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Autore: Lamy_    22/04/2019    1 recensioni
Ernest Hemingway ha scritto che «il mondo spezza tutti quanti e poi molti sono forti nei punti spezzati. Ma quelli che non spezza li uccide.»
Thomas Shelby era uno degli spezzati, ma non uno di quelli forti. La guerra aveva dilaniato la sua anima, l’aveva fatta a brandelli e l’aveva ingurgitata, e al suo ritorno niente era stato più come prima.
Divenuto il leader dei Peaky Blinders, domina su Birmingham e tenta in tutti i modi di proteggere la sua famiglia. Il destino, però, vuole che Thomas si imbatta nella donna che gli ha salvato la vita.
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thomas Shelby
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4. LIVIDI, SANGUE E CARAMELLE

“The world was on fire and no one could save me but you
It's strange what desire will make foolish people do
I never dreamed that I'd meet somebody like you
And I never dreamed that I'd love somebody like you.”

(Wicked game, Chris Isaak)
 
Amabel lentamente si voltò verso Dominic, che si era fatto accompagnato da un amico.
“Sì, è così che mi chiamo.” Disse lei abbozzando un sorriso. Michael al suo fianco ridacchiò per quella risposta. L’espressione di Dominic era furente, fissava la ragazza con insistenza.
“Cosa ci fa una donna della tua levatura in un posto del genere?”
“Sono qui in qualità di medico. Inoltre, se fossi qui per divertirmi, non sarebbero di certo affari tuoi.” Ribatté Amabel con stizza drizzando la schiena.
“Solo le donnacce frequentano certi luoghi e certa gente.” Disse Dominic rivolgendo uno sguardo disgustato a Michael. Il ragazzo, però, sorrise strafottente.
“Beh, vorrà dire che con certa gente ci si diverte di più.”
Frattanto l’arbitro era salito sul ring per suonare la campanella che segnalava la fine del primo round. Amabel vide Arthur accasciarsi sullo sgabello con il sangue che gli colava copioso dal naso, accanto a lui Tommy cercava di tamponargli le ferite.
“Devo andare.”
Le dita di Dominic si serrarono con forza intorno al suo braccio, le unghie quasi si conficcavano nella pelle, e Amabel era certa che avrebbe lasciato un livido.
“Lasciala.” Disse Michael. Schiaffeggiò la mano di Dominic ma questi non si spostò. L’amico del sindaco bloccò le braccia di Michael in modo che non potesse intervenire. Amabel si divincolava invano, la presa di Dominic era troppo salda.
“Sei impazzito, Dominic? Lasciami immediatamente!”
“Sei tu che hai perso la ragione, Amabel. Te ne vai in giro in luoghi abbietti con i Peaky Blinders? Sono dei bastardi col sangue zingaro che si divertono a fare i criminali. Non posso permettere che le tue amicizie infanghino il nome della mia famiglia. La reputazione è tutto, mia cara.”
“E tu perché sei qui? Nei salotti si vocifera della tua dipendenza dal gioco. Sei venuto per scommettere, dico bene? Non riesci a resistere alla tentazione di una sfida.” Disse Amabel, soddisfatta del controllo perfetto della sua voce. Sua madre le aveva insegnato che mantenere un equilibrato tono di voce durante le discussioni era un buon mezzo per prevalere sull’interlocutore. Dominic, dopo un primo momento di shock, emise una breve risata.
“Se tu e quella piagnucolona di tua sorella volete far parte della famiglia Cavendish, vi conviene imparare a stare al vostro posto.”
Amabel fu colpita dall’uso della parola ‘piagnucolona’ perché era proprio lo stato in cui Evelyn era rincasata.
“Che cosa avete fatto a mia sorella?”
Dominic e il suo amico si scambiarono un’occhiata complice.
“Le abbiamo semplicemente ricordato il suo posto.”
Amabel stava per sbraitargli contro quando avvertì una presenza alle sue spalle.
