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Autore: Corydona    23/04/2019    0 recensioni
Come in una partita a scacchi, due fazioni si ritrovano schierate l'una contro l'altra, pronte a dichiararsi una guerra che entrambe non vorrebbero. Da un lato gli Autunno, la cui potenza sembra inarrestabile, dall'altra i Primavera-Inverno, che possono contare su un'influenza senza eguali.
Una situazione di apparente stasi: apparente, perché nell'ombra i sovrani cadono e le successioni al trono sembrano più complicate del previsto. La guerra sarà dichiarata? Termineranno i regicidi? Quale delle due parti avrà la meglio?
Un'antica profezia annuncia la disfatta degli Autunno: si realizzerà? O rimarranno solo vaneggiamenti di un passato caduto nell'oblio?
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Selenia '
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(Capitolo revisionato)

La Millenaria attraccò nel porto al primo albeggiare, quando da oriente i primi raggi giungevano fiochi lungo la linea dell'orizzonte marino. La traversata verso il continente era stata serena e scevra di inconvenienti: il vento aveva soffiato regolare, le navi incontrate lungo la rotta erano perlopiù mercantili che facevano la spola tra il porto di Punta Salina e quello più meridionale del Defi.

Il capitano guardò con un sospiro il principe Dal Mare scendere insieme al suo seguito dalla nave: il giovane sembrava avere una gran fretta di giungere a Mitreluvui, chissà per quale occulta ragione.

Dante lo aveva salutato poco prima, ringraziandolo per l'ospitalità e riempiendolo di complimenti sull'efficienza del viaggio a bordo della Millenaria: nessuno lo aveva infastidito in alcun modo, né gli uomini della sua scorta avevano avuto dissidi con l'equipaggio. Era stato un piacere constatare tale sintonia, aveva concluso.

«Capitano, le merci sono pronte per essere scaricate a terra» lo informò il suo secondo, mentre Virgilio continuava a seguire i movimenti del Dal Mare dalla posizione di timoniere. Il principe si dirigeva alla scuderia adiacente la locanda, che metteva qualche modesto cavallo a disposizione dei viaggiatori, dietro pagamento congruo; forse Dante avrebbe affittato una carrozza per proseguire fino alla sua destinazione.

Il capitano scosse la testa, come allontanando quelle sterili riflessioni. «Scaricate, allora» comandò all’altro. «Angelo, di’ al nostro uomo che scendo io per trattare la vendita.»

Quello annuì e si allontanò repentino, così come era giunto, trasmettendo l'ordine agli altri marinai, mentre Virgilio lo osservava con un velato sorriso. Il capitano si fidava di lui, ma percepiva qualcosa di negativo per il suo futuro, qualcosa che prima o poi avrebbe finito per coinvolgere lui stesso. Difficilmente avrebbe saputo dire di cosa si trattava, anche se il suo pensiero si soffermò sul frammento irregolare di ametista che il suo secondo gli aveva portato dopo alcuni mesi trascorsi nel continente, nelle terre più settentrionali, al confine tra Agloeto e Nutixa: luoghi la cui lontananza gli faceva provare un brivido freddo. Immaginò le grotte nascoste tra gelide montagne, la fatica di umili minatori per riportare alla luce quelle pietre dai poteri sconosciuti. Era proprio grazie a quel frammento livido riportato da Angelo se la Millenaria riusciva a solcare i mari al triplo della velocità rispetto a qualsiasi altra nave, potere che Virgilio aveva deciso di utilizzare in maniera saggia, incrementando i propri traffici per donare a chi fosse più povero o bisognoso il proprio aiuto, in ogni sua sfumatura.

