Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Deich_    20/04/2019    3 recensioni
« Grazie per oggi, Zeppeli.» Ti fermi. « Intendo... Sì, è stato fico.» Il sopracciglio sollevato che gli riservi sembra metterlo in difficoltà, al punto che incomincia frettolosamente a massaggiarsi il mento. « Non si dice fico? Tosto? Ganzo?»
Ganzo. Scoppi a ridere, incapace di proseguire oltre, socchiudendo gli occhi e tenendoti lo stomaco con la mano destra, quella libera: le tue risate incontrollate riempiono l'aula vuota, correndo lungo le pareti. Joseph inclina la testa, senza capire.
« Ganzo. Sì... Penso che "ganzo" possa andar bene, Joestar.»
Genere: Azione, Commedia, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Caesar Anthonio Zeppeli, Joseph Joestar
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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30 Giorni: MTV, Epicuro e altri miracoli.








Fa freddo. C'è freddo. Hai freddo. Freddo. Non sapresti come descriverlo a parole, nè tantomeno a gesti, questo freddo disarmante che infetta come un morbo ogni tuo singolo tessuto muscolare coperto e non; dalle braccia alle punte dei piedi, dal coppino all'inguine, dalla punta del naso alle ginocchia piegate: è solo freddo, un freddo desolante, un freddo irreale, un freddo mai provato nemmeno a piedi nudi nella neve fresca.

Provare un freddo simile, un freddo che mastica perfino le ossa, è difficile da concretizzare: sembra finzione, un'allucinazione, un errore dell'ipofisi. Probabilmente la colpa di quest'improvvisa incredulità sarebbe da attribuire al sangue denso che continua a scivolarti lungo le tempie, lontano dai polsi, tra le giunture delle gambe ridotte "a una frittata", come le avresti descritte se fossi solo spettatore e non protagonista di una scena simile. Com'è possibile provare tanto freddo, quando il sangue che ti rotola fino agli angoli delle labbra sembra essere così caldo? Non sapresti spiegarlo, e probabilmente mai ci riuscirai.

E' veramente strano dover descrivere ed osservare con occhio critico la propria morte.

Succede e basta, stai morendo e lo sai; non lo ammetteresti, eppure lo sai, lo sai nel pavimento del cuore, negli angoli umidi e bui che circondano la tua coscienza, lo senti. La vita ti sta scivolando fuori dai pugni chiusi ed afferrarla sembra tanto difficile quanto cercare di intrappolare l'acqua che scorre in un fiume: è così che la descriveresti, fresca, sfuggevole e scivolosa.

Gli occhi, i tuoi occhi, ormai ridotti a due fessure umide e prive di emozioni, si guardano attorno senza capire: hai l'espressione di un animale in trappola, eppure il tuo corpo ha deciso di accettare la tua dipartita con una classe che mai ti saresti aspettato da te stesso; resta in ginocchio ai piedi di una scalinata di pietra, permettendo all'umidità di un complesso che non riconosci di entrarti direttamente nei pantaloni, mescolandosi al sangue. C'è un fastidioso odore di piscio nell'ariararefatta che ti circonda e, in quel cuore che sembra battere ancora, preghi che non sia il tuo.

Alle tue spalle, in un punto impreciso di un edificio probabilmente storico, qualcuno urla. E' una voce potente, roboante, qualcuno sta chiamando il tuo nome a pochi secondi dalla tua ultima passeggiata su questa terra, e se le tue palpebre non fossero diventate così dannatamente pesanti cercheresti anche di individuarlo. Puoi solo lasciarti accompagnare, stringendo ritmicamente i pugni nella speranza di poter contare i secondi e non perdere la cognizione del tempo, da questa voce grezza che chiama il tuo nome.

« Caesar!» Sì, sta parlando proprio a te. « CAESAR!» Hai sentito, vorresti dirgli, non c'è bisogno di urlare così, pensi nell'ultimo delirio di chi si sente il sangue inzuppargli perfino le mutande.

Poi, con il freddo a tenerti compagnia e il sapore metallico del sangue sulla punta della lingua, osservi a labbra schiuse una gigantesca croce di pietra pioverti direttamente sulla cima della testa. Non senti rumori, non senti dolore: nessun macabro scricchiolio di ossa, nessuna frattaglia che esplode, nessuna vescica che si sgonfia: finisce velocemente e senza convenevoli di sorta, la tua vita, dopo l'indimenticabile tonfo di qualcosa di molto pesante che fende l'aria immobile e con le urla di qualcuno poco lontano, ma mai abbastanza vicino.

Finisce.




" Fermata: Calabria! Fermata: Calabria! Apertura porte a destra! Doors open on the right!" Trasali. Il richiamo metallico ed impersonale della signorina che annuncia le fermate ti costringe ad aprire gli occhi di colpo, occhi ancora appannati dal sonno e bombardati dall'immagine di decine e decine di persone che confluiscono verso le porte aperte davanti al tuo seggiolino. " Next stop..." Scatti in piedi con la rapidità di un giaguaro, gettandoti con tutto il peso del busto in avanti: le gambe fortunatamente rispondono immediatamente all'ordine del cervello, evitandoti una rovinosa caduta tra le portiere e la banchina della metro.

