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Autore: Nykyo    20/04/2019    1 recensioni
Dopo essere sopravvissuto all'Apocalisse, Diego ha una nuova missione: impedire a Klaus di farsi del male.
Klaus vorrebbe ripagarlo, ma il solo modo che conosce è troppo doloroso e i sentimenti che inizia a provare per il fratello non lo aiutano.
Ma forse Ben ha ragione: si amano, devono solo decidersi a confessarselo. Possibilmente mettendoci meno tempo rispetto ad Allison e Luther ;)
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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IV.

 

«Sei impazzito? Se lo rompi Luther ti ammazza.»

Klaus folgorò il fantasma di suo fratello con un’occhiataccia. «Sul serio? Adesso diventi disfattista? Proprio sul più bello? E dai, è solo un vecchio giradischi, e non penso di combinare disastri, devo solo accenderlo, scegliere un disco e piazzarci sopra la puntina.»

Ben parve considerare attentamente l’idea.

«Oh, grazie della fiducia. Me ne ricorderò la prossima volta che mi verrai a dire: “Oh, Klaus, non mollare, puoi farcela”. Sarà bellissimo sapere che non sei sincero.»

«Chi è che non è sincero?» Diego si affacciò nella stanza, «e perché sei in camera di Luther?»

La speranza di Klaus era stata quella di mettere un po’ di musica e poi andare a stanarlo, ma andava bene anche così.

Si spostò verso lo scaffale in cui erano riposti i dischi. Numero Uno aveva una collezione di vinili davvero notevole per essere l’uomo meno divertente della storia.

Non che Klaus non gli volesse bene, tutto sommato tra i suoi “fratelli”, a parte Ben, era quello a cui gli veniva più facile pensare come se fossero consanguinei, ma Luther proprio non sapeva godersi la vita. Però stava migliorando e aveva ottimi gusti in fatto di musica.

«Ecco, questo è perfetto!»

In effetti, se ricordava bene il testo, lo era davvero. Forse un po’ troppo sfacciato, ma dopo tutto lui e Diego facevano cose molto sfacciate ogni santa notte da… oh, beh, da circa tre settimane. E lui non aveva ancora chiaro cosa diavolo stesse succedendo, perché si ritrovavano in quella situazione, che tipo di sentimenti li legassero, però la faccenda influiva sul suo umore in senso positivo. Specie perché Diego lo lasciava sempre restare in camera sua fino all’indomani.

Quando pensava a quanto era stretto il letto in cui avrebbero dormito insieme tra qualche ora, gli veniva da sorridere. Era quasi esilarante.

Avrebbe dovuto tornare con i piedi per terra e non dare per scontato che sarebbero andati avanti così a lungo, solo che aveva passato l’esistenza a cercare di stare con la testa sempre tra le nuvole, e Diego lo mandava talmente in orbita che di tornare giù non aveva proprio voglia. Preferiva ballare.

«Tanto Luther non c’è,» disse, rivolgendosi sia a Ben che a Diego. «In effetti siamo quasi soli in casa.»

Ne era certo perché aveva controllato.

Se gli altri sapevano di lui e Diego non lo davano a vedere, ma non sarebbe riuscito a rilassarsi fino in fondo con troppa gente in circolazione. E Luther non gli avrebbe lasciato usare lo stereo.

Soffiò sul vinile appena estratto dalla sua custodia e lo piazzò sul piatto del giradischi, sistemò la puntina, con una linguaccia rivolta a Ben, e le prime note di un pezzo swing molto ritmato si diffusero per la stanza.

Klaus alzò il volume e iniziò a battere un piede a ritmo e muovere la testa.

«Oh, sì…»

Girò intorno a Diego che lo stava osservando con la stessa espressione che la gente riservava ai bambini quando facevano qualcosa di sciocco ma divertente.

“Oh, that man is like a flame, and, oh, that man plays me like a game. My only sin is I can't win. Oh, I wanna love that man… Oh, that man is on my list, and, oh, that man I wanna kiss. My only sin is I can't win. Oh, I wanna love that man…” Cantava una voce femminile e la musica era davvero di quella che faceva venire voglia di dimenare i fianchi.

«Non balli?» Klaus tese la mano e sorrise. Voleva davvero che avessero un momento tutto per loro, senza tensione.

