratta da quel buon profumo familiare. Camomilla! Me la portai avidamente alle labbra, avvertendone subito il benefico effetto.
«Grazie» gracchiai, scoprendo così di avere una voce roca. Provai a schiarirmi la gola, a scioglierne i nodi con quel liquido dolce e floreale, di cui più avevo bisogno in quel momento.
«Mi spieghi perché devi essere tanto sconsiderata?» mi rimproverò di punto in bianco mentre mi dissetavo, cogliendomi di sorpresa. «Come hai potuto uscire lì fuori nella tormenta, senza coprirti a dovere, e per lo più scalza?! Sei impazzita? Avevi intenzione di ammazzarti? Sai come si sentirebbero le persone che ti vogliono bene a perderti?»
La sua voce tremava, sembrava impaurito, e io boccheggiavo, incapace di rispondergli. Ripensai alla notte trascorsa, al sogno fatto, cominciando a domandarmi quanto ci fosse di reale e irreale in esso. Ero uscita davvero? A giudicare dal come mi sentivo ancora un po’ il corpo intirizzito e la testa pesante supponevo di sì. Ma perché? Come era successo?
«M-mi dispiace» balbettai, sentendomi in colpa, incapace di dargli una vera e propria spiegazione. «Io non volevo, davvero. Pensavo fosse soltanto un sogno, non credevo che...»
«Sei sonnambula?»
«… Così pare…»
A dire il vero, non lo ero mai stata in vita mia; o perlomeno nessuno se ne era mai accorto o nessuno mi aveva mai scoperta a vagabondare per casa nel cuore della notte, né mi ero mai risvegliata in posti diversi dalla mia camera. Al massimo mi ritrovavo a terra invece che sul letto, ma immaginavo fosse normale quando ci si rigirava nel sonno, visto che sin da bambina ero sembrata essere quel tipo di persona abbastanza irrequieta durante la notte. Ma mai mi era capitato di fare sempre lo stesso sogno, consecutivamente, e mai mi aveva lasciata così confusa, rendendo tanto labile il confine tra sonno e veglia. Cos’era reale? E cosa non lo era?
Alzai timidamente gli occhi su Li-kun, insicura se stessi sognando o meno. Ma in ogni caso… «Grazie, per avermi salvata.»
Scosse la testa, guardandomi preoccupato.
«Che sogno era?»
Rabbrividii, stringendomi nelle coperte.
«Non saprei descriverlo bene, stavo seguendo una voce.»
«Una voce…» ripeté pensieroso, adombrandosi.
Mi sembrava inquieto quanto me, per cui decisi fosse meglio parlare d’altro.
«Quanto tempo sono rimasta priva di sensi?»
Rivolse una rapida occhiata alla finestra, rispondendo: «All’incirca quattro ore, è quasi l’alba.»
«E sei rimasto tutto il tempo qui?» domandai dispiaciuta. Non gli avevo fatto chiudere occhio….
«Per poco c’è stata Meiling, ti ha cambiata prestandoti un suo pigiama e poi si è fatta sostituire per andare a prepararti quella, pensando che ti avrebbe risollevata quando ti saresti svegliata» concluse, indicando la tazza.
Sorrisi raddolcita, finendo di berla.
«Non c’era bisogno di fare tanto.»
«Invece sì. Dovevo vegliare su di te.» Digrignò i denti, stringendo i pugni sulle ginocchia. «È la seconda volta che fallisco.»
No, un attimo! Non doveva prendersela con se stesso!
«Non è così!» Posai la tazza sul tavolino, prendendo poi una sua mano tra le mie. «Syaoran-kun, non è così.»
Sgranò gli occhi, forse nel sentirsi chiamare in maniera tanto familiare, al che avvampai, lasciandolo di botto.
«Scusami, è solo che tu mi hai chiamata per nome, e quindi…» Tacqui, trattenendo il fiato, vergognandomi. «Non l’avrò mica sognato?»
«No, è stato più forte di me. Non volevo prendermi tutta quella confidenza» si scusò, ma io lo arrestai prima che proseguisse.
«Non mi ha dato fastidio, tutt’altro! Mi renderebbe felicissima se cominciassi a chiamarmi sempre per nome!»
Sviò lo sguardo, sembrando travagliato. Fissò gli occhi sul fuoco, le cui fiamme si rifletterono sul suo volto, creandovi un baluginio incantevole. Lo vidi serrare le labbra e scompigliarsi i capelli prima di tornare a guardarmi, mostrandomi insicurezza. Una debolezza così rara in lui.
«Sakura…» sussurrò, col suo tono basso, gentile e pastoso, così gradevole alle mie orecchie. Avrei potuto sentirlo chiamarmi per nome per tutta la vita, esso si scioglieva sulle sue labbra, riempiendomi il cuore di calma e dolcezza.
«Syaoran-kun» ricambiai con gaiezza, rivolgendogli uno dei miei sorrisi più sinceri.
Lui era reale, di certo. E nonostante tutto, non mi aveva abbandonata; era rimasto al mio fianco, proprio quando temevo che non mi avrebbe neppure più rivolto la parola.
Lo guardai dritto negli occhi, piena di gratitudine. Non poteva neppure immaginare quanto la sua presenza mi stesse aiutando a sopravvivere, quanto fosse divenuta essenziale nella mia nuova vita.










 
Angolino autrice:
Buonasera! Sono riuscita ad aggiornare prima che passasse un mese, questo è un miracolo! 
Quello che avete appena letto è un capitolo fondamentale che segna una svolta: d'ora in avanti aspettatevi il terrore muahaha. Scherzi a parte, verranno spiegate molte cose, ma si aggiungeranno altri misteri. 
Dunque, è palese che per le "fatine dello zucchero" mi sia ispirata alla carta The Sweet? Ebbene, sappiate che l'aspetto è quello!
Qui ho da spiegarvi solo due figure soprannaturali, appartenenti al folklore giapponese:
- la yuki onna (lett. "donna delle nevi") è una donna di bell'aspetto, raffigurata solitamente con lunghi capelli lisci e un kimono bianco, 
 i cui occhi provocano terrore, che si dice appaia di notte confondendosi col paesaggio;  
- la yama-uba (lett. "vecchia della montagna") ha l'aspetto di una mostruosa strega, coi lunghi capelli spettinati e un kimono sporco e strappato. 
Per il resto, quello che si pensa facciano è scritto nel capitolo stesso.
Detto ciò, vi auguro una buona serata!
A presto (spero)
Steffirah

 
  
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