“Quella che vedo è la tua fottuta mano schifosa intorno al polso della dottoressa? Così non va bene, sindaco Cavendish.” Esordì Tommy, artigliando il polso di Dominic per allontanarlo da Amabel. Dominic sussultò per il dolore e si massaggiò la pelle arrossata. I suoi occhi si piantarono su Amabel, erano neri e minacciosi.
“Questo avrà serie ripercussioni sul matrimonio.”
Dopodiché lasciò la palestra insieme al suo amico. Michael scrollò le spalle come a volersi togliere di dosso le mani si quel tipo e si aggiustò la giacca. Tommy passò dolcemente le dita sul braccio di Amabel, dove Dominic aveva stretto la mano, e lei sussultò per il dolore.
“State bene?”
“No, signor Shelby. Non sto bene.”
Amabel si scansò da lui e si precipitò a recuperare i suoi effetti personali.
“Che cazzo è successo?” domandò Tommy a Michael.
“Dominic ha fatto qualcosa alla sorella di Amabel.”
Amabel era salita sul ring per ripulire i tagli di Arthur, per fasciargli le mani con delle bende pulite e per farlo bere. Una volta iniziato il secondo round, l’arbitro la costrinse a scendere.
“Dottoressa.” Disse Tommy, però lei non gli dava retta. Le sue mani tremavano mentre richiudeva le asole del cappotto.
“Devo tornare a casa.”
“Dottoressa, guardatemi. Per favore.”
“Mi dispiace. Devo tornare a casa.” Ripeté lei, gli occhi lucidi, le labbra tremolanti.
“Amabel.” Disse allora Tommy, e la ragazza finalmente sollevò gli occhi su di lui.
“Non posso restare, signor Shelby.”
“Parlate con me. Ditemi che cosa è successo.”
“Dominic ha picchiato mia sorella.”
In quel momento Tommy si immedesimò in lei, comprendendo appieno la sua agitazione. Anche lui si sarebbero infuriato se qualcuno avesse fatto del male ad Ada.
“Finn, accompagna la dottoressa a casa. Qui ci penso io.”
Finn svogliatamente abbandonò la sua postazione, anche se in fondo sperava di poter rivedere Diana per augurarle la buona notte.
Amabel e Tommy si guardarono ancora per qualche istante, uno perso negli occhi dell’altro, fino a quando lei non uscì dalla palestra.
 
Amabel non aveva chiuso occhio ma non era stanca. Dopo che Finn l’aveva riaccompagnata a casa, si era diretta in camera di Evelyn per parlare. La sorella dormiva serenamente e lei non aveva avuto il coraggio di svegliarla, perciò si era tolta il cappotto e le scarpe e si era distesa accanto a lei. Le aveva accarezzato i lunghi capelli biondi per tutta la notte, alternando qualche lacrima a qualche sospiro. Non riusciva a parlare, era piombata in un silenzio tremendo. Era delusa da se stessa per non aver inseguito Evelyn prima, per non aver approfondito la causa del suo pianto, per averla abbandonata al suo dolore. La pallida pelle di Evelyn riportava diversi lividi sulle braccia, altri lividi le deturpavano l’occhio, e un piccolo taglio aperto le lacerava il labbro. Niente, Amabel non si era accorta di niente. Era troppo impegnata ad avercela con lei per le spese del matrimonio per fermarsi a guardarla bene.
“Amabel?” sussurrò Evelyn con la voce ancora assonnata. Era diventato giorno, i raggi del sole penetravano attraverso le tendine azzurre della camera. Ad Amabel sembravano trascorsi solo pochi minuti, invece aveva vegliato sulla sorella per ore.
“Ciao.” Disse Amabel scostandole una ciocca di capelli con fare materno. Se Evelyn somigliava fisicamente alla madre, Amabel era quella che aveva ereditato il suo carattere determinato e forte.
“Che ci fai qui?”
“Dobbiamo parlare. Vado a svegliare anche Diana e Bertha. Aspettami in cucina, per favore.”