Erano sempre un po’ guardinghi, tranne che a letto.

Il sesso li rendeva più sciolti, anche perché non avevano mai bisogno di parlare per capirsi. L’istinto li spingeva a prendere e dare in un equilibrio che fuori dalle lenzuola faticavano a ricreare. Eppure Klaus a volte sentiva che sarebbe stato semplice, una delle poche cose semplici della sua vita, se solo avesse smesso di averne paura.

«Ti sembro il tipo?» Diego esitava.

«Lo eri da bambino,» gli rispose Klaus, senza ritirare la mano. «Certi giorni Luther metteva su un disco e tu ballavi in camera tua. Ti ho visto un paio di volte passando davanti alla porta della tua stanza che era rimasta socchiusa. Ti divertivi, no? Balla con me adesso.»

«Mi divertivo finché papà non decideva che era una cosa da mocciosi.» La risposta fu seguita da un mezzo sospiro. «E non avevo idea che tu lo sapessi.»

Klaus si fermò. Aveva detto la cosa sbagliata?

«Non passavo il tempo a spiarti, è solo capitato.»

La canzone stava finendo e il suo umore rischiava di virare rapidamente dall’allegria al disappunto.

Diego scosse il capo. «No, è solo che… ti si notava così poco da bambino. A volte perfino meno di Vanya. Eri… a volte eri come invisibile. È per questo che ora tutto di te è così…»

«Eccessivo?» chiese Klaus con una smorfia.

«Impossibile da ignorare,» lo sguardo di Diego sembrava raddolcito.

Si avvicinò al giradischi, sul quale ormai la puntina girava a vuoto e la riportò sul solco iniziale, facendo ripartire la canzone.

Poi si voltò e gli prese le mani.

Klaus le fissò: grandi e forti, i calli dovuti ai pugnali che solleticavano i palmi delle sue.

“Impossibile da ignorare”, pensò. Valeva anche per Diego.

«Balliamo?»

Annuì e avvertì un lungo brivido lungo la spina dorsale quando una di quelle mani gli si appoggiò al centro della schiena per guidarlo.

Si era aspettato più che altro di agitarsi cercando di tenere il ritmo, non di ballare seriamente.

«Non è che sia un lento,» disse, sentendosi un idiota. Continuava a blaterare e rischiare di ottenere l’effetto opposto a quello che desiderava. Forse perché era felice, ma più si sentiva così più temeva che finisse.

Diego lo attirò più vicino e gli diede un piccolo morso sul mento. «Hai ragione,» gli soffiò in un orecchio e lo allontanò di scatto, senza però smettere di tenerlo per mano.

Sorrise e lo spinse a fare una giravolta. Non molto elegante, data la differenza d’altezza, ma a Klaus fece venire voglia di ridere. Gli si annodò la bocca dello stomaco.

Diego non sorrideva mai, ma quando lo faceva il suo viso cambiava, assumeva un’aria quasi timida, disarmante.

Era facile ricambiare i suoi sorrisi.

Lo era anche lasciarsi andare e scatenarsi un po’, assecondandolo e ridendo mentre lo vedeva perdere la sua solita rigidità e cedere alla musica, un passo dopo l’altro.

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Quando il disco finì di nuovo, andò a prenderne un altro – questa volta un 33 giri di hit dance – e si rimise subito a ballare.

Perfino Ben, seduto sul letto, stava facendo dondolare una gamba e appariva allegro.

Invece Diego si era fermato ma ci mise poco a lasciarsi coinvolgere di nuovo, specie quando Klaus fece finta di chiudere gli occhi e non osservarlo. E dopo un po’ che lui lo guardasse o meno non ebbe più importanza.

A turno scelsero un vinile dietro l’altro, sfidandosi in mosse ridicole che li facevano ridere entrambi.

Klaus non lo aveva mai visto tanto rilassato. La sua solita aria cupa svanita per lasciare il posto a un divertimento genuino e a una luce che gli faceva brillare gli occhi. In quel momento Diego non aveva il suo tipico atteggiamento cinico e un po’ misterioso, che lo rendeva sexy, ma che era anche una barriera dietro la quale trincerarsi per tenere alla larga tutti quanti.

