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Autore: AdhoMu    01/05/2019    6 recensioni
SOSPESA
Volenteroso, tenace, determinato.
Nonostante le sue innate qualità da legittimo Tassorosso, Cedric Diggory ha scoperto che qualche volta, nella vita, i buoni propositi non bastano, e che i piani per il futuro possono andarsene (letteralmente) al Creatore da un momento all'altro.
Quello che Cedric proprio non si aspettava è che, nella morte, le cose funzionano esattamente allo stesso modo.
E così può capitare che, per tutta una serie di motivi, un ragazzo ligio e diligente come lui, inevitabilmente destinato ad "andare avanti", si ritrovi "lasciato indietro" e sia costretto a fare i conti con l'indefinizione tipica di qualcuno che "è già stato" ma che, chissà perché, in un certo senso "continua ad essere".
Per fortuna, ad aiutarlo a mettere ordine nella sua nuova "non vita" ci penserà un manipolo di nuovi e fluttuanti amici.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Barone Sanguinario, Cedric Diggory, Corvonero, Frate Grasso, Helena Corvonero, Sir Nicholas | Coppie: Cedric/Cho
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Dopo la II guerra magica/Pace
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8. Anime in pena.
 
[Hogwarts, inverno 1182]
- Smettila, smettila di giustificare mia madre!...
I bei lineamenti di Helena si erano improvvisamente induriti; i profondi occhi grigi sembravano lanciare dardi fiammeggianti all’indirizzo di Albrecht che, in piedi davanti a lei, la guardava un po’turbato.
Il ragazzo sospirò, indeciso sul da farsi.
La rivalità fra madre e figlia (o meglio: il senso di inferiorità, spesso tradotto in gelosia, della figlia nei confronti della madre, a voler essere precisi) era cosa assodata, e il fatto che le due intrattenessero rapporti tutt’altro che distesi era ampiamente risaputo da parte di tutti. Fin da quando l’aveva conosciuta, ancora in tenera età, il Baronetto di Delft aveva avuto modo di sorbirsi recriminazioni più o meno velate, alle quali aveva talora dato peso, talora bellamente ignorato. V’era infatti, nonostante la consueta atmosfera di tensione che, fin troppo di frequente, veniva a crearsi fra le due streghe, una sorta di salvifico equilibrio che, nonostante le costanti diatribe, incomprensioni e discussioni, impediva alla situazione di degenerare in via definitiva.
E così il giovane, in un certo senso, si era come abituato alle frecciatine che Helena indirizzava a Madama Priscilla, talvolta apertamente, più spesso alle sue spalle.
- Certamen da pollaio!
Messer Godric faceva spallucce e, divertito, etichettava i diverbi con bonarie parole di scherno, accompagnate dalla sua risata profonda e fragorosa. Il Signor Padrino non diceva nulla, limitandosi a lisciarsi i lunghi baffi con gelida indifferenza mentre Madama Tosca, amareggiata, si prodigava per dissipare l’eccesso di tensione e ripristinare l’armonia.
- Madama Corvonero è una dama onorata – disse alfine lui, consapevole del fatto che la sua mancata presa di posizione in favore di Helena avrebbe provocato un violento scoppio d’ira da parte della ragazza.
E così fu, infatti.
Rossa in viso (si sarebbe quasi detto che le fumavano le orecchie per la rabbia), Helena balzò in piedi e lo fronteggiò.
- Mi aspettavo ben altra postura da te – gli disse, dura. – Stolta che sono.
E dopo aver girato velocemente su se stessa, i lunghi capelli corvini a frustare l’aria, la giovane si allontanò da lui a passo di marcia, lasciandolo solo con i suoi pensieri.
 
Lui e Helena andavano d’accordo.
Apprezzavano oltremodo la compagnia l’una dell’altro, si conoscevano come nessun altro li aveva mai conosciuti, amavano trascorrere insieme le giornate passeggiando, discorrendo, facendo magie, e le nottate osservando la volta celeste e compiendo assieme altri tipi di magia.
