Non so cosa sia questa scena,
dove situarla o che altro. Diciamo che è un incontro ipotetico al
momento del dunque. Diciamo che ha senso, anche se non è vero.
(Può ricordare in qualche modo, vagamente, qualcosa di shonen ai. Diciamo che è del tutto casuale.)
The sound of silence
Il cielo è d’un
nero abissale, spruzzato di un pugno di stelle che si fanno largo a fatica tra
le nubi plumbee, e le chiome degli alberi ricavano nello spazio la foresta
muta, immobile. La notte aspetta, e Naruto Uzumaki fa altrettanto, là
alle soglie di Konoha, o quel che ne rimane, mica dovrebbe essere lì ma
non importa.
Sta arrivando, sta arrivando,
sta arrivando.
Basta questo pensiero e ogni
cosa cambia, o forse è soltanto che negli occhi di Naruto tutto è
sempre trasfigurato dalla sua presenza – o dalla sua assenza, più
spesso.
Si sente, è qualcosa
che si tocca è si respira, è una corrente leggera
nell’aria, un sibilo più prolungato del vento tra le fronde,
è un cigolio più rumoroso delle porte, e il suono dei ciottoli e
delle macerie risuona con maggiore eco. Konoha lo aspetta, l’erede del
Fuoco. Gli sembra quasi di sentirla sussurrare il suo nome, anche se non
è vero, anche se non c’è quasi il minimo suono e non si
sentono voci. Ma Naruto ha imparato a non fermarsi al rumore. Forse lui non fa
che schiamazzare, come dicono, ma sa ascoltare il silenzio. Per forza.
Il silenzio ha un suono che
qualche volta sembra una musica sottilissima, delicata e molto triste. La suona
il tocco leggerissimo di iridi nere posate sul mondo con risentimento e
malinconia. Il silenzio certe volte fa un rumore come di tuono o terremoto, un
boato rabbioso, nelle eleganti sopracciglia aggrottate con collera su una
fronte chiara, corrugata e ombreggiata da scomposte ciocche corvine. Il
silenzio è un singhiozzo soffocato che emettono quelle iridi quando
tremano, e lo si sente, il dolore, a guardarle.
C’è un verso
animale che risuona contro le stelle come uno scoppio, ma Naruto non ci fa
nemmeno caso, gli occhi socchiusi a ripensare al silenzio. Una volta che lo si
conosce è difficile farne a meno: il silenzio entra dentro poco a poco,
senza che lo si noti, arriva nello stomaco e nei polmoni, da qualche parte nei
dintorni del posto dove batte la vita, e avvolge. È spigoloso e graffia,
ma quando ci si fa l’abitudine è morbido come l’aria quando
scivola nella trachea. È discreto, s’impossessa a poco a poco di
ogni atomo e quando uno se ne accorge ne è impregnato.
Sasuke parla poco, ha la voce
grave e brusca, ma il suo silenzio dice tutto quel che le sue labbra tacciono. Naruto
non sa bene come si possa fare a vivere tutta una vita senza ascoltarlo, senza
sentire il fruscio sottile che emette quel silenzio quando le mani si muovono,
sono affusolate e sicure, fendono l’aria senza disturbarla. Il silenzio
di Sasuke qualche volta ringhia, perché quel teme zuccone s’incazza
di continuo. Qualche volta sussurra, quando il genio si accorge di aver fatto
la cosa sbagliata e non lo sa ammettere perché è troppo
orgoglioso. E qualche volta, rarissima, il suono del silenzio ha un'eco di
risata lontana, un ridere melodico e baritonale che chioccia come le correnti
di un ruscello tra i sassi, quando Sasuke, con quel viso affilato ed elegante,
sorride. Allora sembra di essere scagliati in aria come se si prendesse il volo
e si arrivasse in alto, a tanto così dal toccare la schiuma delle nuvole
e le ali dei falchi.
“Naruto.”
Gli si apre sulle labbra un
sogghigno nell’udire quella vocina lieve e voltandosi la trova lì,
né si aspettava altrimenti, perché era sicuro che anche Sakura
avrebbe sentito arrivare il silenzio. Ha le mani strette a pugno, nei guanti, e
uno sguardo ansioso e deciso insieme. Non si possono fare errori, stavolta, se
si sbaglia si muore.
“Adesso arriva,”
dice Naruto con certezza.
Sakura annuisce, altrettanto
ferrea.
“Sì.”
E ce l’ha negli occhi
anche lei, il silenzio. Chissà quante volte l’ha ascoltato,
aspettando uno sguardo o un gesto d’affetto. Chissà quanto tempo ha
impiegato per imparare a capire che nel silenzio c’era già tutto
quel che si poteva pretendere, e che è abbastanza.
“Ce la faremo, stavolta,
Sakura,” aggiunge Naruto, e lei annuisce di nuovo. Non c’è
altro da dire, basta ascoltare il silenzio, ed è lui che porta passi,
sussurri, fruscii. Sibilo di lama, fulmine e crepitio.
Un minuto, due minuti, tre,
dieci, venti e il silenzio si gonfia, e quando il ramo si spezza aveva
già avvisato. Naruto volta la testa con calma, sorride, punta meglio i
piedi a terra per star pronto a scattare mentre guarda. Nemmeno fa caso alle
altre persone che non conosce, non bada al loro avvicinarsi e nemmeno alle loro
armi o ai loro visi. Tra poco arriveranno tutti, ci sarà una battaglia,
ma non fa differenza. Quello a cui pensa Naruto è che c’è
una cappa rossa e nera che sta lì per sbaglio, non va bene, sta
inghiottendo Sasuke come un buco nero. Non si vedono i suoi fianchi, non si
vedono le spalle e non si vede il ventaglio, ma per fortuna si vede la linea dritta
del viso, quella aspra delle labbra, la massa nera e lucida dei capelli e il
brillio infinito degli occhi. E il silenzio, a guardarli, urla. È straziante,
persino, ed è strano pensare che nessun altro sa sentire quel lamento. Eppure
il silenzio di Sasuke sta gridando forte, fa male sentire tutto quel dolore.
“Teme.”
Lui fa soltanto un cenno con
la testa, non risponde nemmeno. Guarda Sakura senza emettere un suono, ma si
sente la sua voce dirne il nome.
“Non avreste dovuto
venirci incontro da soli,” commenta finalmente Sasuke, con crudele
indifferenza. “Siete veramente stupidi. Morirete, e ve lo meritate,”
conclude, freddo e distaccato.
Naruto scrolla le spalle, fa
un passo avanti con sfida e punta le braccia sui fianchi. Sakura è
già lì accanto, pronta.
"Pensala come ti pare. Non
ti lascerò cadere, lo sai,” afferma, con baldanza.
Sasuke aggrotta la fronte, si
acciglia e piega il capo leggermente di lato, facendo scorrere i capelli sul
profilo del viso, con uno sbuffo sprezzante.
E Naruto ride piano.
Grazie, sta dicendo il silenzio.
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(Aspettando
il regalo vero, Musa e musone, buon compleanno di cuore. Mille parole per farti
tanti auguri, bimbo, e ripigliati.)
(No, gasato,
non ti sto fangherlando. Tsk.)