Klaus non seppe resistere e quando l’ultimo disco che avevano tirato fuori dallo scaffale, tornando allo swing originario, passò da un ballabile scatenato a un lento romantico gli prese di nuovo le mani e si chinò per baciarlo.

Aveva voglia di fare l’amore, di portarlo nell’altra stanza, spogliarsi, stendersi sul letto e obbedire mentre Diego gli diceva di stare fermo e poi lo preparava con lentezza, mordendo e baciando la sua schiena.

Dopo la prima notte il lubrificante non era più mancato e ogni volta, non importava se scopavano con tanta foga da far gemere le molle del letto o se era una tortura lenta e struggente, il risultato era sempre lo stesso: il suo cervello si spegneva e Klaus si dimenticava di qualunque altra cosa. Ansia, dolore e paura compresi. E le voci dei morti tacevano. Sembrava che niente e nessuno potesse più torturarlo.

Il bacio fu breve, e quando si concluse Diego gli chiuse entrambi i polsi nella stretta di una mano sola e si diresse verso il letto di Luther.

«Non vorrai…» Ma era evidente che voleva e Klaus ne era intrigato.

«Oh, questo sì ci metterà in un mare di guai,» disse battendo le mani come un bambino.

Finire nei casini era la sua specialità, ma quando era Diego ad avere istinti ribelli era ancora più eccitante. Lo faceva sentire elettrizzato.

E poi li vide, proprio quando meno se lo sarebbe aspettato, mentre era euforico e si prefigurava lo scandalo che avrebbe causato, se Numero Uno si fosse accorto che due dei suoi fratelli avevano scopato nel suo letto.

Notò prima la detective e, solo una frazione di secondo dopo, vide Dave in piedi dietro di lei.

Entrambi lo fissavano e avevano una ferita sanguinante sul petto.

«No, no, no…» Klaus arretrò verso il giradischi, strappandosi con forza dalla presa di Diego. «Non ora. Non ora vi prego… no… adesso no…»

Aveva desiderato tanto di rivedere Dave e parlargli, però non era così che l’aveva immaginato. Non era pronto. Specie a ritrovarsi davanti anche la donna che era morta per salvarlo. La persona che Diego amava e non aveva mai smesso di rimpiangere.

«No, cazzo…» esalò con un filo di voce.

Si sarebbe volentieri appallottolato su se stesso per non doverli guardare. Non gli importava se era da vigliacchi.

Doveva farli andare via.

Ignorò Diego, che gli stava chiedendo qualcosa, e scappò dalla stanza, diretto in cucina.

La raggiunse senza voltarsi indietro, e iniziò a frugare nei pensili, infischiandone se rovesciava in parte il contenuto.

Alcol. Aveva bisogno di bere. Se si fosse ubriacato non li avrebbe più visti.

Dave l’avrebbe odiato e non l’avrebbe mai perdonato, ma lui non poteva affrontarlo.

Non mentre nel suo cuore c’era un groviglio di sentimenti tanto complicati.

Non adesso che si stava innamorando di un altro.

A Eudora non voleva nemmeno pensare.

“Che stronzo che sei”, si disse, ma continuò a cercare, sperando in una bottiglia di vino o di liquore per i dolci.

«Ci dovrà pur essere qualcosa di forte, qualcosa che si possa buttar giù tutto d’un fiato e vada dritto al cervello…»

«Oh, Cristo, Klaus, calmati!» Ben era ricomparso dal nulla, e più che contrarietà sul suo viso si leggeva preoccupazione. «Se fai così è peggio.»

Senza ascoltarlo Klaus si incamminò verso il piano di sopra. Lì c’era l’angolo bar, avrebbe trovato di certo qualcosa con cui rincoglionirsi fino a scordarsi del suo dannato potere.

«E dai! Sei arrivato fin qui pulito…» Ora in effetti nel tono del fratello c’era anche delusione.

Klaus non si prese la briga di rispondergli, ma non riuscì a lasciare la stanza.

Diego lo afferrò per un braccio prima che potesse raggiungere le scale.

«Ehi? Cosa diavolo ti prende, dove stai andando?»

«Grazie al cielo!» esclamò Ben sollevato.

Klaus invece si sentì tremare le ginocchia. Cosa diavolo poteva rispondergli senza che Diego lo ritrascinasse di là e lo costringesse a fare da tramite tra lui e la detective? Il tutto in presenza di Dave.

