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Autore: Roberto Turati    23/04/2019    1 recensioni
Laura, Sam, Chloe e Jack sono quattro neo-laureati di Sidney che, dopo aver trovato un libro segreto firmato Charles Darwin che parla di ARK, un'isola preistorica abitata da creature ritenute estinte da milioni di anni, da un intrigante popolo, protetta da una barriera che altera lo spazio-tempo e che nasconde un "Tesoro" eccezionalmente importante, decidono di scoprire di più... andando su ARK. Ma le minacce sono tante, siccome l'arcipelago arkiano non è certo il più accogliente dei posti... però, per loro fortuna, non saranno soli nell'impresa. Fra creature preistoriche, mostri surreali, nemici che tenteranno di fermarli o di ucciderli per diversi motivi, rovine antiche, incontri da ogni luogo, da ogni epoca e da altri universi e gli indizi sul misterioso passato dimenticato di ARK, riusciranno a venire a capo di un luogo tanto surreale?
 
ATTENZIONE: oggi, il 30/06/2021, è iniziato un rifacimento radicale della storia usando l'esperienza che ho fatto con gli anni e la nuova mappa di ARK usata per l'isola del mio AU. Il contenuto della storia sta per cambiare in modo notevole.
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'Isola Unica al Mondo'
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Mike Yagoobian, con Doris e Doris-B al suo fianco e Girodue che sonnecchiava dietro di lui, si lisciava i baffi con fare pensieroso: la cugina preistorica delle scimmie ladruncole di Bangkok non si era rivelata essere una buona schiava. Per punizione, l’aveva fatta andare nel fiume prima di liberarla dal controllo di Doris-B, dandola in pasto ad un piccolo banco di megapiraña. Per riuscire a mettere le mani su Laura Hamilton gli serviva qualcos’altro. Qualcosa di più grosso, ma non troppo, qualcosa di abbastanza stupido da non ribattere come quel primate insolente. Si mise a sfogliare l’enciclopedia di Darwin, consultando le spiegazioni sulle innumerevoli specie preistoriche arkiane, in cerca di una creatura più idonea per il rapimento camuffato da attacco animale. Ma tutte sembravano avere più difetti che problemi: quello era troppo ingombrante, quell’altro era troppo raro, quell’altro ancora non faceva affatto paura… poi, però, giunto alla lettera T, il suo sguardo si fermò su uno strano dinosauro dal collo lungo, un folto piumaggio sulla schiena, la testa piccola e tre lunghi artigli alle zampe anteriori: il Therizinosaurus multiensis. Era inquietante come pochi e quegli artigli sarebbero stati più che sufficienti per intimidire e sottomettere la ragazza, se presa in un momento in cui si sarebbe ritrovata isolata dal gruppo…

«Ehi, Doris! Guarda questo! Il terizo-coso!»

«Terizinosauro» lo corresse lei.

«E io che ho detto? A ogni modo… non ti sembra semplicemente perfetto?» le chiese, con un sorriso compiaciuto.

DOR-15 tacque per dei lunghi istanti, poi espresse i suoi dubbi:

«Personalmente, non comprendo in quale modo un animale come il terizinosauro possa letteralmente catturare un essere umano e portarlo in un punto: le tre dita delle sue zampe anteriori non sono opponibili; inoltre, i suoi artigli potrebbero ferire il soggetto»

«E credi che non l’abbia capito? Bombetta ingenua! Non lo useremo per catturarla, ma per costringerla a venire da noi! Aspettiamo che si ritrovi da sola e tanto lontana dai suoi amici decerebrati, la minacciamo con gli artigli e lei, terrorizzata, accetterà di seguire la nostra pedina mesozoica fino a noi più docilmente di un agnello che deve andare al macello per Pasqua! Non è geniale? Muhuhuhaha! Ammettilo, Doris: se stavo così simpatico al tuo creatore, era anche perché avevo un cervello acuto come il suo!»