Fin da quando si erano ritrovati, e forse anche da prima, Albrecht aveva sempre avuto piena certezza del suo amore: Helena era la donna della sua vita, la vivace fiammella che gli scaldava il cuore, la luce dei suoi occhi. Parimenti, sapeva di essere da lei riamato: la giovane Corvonero non era una fanciulla romantica, ma sempre sapeva dimostrargli l’affetto che nutriva nei suoi confronti.
Da qualche tempo, però, le cose avevano preso una piega scomoda e dolorosa.
V’erano state incomprensioni fra loro, quasi tutte dettate dalle loro divergenze riguardo la Dama Priscilla. Che era una donna e una madre un po’ sui generis, più avvezza allo studio e all’introspezione che non alle chiacchiere e alle dimostrazioni d’affetto, eppure fondamentalmente buona: di questo, Albrecht, ne era più che sicuro.
E dato che a lui non era mai piaciuto assumere comportamenti che avrebbe giudicato ingiusti o sleali, tutte le volte che Helena, in modo più o meno diretto, attaccava sua madre, lui le rispondeva allo stesso modo: senza dirle che si sbagliava, certo, ma al tempo stesso evitando di denigrare una persona che in fondo, a lui, era sempre parsa degna di ammirazione e fiducia.
“C’è qualcosa che non va” si disse il giovane, una volta rimasto solo.
Non era la prima volta che lo pensava; e tali riflessioni, senza dubbio, scaturivano da una consapevolezza che piano piano andava rafforzandosi in lui.
La consapevolezza che l’equilibrio, per una qualche ragione non ben precisata, era stato rotto.
 
[Londra, luglio 1999]
Facendo attenzione ad accostare la porta senza fare rumore, Roger si accinse a percorrere il corridoio per fare ritorno al salotto dove, a giudicare dai suoni smorzati delle chiacchere e del televisore acceso, Lavanda e gli altri amici lo aspettavano ancora svegli.
Cho, alla fine, si era addormentata.
Roger era rimasto accanto a lei, tenendola stretta per tutto il tempo che le ci era voluto a calmarsi e, alla fine, scivolare lentamente nel sonno.
Il ragazzo scosse la testa, amareggiato, ripensando per l’ennesima volta a quanto la vita fosse stata crudele con lei. Quando si trovavano ancora ad Hogwarts, poco dopo la morte di Cedric, lui si era illuso che Cho avrebbe superato la tragedia con relativa facilità. L’aveva vista uscire con altri, tentare di divertirsi; qualche volta, nonostante l’amicizia profonda che li legava, lui stesso si era prodigato nei suoi confronti in atteggiamenti tutt’altro che amicali.
Poi c’era stata la guerra, periodo nel quale la ragazza, dandosi da fare nel suo ruolo di agente-doppio infiltrato al Ministero della Magia, aveva saputo dare prova del suo valore e della sua lealtà nei confronti della Resistenza. Più di una volta, in quel periodo, Roger aveva avuto l’impressione che Cho agisse con eccessiva imprudenza, danzando costantemente sul filo del rasoio.
- Fai attenzione – le diceva spesso; raccomandazione che lei, puntualmente, liquidava con una scrollata di capelli ed un lapidario “Non abbiamo scelta, Rog”. E continuava imperterrita nelle sue azioni di spionaggio, talvolta esponendosi in modo fin troppo temerario; la sua eterea bellezza e il suo sangue più puro dell’acqua di sorgente le aprivano porte precluse ai più; e Roger, che certe cose non le voleva neanche immaginare, impediva a se stesso di indagare sui metodi dei quali la sua coraggiosa amica si avvaleva per estorcere informazioni di vitale importanza (quante, quante vite erano riusciti a salvare, grazie ai suoi sotterfugi?) agli esponenti del Regime.
“Non le importava” si disse il ragazzo, dandosi dello stupido per il fatto di non essere stato in grado di comprenderlo prima. “Non le importava di esporsi, di correre rischi”.