Dieci minuti tutte le donne di casa Hamilton sedevano intorno al tavolo della sala da pranzo con una tazza di the in mano. Amabel odiava il the, ma il calore emanato dalla tazzina era rassicurante. Diana e Bertha guardavano con occhi sbarrati i lividi e il taglio di Evelyn.
“Che cosa vi è capitato, signorina?” domandò Bertha con le lacrime agli occhi. Evelyn di colpo scoppiò a piangere e si rifugiò tra le braccia di Amabel, che la cullò come aveva fatto nelle ore precedenti.
“Evelyn, devi raccontarci la verità. Non tralasciare neanche un singolo dettaglio.” Disse Diana, e Amabel si chiese quando fosse diventata già così grande.
“Non è stata colpa loro. E’ stata colpa mia.” Mormorò Evelyn, la gola secca, il viso bagnato. Amabel le strinse le mani sulle spalle e la guardò dritto negli occhi.
“Non ti azzardare a pensare che sia colpa tua, chiaro? E’ colpa di quelle bestie.”
“Che cosa è successo, Evelyn?” domandò ancora Diana.
“Dominic e Jacob l’hanno picchiata.” Confessò Amabel, e Evelyn ricominciò a piangere. Diana, anziché mettersi a piangere come Bertha, rimase inflessibile.
“Stai scherzando? Evelyn, maledizione, parla!”
La rabbia di Diana sconvolse Amabel, l’aveva lasciata che era una bambina e la stava ritrovando che era una donna ormai.
“Signorina, parlate. Vi prego.” Disse Bertha, il fazzoletto tra le mani, la fronte segnata da rughe profonde. Evelyn si sedette e prese un sorso di the per inumidirsi la gola.
“Ieri a cena la madre di Jacob mi ha chiesto se avessi prenotato le bomboniere e io le ho detto che avevo intenzione di cambiarle perché le farfalle di cristallo costano troppo. Ha iniziato a insultarmi, a darmi della pezzente, a dirmi che Amabel mi stava facendo il lavaggio del cervello. La discussione si è placata quando sono arrivati gli ospiti e la serata è proseguita bene. Dopo cena, però, Dominic ha convocato me e Jacob in salotto. Lì ha convinto Jacob che io mi stavo tirando indietro e che non volevo più sposarlo. Ha detto che sono la feccia che si attacca sotto la suola delle sue scarpe, poi mi ha tirato il primo schiaffo. Jacob, invece di ribellarsi, ha imitato il fratello. Mi ha schiaffeggiato mentre con le dita mi artigliava le braccia. Sono riuscita a scappare solo grazie all’intervento del maggiordomo che mi aveva sentita gridare.”
Mentre Diana e Bertha consolavano Evelyn con parole dolci, Amabel se ne stava in piedi e serrava le dita attorno allo schienale della sedia. La sua espressione era fredda, distaccata, e aveva gli occhi puntati di fronte a sé.
“Devi annullare il fidanzamento. Non c’è nessuna possibilità che il matrimonio si celebri.”
“No! – obiettò Evelyn – non posso annullarlo! Che cosa penserà la gente di noi? Non se ne parla proprio.”
“E a noi cosa importa dell’opinione altrui? Ti hanno picchiata, Evelyn! Dannazione!” disse Diana sbattendo le mani sul tavolo; il suo the si rovesciò sul tavolo.
“Diana ha ragione. La gente avrà sempre da ridere, che tu sposi o meno Jacob. Devi pensare alla tua vita.” Aggiunse Amabel. Evelyn scosse la testa e riprese a singhiozzare.
“Non potete chiedermi una cosa simile. Non lascerò Jacob. Mi ha fatto male questa volta e non lo farà mai più.”
“E’ zia Camille che ti mette queste idee in testa. Anche zio Marcus la picchiava e lei ha accettato trent’anni di soprusi pur di mantenere una bella facciata in società. E’ inammissibile!” ribatté Amabel, le labbra erano contratte in una linea dura.
