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Autore: Ellie_x3    21/04/2019    9 recensioni
Aveva sperimentato un tipo ben diverso d'amore, lui, un sentimento crudele e meschino che non faceva altro che male.
Tagliava in profondità le membra di un uomo, recidendo i muscoli, non lasciando altro che languore, scavando nelle ossa fino a prosciugare qualsiasi ricordo dell'essere umano che era stato in passato. Il sentimento mostrato da Alain aveva in sé la dolce sfrontatezza dell'attrazione: inequivocabile, sì, ma di gran lunga meno disperato e violento di ciò che provava Rossignol.
Magari, si disse, non esistono tipo diversi d'amore, ma solo uomini che lo vivono diversamente.
Forse Rossignol stava mentendo e non era affatto amore quello che provava per Alain, ma una cosa era certa: Alain era innamorato di lui.
Genere: Angst, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
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IV


 

“Come avete osato.”
Il conte D'Artois possedeva occhi meravigliosi: del colore dell'ambra scura, del miele, dell'oro brunito se la luce li colpiva da una certa angolazione. Uniti alla chioma di capelli scuri, incipriati più volte al giorno, tali occhi creavano un contrasto che insolito era dir poco — dopotutto, i suoi fratelli non erano delle bellezze, né lo erano le sue sorelle — e non mancavano di attirare sul principe svariate attenzioni spesso non richieste, ma mai rifiutate.
Rossignol aveva imparato, negli anni, a non farsi ingannare dall'apparenza mite di quello sguardo. Entrato senza farsi annunciare, di buon passo, sventolando la lettera di Ovigny con parole taglienti sulle labbra, non vacillò nemmeno quando D'Artois, seduto alla propria scrivania, non aveva nemmeno alzato la testa.
Poteva giurare di aver visto i paggi sobbalzare — dodici anni appena e Rossignol, tutto guance rosee e bei modi, li aveva spaventati! Il mondo girava davvero al contrario, e D'Artois tirava fuori il peggio in lui.
“Come avete osato.” ripetè Rossignol, più duramente, quando non ricevette risposta.
D'Artois chinò il capo, senza scomporsi, e tutto ciò che fece fu posare i fogli.
“Osato cosa, mon ami?”
“La lettera! Per l'amor di Dio, non fate finta di non saperne nulla. Mi fate imbestialire; come vi è sembrato di intromettervi nei miei affari? Dovrei essere adirato con voi, Charles, non parlarvi più. Mi fate una rabbia che non immaginate!”
Solo allora un sorriso cosciente fece capolino sulle labbra dell'uomo, disegnando un arco rosato sul suo volto appuntito. Era sbagliato credere che avesse aiutato D'Ovigny a comporre la missiva poi inviata a Rossignol: gli si sarebbe data in questo modo un'importanza immeritata, ma ciò non di meno era soddisfatto di sapere che ancora una volta le semplici parole avevano smosso il tavolo da gioco. Per quel che riguardava il ragazzo ora di fronte a lui poi, in tutta franchezza, D'Artois non avrebbe mai sospettato una tale prontezza d'azione in un giovane talmente indolente da rifiutare la vita militare per darsi alla
belle vie.
Ora, va considerata la posizione di D'Artois in tutto questo: in quanto fratello minore del Re aveva una quantità considerevole di tempo libero, nonché una certa influenza su tutti gli affari di corte. A differenza di suo fratello e dei cugini, per non parlare della sua cattolica moglie sabauda, non era persona tale da esser soddisfatto scegliendo il colore dei tendaggi e cambiando i domestici a sentimento.
Voleva essere, ed era, mastro di marionette.
In ogni caso, in merito alla faccenda, aveva agito con in mente il bene del suo giovane amico.
“Via, Rossignol. Vi assicuro che mi tributate un ruolo troppo importante.”
“Di quante e quali sciocchezze avete riempito la testa D'Ovigny?”
D'Artois scrollò le spalle, prendendo una piuma e intingendola distrattamente nel calamaio, Rossignol sospettava per pura dimostrazione di disinteresse. Quando si dedicava a qualsiasi azione piegava sempre la testa di lato, impercettibilmente, e in quel momento un ricciolo bianco gli scivolò sul viso, anche se D'Artois parve non accorgersene nemmeno.
“Non so di cosa stiate parlando, Rossignol.”
“Mentite.”
Rossignol aveva le guance scarlatte nel gettare sul tavolo la lettera incriminata. Lo metteva a disagio; no, no, lo spaventava.
