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Autore: James Harry    23/04/2019    1 recensioni
Suor Angela ha fatto una follia: preso con sé il piccolo Mattia, si è andata a nascondere da Pietro, il medico. Ora lei è alla macchia, in preda ad una crisi di vocazione e di fede, e come se non bastasse anche Pietro rischia di essere incriminato, per complicità nel sequestro di minore! Lorenza (nome di suor Angela prima dei voti) sarà capace di accettare il fatto che a volte la vita ci porta a prendere strade che non avevamo previsto? In fondo, forse c'è ancora un modo per tornare all'Amore... abbandonarsi all'amore!
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Suor Angela
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era sera. Erano già tre giorni che si nascondevano nella sua casa al mare. Lorenza – ormai non gli veniva neanche più troppo difficile chiamarla così – aveva ricevuto qualche chiamata dal Convento, ma non aveva mai risposto. Ancora nessun carabiniere si era affacciato alla loro porta. 
Al momento, mentre lei metteva a letto il bambino, lui stava lavando i piatti. Alle sue spalle, nel salottino collegato alla cucina, la televisione andava su Rai 1.
  • “A volte vorrei che la mia vita avesse la prevedibilità di una serie Tv”. 
Non si era accorto che Lorenza era tornata in salotto. Si voltò verso di lei, e vide che stava guardando lo schermo, dove andava una vecchia replica di don Matteo. 
  • “Dici davvero? Una come te, che fa sempre quello che vuole, non si sentirebbe in gabbia, in una serie TV in cui sia sempre tutto prevedibile?”
Lei gli rivolse un mezzo sorriso.
  • “Forse hai ragione, Pietro… però, eddai, guarda don Matteo: lui fa sempre la cosa giusta! Alla fine dell’episodio è sempre riuscito a risolvere il mistero, convertire il peccatore e… Beh, a volte alcuni miei studenti capitava che mi dicessero che gli assomigliavo. Suor Costanza, a volte, mi rimproverava dicendomi di smettere di fare ‘la don Matteo di turno’, ed io ne ero sempre contenta! Solo che don Matteo non ha mai fallito come sto fallendo io ora…”
  • “Beh, certo, finché prendi come esempio di prete investigatore quello di una serie della Rai, l’esito tende ad essere piuttosto scontato e ripetitivo. Ma nella letteratura ci sono anche esempi più sofisticati di Terence Hill… come padre Brown, di Chesterton” La interruppe Pietro. 
  •  “O frate Guglielmo da Baskerville, di Eco!” stette al gioco lei. 
  • “Ah ah, ecco, ecco! Guglielmo da Baskerville, ad esempio, alla fine fallisce clamorosamente: la biblioteca è distrutta.”
  • “Già, beh, però non è sua la colpa. Non è lui a rubare il secondo libro della Poetica e non perde la fede in Dio a causa dei suoi fallimenti”. Commentò amara lei. 
Pietro, che nel frattempo aveva finito di asciugarsi le mani dopo aver lavato i piatti, non rispose. Fece invece qualche passò verso un certo armadio: è dove teneva le scorte dei superalcolici. Vodka, amaro, whisky, gin… Un gin? Troppo forte per una suora, forse… Beh, ma non era più una suora, no? Gin, dunque! Prese anche due bicchierini. Lei lo guardava curiosa. 
  • “Ho capito che qui i discorsi si fanno seri, e quindi ci vuole dell’alcool”. Si spiegò Pietro, andandosi a sedere sul divano e facendole cenno di raggiungerlo.
  • “La sua è una prescrizione medica, dottor Santoro?” scherzò lei, sedendosi al suo fianco.
  • “Precisamente. Ti ho capita, sai, tu vuoi costringermi a parlare di fede, Dio, vocazione e altre stramberie del genere… ebbene, se sragionare dobbiamo, è meglio sragionare bevendo: almeno non si ha l’aggravante di essere totalmente sobri!”
  • “Ahah, molto simpatico, Pietro, proprio simpatico! E comunque, non ho mai detto di volerti costringere a parlare di…”
  • “Ma no, ma no – interruppe lui, lieto di averla fatta inviperire – non mi costringi affatto, dicevo per dire. Avanti, parliamone.”
  • “Di cosa?”
