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Autore: heliodor    29/04/2019    2 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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In marcia
 
"Non devo avere paura" disse Joyce ad alta voce. "Non devo avere paura. Non devo avere paura. Non devo..." Invece ne aveva e tanta.
Da tre giorni seguiva il corteo di profughi che dalla città di Malinor si era spostato, come un lungo serpente umano, nelle pianure oltre la città.
Uomini, donne, ragazzi e anziani si muovevano a piedi o a cavallo o su carretti sgangherati.
Molti erano morti per le ferite riportate nell'attacco. Un uomo con una gamba tagliata era stato abbandonato sul ciglio della strada. Una donna era morta con il figlio ancora in braccio e il bambino era stato preso da chi veniva dietro di lei. Una coppia di anziani giaceva in riva a un torrente, stesi nell'erba come se fossero addormentati, mano nella mano.
La prima volta che li aveva visti aveva pensato che dormissero tanto erano sereni i loro visi.
Le espressioni degli altri morti non erano così serene. Un ragazzo era stato sorpreso a rubare da un carretto e la folla lo aveva picchiato e poi impiccato a un albero, senza un processo o un'accusa.
Ogni tanto scoppiavano delle risse per il pane, per l'acqua o un pezzo di carne. Un uomo con un cane al seguito era stato ucciso e l'animale era sparito.
Bande di ragazzi e uomini tormentavano i profughi chiedendo cibo e acqua in cambio di protezione.
"Se non pagate potreste farvi male" aveva detto uno di essi strappando dalle mani di una donna un fagotto con delle pagnotte di pane.
"Guarda questa qui" aveva detto un ragazzino che poteva avere la sua età. "Ha un cavallo."
Quello che doveva essere il capo si era avvicinato a Joyce. "Che ci fai con una bestia così bella?" le aveva chiesto. Poi aveva guardato Bardhian, il corpo piegato in due.
Joyce lo aveva legato alla sella con una corda perché non cadesse.
"Guarda che quello lì è mezzo morto" aveva detto l'uomo. "Dammi il cavallo e ti aiutiamo a scavargli la fossa."
"No" aveva risposto Joyce tirando dritto.
L'uomo aveva sorriso. "Guarda che non te lo sto chiedendo per favore. Se ci fai arrabbiare ci prendiamo il cavallo e lo ammazziamo noi."
Joyce evocò la corda magica e lo colpì al collo. L'uomo indietreggiò e cadde rotolando per il pendio che costeggiava la strada.
"Strega" disse uno dei ragazzi. "Non ci voglio avere niente a che fare."
"Giusto" disse un altro.
L'uomo colpito si rimise in piedi. "Potevi dirlo che eri una strega" disse massaggiandosi il collo. "Non ti avremmo disturbato. È che non porti il mantello e così..."
"Andate via" disse Joyce.
L'uomo e gli altri si affrettarono ad allontanarsi.
Per il resto della giornata non ci furono altre violenze, ma Joyce non si fidava a restare in quel gruppo.
Poteva tenere a bada una piccola banda come quella, ma contro centinaia di persone come si sarebbe comportata?
Prima o poi la fame e la sete avrebbero reso rabbiose e violente anche le persone più miti in quel corteo e il suo cavallo poteva essere sia un mezzo di trasporto che una fonte di cibo.
Attese che il sole calasse prima di abbandonare il sentiero principale e sceglierne uno meno battuto.
Altri ebbero la sua idea. Uomini e donne con bambini piccoli e anziani al seguito, che avevano visto cosa succedeva alle persone che non potevano difendersi.
Joyce percorse con loro un tratto di strada.
Ogni tanto si fermava per controllare la ferita di Bardhian. L'aveva fasciata con una benda che aveva ricavato dalla mantellina indossata. Era già la terza volta che cambiava la fasciatura. Le prime due volte l'aveva tolta inzuppata di sangue, ma la terza era quasi asciutta.
In compenso il viso di Bardhian era sempre più pallido. Il principe teneva gli occhi chiusi e si lamentava. A volte le sembrava di cogliere qualche parola in quel mormorio.
Sta delirando, pensò Joyce.
La fronte gli scottava e non aveva idea di come ridurre la febbre, se non bagnando una benda e appoggiandogliela sopra la testa.
Vicino a un torrente cercò di fargli bere qualcosa, ma Bardhian rifiutò scuotendo la testa.
"Vyncent" disse nel delirio. "Voglio venire con te. Sono pronto."
"Lo so" disse Joyce cercando di non piangere. Gli accarezzò la fronte meravigliandosi di quanto fosse rovente.
"Il sentiero. Ti copro io le spalle. Attento" gridò, come se stesse rivivendo quel ricordo nella sua mente.
Poi si calmò e scivolò in un sonno agitato.