Rimase in silenzio e, per un istante, le dita che lo stavano trattenendo strinsero troppo. Faceva male ma lui non disse niente.

Diego lo lasciò andare.

«Hai visto qualcuno.» Non era una domanda. I suoi occhi erano stretti in due fessure che rendevano difficile interpretare la sua espressione. «Dave? O…»

Si morse un labbro. Era evidente quanto faticava a pronunciare il nome di Eudora. «L’hai vista? Lei è… » Si voltò verso l’altra stanza.

Klaus pensò di mentire. L’aveva fatto un’infinità di volte, anche con le persone che amava. Aprì la bocca per negare e qualcosa gli si spezzò dentro.

«Li ho visti tutti e due,» ammise, e la voce gli morì in gola.

«Eudora è di là e tu volevi ubriacarti perché sparisse? Senza dirmi niente?»

Ecco, perfetto! Adesso avrebbero litigato e Diego non l’avrebbe mai perdonato.

«Mi dispiace, non ce la faccio.»

Non era granché come giustificazione, sebbene fosse vero.

«Non ce la fai?» Diego sembrava non capire il senso della sua affermazione. «Di là c’è l’uomo che ami. Hai fatto di tutto pur di rivederlo: ti sei ripulito, hai provato in mille modi, ti sei praticamente torturato pur di riuscirci e ora non ce la fai?»

“L’uomo che ami”, la mente di Klaus si era focalizzata su quelle poche parole.

“L’uomo che ami”… oh, Diego era… era così ottuso, non aveva capito proprio niente.

Dal panico Klaus stava passando a una specie di rabbia dolorosa.

«Al diavolo! Non è Dave che ti interessa! Vieni…»

Tornò in camera di Luther a passo di carica, senza neppure controllare se Diego lo stava davvero seguendo.

Diego voleva la detective? L’avrebbe avuta e pazienza se lui non se la sentiva. Tanto era evidente che, anche se andavano a letto insieme e passavano un sacco di tempo in compagnia l’uno dell’altro, almeno per uno dei due il passato era ancora la cosa più importante. Diego pensava ancora alla sua ex e, di conseguenza, dava per scontato che anche Klaus fosse ancora innamorato di Dave.

A quel punto tanto valeva dargli ciò che desiderava e poi prendere le distanze o, se non fosse riuscito a rinunciarci, tenere per sé le briciole, ma senza illudersi.

Entrò nella stanza con il cuore che gli martellava nelle tempie e… non trovò nessuno.

«Ah, certo! Come ho potuto sperare che almeno una cosa, una sola fottuta cosa nella mia vita andasse liscia?»

Diede un calcio a mobile su cui era appoggiato il giradischi. Così forte che provò dolore, malgrado indossasse un paio di anfibi con la punta rinforzata in metallo. Lo scaffale vibrò e la puntina raschiò il vinile, con un suono fastidioso.

Ottimo, aveva graffiato uno dei dischi di Luther,  quindi oltre tutto era un uomo morto.

«Andiamo,» alzò la voce. «Eravate qui, no? Vi ho visti, sono sobrio, sono pronto. Dove diavolo siete andati a finire? Fatevi vedere!»

Era furioso. Contro se stesso, contro il suo potere, e contro il mondo intero.

Si voltò verso la porta e vide Ben che lo fissava da dietro una spalla di Diego. Lo sfidò con lo sguardo ma il fratello non osò aprir bocca. Era raro che rimanesse zitto. Un vero avvenimento, che però Klaus non aveva voglia di festeggiare.

Distolse lo sguardo per non vedere la delusione sul viso di Diego. A malapena lo sentì dire: «Quindi se ne sono andati».

«Detective!» chiamò, sforzandosi di non far tremare la voce. «Andiamo! Sono qui, Diego è qui, eri qui anche tu fino a un attimo fa. Cazzo…»

Sferrò un altro calcio, questa volta al nulla. «Cazzo, dai… fanculo! Fanculo, fanculo, fanculo…»

Il panico gli stava di nuovo strisciando dentro, gli levava il fiato. La stanza iniziò a girare, e dovette sedersi sul letto. O almeno ci provò, perché lo mancò di un paio di centimetri e si ritrovò con il culo sul pavimento.