D'Artois guardò prima l'oggetto, con la fronte aggrottata ed un’interesse improvviso, poi il ragazzo. Aveva gli occhi scuriti e assottigliati, anche se appariva di gran lunga più sorpreso che adirato: sapeva di non potersi aspettare rispetto dell'etichetta da Rossignol, quantomeno non nel privato dei suoi appartamenti, ma era comunque un gesto che andava oltre le usuali reazioni del ragazzo.
“Amico mio...”
“Questa lettera,” lo interruppe l'altro, e D'Artois giurò che avesse gli occhi lucidi, “mi offende più di quanto possiate immaginare. Non solo sono io nella più totale incapacità di ricambiare i sentimenti professati dal vostro amico, ma mi ritrovo anche a sapere che sono sostenuti dal vostro consiglio e dalla vostra buona parola. Come posso rendere ridicolo non solo me stesso, ma voi? Si mette in gioco il vostro giudizio, qui. E con che faccia si dovrà andare da quel pover'uomo a dire 'mi duole, Sua Altezza s'è sbagliato'? Con che coraggio? Non so voi, monsieur, ma io mi sento umiliato e triste per quel poveretto, per me stesso, e per voi.”
Sentendo un senso di disagio soffocarlo, D'Artois sospirò.
Quando se ne dimenticava (e ciò accadeva più spesso di quanto volesse ammettere) erano il temperamento di Rossignol, la mancanza di contegno e la passione che mostrava a ricordargli che il suo amico era ancora un ragazzo: nel suo completo azzurro con i pizzi alle maniche, il panciotto a fiori, i capelli biondi legati da un nastro di velluto e le scarpe coi tacchetti, poteva essere scambiato per un paggio. Non era poi molto distante come età ai giovani che gli avevano aperto le porte e che, ora, ad un cenno del conte, gli porgevano un fazzoletto su un vassoio d'argento.
Rossignol lo prese e se lo tamponò sul collo, laddove il velo della camicia segava e arrossava la pelle. Nella stanza era incredibilmente caldo ed aleggiava uno stagnante odore di chiuso, di candele spente da poco, di stoffa mal lavata.
“Non si possono aprire le finestre, qui dentro?” sbottò Rossignol rivolto al paggio, più duramente di quanto non avesse voluto. “Sua altezza reale potrebbe avere un mancamento.”
D'Artois rise di cuore. Una risata ricca, che sembrava abbracciare l'interezza della stanza.
“Sembrate voi quello in procinto di sentirsi male, Rossignol,” fece notare. “Desiderate che vi si porti dell'acqua?”
“Desidero, se posso parlare esplicitamente, che sia chiarito questo terribile malinteso!”
“Ma non v'è alcun malinteso da chiarire.”
Il suono dei tacchi sul legno e delle finestre che venivano spalancate, con buona pace di D'Artois che, comunque, conveniva sul fatto che il caldo fosse malsano, quasi coprì il suono indignato che venne da Rossignol.
“E voi, questo, come lo chiamate?” replicò, con un ampio gesto del braccio. “É un problema che avete creato voi, D'Artois, come minimo dovete aiutarmi a risolverlo. Non desidero arrecar torto a chi nemmeno conosco.”
D'Artois, di nuovo, aggrottò la fronte.
“Non mentite,” rispose, con una nota dura nella voce, “avete civettato con lui.”
“Senza malizia!”
“Oh, non insultatemi, Rossignol. Non so come possiate pensare che io creda nella vostra mancanza di malizia…e non solo per D'Ovigny.”
In quel momento, e fu ovvio, Rossignol esitò. Aveva i capelli illuminati dai raggi del sole e il viso era pallido e delicato come quello d’una ragazza, ma a D'Artois sembrò sul punto di spezzarsi.
“Di cosa state parlando, monsieur?”
Offeso dalla risposta, incredulo di fronte a tanta superficialità, il conte inarcò un sopracciglio.
“Parlo di un certo nostro amico comune che pare esservi particolarmente caro. Mon ami...” sospirò, spingendo con la punta delle dita di nuovo la lettera verso il bordo del tavolo. Un gesto semplice, così poco regale che Rossignol se ne sorprese. Raramente, per non dire mai, D'Artois si mostrava vulnerabile. “Io voglio aiutarvi. Ma non rendetemelo difficile e non rendete complicata la vostra vita. Fate un favore a voi stesso e date una possibilità a questa lettera.”
“Ma...”
“Jehan.” lo interruppe l'altro. Rossignol, con un brivido freddo lungo la schiena, riconobbe dal tono del conte che la conversazione era davvero, davvero finita. “A dispetto della vostra cecità, sto indirizzando il vostro interesse su amicizie meno politicamente difficili da mantenere, e con personalità più adatte al vostro carattere. Almeno provateci, temo che non abbiate altra scelta.”