" Che sogno del cazzo!" Avresti probabilmente sbottato se fossi solo, se fossi in camera, se tutt'attorno a te non ci fossero almeno un centinaio di persone tra studenti e lavoratori con il sudore sulla fronte e le camice troppo larghe; tuttavia, trovandoti nel bel mezzo della folla, preferisci deglutire profondamente scrollando le spalle, mentre l'odore umido ed appiccicoso tipico della metro A s'infila senza permesso nelle narici. Il rumore delle tue Converse azzurre si perde in quello di decine e decine di altre scarpe da ginnastica, comprese quelle di alcuni ragazzini che camminano davanti a te, muniti di rotelle.

Le osservi incuriosito, senza smettere di camminare, quelle scarpe con le rotelle: in qualità di persona tremendamente curiosa, non puoi fare a meno di chiederti quanto potrebbe renderti più semplice la vita slittare sulla strada dall'asfalto scoppiato che conduce alla metropolitana, invece che camminare come i comuni mortali.

Ma accantoni rapidamente il pensiero, memore di aver appena compiuto diciotto anni suonati, prima di calcare sulle orecchie un paio di cuffie dall'imbottitura in gommapiuma verde e cominciare a correre lungo le scale mobili. Dicono che a Milano la gente sia solita tenere la destra, sulle scale mobili, ma è un mito in cui non hai mai creduto davvero: come ogni singola mattina, incominci la sessione di slalom tra i passanti sparsi nello stretto diametro degli scalini, tentando di non urtare i bambini o peggio, di scivolare sulla leggendaria buccia di banana e spezzarti gli incisivi a circa trecento passi da scuola.

Corre l'anno Duemilatrè, così come corri tu, sbucando fuori dall'uscita della metropolitana e gettandoti a perdifiato lungo il marciapiede in un'afosa giornata di Maggio. E' così che inizia questa storia: con una corsa, e con una corsa, molto probabilmente, finirà.

Corri, continui a correre: i capelli biondi continuano a scivolarti fastidiosamente davanti agli occhi, la maglietta larga con la scritta "Roma AC, 4° torneo regionale di calcetto PICCOLI FIGLI DELLA LUPA" continua a salirti oltre il bordo dei pantaloni, mentre la cintura dalla fibbia metallica spinge contro lo stomaco piatto ad ogni sforzo delle cosce. Non era previsto di presentarsi a scuola vestito come andresti vestito al laghetto dell'Eur per bere una Fanta, ma tra la sveglia che non ha suonato a causa di un diabolico blackout avvenuto durante la notte in perfetto stile "Mamma ho perso l'aereo" e il grande problema del giorno, questa volta, e solo per questa volta, hai deciso di concederti la libertà di presentarti in pubblica piazza senza camicia.

Il Grande Problema, il cui pensiero viene continuamente accostato a brividi lungo la schiena, è la consapevolezza di essere sia in ritardo, sia senza un dizionario di Latino: dove sia finito il tuo, questo non lo sai. Dopo una serata passata a masticare bestemmie con controlli a tappeto in una camera troppo piccola e troppo ordinata hai compreso, con sommo rammarico, di averlo probabilmente perso, e perdere qualcosa per Caesar Anthonio Zeppeli, un diciottenne generalmente ordinato che si piega perfino i calzini, è già di per sè un duro colpo; se poi per disgrazia l'oggetto perso è un Castiglioni-Mariotti nuovo di zecca pagato quasi duecentomila lire il giorno dell'ultima versione di latino prima della maturità, allora si può tranquillamente parlare di tragedia.

La tua corsa comunque continua, accompagnata dal perpetuo rimbalzare di un vecchio zaino color prugna privo di marca e gravido di toppe contro la schiena, mentre nelle cuffie economiche dai bassi inesistenti il walkman ti propone per l'ennesima volta un successo tutto italiano dell'ottantacinque, perdendo sempre più spesso il ritmo a causa dei continui sobbalzi del cd; Louis Miguel canta "Noi, ragazzi di oggi", canzone per la quale meriteresti l'esonero da qualsiasi aggregazione sociale, ma che non puoi fare a meno di canticchiare sottovoce mentre fili come una freccia davanti alle poste ancora chiuse, raggiungendo a grandi falcate l'ingresso principale del liceo. Davanti al liceo classico "Giulio Cesare", un edificio che probabilmente tra dieci anni protranno definire "storico" situato all'angolo di un incrocio stradale, ci sono già almeno una trentina di ragazzi, tuoi coetanei, impegnati a fare il nulla con amici altrettanto nullafacenti. Estrai il tuo sorriso migliore, quello dal chiaro sottotitolo "perdonatemi, gradirei molto rimanere qui con voi a parlare dell'ultimo programma televisivo, ma ho tremendamente fretta" in risposta ai saluti calorosi di alcune compagne di classe, eppure non sembra bastare: una di loro incomincia a sbracciarsi, ma per colpa di Louis Miguel non riesci realmente a capire cosa stia cercando di comunicarti.
« Ti ringrazio!» Urli di rimando, ormai impegnato a salire a tre a tre gli scalini di pietra che conducono alla biblioteca, dimenticandola per sempre: "ti ringrazio" è una frase di salvataggio, uno di quegli sticker della Panini che puoi attaccare e staccare da tutto, e se anche la tua compagna di cui ora ti sfugge il nome avesse tentato di comunicarti della presenza di un incendio tra le mura scolastiche sai che andresti incontro alla morte senza aver fatto la figura del cafone coatto. Non è per cattiveria, tesoro, è solo una questione di sopravvivenza.