  • “Ma di questo tuo problema di fede, no? Sinceramente, Lorenza, non sono certo di averti capita veramente. Quindi ora beviti il tuo gin e… spiegami con calma”. 
Lei lo guardò un po’ sorpresa. Quindi, distolto lo sguardo, cominciò a parlare: 
  • “È capitato molte volte, nel corso degli anni, che Dio non esaudisse le mie preghiere. A volte erano scemenze - del tipo ‘ti prego fa che suor Costanza non si accorga che sono in ritardo alle Lodi”, lei ovviamente se ne accorgeva, ma non è che me la prendevo con Dio per il fatto che io sono pigra e lei fin troppo sveglia per la sua età… Altre volte erano anche cose serie, quando ad esempio pregavo per persone in difficoltà o per le mie ragazze o altro. Anche qui, non sempre ero esaudita. A volte le cose andavano male, ed ero triste. A volte ero perfino arrabbiata, con il Signore. Eppure ho sempre saputo che il nostro Dio non è una Juke-Box in cui inserisci la monetina, clicchi la canzone che vuoi e questa parte. ‘Il Signore opera in modi imperscrutabili’, ‘Dio scrive dritto anche su righe storte’… mi consolavo con queste frasi, pensando dentro di me che alla fine l’amore avrebbe vinto. Magari non subito, magari non nel modo in cui avevo sperato, ma l’amore vince sempre… no?”
Un sorriso amareggiato comparve nel suo volto. 
“Ovviamente, non sono così ingenua da non aver sempre saputo che alle volte il bene non trionfa in questo mondo. Alle volte non c’è un lieto fine, a volte a vincere pare essere la morte. Ma la speranza cristiana è anche questo: ‘spes contra spem’, sperare al di là di ogni speranza. La mia fede negli anni è stata messa alla prova, però avevo imparato che si crede anche nella croce, anche nel mistero, anche nonostante l’assurdo, anche nel fallimento. La mia fede era più forte dei dubbi, più resiliente delle prove…” 
Pietro non riuscì a fare a meno di interromperla:
  • “Ma allora… non capisco! Che cosa ti ha tanto sconvolta da scuotere una fede del genere?”
Lei non rispose subito. Poi…
  • “Non saprei dirti di preciso. Forse è stato più un insieme di cose. Credo che tutto sia cominciato con l’incidente che ha portato via la vita a Guido e a Davide, la famiglia che Azzurra era riuscita a creare e che, credevo, il Signore le aveva donato. Gli incidenti capitano, ovviamente sono sempre una tragedia, e però non sono colpa di Dio. Il male non è colpa di Dio... Benché non sia neanche sempre colpa dell’uomo, però, non credi? Guido ha avuto un piccolo malore, doveva essere stanco per il troppo lavoro, e la macchina ha sbandato. Come faccio a dare la colpa a Guido? Eppure non è colpa neanche di Dio! O forse lo è di entrambi? Guido poteva lavorare meno e Dio poteva fargli venire quel piccolo malore in un momento in cui non stava guidando? Non saprei. Ad ogni modo… perché toglierli ad Azzurra, subito dopo averglieli donati?”
Lorenza parlava e parlava, e Pietro era rapito. 
  • “Mi rispondevo che è pur sempre ‘meglio aver amato e perso, che non aver amato mai’. E tuttavia… a qualcosa non sapevo proprio rispondere. Perché Davide? Un bambino, Pietro… un bambino! Che colpa hanno i bambini? L’ho chiesto al mio Gesù. Gliel’ho chiesto così tante volte, nei giorni che seguirono l’incidente. Gli ho detto: ‘Signore, perché?’ E poi: ‘Signore, cosa posso dire ad Azzurra? Come posso sostenerla nel suo dolore, se anche io sono lacerata da esso? Cristo sostienimi. Dio, dammi la forza, perché io non ne ho più’. Lui non rispondeva”.
Guardò Pietro con un mezzo sorriso. 
“Ora… Non prendermi per scema! Lo so che non si può parlare col crocifisso come ci parlava don Camillo, a tu per tu! Lo so che non poteva rispondermi in maniera diretta…”
  • “Ah non saprei” le fece Pietro, strizzandole l’occhio “se c’è qualcuno da cui sarei pronto ad aspettarmelo, quella saresti tu: quando ti impunti sei una tale lagna che…”
  • “Ah ah, proprio simpatico”
 Ribatté lei, divertita, prima di tornare seria e riprendere il discorso.