“Non importa. Jacob non è zio Marcus, lui non farà mai più. Forse le botte me le sono meritate perché sono una stupida mocciosa che non vale niente.”
“Evelyn, ma che diamine stai dicendo?!” gridò Diana, era fuori di sé dalla rabbia. Bertha le accarezzò le mani per calmarla. Soffriva nel vedere le bambine a cui aveva badato per tutta la vita litigare tra di loro.
“Non ti lascerò sposare Jacob, costi quel che costi.” Sentenziò Amabel. Poi lasciò la stanza, raccattò il cappotto e uscì di casa ignorando le urla di Evelyn che la supplicava di non fare sciocchezze. Salì in auto e guidò per un paio d’ore senza meta per meditare sul da farsi, in seguito si recò in comune.
 
Un cielo plumbeo inglobava la città di Birmingham, con molta probabilità sarebbe venuto a piovere nel pomeriggio. Amabel parcheggiò e si prese qualche minuto per fare dei respiri profondi. Un’auto si fermò davanti all’ufficio comunale e l’autista corse ad aprire lo sportello al sindaco. Dominic salutò alcuni passanti, poi si trattenne sulle scale per chiacchiere con due colleghi. Amabel attraversò la strada senza fare caso ai cavalli e alle altre auto, era concentrata sul bersaglio.
“Dominic.” Disse, e il sindaco si girò con un sorriso cordiale.
“Amabel, che bello vederti!”
“Io, invece, non sono contenta di vederti.”
“Non mi sembra il caso di discutere delle nostre divergenze.” Disse Dominic, la voce piatta, le spalle rigide. Amabel rise senza divertimento.
“Le nostre divergenze? Oh, no. Non si tratta di semplici divergenze, Dominic. Si tratta di te e di tuo fratello che pestate mia sorella.”
I colleghi di Dominic sussultarono a quelle parole mentre lui cercava di restare fermo nella sua posizione. Dominic fece loro cenno di entrare, e i due obbedirono.
“Non so di cosa parli. Scusami, ma in ufficio mi aspettano.”
Amabel lo afferrò per il bavero della giacca e lo strattonò costringendolo a scendere di un paio di gradini in modo che fossero alla stessa altezza.
“Tu sai bene di cosa parlo. Evelyn è sconvolta, è ferita, e crede di essersi meritata le botte.”
“Forse è così. – disse Dominic – Le puttane come te e le tue sorelle meritano di essere messe in riga.”
Fu allora che Amabel, colta da una furia cieca, gli tirò uno schiaffo tanto forte da lasciargli il segno delle dita sulla guancia. I dipendenti che stavano salendo e alcuni passanti osservavano la scena con espressione allibita.
“Credi che uno schiaffo possa camb …”
Dominic fu interrotto da un altro schiaffo, questa volta più forte. Amabel lo spintonò facendolo ruzzolare sulle scale e lo riempì di schiaffi. Dominic non si difendeva neanche, voleva che tutti lo vedessero come la vittima. Una guardia accorse per bloccarla ma Amabel lo spinse di lato.
“Signorina, basta!”
Dominic urlò di dolore quando Amabel gli graffiò il volto con le unghie, diversi rivoli di sangue gli imbrattavano il colletto della camicia.
Michael e Polly stavano passeggiando quando si accorsero della calca che accerchiava due figure. Polly assottigliò gli occhi e riconobbe il profilo della dottoressa.
“Quella non è la dottoressa Hamilton?”
Michael si affrettò a raggiungere l’altro marciapiede, poi si fece strada tra la folla a gomitate. La prese per il braccio e l’allontanò da Dominic. Amabel si divincolava e Michael dovette caricarla quasi di peso per spostarla.
“Io ti ammazzo! Hai capito? Non avrai lunga vita, Dominic!”