Solo una volta appoggiate le mani gelide - hai sempre le mani gelide, noti solo ora, osservandole con la confusione di chi non ha respirato negli ultimi sette secondi- sull'ultimo dizionario rimasto sullo scaffale dei ritardatari, ti senti in pieno diritto di tirare un lungo e profondo sospiro di sollievo.
Anche questa è fatta. Sospiri pesantemente, ben certo di non essere sentito da nessuno, ora deciso a recuperare quella calma e quel savoir faire che tanto ti si addicono, rilassando le spalle e prendendo tra le braccia il tomo, prima di sfilare definitivamente le cuffie.

« Non ci provare.» Una voce profonda e seria ti coglie impreparato, disattento, così come impreparato rimani mentre una mano pesante come un badile atterra con decisione sulla copertina del dizionario. Volti le spalle di scatto, ritrovandoti viso a viso con il liceale meno credibile dell'intero edificio; Kars, un ragazzo alto quasi quanto il portone d'ingresso con due spalle probabilmente costruite in un cantiere navale, ti osserva dall'alto con uno sguardo truce, capace di polverizzare le formiche meglio di una lente d'ingrandimento sotto il sole.
« Quello serve a me. Non ci provare nemmeno, Zeppeli.» Ora comprendi perchè le leggende da corridoio su Kars, per quanto assurde, siano segretamente condivise da praticamente tutto l'istituto: da una distanza così ravvicinata è davvero capace di farti sentire al pari di uno sputo sull'asfalto. Sai perfettamente quanto sia assurdo credere che sia un vampiro genocida che spezza le catene delle biciclette a mani nude, però ricordi anche perfettamente quanti incisivi abbia fatto saltare nel cortile della scuola ai poveri incauti che hanno definito il suo giubbotto lilla "da fichette", perciò il timore reverenziale dei tuoi coetanei nei suoi confronti ha delle basi solide. Buono a sapersi, concludi, soddisfatto di quest'ennesima scoperta, prima di scrollare il suo palmo dal dizionario con la stessa indifferenza che useresti per una grossa cimice.

« E' un tuo problema, dovevi arrivare prima.» Sibili con voce ferma, costretto a sollevare il viso per poterlo guardare dritto negli occhi, cercando di mantenere una certa ammirabile sicurezza.
« Ero qui molto prima di te. Ora, se non vuoi che ti rispedisca a calci inculo fino a Villa Borghese, vedi di metterlo giù.» Sai perfettamente che Kars non è uno di quei bulli di periferia con un cervello grande quanto un bicchierino di grappa e i muscoli fin dentro le orecchie, come sai altrettanto perfettamente che non scherza: la calma serafica, seria e tagliente come il filo di una spada, fa decisamente più paura delle sue mani -almeno, così è finchè quelle stesse mani non si annodano come una sciarpa attorno al tuo collo-. Tuttavia, sai anche che il gigante inflessibile del liceo "Giulio Cesare" non inizierà una rissa all'interno della biblioteca, sotto gli occhi della vecchia segretaria, è più il tipo che potresti trovarti sotto casa con un coltello da filettatura. « Non sto scherzando.» Il suo collo taurino comincia a gonfiarsi.

« Nemmeno io, Kars. Col cazzo, perdona il francesismo, che mi faccio Tacito a braccio. Puoi sempre fartelo prestare da Esidisi, ribadisco: non è un mio problema.» La frecciatina sul suo degno compare è precisa, scoccata ad arte, un ammonimento che il gigante di Rebibbia non può ignorare: Esidisi è stato sospeso appena una settimana prima a causa di una rissa durante la mensa. Pare che abbia piantato una forchetta nella mano di un ragazzo del primo anno senza un valido motivo, una cosa al confine tra l'inspiegabile ed il grottesco. Kars assotiglia lo sguardo, vibrando letteralmente sul posto. Gonfi in petto in tutta risposta, consapevole tuttavia che sebbene il tuo fisico sia sufficentemente allenato per una corsa campestre o una partita di calcio di oltre centoventi minuti, sicuramente non ha le carte in regola per sostenere un cazzotto ben piantato nel plesso solare da parte di un individuo simile. Silenzio.

« Te lo chiedo per l'ultima volta.»
« Sei ripetitivo, oltre che terribilmente noioso.» Da dove venga quest'improvviso coraggio, questo non sapresti spiegarlo; dedicheresti anche qualche secondo in più a tentare di scoprirlo, se solo il tuo avversario non decidesse di sollevarti da terra afferrandoti il bavero della maglietta. La sensazione di non essere nient'altro che un sacco di panna nelle sue mani è decisamente degradante, ed è probabilmente per la vergogna che incomincia a sobbollire sul fondo dello stomaco che aggiungi un « Non hai le palle di andare fino in fondo» che sicuramente decreta la tua totale perdita di qualsiasi idea vaga sul senso di sopravvivenza, togliendo qualsiasi dubbio a chiunque circa il tuo attaccamento a quei denti così dritti.
Silenzio.
Fluttui nell'aria, i piedi a penzoloni, con ancora lo zaino sulle spalle ed il dizionario tra le braccia.

E' probabilmente mentre già accarezzi l'idea della dipartita con il disinteresse tipico degli adolescenti, domandandoti se il budget della scuola sia abbastanza ampio per regalarti una targa -  Mamma mia, che clichè morire in una scuola che si chiama "Giulio Cesare". E' proprio la burla definitiva, scontato quasi quanto i ragazzini che tra vent'anni giureranno che il fatto sia successo proprio il quindici Marzo, non ci posso credere.- e poco prima di trattenere un totalmente fuoriluogo " Alea iacta est" che, semplicemente, succede.