Si prese la testa tra le mani e chiuse gli occhi per scacciare le lacrime. Se solo avesse avuto qualcosa da prendere per calmarsi e mandar via quell’orribile sensazione. Gli pareva di essere condannato al fallimento, di non valere nulla. Se avesse potuto mandare giù un paio di pastiglie dopo sarebbe stato meglio, e non sarebbe stata colpa sua se non riusciva a evocare gli spiriti.

«Ehi?» La voce di Diego suonava angosciata, ma non nel modo che Klaus aveva temuto.

Lui apri gli occhi, scostò le braccia e se lo ritrovò di fronte, vicinissimo, accucciato sui talloni per essere alla sua stessa altezza.

«Mi dispiace,» gli rispose, il tono venato di pianto.

«Lascia perdere, ok?» Diego stava cercando di guardarlo negli occhi.

«Ma erano qui e… è stato stupido scappare. Tu volevi parlarci. L’ho fatta andar via… io… non volevo. Devo farla tornare.»

Invece la sola cosa che stava ritornando era la nausea.

«Lascia perdere e basta. Non ora, sempre. Se deve farti stare così male non voglio che ci riprovi, non voglio nemmeno sapere se li vedi. Basta. Scordati che ti abbia mai chiesto di evocare Eudora.»

Klaus sbatté le palpebre per lo stupore.

«Ma tu hai bisogno di parlarle e puoi farlo solo tramite me. So quanto ci tieni…»

Diego fece un cenno deciso con il capo e gli posò le mani sulle ginocchia. I suoi palmi erano caldi. A Klaus sembrava che potessero scottargli la pelle anche attraverso lo schermo del cotone dei jeans.

«Volevi bere solo per scacciarli, ti rendi contro? Sono mesi che riesci a restare sobrio e che non ti vedo in questo stato. Non mi interessa cosa ti ho detto in passato, non voglio che tu ci provi mai più. Non se deve farti questo effetto. Pensavo…» esitò e si lasciò sfuggire un profondo sospiro. «Che fosse diverso per Dave, visto che ci hai provato in tutti i modi, ma non devi fare nulla se questi sono i risultati.»

Klaus lo vide abbassare lo sguardo e fu tentato di toccargli il viso.

«Avrei dovuto pensarci… lo so quanto odi il tuo potere. Sono stato davvero uno stronzo.»

«Stai di nuovo parlando troppo,» gli rispose Klaus in un sussurro.

Dio, era tutto così assurdo. La sua vita lo era sempre stata. Diego la stava rendendo ancora più complicata. Riusciva a farlo passare da un’emozione estrema all’altra senza soluzione di continuità e, per surreale che fosse, gli aveva fatto venire voglia di confortarlo. Come se tra i due fosse lui quello che stava andando in pezzi.

«Sono serio, se per farcela ti devi distruggere non voglio che ci provi.»

I palmi che gli stavano accarezzando le gambe salirono a circondargli il viso e Klaus trattenne il fiato.

Diego sembrava sincero e lo stava fissando in una maniera troppo intensa.

Sarebbe stato così semplice baciarlo e, proprio per quello, non sarebbe stata la cosa giusta da fare.

Klaus provò a sorridergli, prese le sue mani e ne accarezzò il dorso con i pollici, premette la fronte sulla sua per un lungo istante, e poi si scostò e si rimise in piedi.

«Devo farlo, invece. O non me lo lascerò mai alle spalle e nemmeno tu. Se sono arrivato fin qui senza mai crollare vuol dire che ho la forza per riuscirci.»

Non ci credeva, ma dalla soglia Ben lo stava guardando con un’espressione orgogliosa e comunque non c’era altra via d’uscita.

Lo doveva a Diego, specie ora che gli aveva fatto capire che la sua salute mentale per lui veniva prima di tutto. E lo doveva anche a Dave, che meritava un vero addio, e a Eudora che era morta anche per lui. Ma, soprattutto, doveva farlo per se stesso.

Inspirò, cercando di concentrarsi, di non badare a Diego che lo stava scrutando e sembrava ancora preoccupato. Espirò e quando riaprì gli occhi la detective era di nuovo lì davanti a lui.

Klaus mosse un passo avanti, richiamò il proprio potere e poi provò a toccarla.

 

***

 

Diego era rimasto senza parole.