Ricordava la fame, il capitano, il maltempo che aveva devastato le campagne dei regni meridionali del continente, i sacrifici dei genitori, che chissà come riuscivano a raccogliere dall'orto del cibo per sfamare i due figli. Perciò aveva scelto la via del mare: era fuggito da casa all'età di appena undici anni, senza fornire una spiegazione, senza lasciare un addio, nemmeno alla sorellina, che ricordava addormentata sul pavimento e raggomitolata in logore coperte. Si era diretto di corsa verso il porto, chiedendo informazioni sul percorso lungo la strada, e una volta giunto lì era rimasto affascinato dalle dimensioni delle navi, dall'ampiezza delle loro vele che altro non attendevano se non di essere spiegate e sospinte dal soffio del vento.

Virgilio scese dalla Millenaria, dirigendosi spedito verso i barili colmi di spezie che aveva importato dal Pecama, allontanando il corso dei malinconici ricordi. Raggiunse un uomo dal fisico minuto, cui una larga cintura di stoffa pregiata cingeva la veste attorno al tozzo corpo, riempito di frequenti e lauti pasti, come testimoniava la pancia abbondante. Una barbetta grigiastra gli decorava il viso, come un vezzo a cui il commerciante non avrebbe rinunciato con facilità, mentre sul capo senza capelli si rifletteva la luce del primo sole. I calcolatori occhi scuri si posarono sul giovane capitano, che gli si avvicinava con il suo solito e cordiale sorriso. Il ragazzo aveva mostrato di essere portato per gli affari e così si era guadagnato il rispetto e la stima di uomini molto più anziani di lui.

«Eccoti pronta la merce!» esclamò, con un’allegria davvero insolita per tanti avventori portuali; ma chiunque avesse avuto a che fare con Virgilio Gredasu aveva smesso da tempo di stupirsene.

«Ho aperto qualche barile per controllare la qualità, spero non ti dispiaccia» gli disse l’altro, affabile.

«Maggiorana, peperoncino e zenzero!» indicò il capitano con un sorriso e annuendo. Picchiettò su un barile con il pugno chiuso. «Con questi farai felici molti cuochi di corte, credimi!»

«Ti credo, ti credo» asserì l’uomo, bonario. «Ma a quale prezzo avrò queste meraviglie?»

Virgilio non ebbe bisogno di riflettere, prima di pronunciare la risposta. «Ho bisogno di pane fresco, da inviare a Tisle, tra i poveri.»

«Se la regina sapesse che aiuto gli anarchici, non comprebbe più da me» obiettò il mercante, senza esitare.

Il capitano non si scompose a quelle parole; anzi, allargò il sorriso sul suo volto. La regina era un problema, ma facilmente aggirabile, così come lo erano le sue truppe stanziate al confine. «Alcina non saprà mai del tuo coinvolgimento. Porta uno dei miei uomini con te, penserà lui a far arrivare quel pane nel Pogudfo senza incidenti. Intesi?»

L'uomo accettò, con un cenno lieve del capo. Virgilio sorrise con maggior convinzione e si voltò per chiamare uno dei marinai che era giunto con lui dall'isola meridionale e che aveva in precedenza istruito sul da farsi e questi si mise all'istante al servizio del commerciante, che stava dando disposizioni ai suoi uomini per caricare la merce su un carro.

Virgilio si congedò con garbo da lui, augurandogli una buona giornata e buona fortuna con le vendite in città, ed entrò nella locanda adiacente al porto. Aveva un tacito accordo con i gestori di quel luogo: garantiva loro rifornimento di cibo di qualità e in cambio questi gli permettevano di gestire i suoi traffici, più o meno legali, senza ostacolarlo; se i funzionari reali avessero provato a indagare, sarebbero stati ingannati con un finto racconto sull'identità dell'attivissimo capitano della Millenaria. Il giovane, dunque, si avvicinò al bancone, chiedendo un semplice bicchiere d'acqua; l'uomo che in quel momento rovistava tra le bottiglie per soddisfare i desideri degli avventori gli aveva concesso anche di potersi servire gratuitamente ogni volta, ma Virgilio non voleva che le scorte di bevande pregiate venissero toccate per lui: preferiva che i locandieri traessero reale profitto dall'amicizia che nel tempo avevano costruito.