“Quella volta… Sperimentai il silenzio di Dio, Pietro. È una cosa che speravo di non dover affrontare, nel corso della mia vita, eppure ero pronta. Lo sai che si dice che persino santa madre Teresa non riuscì più a sentire Dio, da un certo punto della sua vita in poi? Eppure continuò, instancabile, a servirlo nel povero, nel lebbroso, nel moribondo. Mi dicevo che potevo farcela pure io, anche nel silenzio di Dio, anche senza Dio. E così ho cercato di fare, per un po’ forse riuscendoci. Ho stretto i denti e tirato avanti. Sono stata vicina ad Azzurra nel suo dolore, caricandomi anche della sua croce, benché non sapessi sostenere nemmeno la mia. È stata dura. In questi mesi mi sono spesso sentita affaticata. La minima cosa mi sembrava insormontabile. Dal lavare i piatti allo svegliarmi per le lodi, passando per l’andare all’ospedale e fare il catechismo. Mi sentivo sempre così stanca, e così sola, come se Lui mi avesse lasciata. ‘Signore, ci sei? Dove sei? Perché mi hai abbandonato?’ Nessuna risposta”.
Lorenza si fermò. Cercò di bere un altro sorso di gin, ma il bicchiere era ormai vuoto. 
Pietro riaprì svelto la bottiglia, versando altro gin a entrambi. Lei mormorò un “grazie”, poi riprese a parlare. 
“E poi c’è stato il caso della bambina con il cancro. È stata così dura starle vicino, in questi mesi. Così dura! Quando finalmente si è trovato un donatore, ho creduto che fosse la risposta di Dio che stavo tanto aspettando: ‘Allora ci sei, Signore! Ero io che non riuscivo a vederti, ma tu c’eri, stavi solo aspettando il momento opportuno per rivelarti!’. Così pensai… Ma ero una stupida, ed un’illusa. Ero così contenta di aver potuto trovare una risposta semplice ed immediata al mio problema, che non ero minimamente preparata a ciò che accadde dopo…”
 
La voce di Lorenza si spezzò. Ma non occorreva parlare: Pietro sapeva a cosa si riferiva. A quella terribile mattina di alcuni giorni prima, in cui lei aveva scoperto ciò che lui già sapeva, ovviamente: la donazione non era un dono della Provvidenza… ma l’ultimo lascito di un altro bambino, morto sotto una macchina. Ricordava di aver eseguito il trapianto lui stesso, con un enorme sforzo di volontà per restare concentrato e non piangere. Ma per Angela, Lorenza, quella scoperta era stata drammatica. Gli si era lanciata contro, disperata, gridando ‘Non avevo pregato per questo! Non Ti avevo chiesto questo!’, rivolgendosi al suo Dio, ma piangendo sulla sua spalla. 
 
Lei riprese a parlare. 
“Ormai ero spezzata, Pietro. Ho tirato avanti qualche altro giorno per pura inerzia, saltando le lodi, cercando di dire a me stessa che la mia verso Dio era rabbia, mentre invece era ormai più che altro disperazione. E poi… sai come dice il detto? ‘Piove sempre sul bagnato’. Beh, nei giorni scorsi, molte altre cose hanno cominciato ad andar male. Ginevra mi ha accusato di non averla seguita come direttrice spirituale, suor Costanza mi stava addosso per l’ufficio delle ore che saltavo… avevano ragione entrambe, naturalmente, ma non ci potevo fare niente… e poi Nico ha scoperto che io lo avevo ingannato sulla madre di Mattia. L’avevo fatto per il suo bene, speravo Nico potesse imparare ad amare il bimbo. Ma non si ama come i cani di Pavlov, per abitudine coercitiva! Nico ha paura di amare Mattia, e la paura è la tomba dell’amore, il suo opposto, la sua negazione. Mi ha accusata di aver cercato di scegliere per lui. Forse aveva ragione. Poi mi ha detto che avrebbe portato il bimbo in una comunità”. 