A dispetto della vostra cecità…
Rossignol camminava a testa bassa con sufficiente foga da non notare la figura vestita di scuro contro la quale si stava per scontrare, infuriato con sè stesso e con D'Artois, con D'Ovigny per essere innamorato, o così diceva, e persino con la Regina per averlo degnato di uno sguardo. In realtà, non gli importava nemmeno di finire a gambe all'aria e di imbarazzare sè stesso, in quel momento, e nulla gli importava se non il fomentare la propria indignazione verso I ridicoli precetti di D'Artois; come poteva, un uomo, essere tanto annoiato da pretendere di influenzare i cuori altrui?
Era senza speranza.
Lui era senza speranza.
Due mani gli si posarono sulle spalle, fermandolo. Più tardi, raccontando l’accaduto, Rossignol avrebbe detto che tale figura in completo di velluto nero, una visione quasi funeraria nell’oro baciato dal sole del palazzo, si muoveva come una fantasma senza fare rumore, di ombra in ombra per sfuggire ai pettegolezzi e alle tentazioni, ma doveva ammettere (non l’avrebbe mai fatto) che probabilmente la collisione era avvenuta a causa sua, e del fatto che l’ira lo avesse momentaneamente accecato.
“Rossignol. Che—” la voce esitò, abbastanza a lungo per dare il tempo a Rossignol di trattenere il fiato e capire chi l’aveva fermato. “Che sorpresa.”
Sorpresa, certo. Rossignol avrebbe voluto scoppiare a piangere lì, in quel momento: era una maledizione e lo perseguitava.
Tuttavia, delicatamente, le mani che il Principe T. Gli aveva posato sulle spalle lo spinsero leggermente di lato, dove non sarebbe andato contro nessuno qualora avesse voluto proseguire il suo cammino. Con un sospiro di sollievo, Rossignol lo prese come il tacito desiderio di non proseguire quella conversazione oltre gli educati convenevoli.
“Principe? Cosa ci fate qui?”
Le labbra del principe T. si stiracchiarono in un sorriso; provo di spirito, Rossignol avrebbe detto, poiché non c’era luce nel fondo degli occhi blu dell’uomo. Avrebbero potuto essere belli, se non fossero stati freddi. Ipocriti e freddi. Oh, Rossignol, si lamentava una voce nella sua testa, non potevi scegliere con più giudizio? In mancanza di un amante decente, di un Apollo, persino di un Dio della Guerra, ti sei lasciato irretire da un Dedalo intrappolato nel suo stesso labirinto. Solo perchè non hai Ginevra, quanto puoi essere stupido per innamorarti di un Lancillotto qualsiasi? 
Sicuramente c’erano scelte migliori. Per dio, persino D'Artois era una scelta più assennata.
“Devo davvero dirvelo io, Rossignol?” replicò, con una risata sottile; Rossignol era certo di non averlo mai sentito ridere prima d’allora. “Ci vivo, proprio come voi.”
“Ah, ma allora sapete scherzare! Vi vedo allegro, oggi: dite, siete forse guarito dalla vostra ridicola ossessione per me?” 
A dire il vero, Rossignol aveva iniziato a pensare che ci fosse una sfumatura apocalittica nell’affetto che T. proclamava nei suoi confronti, più che ridicola. Ridicola era una commedia, ma i giorni passavano, gli incontri si susseguivano e Rossignol aveva smesso di ridere da un pezzo.
“Mai,” dichiarò l’uomo, con una rigidità di spalle che fece ridacchiare il ragazzo.
“Siete sempre così formale,” replicò  il ragazzo muovendo un passo indietro, liberandosi dal contatto del suo interlocutore. L’idea che D'Artois potesse spuntare da una parete e accusarlo di essere civettuolo gli attorcigliava lo stomaco. “E intimidite, ve l’hanno mai detto? Mi sembra di avere sempre a che fare con il mio confessore,”
“Non vi stancate mai di offendere, non è così?”
“Oh, non sforzatevi di trovare cattiveria dove non c’è, principe, non intendeva essere un’offesa. Intendevo dire, se volete, che ci distinguiamo da questa massa di sciocchi, io e voi. Il diavolo e l’abate, che ve ne pare?” 
Il principe T. sorrise. Non era una dimostrazione plateale, ma un sentimento privato, animato da una tenerezza che spinse Rossignol a ridere a propria volta con la sensazione di starsi scambiando un gesto ben più intimo di una stretta di mano. Quando riusciva a incrinare la maschera di serietà drammatica a cui T. si aggrappava con una forza feroce, sentiva di poter vincere qualsiasi battaglia. Una bella novità, se non fosse stato per l’ombra della discussione recentemente avvenuta.
“Addirittura il diavolo. Vi credete così furbo?”
“Sono gli sciocchi infatuati come voi che me lo fanno credere” Replicò Rossignol, con una certa soddisfazione civettuola di cui si rese conto solo troppo tardi, “ho delle faccende da sbrigare, ma aspettatevi una mia lettera molto presto. Vi ho organizzato una sorpresa.”
Il principe T. sbattè le palpebre, incuriosito. 
“Che genere di sorpresa?” 
“Se ve lo dicessi, dove starebbe mai il mio divertimento? Fidatevi di me, Principe.” 

