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Autore: Red Owl    28/04/2019    2 recensioni
Agnese e Caterina non si incontreranno mai, perché le dividono quasi cent'anni di storia. Eppure hanno qualcosa che le accomuna: qualcosa celato nei boschi che circondano il paesino di San Giorgio della Valle, dove entrambe sono cresciute. C'è un segreto antico, nascosto tra i castagni e le vecchie mura di un paesino della montagna lombarda: Agnese ha scelto di dimenticarlo, Caterina, forse, non l'ha mai conosciuto. Verrà però un giorno in cui entrambe dovranno fare i conti con il passato, quando un nemico subdolo e ingannatore verrà a bussare alla loro porta, alla ricerca di qualcosa che soltanto loro possono dargli.
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Quasi cent’anni prima

In piedi sul bordo del laghetto celato nelle profondità del bosco, Agnese getta alcune foglie nell’acqua quieta. Non pesano niente e non vanno lontane e la bambina è insoddisfatta. Vorrebbero che volassero un po’ più in là, verso il centro di quel curioso specchio d’acqua, piccolo e profondissimo.

In verità Agnese non lo sa, se quel lago è davvero profondo, ma immagina che sia proprio così: la mamma le ha sempre detto di stare attenta a non cadere nel Böcc dal Seerp, perché, se lo facesse, annegherebbe.

Nascosto tra i bassi rami di nocciolo alla cui ombra l’ha adagiato, Mario piagnucola e si agita. Contrariata, Agnese si volta verso il cuginetto ancora in fasce e, portandosi un dito alle labbra, gli fa segno di tacere. Il bambino non capisce, naturalmente, è ancora troppo piccolo. È per questo che zia Elvina glielo affida, di tanto in tanto: per avere un po’ di requie da quel bimbetto esigente, l’ultimo di una serie di cinque, che, con le sue costanti richieste di attenzioni, prosciuga le energie della donna.

Ad Agnese non piace, Mario: lei ha appena sei anni e fino a qualche tempo prima era abituata ad essere lei la piccola della famiglia. Per questo non bada a lui, ma lo lascia tra l’erba bassa, alla mercé di formiche e zanzare. A volte ha la tentazione di prenderlo tra le mani, alzarlo in alto sopra alla testa e buttarlo nell’acqua scura, lì nel bel mezzo del Böcc dal Seerp. E chissà che il serpente non se lo mangi.

Non può farlo, naturalmente. Anche perché sa benissimo che non c’è nessun serpente, là dentro: sospetta anzi che a lei non piacerebbe affatto se, svegliandosi, si ritrovasse quel piccoletto sul fondo del suo lago.

Meglio non rischiare: non si sa mai, con quella. È sempre buona, con lei, ma è meglio non rischiare di fare qualcosa che potrebbe non piacerle. Non si sa mai.

Accovacciandosi sulla riva fangosa, Agnese immerge le mani nell’acqua e raschia il fondo con le dita grassocce. Una miriade di girini schizzano via, inoltrandosi nelle profondità del lago e allontanandosi rapidamente dalle manine della bambina. «Non voglio prendervi» dice lei, la voce come una cantilena. «Voglio solo darle da mangiare.»

Agnese prende una manciata di fango e la impasta con un po’ di foglie. Pensa che, forse, il peso della terra farà volare meglio le foglie, portandole là dove lei potrà prenderle. Con uno sguardo speranzoso negli occhi verdi, la bambina scaglia davanti a sé il proiettile brunastro che ha appena confezionato: il fango schizza verso il centro del laghetto, le foglie cadono mestamente a pochi centimetri dai suoi piedi. Non ha funzionato.

Agnese aggrotta la fronte, frustrata. Poveretta, non avrà fame? L’erba le piace tanto, ama in maniera particolare le spesse foglie di acetosa e quelle di borragine, morbide e larghe. Sospetta che le piacciano anche le ortiche – soprattutto le cime tenere – ma, quelle, Agnese non gliele porta quasi mai. Pungono.

La bambina sta valutando se entrare un poco nell’acqua – poco poco, nemmeno fino alle ginocchia – quando, dal sentiero poco distante, uno scalpiccio sommesso l’avverte dell’arrivo di qualcuno. Lo sguardo vigile, Agnese spinge i capelli chiari via dagli occhi e si volta per accogliere gli intrusi.

«Ohi, nini!» l’apostrofa il ‘Tilio che, come suo solito, apre la fila dei suoi compari. «Attenta a non caderci dentro, che poi il serpente ti mangia!»

Agnese gli rivolge una smorfia – nelle sue intenzioni un sorriso – e si pulisce le mani sugli stinchi lasciati scoperti dal vestitino estivo. «Non ci cado dentro» mugugna, guardandolo di sottecchi, quasi a sfidarlo. Non lo sa, il vecchio somaro, che lei è molto più agile di lui?

«E dove l’hai lasciato, il Mario?» chiede allora il Zepp, quello che quando parla si fa fatica a capire quello che dice, perché la sua voce raspa e trema come se fosse sempre senza fiato.