Lorenza fece una pausa, quindi guardò Pietro dritto negli occhi: 
“Per me, fu la goccia che fece traboccare il vaso. Non sapevo più molte delle cose che credevo di sapere, su Dio, su di me, sulle mie scelte, la mia vocazione… Ma una cosa, un’ultima cosa, la sapevo ancora: non avrei lasciato che fosse Mattia a portare la croce. Non sarebbe cresciuto infelice, solo perché suo padre era un vigliacco egoista, io troppo debole per convincerlo ad assumersi le sue responsabilità e Dio troppo occupato a non occuparsi di noi per aiutarmi nel ristabilire la giustizia infranta. No, almeno Mattia non avrebbe sofferto. Lo dovevo a lui, lo dovevo a quel bimbo morto per donare un organo all’altra ragazzina, lo dovevo a Davide. Mattia è un bambino, Pietro, non merita di crescere senza amore solo perché gli adulti e questo mondo crudele non glielo vogliono dare. Non fintantoché io potevo oppormi. Non fintantoché io posso oppormi!” 
Le ultime parole le disse con forza, con rabbia. 
Pietro la guardò, poi distolse lo sguardo e disse: 
  • “Lo sai, chi mi ricordi?”
Lorenza gli rivolse uno sguardo indagatore.
 “Mi ricordi uno dei miei personaggi preferiti della letteratura russa. Hai mai letto I Fratelli Karamazov?”
Parve spiazzata. 
  • “Di Dostoevskij?”
  • “Precisamente”.
  • “A dirti la verità, no. Ho letto Anna Karenina però, quando ero alle superiori: non mi ricordo granché, solo che ho pianto come una fontana per il suo suicidio. Non so se potrò mai perdonare il conte Vronsky per averla sedotta e poi fatta sentire abbandonata, da bravo uomo egocentrico e inaffidabile…”
  • “Via, via, non è il momento adatto per una tirata femminista!” scherzò Pietro. 
  • “Èsempreil momento adatto per una tirata femminista!” rispose lei, ridendo.
  • “Te lo concedo, ma comunque… io parlavo di Ivan. Ivan Karamazov. A un certo punto, lui e suo fratello minore Aleksej hanno una discussione. Ivan è un nichilista, un intellettuale ateo. Aleksei è un giovane novizio, pronto a diventare monaco ortodosso. I due si misurano su Dio. E Ivan, in una delle pagine più drammatiche che io abbia mai letto, dice qualcosa di non molto diverso da te, Lorenza (http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaD/Dostoevskij_02.htm)”.
Lei lo guardò, stringendo gli occhi. 
  • “E tu, Pietro, tu cosa pensi?”
Lui ricambiò lo sguardo. Bevve un altro sorso di gin. Poi rispose. 
  • “Io… ho perso la fede insieme alla mia dignità, quando non riuscii a curare un bambino dal cancro, benché ne fossi io il medico curante”.
  • “Ma non era colpa tua! Sono certa che devi aver fatto tutto il possibile per salvarlo…”
  • “Oh no, Angela. Fu colpa mia”.
  • “Fatico a crederci. Sei sempre così scrupoloso, nel tuo lavoro! Eppure, anche se fosse… perché perdere anche la fede?”. 
Lui si prese qualche secondo, prima di rispondere. Non parlava mai di questo argomento, con nessuno, da quando la sua ex moglie lo aveva lasciato. Eppure… eppure Lorenza con lui si era aperta tanto. Era lì, lo guardava, sinceramente interessata alla sua vita. E lui… lui si sentì di potersi fidare di lei. Forse, per una volta, per la prima volta, aveva trovato qualcuno con cui poter condividere, almeno per un po’, il suo fardello più grande? 
  • “Perché, benché la colpa fosse mia ed interamente mia, nessun Dio d’amore avrebbe mai potuto lasciare che accadesse quanto accadde allora. Vedi… quel bambino, di cui io non mi accorsi del tumore in stato avanzato se non quando era ormai troppo tardi perché le cure avessero effetto… Quel bambino… era mio figlio”.
La voce gli tremava, ma non una lacrima scese sulla sua guancia. Da quanti anni aveva disimparato a piangere? Si voltò verso Lorenza. Lei lo stava guardando con uno sguardo ardente. Lacrime silenziose ne rigavano il volto. Poi, fece qualcosa che Pietro non si aspettava. Deposto il bicchiere, gli posò la testa sulla spalla, i lunghi capelli lisci, ormai da giorni liberati dal solito velo, sciolti. 
Quella notte, si addormentarono così: vicini. 
   
 
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