 

#

 

Più le ore passavano, più rimuginava sulla lettera recentemente ricevuta e sull'impossibilità di sottrarsi all'incontro con D'Ovigny, più il mondo si stringeva su Rossignol, diventando minuto dopo minuto un luogo senz'aria nè luce, una situazione senza uscita.
Non avete altra scelta, gli aveva detto D'Artois, e ora quelle parole rintoccavano nella sua testa assieme ai secondi, tramutandosi da minaccia ad una realtà alla quale non aveva modo di sfuggire.
Accompagnato da una serie infinita di sospiri e insulti rivolti a sè stesso che riempirono le stanze dei suoi appartamenti, poco prima dello scoccare della metà della notte il giovane prese una decisione: non era riuscito a prendere sonno quella sera, nonostante fosse rientrato tardi e nonostante avesse bevuto nella speranza che il vino lo facesse scivolare in un oblio privo di sogni, ma non sarebbe stato un problema se la sua mente fosse stata impegnata in pensieri piacevoli. Invece, non faceva che ripensare al proprio bene, o quello che secondo D'Artois era tale, e alla tragica verità che avrebbe anche potuto ricambiare i sentimenti di D'Ovigny, forse, se non fosse già stato impegnato altrove, e contro ogni buonsenso.
Dopo essersi rigirato nel letto per quella che era sembrata un’eternità era arrivato alla conclusione che era necessario allontanarsi per qualche tempo, e in fretta. Immediatamente, addirittura, dal momento che attendere da lontano il passaggio della tempesta, piuttosto che indugiare nell'occhio del ciclone, era da sempre considerata la scelta migliore; tanto più per lui che non vantava alcun coraggio e non ne aveva intenzione.
Saltò giù dal letto, gettando le coperte a terra, e si disse che non avrebbe sprecato un solo minuto di più.
Dal momento che aveva fretta di partire, Rossignol riservò soltanto a D'Artois una visita personale, ben sapendo dove trovarlo dopo una notte in cui non era affatto andato a dormire perché, in anni e anni, Rossignol aveva imparato che il conte amava l'aria rugiadosa dei giardini al primo sorgere del sole. Il mulino, la piccola latteria, lo scorrere cadenzato dei ruscelli e l'ambiente profumato del fornaio: tutto ciò gli dava sollievo, se la notte non riusciva a dormire a causa del russare sgraziato di sua moglie o del vino che lo rendeva vivo.
Lo trovò esattamente dove si aspettava, seduto sotto una grossa quercia, con le gambe strette al petto e i calzoni bianchi macchiati d'erba, e gli si sedette accanto.
“Sto partendo.” mormorò.
Gli parve quasi di vedere D'Artois sorridere all'orizzonte.
“Questo lo vedo. Fate buon viaggio.”