Prima che Agnese possa spiegare, il ‘Tilio vede il bambino. «Ma guardala, ‘sta stria! L’ha lasciato in mezzo al prato.» Guardandola con i suoi occhi da uomo adulto, il ‘Tilio si rivolge a lei: «Ma la tua zia lo sa, che è così che curi tuo cugino?»

«Ma no», si difende la piccola, «non lo lascio mica sempre lì: l’ho appena appoggiato. Poi me lo riprendo. Però avevo caldo, volevo mettere un po’ le mani nell’acqua.»

«Cosa ci sei venuta a fare, qui?» chiede ancora il ‘Tilio che, adesso che Agnese ci pensa bene, dev’essere un mezzo parente della mamma. «C’è anche la fontana, sei hai caldo e vuoi rinfrescarti. Non c’è mica bisogno di fare tutta ‘sta strada per venire fino a qui, che è anche pericoloso.»

Agnese si stringe nelle spalle e pensa che non sono proprio per niente affari del ‘Tilio, quello che fa lei. Prima che lei possa replicare, però, il Mengo, ch’è guercio e che secondo la mamma è anche un po’ un porco, ridacchia. «Lo so io, che cosa ci è venuta a fare, qui.» La piccola lo guarda, solo blandamente allarmata. Tanto non ci crederebbe nessuno, se anche dicesse che lei è lì sotto, sul fondo del lago. Be’, a parte forse la Zingara, naturalmente. «È venuta a cercare la bricolla del Fino di Róss» dice infatti il Mengo, e lei scuote la testa: quella è una storia a cui non ha nessuna intenzione di credere.

I tre uomini ridono, come se la battuta fosse estremamente divertente: il Fino di Róss era un mitico contrabbandiere che, nel folklore locale, era scomparso nel nulla in una notte d’inverno, seppellendo però da qualche parte la sua bricolla, un sacco pieno zeppo di oro e franchi svizzeri che aveva portato di nascosto in Italia. Si narrava che avesse stretto un patto con il Diavolo, chiedendogli di aiutarlo a sfuggire dai burlandòt e di conservare intatto il suo tesoro: il Maligno l’aveva accontentato, ma, com’era suo costume, aveva voluto in cambio l’anima del Fino di Róss, condannando il contrabbandiere a un’eternità passata a guardia del suo tesoro perduto.

Quella è la storia che si racconta ai bambini: il nonno di Agnese le ha detto che il povero Fino era scivolato su una lastra di ghiaccio e si era sfracellato sulle rocce a picco sul fiume, rompendosi l’osso del collo per portare in Italia un po’ di sigarette. Agnese ci crede, al nonno, e la battuta del Mengo le sembra stupida. Voleva forse prenderla in giro?

«No, volevo cercare qualche spugnola» dice allora, indovinando perché i tre uomini sono lì, a zonzo per i boschi. Sono troppo vecchi per andare a lavorare; sono troppo vecchi anche per andare in guerra, come il papà di Agnese, che è in Russia da tanti, tanti mesi. Anche il Zepp c’era stato, in Russia, ancora prima che Agnese nascesse. Però non doveva essergli andata tanto bene, perché è tornato indietro che parlava in un modo strano e ogni tanto guarda la gente con la faccia di uno che non è mica tanto a posto.

«E le hai trovate?» le chiede il ‘Tilio, con la faccia di uno che non ci crede.

Agnese fa le spallucce. «No, non ne ho trovate. Tra un momentino torno a casa.» Ha fretta di rimanere da sola: sa che finché quei tre saranno lì con lei, lei non si farà vedere, e la bimba non ha nessuna intenzione di tornare a casa senza averla almeno salutata.

«Vieni con noi, ti accompagniamo» le propone il ‘Tilio. «Ti facciamo vedere dove cercarle e ti aiutiamo anche a riportare a casa il Mario.»

«No, grazie» scandisce Agnese, con l’affettata educazione che le ha insegnato la maestra a scuola. Confusamente, la bambina avverte che il ‘Tilio ha paura che si metta nei guai, rimanendo da sola, e la cosa la irrita: è abbastanza grande per badare a un bambino di nemmeno un anno, ma non è abbastanza grande per starsene in piedi sulle rive di un laghetto?

I tre uomini la guardano ancora per qualche istante, poi scuotono la testa e si allontanano borbottando. Sicuramente si stanno lamentando di quanto sia sfacciata e disobbediente, ma ad Agnese non interessa. Sorridendo, li guarda sparire dietro la curva del sentiero, inghiottiti dalle foglie dei castani e dei frassini.

Nella sua culla fatta di rami di nocciolo, Mario sgambetta e sbadiglia, ma, per una volta, non piange. Forse anche lui è contento di non essere più in compagnia di quei tre sconosciuti.

«Finalmente» sorride Agnese, chinandosi per cogliere un fiore di trifoglio.

Finalmente, risponde l’acqua del lago, in un gorgoglio di bollicine.

Finalmente.

   
 
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