“Amabel, basta! Andiamo! Andiamo!” le disse Michael tirandola giù per le scale. Amabel si agitò tra le sue braccia fino a liberarsi e si sistemò il cappotto. Polly ghignava per il temperamento della dottoressa che sembrava tutto fuorché una capace di fare a botte.
“Venite, dottoressa, vi offro una tazza di the.”
 
Amabel mandò giù un sorso di the controvoglia. Detestava quella bevanda ma non voleva essere scortese nei confronti di Polly. Michael era tornato a lavorare, pertanto loro due erano rimaste da sole.
“Siete stata coraggiosa ad assalire il sindaco in pieno giorno. Voi mi piacete!” esordì Polly accendendosi una sigaretta. Amabel tossicchiò a causa del fumo. L’intera casa odorava di fumo e alcol.
“Non riesco a controllarmi quando toccano la mia famiglia. Devo proteggere le mie sorelle a tutti i costi.”
“Gli Shelby sono d’accordo con voi. La famiglia prima di tutto.”
“Già. Adesso dovrei andare, devo aprire lo studio. Oggi iniziano le vaccinazioni.”
Tommy aveva mantenuto la promessa: in poche ore avevano reperito i vaccini e li aveva già depositati nello scantinato dello studio medico. Polly sorrise da sopra il bordo della tazza.
“Tommy sembra molto affezionato a voi.”
“Di certo nutre un grande rispetto dopo che gli ho concesso la proprietà dello studio, dopo che ho permesso ad Arthur di vincere, e adesso che cerco di salvare i bambini del suo quartiere.”
“Io sono convinta che sotto ci sia dell’altro, mia cara dottoressa.” Disse Polly con quel suo tono di scherno. Amabel si alzò e si lisciò le pieghe della gonna, un modo per sottrarsi allo sguardo inquisitorio della donna.
“Ringrazio Michael per essere intervenuto e ringrazio voi per il the. Salutatemi Thomas e Arthur. Buona giornata, signora Gray.”
 
Diana preparò un’altra siringa di vaccino mentre Amabel chiamava il prossimo bambino. Avevano iniziato le vaccinazioni alle quattro di pomeriggio e ormai era diventata sera, ma loro continuavano senza pause. Il vaiolo stava dilagando in Inghilterra e le pessime condizioni di vita di Small Heath erano di sicuro terreno fertile per la malattia, perciò i bambini andavano vaccinati il prima possibile. Diana dopo la scuola aveva deciso di aiutarla pur di non tornare a casa e vedere Evelyn ricoperta di lividi. Bertha aveva il compito di tenere Evelyn chiusa in camera per non darle nessuna possibilità di incontrare Jacob, era meglio per tutti.
“Hai paura dell’ago?” domandò Amabel alla bambina che guardava con orrore la siringa.
“S-sì.”
“Ti prometto che non sentirai nulla. Sei una bambina coraggiosa. Dopo potrai anche scegliere il gusto di una caramella.”
Il viso della piccola di illuminò e scoprì il braccio per l’iniezione. Amabel sapeva che offrire caramelle era un’ottima soluzione. Diana applicò un cerotto sulla pelle della bambina, poi l’aiutò a scendere dal lettino e le allungò il cestino di caramelle.
“Quale preferisci? Io ti consiglio quella alla fragola, è davvero buona.”
“Posso averne due? Una per me e l’altra per la mia mamma?”
Amabel stava per rispondere quando la finestra esplose in una miriade di schegge. Fortunatamente nessuna delle tre si fece male dato che la finestra era collocata in alto. I bambini e le loro mamme nella sala d’attesa gridavano. Una donna irruppe nella stanza con i propri figli in braccio.
“Il Garrison è esploso! L’hanno fatto saltare!”
“Finn!” disse Diana. Amabel la bloccò prima che avesse la malsana idea di uscire.
“Resta qui con i pazienti. Non uscite per nessuna ragione!”
“Ma Finn …”
“Ci penso io a Finn! Ci penso io.”