Cho aveva già rinunciato a guardare avanti; da molto tempo, ormai.
Certo: voleva farla pagare a coloro che avevano strappato la vita a Cedric. Se ciò avesse voluto dire mettere a repentaglio la sua stessa vita, che così fosse.
“Non le importava. Di nulla”.
Mentre quelle amare parole prendevano forma nella sua testa, un tonfo sordo all’interno della stanza di Cho lo riportò alla realtà.
Roger si girò di scatto.
Altro tonfo, poi un grido soffocato e, poco dopo, il fragore di vetri infranti.
- Cho!
Il ragazzo tornò indietro di corsa, subito seguito da Marietta, Lavanda, Randy, Padma e Calì, che erano stati richiamati dalla sua esclamazione. Raggiunta la porta della stanza, Roger la spalancò di slancio.
Nella stanza semibuia, insieme a Cho, c’era qualcuno.
Una figura alta e completamente vestita di nero, con appesa sulle spalle una sacca (Roger la vide distintamente e spalancò gli occhi per l’orrore) contenente lunghi ferri che scintillavano nella penombra e, dettaglio ancor più terrificante, intenta a manterere la ragazza, che nel frattempo si dibatteva disperatamente, sollevata da terra per il collo.
- Stupeficium!
L’uomo girò il capo e scrutò il gruppetto di ragazzi ammucchiati sulla soglia, un ghigno crudele a deformargli il viso scavato. L’incantesimo che Roger, completamente fuori di sé, gli aveva scagliato contro, lo aveva colpito in pieno ma gli gli era passato attraverso, risultando del tutto inutile. Perché non si trattava di un essere umano: il ragazzo ne ebbe piena certezza quando, ad una seconda occhiata, si accorse che la sua figura era semitrasparente.
“È uno spirito”.
La verità balenò improvvisa nella mente di Roger, subito confermata dalle parole di costui.
- Sciocchi mortali.
- Lasciala immediatamente! – Marietta urlava, trattenuta a stento da Padma e Lavanda.
- Che cosa vuoi? – la voce di Roger, intrisa di angoscia nel constatare che i movimenti di Cho si facevano via via più lenti e deboli, s’impose sul baccano.
La figura nerovestita gli rivolse una lunga occhiata.
- Non... non ucciderla, ti prego – conscio della sua impotenza, Roger abbassò lentamente la bacchetta.
- Oh, ma questo dipende da te, señor Davies.
- Da... me?
- Sì.
L’uomo mollò la presa dal collo di Cho che però, invece di precipitare a terra, fu subito avviluppata da un ributtante nugulo di bisce nerastre sbucate da chissà dove. La visione strappò un grido di raccapriccio alle ragazze mentre Randolph Burrow, che aveva sempre detestato i serpenti, si piegò in due, scosso da un violento conato di vomito.
- Alla Dama Grigia, tua amica, e ai suoi compari – disse il fantasma, scandendo lentamente le parole – riporterai questo messaggio da parte del Buio.
- E chi accidenti sarebbe questo Bu...?
- Zitto e ascolta.
Roger si morse la lingua, sbuffando fuori l’aria.
- L’anima gemella del protetto di Tosca è in nostro potere; che si arrendano giacché, senza di lei, qualsiasi possibilità di riscatto sarà inficiata.
 
[Hogwarts, inverno 1182]
Piano piano, giocando d’astuzia, era finalmente riuscito a circuirla, facendo breccia nella sua corazza.
Helena, forse fiutando inconsapevolmente la sua vera natura tutt’altro che cavalleresca, lo aveva sempre detestato; lui, però, non si era mai dato per vinto, sicuro del fatto che, prima o poi, quella giovane così riottosa e solo apparentemente spavalda (perché Helena, in realtà, era fragile come il cristallo: questa era la verità) sarebbe stata sua.