Non avresti saputo spiegare correttamente gli avvenimenti dei prossimi due minuti nemmeno tra dieci anni: un po' per la confusione e un po' per la tua incapacità di razionalizzare l'assurdo. Ricorderai, tuttavia, che il suo arrivo è preceduto da una trombetta da stadio rossa e gialla posizionata sulla spalla destra, soda e ovale, di Kars, con il cono appoggiato ai suoi capelli unti, lunghi e tinti di viola scuro: prima che l'energumeno possa anche solo rendersi conto di cosa stia succedendo, il suono perforante della trombetta esplode con violenza nella stanza, facendo trasalire la povera segretaria ultra sessantenne. E' forte, d'impatto, disastroso per le orecchie e per la calma piatta dell'ambiente che vi circonda, così come il suo proprietario.

« Buongiòrno!» Esclama il tuo improbabile salvatore, uno studente londinese alto quasi quanto Kars, con l'espressione entusiasta di chi ha appena scoperto che su internet si possono scaricare i testi dei Pearl Jam, mentre tu cadi rovinosamente a terra, sbattendo la schiena sul pavimento polveroso della biblioteca; Kars traballa, spaesato e confuso, sbarrando gli occhi e digrignando i denti. « Dovreste stare più attenti, la campanella è suonata da un pezzo. Meno male, meeeno male che c'ero io per avvisarvi!». Un sorriso a trentadue denti ed il totale disinteresse per l'eventualità di aver assordato un altro essere umano sono i primi dettagli che ricorderai di Joseph Joestar nei tempi a venire, seguiti immediatamente da una sua grossa e callosa mano tesa. Tiene l'altra mano sul fianco robusto, appoggiata ai jeans slavati e pieni di strappi, mentre a ricoprire il busto scolpito di chi prova lo stile libero direttamente dal Tamigi al Tevere e ritorno c'è solo una semplice maglietta dei Beatles: è bianca, i bordi spariscono nel cinturone alto quasi tre dita e la stampa sembra aver visto troppi - o troppo pochi- lavaggi, a giudicare dalle crepe sul viso di Ringo. « Ma tranquillo, non serve ringraziarmi, faccio solo il mio dovere di studente modello!» Aggiunge, deciso a portare a termine un monologo che sembra divertente e sagace solo nella sua testa, mentre comincia ad ammiccarti senza riuscirci davvero.
Senza parole, accetti la mano tesa sollevandoti rapidamente.

« Joestar, perchè avevi... Quella?» Un dito indica la trombetta.
« Perchè pensavo che potesse servìrmi, e così è stato.» Spiega pazientemente senza spiegare assolutamente nulla, scrollando le spalle e guardandoti direttamente negli occhi; ha gli occhi verdi, non te n'eri mai accorto. « Non ti capita mai di sentire quella vocina nel cervello che ti suggerisce la cosa giusta da fare nel momento giustò?» Domanda, stringendoti la mano che ancora non ha lasciato, con quel suo accento british che sporca ogni singola frase.
« Stavo per farmi rifare la faccia per un Castiglioni-Mariotti: mi dispiace, non so di cosa parli.» Rispondi, questa volta con un sorriso tiepido a sporcarti le labbra.
Lui ride. La sua risata è tonante, profonda, chiassosa quasi quanto la trombetta ma piacevolmente genuina. Rideresti di rimando anche tu, se solo Kars non si sollevasse come un nuvolone gravido di pioggia, gettandosi a mani tese sul collo del tuo compagno di classe: con gli occhi iniettati di sangue e le vene del collo gonfie come cordincini, ringhia un piccato « Cosa cazzo ti passa per la testa, inglese di merda?». Le spalle ampie di Joseph si scontrano violentemente contro gli scaffali di saggistica, strappandogli una smorfia di dolore e un mugulio strozzato. E' la prima volta che vedi Kars perdere la pazienza.

Non sei un tipo da risse, non sei mai stato un tipo da risse - alla luce del sole, per lo meno- e mai avresti pensato di ritrovartici, eppure nel vedere il tuo compagno schiacciato contro la libreria a corto d'aria, con le mani isteriche che tentano nervosamente di allentare la presa di Kars sulla base del collo, qualcosa nella tua testa scatta. Non sei proprio certo che sia quella "vocina nel cervello che ti suggerisce la cosa giusta da fare e vattelapesca" di cui parlava Joseph, bensì qualcosa di più antico, triviale, inspiegabile, la cui risposta probabilmente risiede nei dogmi del tuo dna. O forse, è solo incoscienza passeggera. Scatti in avanti spingendo tutto il peso sulle punte dei piedi, mentre le braccia sollevano rapidamente il dizionario della discordia nella speranza di farlo cadere come una spada di Damocle direttamente sul testone quadrato del vostro avversario: con tutta la forza delle spalle, cali il tomo senza farti troppe domande, lanciando un'occhiata furtiva al tuo compagno di classe ormai paonazzo per la mancanza di aria. Joseph cerca il tuo sguardo con il suo, corrucciato e gonfio, e questo sembra bastare al gigante di Rebibbia per comprendere e sferrare un pugno cieco e furioso alle proprie spalle, colpendoti direttamente sul naso: lo vedi arrivare, quadrato e calloso, ma non puoi evitarlo. Decolli qualche metro più in là, mentre qualche goccia di sangue scuro piove direttamente sul pavimento scolastico.