Amabel si tappò il naso per il fumo eccessivo e la polvere che si mescolavano nell’aria. Il pub era completamente distrutto, i vetri si erano sparpagliati sull’asfalto, il legno bruciava rapidamente e le bottiglie di alcolici rotte alimentavano le fiamme.
“Dottoressa!”
Il sollievo investì Amabel quando vide Finn correre verso di lei.
“Stai bene, Finn?”
“Sì, solo qualche graffio. Dentro il pub c’erano anche Michael e i miei fratelli. Non riesco a trovarli.”
“Vai nel mio studio e fatti curare i graffi da Diana, poi resta con lei e badate ai bambini. Li trovo io i tuoi parenti. Vai!”
Finn lanciò uno sguardo triste alle sue spalle prima di rifugiarsi nello studio. Amabel rimosse travi, pietre e sedie in cerca degli Shelby. Trasalì quando udì la voce di Michael che abbaiava ordini ai Peaky Blinders.
“Michael!”
Il ragazzo aveva la giacca e i pantaloni strappati ma non riportava gravi ferite, eccezione fatta per qualche semplice taglio sulle mani.
“Dottoressa, qui è l’inferno.”
Amabel ricordò i tempi della guerra, quando la tenda si riempiva di feriti, di morti, di moribondi.
“Lo so. Dove sono Arthur e Thomas?”
“Arthur sta bene, sta cercando Tommy dove le fiamme non sono ancora arrivate.”
“Aiuto! Aiutatemi, cazzo!” strillò la voce di Arthur. Amabel e Michael lo videro recuperare il corpo di Tommy da sotto un pesante calcinaccio.
“Lasciatemi controllare.” Disse lei, scansando Arthur e Michael dal corpo di Tommy. Il polso c’era ma i battiti del cuore erano lenti, inoltre il respiro era debole. Una macchia di sangue si estendeva sulla camicia e Amabel, strappandogliela, notò un pezzo di legno conficcato nel fianco.
“Portatelo a casa, il mio studio è occupato dai bambini. Michael, vai a prendere la mia valigetta.”
Amabel seguì Arthur a casa di Polly con la testa che le doleva e lo stomaco si attorcigliava. Ada sobbalzò sul divano quando Arthur depositò Tommy sul tavolo.
“Che cazzo è successo?”
 “Quei bastardi hanno fatto esplodere il Garrison con noi dentro. Volevano ucciderci, cazzo!” sbraitò Arthur passandosi le mani tra i capelli.
“Adesso dobbiamo pensare a Thomas, perciò dovete fare come vi dico.” Disse Amabel, legandosi i capelli in una coda alla rinfusa. Ada strinse la mano di Tommy e gli accarezzò la fronte.
“Che vi serve?”
“Ho bisogno di una bacinella di acqua calda, di una bottiglia di alcol, di molti asciugamani e di un paio di forbici o pinze. Presto!”
Mentre gli altri si affaccendavano per trovare l’occorrente, Amabel liberò Tommy dalla giacca e dalla camicia per avere più facile accesso alla ferita. La pelle era nivea, costellata da diverse cicatrici e da due tatuaggi sul petto che risalivano alla guerra.
“Disgustoso.” Commentò Ada posando sul tavolo la bacinella di acqua.
“Sì, signorina Shelby, è disgustoso. Se non reggete la vista del sangue, vi consiglio di andarvene.”
Ada, sebbene fosse incerta, decise di restare. Non appena Arthur e Polly le consegnarono ciò che aveva chiesto, si sistemò i guanti che aveva indossato per i vaccini. Intinse l’asciugamano nell’acqua calda e ripulì il sangue per avere una visuale migliore della ferita.
“Dovete estrarre il pezzo di legno.” Disse Arthur ispezionando la ferita. Amabel inarcò il sopracciglio.
“Lo so, sono io il medico. Qualcuno vada a cercare Michael perché ho bisogno della mia valigetta.”