“Tornerò tra un paio di settimane.” assicurò il ragazzo, stringendosi nelle spalle. Aveva pensato e ripensato all'idea mille volte, annullando e disfacendo piani per ore intere, intrappolato com'era tra il desiderio di restare a corte e il bisogno di fuggire dal disastro che si era venuto a creare. In un certo senso si sentiva un traditore a lasciare quei prati, voltare le spalle a quell'oro e a quelle candele, non vedere più i principi e la principessa, dimenticare le notti passate al tavolo da gioco e quelle all'Opera...rinunciare a tutto ciò che amava gli squarciava il petto con un dolore che gli faceva sospettare che sarebbe morto nell'esatto istante in cui la carrozza avesse varcato i cancelli.
“Fate buon viaggio,” ripetè D'Artois, senza guardarlo.
Rossignol sospirò.
“Non siate arrabbiato con me, vi prego. Ho bisogno di pensare.”
“No, sono d'accordo con voi— forse è necessario, a questo punto, e vorrei avervelo suggerito io. Ma tornate quando avrete smesso di preoccuparvi e scoprirete che la vostra ombra è rimasta qui, che lo vogliate o no.”
“Mi auguro di no. Non desidero che alleviare il loro dolore.”
Loro…quando era diventato un “loro”? Il principe T, D'Ovigny, il conte D'Artois stesso, che l'amava come un fratello. E ancora Madame Dorianne, nel suo letto a Parigi, e la vivace regina Antoinette con il suo schiamazzante entourage che lo viziava come una bambola di porcellana. Si chiedeva quando si fosse trasformato in una creatura tanto distruttiva, e perché nessuno si fosse preso la briga di avvertirlo, di fermarlo.
“Scriverete a D'Ovigny?” 
Rossignol sentì montar dentro una grande costernazione, ma aveva il sospetto che fosse solo senso di colpa. Sì, aveva scritto anche a quel particolare signore che tanto generosamente l'aveva ammirato, ma non aveva desiderio di alimentare i piani che D'Artois aveva per lui; tuttavia, si imbronciò alla domanda.
Monsieur, come potete mai pensare che sia così meschino da sparire senza una parola?” replicò, con le guance bollenti, “se sono stato senza cuore in passato, mi guardo bene dall'esserlo ancora.”
L’uomo rimase in silenzio, ma annuì.
Molto bene, sembrava dire, allora puoi ancora imparare qualcosa, e non tutto è perduto.
Alzandosi e scrollandosi l'erba fresca dai calzoni scuri, riconoscendo benissimo un congedo quando ne vedeva uno, Rossignol pregò che avesse ragione: un periodo in campagna avrebbe fatto bene a tutti loro, che erano mutati, chissà quando, chissà come, da gentiluomini a delle anime ferite, ad una nuova razza umana che non sapeva distinguere dalle bestie.
L’aria, da Versailles a Parigi, era diventata rovente ed irrespirabile.

