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Autore: Bibismarty    23/07/2009    4 recensioni
Ciao mi chiamo Bill Kaulitz! il nome Tokio Hotel è scivolato in un baratro profondo e a soli 18 anni mi sono ritrovato senza un lavoro a girovagare per le vie di Berlino. mi sono imbattuto in una ragazza che lavorava come prostituta e mi rese padre. Poi si ammalò e morì. Così da allora io e Tom, come avevo chiamato mio figlio in onore del mio gemello, vivevamo come una piccola famiglia ristretta… Benvenuti nella la mia vita...
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve! questo è il secondo capitolino di questa storia...non costa niente lasciare una piccola recensione, così almeno so se la storia piace o meno, perchè sennò la cancello e poi niente lamentele...cmq in questo piccolo capitolo Bill sarà alle prese con suo figlio. Sarà un buon o pessimo papà? leggete e scopritelo! 

Capitolo secondo: Vorrei diventare cantante

La tapparella della stanza era abbassata e filtrava solo una flebile luce che illuminava il tappeto. Non avevo problemi a orientarmi perché conoscevo la disposizione delle cose. Avanzai verso il letto. “Tom? Dai ometto svegliati…”

Il piccolo corpicino di un bambino di 6 anni si rivoltò sotto le lenzuola. “Ancora un attimo, papà!” borbottò nel sonno.

“Devi andare a scuola…Sveglia!” e con questo alzai la tapparella inondando la stanza di luce, svegliandolo.

Un gemito arrivò dal letto e poi, come uno zombie, Tom, si alzò dirigendosi in cucina mentre si strofinava gli occhi.

Lo seguii per servire in tavola la colazione. “Cosa hai da fare oggi? Quando torni fuori da scuola ti andrebbe di andare al luna park? Ho visto del…”

“Papà non posso. Vado a casa di un mio amico”

Mi strinsi nelle spalle. “An ok sarà per un’altra volta…” Gli misi sotto il naso una tazzina di latte fumante. La bevve tutto d’un colpo e appoggiò la tazzina davanti a sé. Le sue labbra erano tutte sporche di latte. Sorrisi e con un lembo del grembiule lo ripulii.

“Papà?” chiamò Tom. Quando lo faceva era perché doveva chiedermi qualcosa di brutto.

“Si cucciolo dimmi…”

I suoi occhioni color nocciola penetrarono i miei. “Perché mi sento il cuore vuoto? Credi che sia perché mi manca mamma?”

Quella domanda rimbombò nella mia testa cranica per interminabili secondi. Assorbito il colpo mi chinai per essere alla sua altezza. Gli arruffai i capelli affettuosamente. “Ti devo confessare che anche a me manca moltissimo la mamma. Ogni giorno mi chiedo come sarebbe stato averla con noi ancora per un po’. Però poi penso che lei vuole che siamo felici e che guardiamo avanti. Perché ci vuole bene e da lassù ci protegge con ogni sua fibra e ti viene a dare il bacio della buona notte ogni notte!”

Tom si strofinò la guancia con la mano. “Davvero?” chiese incredulo.

Io annuii e i suoi piedini cominciarono a dondolare giù dalla sedia perché ancora non toccava terra.

Sul suo faccino apparve un timido sorriso. Allora lo presi per i fianchi e lo sollevai per prenderlo in braccio. “Quanto pesi! Stai diventando un ometto con i fiocchi!”

“Papà lo dici tutte le volte…” farfugliò piano lui.

Io sbuffai. “Quanto sei lamentino! È la verità…E poi io sono fiero di te…”

Tom mi stampò un bacio sulla guancia e lo portai in camera. Lo aiutai a togliere prima la maglia del pigiamino. E vidi un taglietto di qualche centimetro che solcava il suo bacino. “Tom cos’hai fatto?”

Mio figlio prese la maglietta e cercò di infilarsela senza risultati.

“Tom?” chiesi spazientito, mentre gli rilevai la maglia da addosso.

Continuando a fissare i suoi piedini scalzi borbottò: “Sono caduto al parco…”

Stava mentendo. Ma non capivo perché.

L’aiutai a infilare la testa nel buco e poi un braccio dietro l’altro. “Una cosa alla volta. Sempre una cosa alla volta…”

“Giusto!” esclamò lui.

Poi toccò ai pantaloni del pigiama e i miei occhi caddero su alcuni piccoli ematomi neri sulle gambe. “Anche questi fatti al parco?” domandai preoccupato.

“Si, papà, sono molto esuberante, me l’ha detto una signora che era seduta su una panchina”

Cercai sotto il letto le scarpe e l’aiutai a infilarle, poi le allacciai. “E perché ti ha detto che sei esuberante?”

“Perché correndo non ho visto il suo cane e ci sono inciampato. Poi sono scappato via perché avevo paura mi seguisse…”

Mi stava guardando negli occhi. Non stava mentendo, ora.

“Devi chiedere scusa Tom, quando combini qualcosa che non va!” lo sgridai.

La sua testolina si abbassò per la vergogna. Gli diedi un tenero bacio sulla fronte e lo presi di nuovo in braccio per dirigermi verso l’ingresso.

Il viaggio in auto non fu ricco di parole. Tom non voleva aprire bocca. Giocherellava con il suo uomo ragno gigante facendolo volare per la macchina. Ogni tanto imitava diversi rumori e quando tirò un urlo mi fece prendere un infarto.

“Tom!”

“Scusa papà, ma c’era la maestra in pericolo…” disse assorto nei suoi pensieri.

“Quale maestra?” domandai continuando a fissare la strada.

Silenzio. Borbottii sconnessi. “La mia maestra di italiano…Quella che ci insegna gli scarabocchi…”

“Non sono scarabocchi, Tom. Sono lettere. E ti sarà molto utile nella vita imparare a leggere…” sospirai contrariato.

L’avevo vista poche volte, la sua maestra. Il primo giorno di scuola e qualche volta mentre entrava dal cancello. Era una bella ragazza, giovane, e molto sexy. Di questo però non potevo parlare con Tomi, era troppo piccolo.

“A me piace cantare. Vorrei cantare. Mi piacerebbe diventare cantante, papà!”

“No!” fu la mia secca risposta.

Tom mise il broncio. “Perché ogni volta che voglio cantare mi vieti di farlo? Perché hai paura che canti? Perché sono troppo bravo?” protestò lui serio e triste.

Inspirai aria pulita e espirai. “Perché il cantante non è un bel lavoro. È pericoloso. C’è molta gente cattiva che potrebbe farti del male”

“Ma sono forte io, papà! Ho i muuuuscoli! Anche tu canti sempre sotto la doccia…Secondo me ti sarebbe piaciuto diventare cantante da piccolo…”

Mi si strinse il cuore in una morsa di nostalgia.

“Pà? Perché sei triste? Ho detto qualcosa che non va??”

“No, cucciolo. Niente” dissi, mentre ripensavo alla sensazione di saltare su un palco acclamato da migliaia di ragazze.

E il nostro viaggio ripiombò nel silenzio.

   
 
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