"Non vivrà a lungo" disse un anziano che si era disteso nell'erba a una decina di metri da loro.
Joyce sentiva di voler piangere, ma se lo avesse fatto temeva che non avrebbe più smesso. Elvana l'avrebbe bastonata se fosse stata lì.
Elvana.
Rimpiangeva persino lei in quel momento.
Tirò su col naso.
"È debole" disse. "Non so come fare ad abbassargli la febbre."
L'anziano tossicchiò. "Il fratello di un mio amico è un guaritore" disse con tono quasi rassegnato. "Lui saprebbe come fare."
I guaritori non sono nemmeno dei veri stregoni, si disse Joyce ricordando le parole di suo padre.
Se lui fosse stato lì, se uno qualsiasi di loro fosse stato al suo posto, avrebbe saputo cosa fare o come farlo.
"Non so niente di guarigione" disse Joyce.
"Allora puoi solo accompagnarlo sul buio sentiero." Tossì di nuovo e si girò dall'altra parte.
Joyce rimase accanto a Bardhian per tutta la notte. Quando il freddo calò coprì entrambi con una coperta che aveva trovato nella sacca appesa al fianco del cavallo e si strinse a Bardhian.
Il ragazzo era scosso dai tremiti e non la lasciò dormire se non per qualche minuto. Da parte sua Joyce ne era felice. Non voleva addormentarsi e correre il rischio che qualcuno li aggredisse mentre erano immersi nel sonno.
Accolse con un certo sollievo il sorgere del sole. Mentre raccoglieva le sue cose e si preparava per un altro giorno di marcia, controllò che Bardhian stesse bene.
Respirava e la fronte era meno calda, ma dormiva ancora.
"È ancora vivo" disse rivolta all'anziano che dormiva accanto a loro.
Attese una risposta.
"Mi senti? È ancora vivo."
"Il tuo amico sì, ma lui se n'è andato" disse una donna avvicinandosi all'anziano disteso.
Lo girò e diede una rapida occhiata alla borsa che portava al fianco.
"Ma ieri sera stava bene" disse Joyce ricordando le poche parole scambiate con lui.
La donna scrollò le spalle e continuò a frugare nella borsa. "Era vecchio. I vecchi muoiono."
Joyce pensò di dirle che non era una bella cosa frugare tra la roba di un morto, ma non ne ebbe la forza.
Ne aveva appena a sufficienza per issare Bardhian sul cavallo e legarlo. Lo assicurò alla sella stringendo il nodo della corda e afferrò le redini.
Gettò un'ultima occhiata al vecchio ancora disteso in riva al fiume. Altri si erano avvicinati e lo stavano frugando nelle tasche. Qualcuno gli stava tirando via le scarpe.
Joyce distolse lo sguardo e si rimise sul sentiero.
La fame iniziava a tormentarla. L'acqua non era un problema, ma con sé non aveva cibo e si sentiva sempre più debole.
Il terzo giorno di viaggio trovò un crepaccio dove nascose il cavallo e Bardhian. Lì attorno c'era un piccolo bosco ma non aveva intenzione di allontanarsi troppo.
Lungo la via aveva colto dei movimenti tra gli alberi. Piccoli animali, forse dei conigli. Se ne avesse preso uno...
Joyce non era mai andata a caccia in vita sua. Tutto quello che aveva mangiato era stato allevato e coltivato da altri.
L'idea stessa di uccidere un animale indifeso l'atterriva. Nei romanzi d'avventura il protagonista a volte è un abile cacciatore capace di colpire al volo una preda usando l'arco.
Lei non aveva idea di come si usasse quell'arma e non ne aveva una con sé, ma poteva usare la magia.
Il bosco era silenzioso tranne che per qualche debole fruscio. Era lontano dal sentiero dove in quel momento stavano transitando poche persone.
Joyce si addentrò tra gli alberi fitti, sperando di cogliere qualche animale distratto.
Qualcosa volò sopra la sua testa costringendola ad abbassarsi di scatto. Notò solo un frullare d'ali che spariva tra le foglie di un albero.
La mia cena, pensò.
Appoggiò il peso su di un piede e con l'altro si diede una spinta decisa. Mormorò la formula della levitazione prima di librarsi verso l'alto.
Salì con calma, osservando con attenzione l'albero per cogliere ogni piccolo movimento. L'uccello doveva essersi nascosto nel denso fogliame.
Decise di usare la vista speciale.
L'albero venne inondato di luce. Le foglie sparirono, lasciando solo un tenue alone che le circondava.
All'interno, riconobbe la figura appollaiata su di un ramo. L'uccello si stava lisciando le penne col becco, come se fosse in attesa.
È il momento, si disse.
"Ortas Juran" sussurrò.
Un dardo magico apparve nella sua mano. Lo puntò verso l'animale e lasciò partire il colpo.