 

#
 

Non aveva mentito riguardo la lettera per D'Ovigny: la notte precedente, dopo aver buttato giù dal letto il proprio paggio in maniera piuttosto letterale ed averlo istruito di mandare a chiamare un cocchiere, affittare una berlina e preparare i bagagli con lo stretto necessario, Rossignol si era sentito soddisfatto e, con il respiro in gola, si era messo allo scrittoio. 
Non un conoscente né un amico venne dimenticato: scrisse decine di lettere e, con gli occhi stanchi e le dita sporche d'inchiostro, il ragazzo giurò a sè stesso che non avrebbe mai più scritto nulla che potesse essere inteso in modo malizioso.
Non andò ad incontrare il duca D'Ovigny, che alle cinque in punto fu raggiunto da un giovane, sì, ma che non era quello che attendeva.
Remis, con i ricci fulvi e il viso costellato di lentiggini, apparve all’uomo anticipato dal rumore dei tacchetti che affondavano nel selciato. Profumava di lavanda, come tutto ciò che apparteneva a Rossignol.
“Vi porto una lettera del conte Jehan Henri Marie de Gramont, monsieur.” dichiarò, con un inchino, porgendo a due mani il piattino d'argento su cui giaceva una lettera. 
Assottigliando gli occhi azzurri, D'Ovigny osservò la pesante carta beige e la realizzazione lo investì con la forza di una valanga: Rossignol non l’avrebbe incontrato, non lo voleva incontrare. Aveva atteso tutta la notte con una trepidazione di cui si vergognava e che lo aveva fatto sentire come un ragazzino, fragile ed in balia dell'umore altrui, e la giornata si apriva con la peggiore delle notizie; ma era un uomo, Alain, e con un sospiro si disse di agire come tale nonostante il cuore sembrasse volergli sfondare il torace. Con una certa, bonaria rassegnazione della quale non si sarebbe mai creduto capace, prese fra le mani la lettera e il suo profumo lo avvolse: persino la ceralacca che la sigillava sapevano di un intenso aroma di lavanda, come se ne fosse stata appositamente impregnata per essere impossibile da non riconoscere.
“Cos'è, si toglie dall'impiccio di uno scomodo incontro?” domandò, con una risata.
Remis, che pure di norma non sarebbe stato tenuto a rispondere ad una tale affermazione, scosse la testa.
“Temo che non sia così facile come credete, signore.”
Alain, allora, gli lanciò uno sguardo. Sollevò il sopracciglio, perplesso, e si rigirò la lettera fra le mani come se avesse paura ad aprirla. In realtà, era momentaneamente incuriosito dalla bestiolina rossa e dinoccolata davanti a lui, che pareva essere eternamente fedele al suo giovane padrone: il giovane, con il suo accento forte di Calais e il sorriso tirato sul viso da bambino, era una perfetta ramificazione di Rossignol.
“Avete pochi anni meno del conte, figliolo.” commentò, studiandone il volto. “Eppure lo seguite più come un paggio che come un amico. Da dove viene la vostra famiglia?”
“Poitiers, signore. Mia madre era inglese.”
Dicendosi che una risposta del genere era più che prevedibile, l'uomo annuì. Il loro dialetto, la cadenza fra le vocali e l'intonazione della frase erano simili, dopotutto, come se fossero cresciuti nello stesso borgo, e nessuno come Alain conosceva le implicazioni d'essere un nobile dimenticato di provincia.
Quanti ragazzi aveva visto lasciare i loro castelli arroccati per recarsi nelle case dei patroni di città... Il suo stesso fratello aveva servito presso una famiglia di Parigi, ma oramai era lontano da casa da così tanto tempo che il duca a stento ne ricordava il viso.
“Siete sotto la protezione del nostro buon Rossignol, non è così?”
“Sono stati così cortesi da prendermi in casa con loro. La dama di compagnia di Madame de Gramont è una lontana parente e monsieur aveva espresso l'esigenza di un paggio,” con disinvoltura, come se la storia non lo toccasse affatto, Remis si strinse brevemente nelle spalle. Sulle labbra color della terra cotta c'era ancora il sorriso di poco prima. “Quindi, credetemi, non è stato facile per lui scrivere queste parole.”
Alain attese un istante, prima di domandare:
“Volete bene a Rossignol?”
E, se la richiesta aveva tremato dell'esitazione di Alain, non ve ne fu nella risposta; venne pronunciata come un giuramento, parole forti per chi era a malapena un ragazzo.
“Nel modo più assoluto.”