Cadmus Peverell, seminascosto dal tronco di una quercia secolare, la vide camminare spedita sul suolo innevato. Dall’espressione tagliente dipinta sul suo bel viso, candido come il niveo tappeto che ammantava la Foresta, la riconobbe preda dell’ira, il che lo fece sorridere sotto i baffi. Quando era arrabbiata, Helena era ancor più vulnerabile e lui, sempre attento ai piccoli cedimenti che, piano piano, gli stavano permettendo di fare breccia, ne avrebbe senz’altro approfittato.
- Donna Helena!
Lei si fermò di scatto, la bacchatta stretta fra le dita leggiadre.
- Oh, siete voi – borbottò, vedendolo spuntare da dietro la quercia, col cavallo da guerra condotto per le briglie.
Cadmus si profuse in una profonda riverenza, dilungandosi un pochino più del solito per avere il tempo di reprimere il risolino che gli increspava le labbra. Contrariamente a quanto accadeva in passato, l’espressione della fanciulla nel vederlo gli era parsa assai meno contrariata (sembrava quasi contenta, in effetti) e la cosa, chiaramente, non gli era sfuggita.
- Dove andate di bello, con questo tempaccio?
- Sono venuta a rifrescarmi le idee – rispose lei, che era solita prodigarsi in arguti giochi di parole.
- Beh, ma allora – osservò lui, aggrottando la fronte – dovreste infilarci la testa nella neve, e non i piedi.
- Siete sempre così letterale.
Il cavliere ignorò lo scappellotto verbale.
- Posso accompagnarvi? Mi sembrate contrariata.
- Lo sono.
- E il motivo, se mi permettete l’ardire di chiedervelo – interloquì lui con studiata noncuranza – è sempre il medesimo?
La giovane gli rivolse un’occhiata penetrante.
- Non che la cosa vi riguardi – gli disse, guardandolo fisso (e in fondo a quello sguardo, Cadmus vide le mura del suo riserbo che si sgretolavano un altro po’) – però sì: evidentemente, lo è.
- Suvvia, Madonna Helena – resplicò lui, esultando in silenzio per la vittoria imminente – non dovreste dare peso alla cosa.
- Vi ci mettete anche voi, ora? – sbuffò Helena, contrariata. – Tutti quanti a farmi notare quanto sia inappropriato voler a tutti i costi competere con quel genio di mia madre.
- Ma no, che cosa avete capito? – si affrettò a chiarire lui. – Lo dico prendendo le mosse da presupposti affatto diversi, lo sapete.
- Menzogne.
- E invece no. E se vi dicessi – il tono di voce del cavaliere si fece suadente – che voi non avete alcun bisogno di competere con Madama Corvonero perché già le siete di gran lunga superiore?
La vide che si irrigidiva, le lunghe ciocche di capelli scuri calate sul viso.
Erano mesi che, a piccoli colpi di arguzia subliminale, minava il prestigio della Dama Priscilla ed ora, finalmente, aveva apertamente esternato ciò che la ragazza aveva bisogno di sentirsi dire. Cadmus, conscio del fatto e assai compiaciuto del suo perfetto tempismo, si congratulò con se stesso.
- Davvero... davvero lo pensate?
“Colpita e affondata”.
- Ma certo – le rispose allora, afferrandole delicatamente una mano e portandosela alle labbra. – Vostra madre è una strega senz’altro eminente, ma è rigida, schematica, priva di estro e di fantasia. Voi invece, Helena, siete tutto ciò e molto di più.
Lei gli rivolse un’occhiata fra l’amareggiato e lo scettico.
- So cosa state pensando – continuò lui, serio. – Non vi è mai dato di dimostrare il vostro valore. Ma lasciate che ve lo dica: se non fosse per quel ridicolo diadema...
Helena spalancò gli occhi, immediatamente all’erta.
- Vi invito a non parlare di cose che non sapete – lo ammonì con una foga che trasudava spavento. – Vi ringrazio per la compagnia. Buongiorno.