Il proiettile attraversò il fogliame e raggiunse l'uccello. Joyce lo vide precipitare al suolo in una lenta spirale prima di atterrare nel denso fogliame.
"Sì" esclamò trionfante.
Annullò levitazione e vista speciale e tornò a terra. Tra le foglie cadute spuntava una zampa rivolta verso il cielo.
La mia preda, pensò con un certo orgoglio.
Si avventò sull'animale caduto afferrandolo come se volesse fuggire. L'uccello era ben poca cosa tra le sue mani. Il dardo aveva strappato via quasi tutta la carne, lasciando poche ossa che spuntavano macabre dalla carcassa.
Joyce si inginocchiò tra le foglie, l'animale ancora stretto tra le mani.
Tutto qui? Si disse.
Fu tentata di scagliarlo via, ma lo tenne con sé. Lo avvolse in una pezza ricavata da un vecchio mantello trovato nella sacca legata al fianco del cavallo e riprese a esplorare il bosco.
Quando tornò da Bardhian aveva un fagotto pieno di piccoli uccellini maciullati e una specie di topo dal pelo fulvo che aveva colpito per sbaglio credendolo una preda diversa.
Quello era il più disgustoso e non osò mangiarlo, anche se aveva più carne sulle ossa di tutte le altre prede messe insieme.
E ora? Si disse. Non posso mangiarle crude. Devo accendere un fuoco, ma prima devo pulirle.
Prima di iniziare si accertò che Bardhian stesse bene. Non scottava più come prima ma era ancora febbricitante. Dormiva con espressione accigliata, come se stesse soffrendo.
Più tardi avrebbe provato a fargli mangiare qualcosa, se fosse riuscita a cucinare quella roba.
Passò il resto della mattinata a ripulire la carne dalle piume e dai frammenti di ossa. Divise i bocconi più grossi dagli altri e li pulì con cura.
Ora pensiamo al fuoco, si disse. Per quello non dovrebbero esserci problemi. So lanciare una palla di fuoco.
Ammucchiò dei rami poco lontano dal crepaccio e si allontanò.
"Vadar Firani" mormorò.
Tra le sue mani apparve un globo di fuoco, dapprima piccolo e poi via via più grande mentre questo prendeva forza dalla sua energia vitale.
Lo tenne davanti a sé come le aveva insegnato Elvana e quando fu soddisfatta della grandezza, lo lanciò verso i rami.
La palla di fuoco viaggiò fino al bersaglio ed esplose al contatto col suolo, scagliando i rametti tutto intorno.
Joyce lanciò un'esclamazione di sorpresa e balzò indietro. Si tolse un rametto carbonizzato dai capelli arruffati e lo gettò via.
Lanciò un'occhiata verso il sentiero. Nessuno badava a lei e se avevano sentito l'esplosione, l'avevano ignorata.
Raccolse altri rametti e li ammucchiò nello stesso punto. Quindi formò un secondo mucchio in un punto diverso lontano una ventina di passi.
"Vadar Firani" sussurrò.
Di nuovo un globo di fuoco si formò tra le sue mani. Stavolta non attese troppo e lo lanciò verso i rametti.
L'esplosione ne scagliò via qualcuno, ma gli altri presero fuoco.
Joyce li raccolse con cura e li portò verso il secondo mucchio. Con pazienza attese che il fuoco attecchisse e lo alimentò soffiandoci sopra.
Soddisfatta del risultato prese un ramo più lungo e spesso che aveva ripulito e preparato qualche ora prima e vi attaccò i pezzi di carne che aveva selezionato.
Piazzò il ramo sul fuoco in modo che la carne venisse lambita dalle fiamme ma non prendesse fuoco.
Sarebbe stato un peccato se l'avesse bruciata dopo tutta quella fatica.
Ci volle quasi un'ora prima che la carne cuocesse. Il sangue ancora contenuto all'interno sfrigolò prima di bruciare e seccarsi e solo allora capì che era abbastanza cotta.
Era la prima volta che cucinava qualcosa, ma non si sarebbe mai aspettata che sarebbe stata così. Prese uno dei bocconi e con cura lo portò alla bocca.
Il sapore era terribile e la carne fibrosa e insapore, ma era carne e stava mangiando. Per il momento poteva bastare.
Cercò di farne mangiare un boccone anche a Bardhian, ma il ragazzo aprì gli occhi per un istante e subito li richiuse.
"Devi mangiare" disse a Bardhian.
"Mangia tu. Io devo finire il turno di guardia."
Sta delirando di nuovo, pensò.
Fuori era quasi buio e non poteva rimettersi in cammino. Decise di passare lì la notte.

Note
Eccomi di ritorno da questa breve vacanza :)
Come promesso riprendo da un capitolo dedicato a Joyce.
Da questo punto in poi non ci fermeremo più fino al finale.
Enjoy :)

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