 

Amico mio,

Non so come rispondere al vostro biglietto, se non scusandomi per la tremenda mancanza che vi faccio nel non presentarmi.
Ho deciso di partire, non so ancora per quanto tempo, dal momento che il mio corpo ultimamente ha deciso di non essere più vigoroso come una volta.
 Sono giovane e questa improvvisa debolezza mi spaventa, ve lo confesso, dunque mi trasferirò per qualche settimana nella tenuta estiva dei miei genitori, luogo dove vi chiedo di non seguirmi.
Se mi incapricciassi riguardo l'avervi con me, per quanto la vostra compagnia mi sia cara, non otterrei l'effetto che desidero
— cioè quello della solitudine, della meditazione, e del riposo-, per non parlare delle malevolenze e delle invidie che un tale trattamento di favore susciterebbe. Nel migliore dei casi, ho ragione di pensare, mi ritroverei con l'intera corte stipata in un'umile residenza di campagna; non ho motivo di mentirvi su quanto la mia presenza sia, ultimamente, richiesta, nonostante io stesso ne ignori nel modo più totale la ragione.
Questa vita mi sta dimostrando un affetto che non merito. 
Ad ogni modo, confido di trovarvi ancora a Versailles quando sarò tornato. 

Quando il momento sarà giunto potremmo rivedere i termini di questo incontro mai avvenuto e, se ciò potrà farvi piacere, ci vedremo allora.

 

Sì, Alain poteva capire perchè Remis fosse così devoto al suo padroncino.
Strinse la lettera fra le mani, se la portò prima al cuore e poi alle labbra inalando ad occhi chiusi il suo avvolgente profumo di lavanda. Com'erano promettenti quelle parole e che soave agonia sarebbe stata attendere il ritorno del giovane; non un giorno sarebbe passato, si ripromise, senza cercare di scorgere tra la folla i boccoli biondi e le belle mani di Rossignol.
Non era triste essere abbandonati così poiché, in fondo, non l'aveva abbandonato affatto.
Alain, con un gran sorriso, rimase ad attendere il mattino passeggiando nei giardini, in compagnia dei propri pensieri e del profumo di Rossignol.