Cadmus l’osservò mentre si allontanava nella neve in direzione del Castello, probabilmente pronta a riprendere posto fra le braccia di quell’insulso Baronetto olandese. E nonostante il fastidio recatogli da quell’immagine, il cavaliere non poté fare a meno di sorridere fra sé e sé.
Il seme del dubbio, alfine, era stato piantato.
 
[Hogwarts, luglio 1999]
- Cho. In loro potere...
Cedric lo fissava con gli occhi sbarrati.
- Non siamo riusciti ad impedirgli di portarsela via, purtroppo – replicò amaramente Roger. Tutta l’euforia e la sorpresa che avrebbero potuto scaturire dal fatto di ritrovarsi davanti (seppure in forma gelatinosa) il suo vecchio amico era stata annientata dalla gravità degli eventi.
Pochi minuti dopo l’uscita di scena di Cho e del suo rapitore, l’ex Capitano Corvonero si era smaterializzato ad Hogsmeade; da lì, a cavallo della sua fida Comet Eldorado, aveva coperto la distanza che lo separava da Hogwarts in tempi a dir poco da record.
Li aveva trovati tutti riuniti nella Sala Comune dei Tassorosso, nella quale gli era stato possibile accedere grazie all’intercessione del Frate Grasso che, accortosi delle sue grida e della gragnuola di colpi con cui, per una decina di minuti, aveva tempestato la porta, lo aveva fatto entrare.
Quando l’aveva visto, la Dama Grigia era saltata in piedi ed era fluttuata velocemente verso di lui.
- Roger!
- È successo un casino! – aveva esclamato lui a mo’di incipit, la voce spezzata dall’ansia. E sforzandosi di ignorare il fatto di interloquire con un gruppo di spiriti, il ragazzo aveva vuotato il sacco.
Al termine del racconto, la sala fu invasa dal silenzio.
- L’anima gemella di Cedric – commentò Sir Nicholas grattandosi la barbetta, pensoso.
- Già – annuì il Frate Grasso, accigliato. – Il pezzo di anima senza il quale quella di Cedric risulta incompleta.
- Oh, che cosa romantica! – si sdilinquì Mirtilla, vittima di un accesso di sentimentalismo.
- Già, molto romantica – bofonchiò il Barone, cupo come non mai. – Se non che nell’impossibilità di salvare, in primis, l’anima di Diggory per intero, siamo tutti condannati a priori.
- Dobbiamo ritrovarla.
Cedric si era alzato in piedi e li guardava, il bel viso indurito in una smorfia di determinazione.
- Già, ma come?
La Dama Grigia si tormentava l’orlo della manica del suo lungo abito celeste.
- Prima dovremmo cercare di capire chi sia quel tizio che se l’è portata via – osservò Colin Canon, che era sempre stato un appassionato lettore di letteratura gialla babbana.
- Quanto a questo – s’intromise un vocione profondo, accompagnato dal fastidioso cigolio di un’armatura non oliata – credo proprio di possedere alcune informazioni che facciano al caso vostro.
 
[Hogwarts, autunno 1183]
Poi si è ammalata, mortalmente.
Nonostante la mia perfidia, voleva vedermi per l'ultima volta. Mandò a cercarmi un uomo che mi aveva molto amato, anche se io avevo disdegnato le sue profferte.
Sapeva che non avrebbe smesso di cercarmi finché non mi avesse trovato[HP7].

Non avrebbe mai pensato di fare titorno ad Hogwrts in tempi tanto brevi, non dopo quello che era successo. E invece, contrariamente a qualsiasi previsione o comportamento dettato dal buon senso, eccolo lì di nuovo, i biondi capelli sferzati dal vento gelido che spirava dal Lago Nero.
Il Castello si ergeva davanti a lui, grigio e impenetrabile con il suo accatastarsi di torri e torrette, conficcate fra le spesse mura e tanto alte da sfidare la forza di gravità.