Doris non rispose. Il suo visore si chiuse e si mise a vibrare come una vecchia lavatrice a pieno carico. Quando smise e riaprì l’occhio meccanico, spiegò:

«Ho appena svolto un calcolo delle probabilità di successo della strategia da te proposta»

«E?» chiese lui, fiducioso.

«Secondo un approfondito calcolo, abbiamo un…»

«Suvvia, Doris! Non basarti sui numeri, che servono solo a complicare inutilmente le cose! Sono certo che il mio piano è talmente brillante che non corriamo affatto il minimo rischio di fallimento! Mike Yagoobian e DOR-15 sono sempre un passo avanti!»

«In realtà…»

«Zitta, zitta, zitta! Non fare la dubbiosa: i dubbi portano sfortuna! E adesso posati sulla mia testa e andiamo a cercare un tezizezo-coso!»

«Terizinosauro» gli ricordò lei.

«Quello che è, fa lo stesso! Una rosa punge anche se la chiami in un altro modo, no?»

Mike era ottimista. E Doris, nonostante fosse animata da algoritmi e schemi, aveva saputo imparare che quando il suo proprietario si comportava così c’erano solo disastri in vista. E il lato peggiore di quei momenti era che, esattamente come era appena successo, lei non riusciva mai a cercare di fargli capire quanto improbabili fossero le sue idee, siccome lui la interrompeva di continuo, essendo così entusiasta da non voler sentire opinioni contrarie. Dunque, con una manata, Mike svegliò lo pteranodonte, che gracchiò con irritazione. Erano diretti ad un prato qualsiasi, visto che il libro diceva che i terizinosauri erano soliti mangiare e setacciare cespugli negli spazi erbosi.

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C’era voluto tanto, ma finalmente Drof aveva recuperato tutte le sue energie. Ellebasi era stata di grande aiuto durante la riabilitazione, rendendo tutto più veloce coi suoi consigli. Ora che era nuovamente pronto per riaffrontare il selvaggio ecosistema dell’isola, l’uomo aveva in mente un obiettivo preciso: mettersi sulle tracce di Gnul-Iat e toglierlo di mezzo una volta per tutte, prima che uccidesse altre persone, in particolare Acceber. Quindi, fece scorte abbondanti al mercato degli Alberi Eterni, pregò per chiedere supporto morale dallo spirito di sua moglie e andò a recuperare Onracoel e le bestie sopravvissute al massacro alla stalla comune. Inoltre, ne comprò altre per andare sul sicuro. Ma questa volta, siccome aveva visto quanto numeroso fosse il contingente di Gnul, decise di andare a farsi aiutare per diventare più forte. Ragion per cui, lasciato il villaggio delle case sulle sequoie, la Freccia Dorata si diresse ad Ovest, verso l’abitazione di suo cugino Odranreb, un cacciatore solitario che disponeva di diverse creature, anche se non formavano un contingente così grande. Quello che però lo rendeva un prezioso alleato contro Gnul era la sua bestia più distruttiva: un giganotosauro.

Pochi sull’isola possedevano uno di quei giganteschi mostri, visto che erano abbastanza rari e che affrontarli corrispondeva a condannarsi a morte. Il mezzo meno rischioso con cui li si poteva domare era rubarne un uovo e allevare il cucciolo dalla nascita, ammesso che si riuscisse a sfuggire alla furia della madre. E, in un combattimento, occorreva stare molto attenti a non farli infuriare: in tutto il regno animale, nessuna furia si poteva paragonare a quella di un giganotosauro arrabbiato. Anche un esemplare domato poteva ribellarsi al suo padrone e ignorarne i comandi o, nel peggiore dei casi, divorarlo insieme a tutto quello che avrebbero incrociato prima di sbollire. Era un grande rischio. Ma, vista la situazione e viste le necessità, Drof decise di correre il rischio e rivolgersi ad Odranreb. Era da quasi un anno che non si rivedevano, quindi da un lato sarebbe anche stata un’occasione per rincontrare un parente ed amico. Aveva già in testa come sarebbe andata: si sarebbero salutati, ci sarebbero stati i rispettivi racconti, poi lui gli avrebbe chiesto di aiutarlo e seguirlo col giganotosauro. Conoscendo Odranreb, non sarebbe certo andato contro un rifiuto. Anzi, suo cugino era sempre in attesa di un buon pretesto per scatenare il suo mostro.