« Shit!» Abbaia il londinese, sfruttando la distrazione del suo avversario e la mancanza di una mano a spingere contro la carotide per piombargli addosso a palmi tesi.
« You fuckin' shithead, don't you see? I'm your enemy
« Parla in italiano, figlio di troia.» Sibila con voce macabra il bestione dai capelli color prugna, prima di riassestarsi in una posizione eretta e sollevare un nuovo gancio micidiale con tutta l'intenzione di stamparlo direttamente sul viso spigoloso di Joseph.

« Che cosa sta succedendo qui dentro?» Il tempo si ferma, le azioni pure: il sangue sembra congelarsi direttamente nelle vene, mentre un mantello di brividi corre senza permesso dal coppino fino alla base dei fianchi: Joseph e Kars si fermano, il primo con i pugni chiusi, tesi davanti al viso in posizione di guardia, il secondo con il colpo in canna sollevato sopra la testa; tu resti in terra, leggermente sollevato sulla punta dei gomiti, fissando l'insegnante in giacca di pelle - probabilmente di essere umano- con le braccia conserte che ha appena fatto il suo ingresso nella biblioteca.

« Se il vostro desiderio era quello di farvi bocciare, bastava non presentarsi a lezione.» Il silenzio, ora, è talmente soffocante da riuscire a toglierti letteralmente il respiro. Il professor Wamuu, detto anche "Lo Sciacallo" per la sua assoluta somiglianza con il famoso dio dalle sembianze canine, regala a tutti e tre uno dei suoi sguardi perforanti, cupi, capaci di raggiungere i punti più scoperti delle vostre paure più nascoste. E' alto, imponente, dalla carnagione scura e dotato di un paio di occhi piccoli e maligni.
Sempre il professor Wamuu, il cui nome probabilmente non è noto nemmeno all'anagrafe, ha soltanto due tipi di espressioni: quelle infastidite e quelle infuriate.

Leggende narrano che un tempo sorridesse, ma sembrano storie per bambini, rassicurazioni per primini, ben più incredibili della parentela vampiresca di Kars; ad ogni modo, i segnali sono limpidi e cristallini: le grosse sopracciglia chiare che piovono sugli occhi incendiati, le narici dilatate e la bocca carnosa contorta in una virgola contratta possono significare solo ed unicamente una sua imminente sfuriata, una di quelle capaci di far crollare l'intero edificio.

Circondato da un'aura mefitica di puro ed incontaminato furore, scioglie il nodo possente delle braccia strette al petto, indicando con un dito teso lo studente di Londra. « Joestar, seguimi.» Ordina, imperativo, con una nota di traballante pericolo nella voce monotonale, prima di sparire oltre la volta di marmo della biblioteca, totalmente disinteressato ai tuoi disperati tentativi di ricordargli che nella rissa era presente anche Kars. Wamuu non riprende mai Kars. Non pubblicamente, per lo meno.


Il clima teso da suicidio norvegese si espande anche in classe, seduti sui banchi scheggiati forniti dalla provincia, mentre una piccola clessidra in vetro posta come spauracchio anche ai più temerari ricorda all'intera classe quanto il tempo scorra velocemente. Potrebbe sembrare effettivamente comico quanto i tomi di milioni di filosofi ridotti ormai a concime non siano mai stati in grado di spiegarvi la tragedia del tempo che passa meglio di una clessidra, una piccola clessidra dal sostegni in legno probabilmente comprata in un negozio di souvenir, che il professor Wamuu accarezza con la punta della matita durante l'ultima, tragica versione di latino prima della maturità: eppure, non c'è assolutamente nulla di comico. Nemmeno Joseph, solito a interrompere i momenti "difficili" o pieni di pathos delle lezioni con commenti totalmente fuoriluogo - storica è ormai la sua reazione ai racconti dell'Edipo Re dell'anno precedente, un misto di imbarazzo e stupore accompagnato dallo schianto delle sue mani sul banco e dalla domanda « MA QUINDI HA FATTO SESSO CON SUA MADRE?!»- sembra in vena di scherzi: se ne resta in silenzio a due banchi di distanza, abbattuto e chino sul proprio foglio bianco con l'aspetto di un condannato a morte. Non sai cosa sia successo in presidenza, ma a giudicare dal suo aspetto abbacchiato e sgonfio, tipico dei palloncini bucati, sospetti che non sia finita esattamente a tarallucci e vino.

« Zeppeli, torna a guardare il tuo foglio.» Ordina il professor Wamuu, portandoti alla strana realizzazione di aver fissato quello che resta del tuo improbabile salvatore per almeno tre minuti pieni. Riabbassi lo sguardo, masticandoti il labbro inferiore.

Non puoi dire di conoscere Joseph Joestar. Le cose che sai sul suo conto potrebbero essere meno di tre: si è trasferito da Londra un anno fa e i silenzi lo mettono a disagio. Fine. Niente scandali, nessuna voce, nessuna possibilità che nelle ore piccole faccia l'adescatore: niente. Non è esattamente abbastanza per tracciare il profilo psicologico di una persona, e sicuramente questa penuria d'informazioni è dovuta anche alla tua fino ad ora totale indifferenza nei suoi confronti, ma dopotutto quale di questi individui a cui hai sorriso per cinque anni ha mai catturato realmente le tue attenzioni? " Poco interessanti" li hai sempre giudicati, senza ovviamente sottrarti ai tuoi doveri di carismatico membro della società e dunque presentandoti a qualsiasi festa d'istituto, cena di classe o uscita di gruppo che ti sia capitata: non li conosci, così come loro non sanno di non conoscerti, sazi delle poce briciole che hai accettato di regalargli tra una partita di calcetto e un'uscita al Multiplex. Eppure, quest'individuo ora seduto scomposto sul banco che continua a grattarsi le tempie e a masticare nervosamente la matita ha fatto qualcosa per te che va oltre il mero cameratismo da liceali senza sapere assolutamente nulla sul tuo conto: oltre al salvataggio zoppicante, non ha accettato di prendere il dizionario. Corrucci le labbra, pensieroso, mentre sfogli con vago interesse la brutta copia della tua versione.