 

#

 

C'era, infine, un'altra faccenda di cui Rossignol si sarebbe dovuto occupare, perlomeno in teoria, quella notte. 
Madame Dorianne sarebbe rimasta sola per un po' di tempo, privata di uno dei suoi amanti più insistenti a causa di quella piccola défaillance, e ciò apriva la strada a Rossignol per creare un pretesto in modo da indirizzare da lei il principe T. nella speranza di placare i bizzarri sentimenti di quest’ultimo. 
Quella era stata la lettera che aveva richiesto più attenzione, tanto da dover essere rimandata al giorno dopo, e a quello dopo ancora: una volta arrivato in campagna non v’era stato tempo per mettersi allo scrittoio, e Rossignol aveva insistito nel supervisionare personalmente che la casa fosse rimessa in sesto secondo le sue direttive.
In quanti modi puoi procrastinare, è incredibile, si era detto un giorno, pieno di meraviglia nel vedere che era già passata quasi una settimana e non aveva accumulato che decine di scartoffie, nessuna buona per essere usata e tutte prive di un serio impegno nell'esprimere una parvenza di sincerità — e, ad ogni modo, chiunque sostenesse che la sincerità era una strada facile e soddisfacente era un farabutto o un imbroglione.
Rossignol aveva scartato decine di fogli ed era già alla metà del suo ottavo giorno di villeggiatura, circondato dal verde e dal canto degli uccelli selvatici, quando alla fine aveva raggiunto un risultato soddisfacente.

 

Mio caro amico,

Come di anticipavo, ho una sorpresa per voi: parto; sono partito.
Ebbene sì, mi avete fatto scappare.
Bravo, principe. Plaudirei i risultati della vostra ossessione per me, se non mi aveste recentemente detto di non esservene ancora liberato e spero che questa mia presa di posizione ve lo renderà più facile. 
Vi confesso che siete una delle persone che desidero vedere al mio ritorno, e dovete questo mio ritardo nell'informarvi della mia partenza solamente alla mia personale codardia. Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace — e in quanto mio personalissimo confessore, siete obbligato a perdonarmi, vi ricordo. Vi immagino protestare, ma è il ruolo che vi siete scelto, mon ami, fatevelo andar bene. 

Non sono malato, anche se spero che manterrete il segreto riguardo questa piccola menzogna, ma necessitavo di un periodo di riflessione nella tranquillità della mia solitudine. Al momento alloggio nella casa di mia madre in campagna, un delizioso casolare con pochi domestici e molto silenzio, e passo le mie giornate cavalcando e componendo versi. Se ve lo state domandando, sí, io non mi sarei mai esiliato volontariamente in un luogo del genere, per ameno che sia: Sua Altezza è stato, tra le righe, sostenitore del mio ritiro temporaneo.
Io credo abbia ragione, quindi eccomi qui.
Non vi chiedo di capire, ma dovete sapere che molte cose sono accadute nell'ultima settimana, vicende che mi hanno lasciato scosso e in preda agli incubi. Conto di rimettermi in sesto per la prossima soirée interessante, anche se già so che non apprezzerete questo commento. Ah, vi posso quasi sentire mentre predicate e dividete il giusto dallo sbagliato, il peccaminoso dal divino.
Siete un ipocrita, principe, ed è una cosa che amo di voi.

Quanto a voi e al nostro comune problema, sappiate che non mi sono dimenticato della conversazione che abbiamo avuto nei giardini e mi sono permesso di parlare di voi ad una gentildonna a me molto cara. Madame Dorianne è sola, da quando quando suo marito è morto di vaiolo, ma non certo priva di amicizie e compagnia: il suo salotto è fra i più frequentati di tutta Parigi. A Venezia e Firenze parlano di lei come dell'incarnazione di Erebo, e un sonetto o due sono stati composti in suo onore da nomi illustri di cui ora non ho proprio memoria. Donne da tutto il mondo la invidiano e le signore a Parigi la ammirano, ma lei non se ne fa vanto, e converrete che una tale modestia è encomiabile di questi tempi.
Solitamente non ha tempo per le nuove introduzioni, ma le sono specialmente caro e farà un'eccezione e vi invita per una serata di carte.

Fatemi questo favore, mon ami, andate a farle visita.
Potrebbe sollevarvi il morale (e ho fiducia in altro) e io ne sarei enormemente rassicurato.

Rossignol

   
 
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