“Ho commesso molti sbagli coi miei figli. Con entrambi, specialmente con lui. Ma stavolta vedrò di andare sul sicuro: non posso permettermi di fallire. O muore Gnul, o moriamo io e lui insieme” pensò con determinazione, prima di spronare Onracoel e partire al galoppo col nuovo contingente.

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Grazie allo strappo dei due coniugi arkiani, Sam e Nerva raggiunsero la giungla nell’Est in relativa sicurezza e piuttosto rapidamente, nonché per primi. Era mezzogiorno quando ci entrarono. Avevano entrambi fame e la donna li aveva invitati a pranzare da loro. Nerva non era affatto entusiasta dell’idea: avrebbe preferito di gran lunga andare nella taverna e spendere dei ciottoli per ordinare un pasto. Ma Sam accettò subito e parlò praticamente per entrambi, per cui non si sentì in vena di contestare, il che lo confuse: conoscendosi, di norma non avrebbe mai permesso che qualcuno non gli lasciasse voce in capitolo, eppure si ritrovava sempre più spesso ad essere più o meno recessivo. Ma poi si rese conto che, in fondo, cambiava poco. Quindi accettò silenziosamente di essere ospitato in casa di due sconosciuti che avevano già fatto loro più di un piacere. Avrebbe provato a non pensare ai vergognosi ricordi di due anni prima e a comportarsi il più naturalmente possibile. Mangiarono un piatto di carne cotta allo spiedo, condita con quella che pareva una carota preistorica. Le porzioni per ognuno erano molto abbondanti, ma non a tal punto da lasciare avanzi. Sam chiese a che animale apparteneva quel taglio e l’uomo gli rispose che era la zampa posteriore di una fiomia.

«Era gustosa! Non so se è la carne che è buona di suo o se la cuoca è tanto brava, ma in ogni caso complimenti!» commentò goliardicamente Sam, facendo ridere i due. Gaius fece un vago sorriso.

«Allora, avete intenzione di andare dal capo fin da subito?» chiese lui.

«Sì» rispose Nerva.

«Poi aspetteremo i nostri amici, sperando che siano tutti vivi» aggiunse Sam.

«Buona fortuna. Intendo, per tutto. Sapete, il vostro viaggio, i vostri amici, sopravvivere…» augurò lei.

«Grazie. Ci ricorderemo della vostra cordialità e ospitalità! Andiamo, adesso» si congedò il Romano, alzandosi e dirigendosi verso la porta d’ingresso.

Sam rigraziò a sua volta e salutò, prima di raggiungere Nerva. A quel punto, raggiunsero la casa del capo delle Rocce Nere, Orteip Arenaiccor. La sua abitazione era particolare: gran parte di essa era scavata in un enorme macigno nero che si ergeva al centro della piazza del mercato: da quello derivava il nome della tribù. Mentre vi si avvicinavano, uno dei mercanti richiamò la loro attenzione, chiedendo loro se volevano comprare un animale di piccola taglia, indicando un bancone attorno al quale metalontre, diplocauli, dimetrodonti e altre specie erano legati a dei paletti. Lo ignorarono. Un altro venditore gridava a pieni polmoni per invitare i clienti ad acquistare quella che definiva “una sua piccola invenzione”: un raschietto che, a dir suo, permetteva di rimuovere le ementerie, grosse sanguisughe che infestava gli acquitrini di ARK e che, talvolta, trasmetteva una pericolosa infezione che si chiamava “Febbre della Palude”, dalla pelle. Dietro di lui pendeva un cartello di legno sul quale aveva dipinto, con una tintura bianca, i vari passaggi per usare l’attrezzo. Sam era davvero curioso e non resistette alla tentazione di prenderne uno. Nerva lo guardò con un po’ di perplessità quando lo vide tornare col raschietto in mano, e Sam si limitò a scrollare le spalle e a dirgli che la prudenza non è mai troppa. Poi Nerva bussò alla casa del capovillaggio e rabbrividì al pensiero di incontrare di nuovo uno dei suoi vecchi nemici. Una notte aveva sognato di essere solo e circondato da tutti i capivillaggio che lo picchiavano a morte dopo averlo smascherato. Allontanò il pensiero e attese. Quando la porta si aprì, comparve Orteip in persona. Era un uomo anziano dalle tempie rasate e i capelli rimanenti spostati a sinistra e una rada barba. Teneva uno dei manufatti sottobraccio: evidentemente stava aspettando quel momento.