«Ti cercava un tale» bisbigliò qualcuno al suo orecchio. Il capitano si voltò, ritrovandosi a puntare i suoi occhi in quelli scuri del suo secondo. «Ha lasciato detto che è nel bosco qui vicino.»

Virgilio annuì, prima che gli venisse offerto il solito bicchiere di acqua fresca. All'udire che si trovava nel bosco, aveva subito compreso chi era il "tale" a cui Angelo aveva fatto menzione. Era tempo che non aveva sue notizie, tanto da temere che fosse stato catturato o che le sue attività pericolose lo avessero condotto alla morte. Tuttavia non sapeva se essere sollevato o meno della sua presenza lì; il loro ultimo incontro sembrava quello di un definitivo addio e, dopo lunghi mesi, aveva iniziato a immaginare di non rivederlo più.

Posò il bicchiere vuoto sul bancone, con il legno che ne assorbì il tintinnio, prima di rivolgere un gesto di saluto al locandiere. Di nuovo in missione, di nuovo c'era bisogno di lui.

Fuori dalla locanda l'operosità di solerti giovani rumoreggiava per le casse trascinate o posate con malagrazia a terra, mentre l'aria era già pregna dei più vari odori, da quelli forti di alcuni cibi, del pesce pescato, di carne conservata con sali, a quelli che con più delicatezza solleticavano le nari, come i sali da bagno provenienti dal Rosonembro, passando per quello acre del sudore e per quello della salsedine. Virgilio camminò attorno alla locanda, prima di inoltrarsi tra i primi alberi della piccola boscaglia, badando che nessuno facesse caso a lui.

Lo vide seduto su un masso, in allerta, come montando la guardia: la mano accarezzava nervosa l'elsa di una spada, una spada che il capitano ben conosceva, mentre gli occhi scuri guizzavano da una parte all'altra, come se avesse udito i passi di colui che arrivava, temendo un nemico.

Virgilio vide un giovane steso sulla terra, resa umida dalla vicinanza del mare e di un fiumiciattolo che scorreva poco distante. Era avvolto da un panno lungo di tela, come per ripararsi dal fresco della notte, mentre al suo fianco un uguale tessuto era abbandonato. Il giovane suppose che ci fosse un'altra persona, un ospite illustre al momento assente... che forse stava approfittando della vicina acqua fresca per ripulirsi dalle vestigia del sonno. La figura ancora distesa gli dava le spalle, ma lui non credeva di conoscerla; e sapeva bene che Arturo viaggiava in compagnia molto di rado, solo se costretto. Il capitano si avvicinò al mercenario, che istintivamente gli puntò la spada alla gola.

«Bel modo di accogliere» commentò Virgilio, sarcastico. «Credevo che mi stessi cercando.»

L'altro, scrollando le spalle, ripose la spada nel fodero, che aveva abbandonato su un masso più piccolo. Non era mai stato molto affabile, a differenza del capitano della Millenaria, e l'aria presuntuosa con cui Flora gli aveva annunciato che sarebbe andata a lavarsi lo aveva contrariato già di primissimo mattino. L'aveva sentita agitarsi nel sonno per tutta la notte, mentre montava la guardia; di certo la fanciulla di sangue nobile aveva passato una delle peggiori nottate della sua vita, troppo ben abituata al materasso imbottito, ai cuscini di piume d'oca e alle fragranze degli incensi con cui profumava la propria camera. Al suo risveglio si era accorta che l'odore aspro del proprio sudore non l'aveva ancora abbandonata e aveva ritenuto opportuno liberarsi della sensazione di sporcizia con quanto aveva a disposizione: semplice acqua di fiume.

«Ho una missione importante» mormorò Arturo, lanciando un’occhiata al compagno di viaggio addormentato. «E delicata.»

«Quindi ti sei rivolto a me…» constatò Virgilio, apatico. Non riusciva a provare risentimento, la sua bontà d’animo era più forte della delusione per aver visto il vecchio compagno di avventure al servizio di gente spregevole. Fu l’incertezza del suo stato d’animo a renderne la voce atona.