A Klaus si strinse un po’ il cuore nel notare che non riusciva a parlare.

Fissava la detective e lei fissava lui, ma tutti e due tacevano.

Avrebbe tanto voluto levarsi di mezzo e lasciarli soli. Si sarebbe odiato un po’, perché era geloso ed era un vero schifo essere geloso di una donna morta, ma almeno si sarebbe evitato l’imbarazzo di sentirsi il terzo incomodo.

Se il suo potere non fosse stato strettamente necessario, sarebbe sgattaiolato via.

Invece serviva, così dopo aver toccato la donna su una spalla, per capire se anche Diego avrebbe potuto vederla, si era allontanato andando a rintanarsi in un angolo della stanza.

«A-avresti dovuto aspettarmi.» Diego ruppe il silenzio.

La sua recriminazione suonò rabbiosa e disperata. Aveva le lacrime agli occhi, gli tremavano le mani chiuse in due pugni così stretti da far sbiancare le nocche.

Lei lo guardò come se avesse molte cose da dirgli ma non sapesse da dove cominciare.

«Lo sai come la penso,» disse alla fine. «Ma non tutti i mali del mondo sono colpa tua.»

Poi lo abbracciò. Diego rimase rigido nella sua stretta, fin quasi all’ultimo, quando si scosse e si aggrappò a lei come a volte da bambino aveva fatto con mamma. Restarono così per un po’.

Alla fine lui le sussurrò qualcosa, a voce così bassa che a stento Klaus sentì il «Vai ora» con cui la stava congedando. Eudora si chinò a bisbigliargli nell’orecchio e poi Diego la allontanò, con delicatezza ma in modo fermo e deciso. La detective fece un passo indietro, guardò Klaus e lui seppe che cosa doveva fare. La lasciò andare e la detective scomparve.

Diego non si mosse. Rimase fermo al centro della stanza, a capo chino.

Dentro di sé Klaus ringraziò la donna per averlo salvato e per averli assolti entrambi.

E Diego? Doveva raggiungerlo? Provare a confortarlo? Il cuore gli diceva di sì, ma le sue solite paure lo stavano inchiodando, lo paralizzavano. Poi si sentì abbracciare da dietro.

Riconobbe subito il tocco. Dave. La sua bocca che gli stampava un bacio su una tempia.

Era così familiare, l’aveva desiderato tanto, ma quando si voltò verso di lui, perfino in mezzo al tumulto di emozioni che gli si agitavano nel petto provò una specie di sordo rimpianto nel distogliere lo sguardo da Diego.

Dave gli sorrise, con quel suo sorriso buono, pulito, da persona normale, che non era stata traumatizzata da un’infanzia orribile e da un potere che non voleva.

Il fantasma lo baciò di nuovo, sulla fronte, e lo spinse via.

I palmi aperti sulla sua schiena, gli diede un paio di colpetti per indirizzarlo verso Diego che si stava ancora fissando i piedi e dava loro le spalle.

Non disse una parola, non ce ne fu bisogno.

Gli occhi di Klaus si riempirono di lacrime e dovette asciugarli con il dorso di una mano.

Quando la sua vista tornò a fuoco anche Dave era sparito e Ben sedeva sul letto, unico defunto rimasto nella stanza, anche lui visibilmente commosso.

Klaus si morse un labbro e le sue dita premettero appena sul centro della schiena di Diego.

«Ehi?» sussurrò, imitando il suo modo di dire.

Era pronto a uno scatto nervoso, a vedersi spintonare lontano o chiedere di andare via, invece Diego si voltò e rimase a fissarlo senza dire una parola.

«Fa male ma passerà,» Klaus provò a rassicurarlo, e gli accarezzò una guancia come la prima volta in cui si erano baciati. Ma non gli bastava e così lo abbracciò, a costo di sentirsi respingere.

Diego si aggrappò alla sua maglietta, torcendo la stoffa tra le dita, e nascose il viso nell’incavo del suo collo. Non stava piangendo, ma a tratti sussultava scosso da singhiozzi secchi e asciutti.

Accarezzandogli la schiena Klaus lo tenne vicino, ondeggiando sul posto come se stessero ballando un lento.

«Passerà,» ripeté, ed era la prima volta che ci credeva davvero.

   
 
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