All'improvviso, proprio mentre un ragionamento piuttosto elementare che potrebbe essere riassunto con " Dovrei fare qualcosa per sdebitarmi" incomincia a delinearsi nel tuo cervello, avverti un un bisbiglio. E' un bisbiglio ovattato e scaltro di un detenuto di lunga data che passa un messaggio durante l'ora d'aria nel cortile di una prigione «Fammi copiare». Ti volti lentamente, ritrovandoti a fissare gli occhi scuri e furiosi di Kars. E' esattamente come lo avevi lasciato dopo lo scontro in biblioteca: pallido, scolpito direttamente nella roccia, vestito di nero dalla testa ai piedi con un paio di bicipiti pronti ad esplodere tesi sul banco.
Come già detto, Kars non è uno stupido: al contrario dei suoi degni compari, ha una mente fredda, capace di valutare rapidamente vantaggi e svantaggi di ogni singola situazione, pronta a calpestare le miserie di chiunque pur di sgusciare fuori dalle sabbie mobili; non era mai capitato, in cinque anni di liceo, che il leader dei PillarMen - così sembra chiamarsi il suo manipolo di seguaci dalla fedina penale lurida- chiedesse a qualcuno di copiare. Tuttavia, in effetti, non c'è nulla di cui stupirsi: come Joseph, anche Kars - che sei assolutamente sicuro non essere il suo vero nome- non ha il dizionario, e se davvero fosse in grado di tradurre Tacito senza dizionario... Beh, chapeau.

Rimani immobile, fissandolo con rinnovato disinteresse, mentre un altro pensiero, decisamente meno nobile del desiderio di ricambiare la gentilezza di Joseph, incomincia ad infettarti il cervello: magari, se ti rifiutassi di aiutarlo, non verrà ammesso agli esami.
« Fammi copiare.» Bisbiglia di nuovo Kars. Questa volta i suoi occhi scuri brillano di un cupo ammonimento. Scuoti la testa, ritornando chino davanti al tuo foglio, ora improvvisamente preso da una frenesia innaturale nello scrivere. Hai paura, e questo lo sai, ma la risolutezza che scopri di possedere in questo preciso istante, probabilmente, la ricorderai per tutta la vita: sono i pensieri di un adolescente che cresce. Ci metterai ancora molto tempo per comprendere che quell'incendio alla bocca dello stomaco e quell'energia potenziale nelle braccia che costringe la penna a volare tra le righe perfette e prestampate del foglio sono dovute all'inconscia comprensione di un'imminente maturità.

« Sei morto.»

« Ho finito.» Annunci, alzandoti in piedi ed armeggiando con fare maldestro con dizionario e versione. Gli occhi seri di Wamuu s'inchiodano ai tuoi, ma non abbassi la testa: a passo tranquillo, salutando con un cenno del capo alcuni compagni di classe con la matita conficcata tra i denti, ti dirigi verso la cattedra, posando la versione finita e pronta per il giudizio direttamente davanti al professore.

« Dov'è la brutta copia?»
« Non l'ho fatta.» Rispondi, sperando di mantenere intatta la faccia di bronzo, prima di aggiungere un « Questo non mi serve più» sollevando il dizionario « Posso lasciarlo a Joestar? E' della biblioteca, non ci sono le mie annotazioni.»

Accordato.

Joseph solleva la testa di scatto, scrostando le mani nervose dal nido di capelli castani e arruffati che si ritrova in testa: ti osserva senza capire, aggrottando le sopracciglia scure davanti ad un tuo piuttosto eloquente sguardo che indica il dizionario. Lo raggiungi rapidamente, dando le spalle alla cattedra. Lui afferra il tomo, girandoselo tra le mani con la faccia stupita che avrebbe un alieno nel ritrovarsi davanti ad una casetta per uccelli. Sollevi le sopracciglia, mimando lentamente con le labbra la parola " d e n t r o", per portare poco dopo un indice teso contro le labbra nell'universale segno del "fa' silenzio".
Più chiaro di così.

« ... Peltro?» Domanda lui a voce alta, senza capire, inclinando la testa verso sinistra come un cane che proprio non riesce a comprendere l'elementare meccanismo del "prendi la palla-porta la palla". Sospiri, esasperato ed incredulo, costringendoti a morderti un labbro, mentre gli occhi scattano di nuovo verso il dizionario.

Torni al tuo posto, sicuro di aver fatto del tuo meglio.
Passa qualche secondo di assoluto silenzio, qualche secondo nella quale puoi concederti di rilassarti davvero dopo una giornata frenetica, rilassando le spalle contro lo schienale della sedia, prima che un'esclamazione squillante ti faccia sobbalzare « WOAH THERE!». Con gli occhi incendiati ed il terrore di chi sa perfettamente che se Joseph fosse scoperto con la tua brutta copia della versione nel dizionario, Wamuu avrebbe assegnato a tutti e due uno zero tondo, ti volti di scatto in direzione del tuo compagno pronto a zittirlo con una penna, una scarpa o qualsiasi altro genere di cancelleria pronta per essere scagliata.