«Devo portare Flora Primavera nel Pecama» rivelò in un soffio il mercenario, quasi in difficoltà nel dover pronunciare tali parole. Non voleva che la notizia giungesse ai sovrani e gli sembrava che persino il vento potesse divulgare il suo tradimento. «Solo tu puoi garantirmi discrezione.»

«Flora Primavera, nel Pecama» ripeté il capitano, abbassando lo sguardo, riflettendo. Quella segretezza avrebbe dovuto allarmarlo, ma così non era: Virgilio stava pensando a come poter trasportare la conosciutissima nobile sulla sua nave senza che gli altri avventori del porto se ne accorgessero. Forse sarebbe bastato nasconderle i capelli all’interno di un cappuccio e coprirle il volto: non era inusuale che lui trasportasse ospiti segreti e nessuno si sarebbe preoccupato neanche quella volta.

«Posso fare in modo che tu abbia un compenso» disse Arturo, in modo da cercare di convincerlo.

«Non voglio nessun compenso» ribatté Virgilio. «Devo molto al Defi, e se la principessa ha bisogno di me, non ho che da mettermi al suo servizio. Non ho bisogno di essere pagato perché faccia bene il mio lavoro.»

Il mercenario sospirò, senza controbattere, dando la possibilità all’altro di rincarare la dose.

«Al contrario di te, io non mi schiererò mai dalla parte di Raissa.»

Arturo puntò lo sguardo dritto negli occhi del capitano, umiliato da quelle parole. Per sua fortuna Claudio era ancora addormentato, e Flora lontana al fiume.

«Io non mi sono mai schierato dalla parte di Raissa» assentì, cercando di controllare il tremolio rabbioso della sua voce. Era il suo segreto, gli altri non dovevano venirne a conoscenza; ma essere insultato a quel modo apriva nel suo animo profonde ferite. «Ci sono cose che non sono tenuto a spiegarti, ti basti sapere che agisco come ritengo più opportuno.»

«O a seconda di chi ti paga meglio» precisò un’insopportabile voce femminile. Flora era appena tornata, con il viso e le braccia ancora umide, la veste marroncina schizzata di gocce d’acqua. I capelli le ricadevano scomposti sulle spalle e sulle braccia chiare, non toccate dalla luce solare.

Virgilio la ammirò pieno di meraviglia, osservando stupefatto come i racconti sulla sua divina bellezza non le rendessero pienamente giustizia. Non gli era mai capitato di vederla, neanche quando era ancora a Nilerusa, per un veto posto alla sua famiglia di non incontrare mai i regnanti. Un patto sancito con il sangue colpevole dei suoi antenati. Il capitano sapeva che violare quella sacra concessione fatta ai Gredasu perché sopravvivessero avrebbe condotto il trasgressore alla rovina; tuttavia, a suo modo di vedere, lui non faceva parte della propria famiglia ormai da anni.

Rivolse un piccolo sorriso e accennò un inchino di riverenza di fronte alla figlia dei sovrani, che in assenso abbassò lievemente il capo, prima di parlare di nuovo al mercenario.

«Credo che tu debba delle spiegazioni non a lui, ma a me.»

Arturo abbassò la spada con un sospiro, prima di gettarla a terra con un gesto scocciato. Che la principessa guardasse pure la sua arma e l’austero stemma che vi era inciso: non gli era stata donata dalla figlia mediana degli Autunno. «Vi posso giurare che io non ho mai accettato del denaro per servire Raissa Autunno. E che non lo farò mai.»

Sul volto di Flora si dipinse un'espressione indecifrabile: lei stessa non sapeva cosa pensare di quelle parole; da un lato le due code di serpente intrecciato parlavano chiaro, dall'altro non le pareva di scorgere nel mercenario alcun segno di mendacia. Nonostante avesse già deciso di fidarsi di lui, non aveva intenzione di rendergli la vita facile finché non si fosse assicurata la sua completa fedeltà: il denaro con cui lo avrebbe profumatamente pagato non era per lei una garanzia sufficiente.