«Immagino che voi siate gli stranieri che cercano il Tesoro» suppose con un sorrisetto e direttamente nella loro lingua.

«Già» rispose Sam.

«Bene, il Manufatto del Signore dei Cieli è qui. Oh, e se doveste arrivare al Tesoro… non fatene cattivo uso. Tutto il popolo di ARK vi tiene d’occhio!»

«Be’, non abbiamo la minima idea di cosa possa essere e il piano è partito dalla mia amica Laura, per cui dovrebbe essere lei a giurare di servirsene bene. Ma lei non c’è, dunque lo faccio io»

«Bene. Ora prendetelo e andate: tra poco avrò molto da fare. Amministrare una comunità è impegnativo, cosa credete?».

Sam prese il manufatto e salutarono. Orteip grugnì e richiuse la porta.

«Però, è stata facile!» commentò Sam.

«Meglio, no?» gli chiese Nerva.

«Eh, certo! Adesso?»

«Attendiamo l’arrivo degli altri»

«Se arriveranno…»

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«Ce l’abbiamo fatta!» esclamò Chloe, sollevata, vedendo la palizzata del villaggio.

«Sì, e senza rischiare la vita altre volte! – aggiunse Mei – E adesso speriamo che qualcun altro sia riuscito ad arrivare fin qui»

Quando si avvicinarono ad uno dei portoni, le guardie riconobbero la Regina delle Bestie all’istante. Non tanto perché si era diffusa la notizia del suo ritorno, ma per il suo aspetto. Ormai il suo sguardo perennemente serio e i suoi lineamenti asiatici erano proverbiali su ARK. Entrarono e iniziarono ad attraversare tutto il villaggio, guardandosi attentamente intorno per vedere se c’erano i loro amici. Alla fine, videro in lontananza Sam e Gaius che, intanto, erano già stati raggiunti da Helena e Laura. Si avvicinarono e gli altri, notandoli, corsero loro incontro a braccia aperte.

«Ehi, Chloe! Anche tu sei tutta intera, benone!» esclamò Sam.

«Modestamente. Però me la sono vista brutta»

«Mai quanto me! Noi due ci siamo dovuti nascondere da un T-rex e per poco quel grosso bastardo bavoso non ci scopriva!»

«Io, invece, sono stata quasi mangiata da un allosauro, se si chiama così. Seguivamo una mandria e c’è stato un attacco. A te com’è andata, Laura?»

«A noi tre non è successo niente, per fortuna. Però mi sentivo come… osservata? Non so, era come se qualcosa di familiare mi tenesse gli occhi addosso. La stessa che ho provato sulla barca»

«Ehi, cos'è? Sei diventata la maga delle sensazioni? Senti degli squilibri nella Forza? Quand’è così, teniamoti stretta, che sei comoda!» scherzò Sam e tutti e tre risero, nonostante la battuta fosse pessima.

«Ma… dove sono Jack e il dottore?» chiese poi Laura.

«Il secchione e il farmacista non si sono ancora visti. Forse stanno arrivando…» suppose Sam, speranzoso.

«Da quel che ho visto, direi che tutti voi sapete cavarvela, anche loro!» disse Acceber, per dare supporto morale, mentre accarezzava la testa di Rexar.

«Io non vorrei dovermi spaventare… Edmund ha una certa età, ma conosce molto bene la sopravvivenza. Però…» Helena sembrava dubbiosa.