« Cosa succede laggiù?» Tuona la voce dalla cattedra.
« Ehm--Mmm nulla, sir! Ho... Ho solo trovato una frase fatta!» Rimedia l'inglese in calcio d'angolo, chinandosi con le movenze meno furtive possibili sul proprio foglio, ora intento a scrivere con la furia di Vittorio Alfieri: non sembra nemmeno passargli per l'anticamera del cervello quanto possa essere definito, in gergo giovanile, "poco sgamo" questo suo cominciare magicamente ad incasellare tutte le frasi della versione dopo quasi un'ora di vuoto totale. Sudi freddo, chinandoti sul banco.

Ma la resa dei conti finale, il momento più teso della partita, il climax che ti costringe a sollevarti con una faccia di pietra e la fastidiosa sensazione dei carboni sotto le scarpe è quando, circa venti minuti dopo, Joseph decide di alzarsi con spavalderia dal banco, consegnando fiero la propria versione completa davanti alla maledetta clessidra. Wamuu afferra il foglio con uno scatto del polso, incominciando a leggere con attenzione ogni singola riga. Silenzio. Altro silenzio. Ancora silenzio.
« Questa non è farina del tuo sacco, vero Joestar?» A questo punto farebbe davvero comodo avere una di quelle croci di pietra del sogno di qualche ora prima dove potersi nascondere. Ti raggeli sul posto, scavallando le gambe e appoggiando i gomiti al tavolo.
Joseph non risponde. Tiene la bocca chiusa, annodando le mani dietro la schiena e raddrizzando la postura da soldatino allargando leggermente le gambe. Nessuno fiata.

Sostiene il suo sguardo, o così ti sembra, costretto ad osservare la scena da tre banchi di distanza. « Dopo un anno di traduzioni pietose vuoi davvero che io creda che tu abbia trovato l'illuminazione? Dopo aver passato metà del tempo con il foglio bianco e senza dizionario?» L'uomo lo incalza, sfidandolo con gli occhi di un cobra pronto a mordere: si aspetta una risposta, una delle tipiche, sfrontate risposte di Joseph. Anche tu l'aspetti, teso e consapevole che nel momento in cui lo straniero permetterà alla sua irriverenza di avere la meglio, spezzando il salvifico silenzio con qualche frase come " Beh, magari sono stato posseduto dallo spirito di un latino morto quasi duemila anni fa" o qualcosa di simile, la trappola del ben più paziente ed inflessibile professore scatterà come una tagliola. Ma Joseph, stranamente, non parla. Resta fieramente immobile.
« Fammi vedere il dizionario e le tasche.» Bene, è finita. La pagina con il tuo nome verrà scoperta e sarete silurati in presidenza in uno zero-due, ecco che cosa succede a cercare di aiutare il prossimo. Che ti sia di lezione, Caesar: mai affidarsi agli irresponsabili. E da quel poco che hai potuto vedere nell'ultimo anno, questo ragazzo è decisamente il Gran Visir degli irresponsabili.
Con la bocca stretta e le mani congiunte, osservi Joseph mantenere una calma irrazionale mentre ribalta le tasche vuote dei jeans, lasciandosi sfuggire qualche caramella alla frutta e un biglietto della metropolitana; poi, prendendosi tutto il tempo dell'universo, ribalta l'intero dizionario verso il terreno.
Non esce nulla.
Deglutisci rumorosamente, socchiudendo le palpebre. Silenzio, di nuovo. Se la situazione fosse diversa, se l'intera scena non avesse luogo tra le quattro mura scalcinate di una scuola ma in una pianura arsa dal sole, scambieresti tranquillamente l'atteggiamento fiero e orgoglioso dei due contendenti per quello di cavalieri pronti a combattere per cause ben più alte di un voto sul registro cartaceo.

Wamuu si alza in piedi, producendo stridio ai limiti del sopportabile per colpa delle gambe di metallo della seggiola che graffiano il pavimento. 
«Mettiamo pure che io ti creda.» Sospira, prima di aggirare lentamente la cattedra con il passo lento dei leoni che aggirano una carcassa. «Fingiamo che io non sappia che questo» una mano solleva il foglio, sventolandolo con non curanza davanti al viso dell'alunno «è solo il frutto del lavoro di Caesar, ottenuto solo con l'elemosina.» Tu stringi le labbra, Joseph, dietro la schiena, stringe i pugni: le nocche incominciano rapidamente a sbiancarsi, mostrando un tutt'altro che sano colorito osseo.
« Ora ti pongo la domanda definitiva: quand'è che comincerai a crescere e ad assumerti le tue responsabilità?» Gelo. "Gelo" è una parola semplice, quattro lettere, due vocali e due consonanti, pari numero, ben poca cosa dinnanzi all'interezza della letteratura mondiale; tuttavia, "gelo" è anche l'unica, tra tutte le parole esistenti, con cui credi di riuscire a descrivere al meglio l'atmosfera creatasi nella classe. I tuoi compagni, ormai attirati dalla tragedia come mosconi da una lampada in cortile, non possono fare a meno di spiare con malcelato interesse: una ragazza s'attorciglia nervosamente le doppiepunte tra le dita, un altro, un ragazzo sparuto con gli occhiali dalla montatura enorme, sospira scivolando contro il bordo della sedia. Qualcuno tossisce.
Prima che il professor Wamuu si volti, rivolgendo il petto all'intera classe, prima che cominci un discorso definitivo, un discorso che vi perseguiterà perfino nei sogni per tutte le settimane a seguire, potresti giurare di aver visto nei suoi occhi una sfumatura di stanca delusione.
« Affinchè voi tutti lo sappiate, c'è stato un cambio di programma: sarò io il commissario interno all'esame di maturità. Il professor Messina ha avuto un incidente, e la riabilitazione per il braccio non gli permetterà di uscire di casa per l'intera estate.» L'ovvio, umano dispiacere per il braccio del gentile professor Messina viene immediatamente sostituito dalla netta sensazione di averlo ricevuto, quel famoso pugno al plesso solare. Con buona pace dell'insegnante già dimenticato, tutti sussultano. « Dunque» Prosegue « sappiate che non avrò nessun problema a prendermi i vostri scalpi, se deciderete di presentarvi all'esame impreparati.»
Terminata la dichiarazione di guerra, l'uomo lascia un ultimo, decisivo messaggio al soldato silenzioso che ancora non ha deciso di spostarsi dalla trincea.