Polly fece un cenno ad Arthur e lui corse fuori dall’abitazione. Amabel disinfettò le pinze con il whiskey un paio di volte prima di afferrare la parte del legno che fuoriusciva.
“Una di voi due dovrà versare il whiskey sulla ferita mentre tiro fuori il legno. Chi si candida?”
Ada scosse energicamente la testa e chiuse gli occhi per non guardare, al che Polly iniziò a rovesciare l’alcol sulla ferita. Amabel lentamente estrasse il pezzo di legno, poi con due asciugamani tamponò il sangue che sgorgava. Trasalì quando Tommy spalancò gli occhi in preda al dolore.
“Cazzo!”
“Tommy, sta buono!” gli disse Polly, mettendo da parte la bottiglia vuota. Tommy, però, era lacerato dai dolori e cercò di mettersi seduto. Il sangue imbrattò del tutto le mani e i vestiti di Amabel, ma a lei poco importava. Tommy catturò la sua esile mano e la stritolò forte. Benché Amabel soffrisse, lo lasciò continuare.
“Signor Shelby, guardatemi. Concentratevi sulla mia voce. Non pensate ad altro. Pensate solo a me.”
La porta si aprì e un secondo dopo Michael piazzò la valigetta sul tavolo.
“E adesso?”
Avendo le mani impegnate, una a stringere quella di Tommy e l’altra a tamponare il sangue, Amabel dovette dare loro istruzioni.
“Nella tasca interna c’è una boccetta di morfina. Riempite una siringa e iniettategliela nel braccio. Sbrigatevi!”
“Amabel.” Mormorò Tommy con i denti digrignati per il dolore, accasciandosi contro la spalla della dottoressa.
“Andrà tutto bene, signor Shelby. Fidatevi di me.”
Quando la morfina fu in circolo, Tommy a poco a poco richiuse gli occhi crollando nel sonno. Amabel aveva la mano intorpidita a causa della stretta eccessiva di Tommy ma non aveva tempo per lamentarsi. Prese ago e filo e ricucì la ferita.
 
Tommy sbatté le palpebre un paio di volte prima di svegliarsi. Si trovava nella sua vecchia stanza a casa di Polly, riconobbe subito le pareti e il soffitto ingiallito. Avvertì una fitta intensa di dolore all’addome e imprecò a bassa voce. Rimase colpito quando vide la dottoressa Hamilton sonnecchiare sulla poltrona accanto al letto. Fuori era ancora buio, pertanto doveva essere notte fonda. Aveva ricordi confusi delle ore precedenti, ricordava il rumore dell’esplosione, il sangue, e la voce di Amabel che gli ripeteva di fidarsi.
“Signor Shelby, come state?”
Amabel sbadigliò strofinandosi gli occhi rossi di stanchezza.
“Sto bene, presumo.”
Tommy fece ricadere la testa sul cuscino e si morse le labbra per il dolore pungente. Amabel si sedette sul letto per controllare la ferita.
“Beh, vi ho iniettato una dose abbondante di morfina per mettervi fuori gioco. Comunque, la ferita ha un bell’aspetto, non era profonda e l’abbiamo curata in tempo. Fra tre giorni sarete come nuovo.”
“La vostra mano, dottoressa. Devo avervi fatto male prima.”
Amabel gli mostrò la mano perfettamente sana con un sorriso, era gentile da parte sua preoccuparsi per lei.
“Le mie mani sono abituate ad essere stritolate. Sapete, noi medici lavoriamo con le mani!”
“Allora avete bisogno di qualcuno che vi accarezzi le mani ogni tanto, anziché stritolarle.” Replicò Tommy sfiorando le mani di Amabel quasi impercettibilmente.
“Dovrei tornare a casa, è molto tardi.” Disse lei cambiando discorso, anche se le sue mani formicolavano dopo quella lieve carezza. Il pendolo accanto alla porta segnava le due del mattino.