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Dopo qualche altra discussione, Jack e Rockwell erano arrivati ad una soluzione definitiva: il ragazzo si sarebbe fatto teletrasportare da Diana al villaggio delle Rocce Nere, così lui avrebbe spiegato tutto agli altri e lei avrebbe salutato Acceber, mentre il dottore sarebbe andato a vedere l’avamposto dei soldati con l’equipaggiamento TEK per scoprire di più. Ma poi, Jack sarebbe tornato da lui.

«Conoscendo Helena, lei non si sentirebbe affatto tranquilla a lasciarmi da solo con una cosa che mi interessa tanto quanto questa – aveva detto – almeno tu potrai tenere attivi i contatti e mostrarle che è tutto sotto controllo. Così lei non si lamenterà con me come suo solito…»

E così, Jack e Diana apparvero insieme sul teletrasportatore che l’URE (così si chiamava il corpo militare dal 2150, significava "Repubbliche Unite della Terra") aveva segretamente piazzato poco distante da ogni villaggio, tra cui quello delle Rocce Nere. Lei aveva sbrigativamente detto che potevano essere utili per quelli che, come lei, erano interessati a fare degli scambi culturali con gli Arkiani.

«Accidenti, che mal di testa!» esclamò Jack, appena la luce bianca sparì e fece comparire giungla fitta attorno a loro.

«Sei andato bene!»

«Davvero? In che senso?»

«La maggior parte delle persone sviene, al primo teletrasporto»

«Oh... e io che ho mal di tutto!»

Lei si tolse ancora il casco e lo agganciò alla cintura della corazza. Quando si avvicinarono al portone, chiesero e ottennero di farselo aprire; le due guardie fissarono Diana per tutto il tempo. Nonostante gli incontri fra i nativi e l’URE avvenissero ogni due anni, gli Arkiani non avrebbero mai smesso di stranirsi, vedendo il TEK. Anche dentro il villaggio, tutti i passanti si voltavano verso di lei per un secondo, il che la fece diventare rossa come un pomodoro. Dopo qualche minuto, finalmente, Jack rivide i suoi amici vicino al mercato. Li indicò a Diana.

«Oh, sì, ecco Acceber! Non vedo l’ora di conoscere anchei tuoi amici, comunque. Vai tu e dille che c’è una visita per lei: immagino che sarà ancora più contenta se mi vedrà da sé»

«D’accordo»

Quando i ragazzi videro Jack, lo abbracciarono e non smisero un secondo di chiedergli cosa gli fosse accaduto. Gli autori dei diari erano perplessi per il fatto che fosse da solo.

«Dov’è Edmund? Non dirmi che…» chiese Helena, praticamente nel panico.

«Sta bene, non è successo niente! Tra poco spiegherò tutto. Ma… Acceber?»

«Sì?»

«Una persona è qui per te. Guarda laggiù!»

La figlia di Drof guardò dove le indicava e…

«Diana! Per gli spiriti… sei tu!»

E corse dall’amica, veloce come il vento. Le balzò addosso e la strinse in un abbraccio sorprendentemente energico, ignorando la durezza dell’armatura in Elemento.

«Scusa per l’attesa. Ciao, Acceber!» rispose la ragazza coi capelli rossi.

Intanto, gli altri rimasero a bocca spalancata nel vedere la sua corazza.

«Ma che cazzo...» sobbalzarono Sam ed Helena, contemporaneamente.

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Gnul-Iat osservò tutta la scena col canocchiale, dall’alto, in sella al suo tapejara.

“Cosa? Ha un’amica degli Uomini dal Cielo? Dannazione! E ora? OK, devo riflettere… non tutto è perduto… se avrò abbastanza pazienza, riuscirò a prenderla lo stesso! Prima o poi dovrà pur isolarsi, magari per fare le sue cose o per cercare ciottoli da sé… aspetta solo di darmi una buona occasione, sorellina, e vedrai! Ti ammazzo! Vedrai come!” pensò, malevolo.

   
 
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