«Il Tirfusama si fida di me, perché voi non dovreste?» le chiese il mercenario, interrompendo il corso dei suoi pensieri.

La fanciulla non gli rispose. «E quella spada, allora, da dove proviene?» lo incalzò.

Arturo impallidì appena, messo alle strette da una domanda più arguta di quanto si aspettasse. «L'ho vinta in combattimento» mentì, continuando a sostenere lo sguardo della principessa, come sfidandola a provare il contrario.

Flora fece un lieve cenno di assenso con il capo, ma comprese che quella risposta non corrispondeva alla verità. Tuttavia aveva avvertito un moto nell'animo del soldato, un barlume di purezza nel suo cuore di mercenario e tanto le bastò per non insistere in quell'infruttuoso interrogatorio. Si voltò verso il nuovo arrivato, che non aveva emesso un suono da quando lei era giunta dal fiume. Lo scrutò con attenzione, soffermandosi sulle spalle larghe, il colorito bronzeo di chi trascorre molto tempo al sole, gli occhi bruni colmi di gentilezza e le labbra piegate in un sorriso che lei decifrò come non solo di circostanza.

«Tu, invece, chi sei?» gli domandò

Quello fece un profondo inchino di riverenza. «Virgilio Gredasu, per servirvi, Altezza.»

La principessa sorrise radiosa, illuminata dal poco sole che faceva capolino tra le chiome degli alberi. Le sembrava di aver già udito quel cognome, sebbene non ne ricordasse l'occasione; tuttavia il suo orgoglio si riempì del rispetto che quel giovane le dimostrava.

Arturo raccolse la sua spada dal terreno, liberandola con un soffio della polvere che vi si era posata, mentre i due continuavano a parlare.

«Dobbiamo andare nel regno dell’Estate» disse Flora, risoluta. «Dobbiamo partire il più velocemente possibile, prima che il porto si riempia troppo e che qualcuno possa riconoscermi.»

Il capitano della Millenaria annuì. «Posso consigliare di coprirvi il volto? Nel porto ci sono già molti scaricatori e non possiamo correre rischi.»

Flora gli rivolse un sorriso. Si fidava istintivamente di quel giovane che mostrava forse tre o quattro anni più di lei, perché qualcosa nel suo volto le era familiare; e quella premura, quell'accortezza la mettevano nella migliore disposizione d'animo possibile. Concordava sul fatto che anche Arturo era stato molto attento nel non esporla ad occhiate esterne, ma lui era un mercenario, mentre quel Virgilio aveva rifiutato un compenso: la principessa Primavera l'aveva udito con le proprie orecchie.

«Intanto voi due andate» decise Arturo. «Noi vi seguiamo più tardi, dopo aver finito qui.»

«Sì, sarà meglio» concordò lei.

La nobile fanciulla raccolse dal terreno il mantello dotato di cappuccio che l'aveva riparata nella camminata sin lì e vi si nascose, mentre il mercenario svegliava Claudio, ancora immerso nel sonno, e insieme a lui iniziò lesto a cancellare le tracce della loro permanenza in quella piccola radura.

Flora, che non aveva intenzione di rimanere in quel luogo un minuto di più, salutò Claudio con un sorriso e fece cenno al marinaio di farle strada, prima di seguirlo fuori dalla boscaglia e attorno alla locanda. Attraversò il porto senza guardarsi intorno, seguendo come un burattino quel giovane dalla voce gentile, fino a quando lui non la condusse all'interno della cabina degli ospiti, in cui le disse di aspettare che i suoi compagni di viaggio la raggiungessero.

La principessa si sedette sul materasso privo di lenzuolo, fiduciosa.

 

(Ultima revisione: 30/05/2020)

 

   
 
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