« Hai all'incirca trenta giorni, Joestar. Decidi tu come sia meglio impiegarli.»



12.45.



Al suono squillante della campanella delle 12.45 - sinfonia celestiale ottenuta dopo altre quattro interminabili ore di lezione- l'aula si svuota con una velocità fuori dal comune: i ragazzi scappano dai banchi con i quaderni ancora in mano, qualcuno addirittura minaccia di scendere direttamente dalle finestre, pur di poter evadere il più rapidamente possibile. Ignorando la frenesia generale, tu aspetti. Joseph è ancora seduto, così com'è rimasto seduto per l'intera giornata, in silenzio: non è andato nei bagni, dove generalmente passa almeno la metà delle lezioni, non è uscito durante il quarto d'ora di ricreazione e soprattutto non ha proferito verbo.

E' rimasto fermo come una statua pentita, con l'aspetto di chi deve sopportare il peso del globo intero sulle spalle. Il sospetto che sia morto durante la lettura delle lettere di Seneca è sicuramente più credibile di una sua possibile conversione alla vita ascetica, pertanto ti avvicini lentamente, con passo cauto. Sta fissando dritto avanti a sè, i gomiti abbandonati sul banco e le labbra chiuse, serrate: lo sguardo acquoso sembra carico di energia potenziale, e resta inchiodato alla cattedra ormai vuota.

« Joestar...?»
« Uhg!» Trasale, mentre i lineamenti del viso s'addolciscono immediatamente.
« Sei ancora viv--- Uh?» Semmai nella vita dovesse capitarti di stilare "l'Hit Parade delle cose assurde", sicuramente vedere il londinese estrarre dalla bocca ora aperta il foglio accartocciato e grondante di bava della versione di latino sarebbe al secondo posto, se non addirittura al primo.
« Tu non stai bene.»
Amazing, uh? Ero sicuro che mi avrebbe chiesto di fargli vedere il dizionario e le tasche.» Esclama lui, sfoderando un sorriso a trentadue denti, mentre con due dita getta il foglio appallottolato nel bidone dell'immondizia, mancandolo.
« E te ne sei rimasto con quel foglio in bocca per tutta la giornata?»
« Ovviamente, non sono mica stupido, sapevo che altrimenti mi avrebbe beccato. Perchè fai quella faccia, amico? Non era così male, dopo le prime due ore. A--Aspetta, dove vai?».
« A casa.» Mormori sintetico, afferrando lo zaino sgualcito. Senti il bisogno di dileguarti il prima possibile, di ridere fino alle lacrime e di prenderlo a pugni, di dileguarti prendendolo a pugni, di ridere dileguando un pugno e qualsiasi altra combinazione di "fuga, risate e cazzotti", tutto nello stesso esatto istante. E' una sensazione strana, diversa, paludata nella stanchezza mentale che una giornata simile ha portato con sè: è come sapere, sul fondo delle scarpe, di essere diventato parte di qualcosa di più grande. Andarsene alla svelta è forse l'ultimo gesto inconscio di chi non ha la minima intenzione di salire su nessuna giostra, e da qualche parte nel tuo cervello sai che rimanere e non sparire comporterà rischi impossibili da calcolare; è solo un presentimento, un'idea, ma sembra capace di farti muovere molto più velocemente del solito.

Ma Joseph è più veloce.

« Grazie per oggi, Zeppeli.» Ti fermi. « Intendo... Sì, è stato fico.» Il sopracciglio sollevato che gli riservi sembra metterlo in difficoltà, al punto che incomincia frettolosamente a massaggiarsi il mento. « Non si dice fico? Tosto? Ganzo?»
Ganzo. Scoppi a ridere, incapace di proseguire oltre, socchiudendo gli occhi e tenendoti lo stomaco con la mano destra, quella libera: le tue risate incontrollate riempiono l'aula vuota, correndo lungo le pareti. Joseph inclina la testa, senza capire.

« Ganzo. Sì... Penso che "ganzo" possa andar bene, Joestar.»

E sarebbe potuta tranquillamente finire così: baci, abbracci e buona maturità, magari con un " Ci si vede in giro!" a cui nessuno dei due crederebbe per davvero; tuttavia, questa storia è appena cominciata.

« Zeppeli.»
« Sì?»
« Credi di... Potermi aiutare a studiare per la maturità?».
  
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