“Capisco. Siete stata fin troppo gentile ad intrattenervi tanto a lungo con me.”
“E’ il dovere di un medico, signor Shelby.”
Quando Amabel si alzò per infilarsi il cappotto, Tommy vide il proprio sangue macchiare i suoi abiti. Gli venne in mente la notte in cui lei gli salvò la vita, e dovette deglutire per non parlarne.
“I vostri abiti sono sporchi del mio sangue, mi impegno a pagarvi la lavanderia.”
“Non importa, li butterò.”
Tommy avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa, pur di farla restare, ma non gli sembrava il caso. Non poteva complicare ulteriormente la sua vita per una donna.
“Grazie per avermi aiutato stasera.”
“Prego, signor Shelby. Cercate di riposare. Buonanotte.”
“Buonanotte a voi, dottoressa.”
Amabel era sul punto di uscire quando maledì sé stessa per quello che stava per fare. Diana era stata accompagnata a casa da Finn, e lei poteva spendere qualche minuto in più.
“Devo parlare con voi di una questione.”
Tommy si sedette sul bordo del letto con qualche difficoltà e tese una mano per invitarla ad accomodarsi sulla poltrona.
“Di che si tratta?”
“Dominic e Jacob Cavendish hanno maltratto mia sorella ieri sera. Questa mattina ho aggredito Dominic sulle scale del municipio e mi sono fermata solo grazie all’intromissione di vostro cugino.”
“Lo so. Michael me lo ha raccontato. Volete che i Peaky Blinders diano una lezione al sindaco e a suo fratello? E’ una richiesta rischiosa.”
“Non vi sto chiedendo questo.”
Tommy aggrottò le sopracciglia, non gli piaceva la serietà di quel discorso. Amabel era visibilmente tesa e questo era un cattivo presagio.
“E cosa mi state chiedendo?”
“Io vorrei che Michael si fingesse interessato a mia sorella. Evelyn vuole ancora sposare Jacob per colpa dell’influenza di nostra zia Camille, ma voi capite bene che non posso permetterglielo. Se Michael facesse innamorare Evelyn, allora ci sarebbe una speranza che lei annulli il matrimonio.”
“Voi volete che vostra sorella si innamori di Michael? Mi prendete in giro.”
Tommy scavò nel comodino alla ricerca di una sigaretta, però la mise in bocca senza accenderla.
“Sì, esatto. E’ l’unico modo che ho per non perdere Evelyn. Michael dovrà semplicemente recitare, fingere di essere innamorato di lei, nulla di più. Vi supplico, signor Shelby. Non ve lo chiederei se non fossi disperata.” Disse Amabel, gli occhi umidi, le labbra frementi.
“E se vostra sorella finisse per provare dei veri sentimenti per Michael? Questo le spezzerebbe il cuore.”
“Meglio un cuore spezzato che mia sorella in una bara.”
La fermezza di Amabel scosse Tommy, non aveva mai visto nessuno tanto risoluto.
“Ne parlerò con Michael e vi farò sapere. Non vi assicuro nulla per ora.”
“Che cosa volete in cambio?”
“Mi avete salvato stasera, il vostro debito con me è già saldato.”
“Bene.” disse Amabel, alzandosi nuovamente per andarsene. Si arrestò con la mano sulla maniglia quando Tommy parlò.
“Sarà sempre così tra di noi due, dottoressa? Uno scambio continuo.”
“Chissà cosa ha in serbo per noi il futuro, signor Shelby. Chissà.”
Detto questo, rivolgendogli un ultimo sguardo, svanì nel corridoio buio.
 
 
Salve a tutti!
Beh, sembra proprio che Tommy sia il paziente preferito di Amabel. Chissà se Michael accetterà l’offerta riguardo ad Evelyn.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
 
Ps. Colgo l’occasione per ricordarvi che qualsiasi forma di violenza contro le donne, sia fisica sia verbale, non è concepibile. La violenza non è mai amore, è solo una malattia e va debellata.

 
  
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