Albrecht Duiker affrettò il passo, stringendosi nel suo caldo mantello di Vello Magico, fastoso regalo del suo Signor Padrino che spesso si recava all’estremo Nord, lassù alle Islands Scozzesi, terra di aurore boreali e pecore dalla pregiatissima lana incantata.
Nel giro di una decina di minuti, aveva già raggiunto il pesante portone di quercia.
All’interno del maniero, nei vasti locali dell’atrio e della Sala Grande, nessuna traccia della consueta effervescenza: l’ambiente tutto sembrava languire come afflitto dal timore di ricevere cattive notizie.
Madama Tassorosso, che era venuta ad aprirgli, lo accolse con un sorriso mesto; lui non poté fare a meno di notare che contrariamente al solito, fra i due suoi colori prediletti, questa volta la Dama indossava il nero.
- Grazie di essere venuto – gli disse a mo’di saluto. La sua voce risuonò mesta.
- Ho fatto più in fretta possibile – rispose lui chinando il capo.
Le stanze di Madama Corvonero, nelle quali lui non aveva mai messo piede, erano arredate con gusto e sobrietà; tutto, in esse, comunicava amore per il sapere. Le pareti, interamente tappezzate di grossi volumi e pergamene arrotolate, avevano un aspetto accogliente e colorato; e dalla finestrella aperta sul lato di quella torre che pareva accessibile soltanto alle creature dotate di ali si ammirava una vista superba del Lago Nero, della Foresta Proibita e del giogo di montagne che circondavano la valle. Laggiù, lontano, fili di fumo rivelavano l’ubicazione del piccolo villaggio di Hogsmeade.
Quando la vide, così mollemente adagiata sul divanetto, affondata fra i cuscini, Albrecht faticò a riconoscerla: il suo viso era scabato, la pelle livida, i capelli, un tempo lucenti come piume di corvo, opachi e sfibrati. Madama Corvonero stava morendo: la triste missiva di Tosca diceva il vero; eppure, incastonati nel suo viso stanco, i suoi occhi brillavano alla stregua in un tempo, specchi di intelligenza e saggezza.
Il loro colloquio, inaugurato da timide frasi di circostanza, fu breve; la Dama, presto afflitta da una densa spossatezza, volle andare subito al punto.
- Siete stato magnanimo a scomodarvi per me – gli disse, rivolgendogli un sorriso tirato.
- Dovere – le rispose lui, a disagio.
- Non è vero – lo corresse lei, scuotendo stancamente il capo. – Non dopo la delusione che avete sofferto fra queste mura neanche un anno fa.
Albrecht non seppe rispondere. Era vero: la ferita bruciava ancora.
- Solo gli infusi di Salazar riescono ancora a tenermi in vita – continuò Priscilla Corvonero tentando di tirarsi su a fatica mentre Tosca, che era stata invitata a rimanere, si affrettava a sistemarle i cuscini dietro la schiena.
- Non dire sciocchezze, Priscilla – la rimbeccò quest’ultima.
La Dama scosse nuovamente la testa, rassegnata.
- Non è vero, Tosca mia., e lo sappiamo entrambe fin troppo bene. Mi resta ben poco da vivere; qualche settimana, qualche mese, forse.
Albrecht la guardava, le iridi chiare velate da una malinconia profonda. In cuor suo, il Baronetto già intuiva quel che la Dama lo avrebbe pregato di fare (nella sua saggezza, la Dama sapeva che lui non avrebbe potuto tirarsi indietro); ciononostante, si sentì ugualmente in dovere di formulare la domanda:
- Che cosa mi chiederete di fare, Dama Corvonero?
Gli occhi grigi della donna, così simili a quelli di colei che, neppure un anno prima, gli aveva spezzato il cuore, incrociarono i suoi e si mantennero fissi per un lungo attimo.
- Ritrovala – gli rispose, con la voce che le tremava appena. – Permetti ad una madre di rivedere sua figlia per l’ultima volta.
 
[Hogwarts, luglio 1999]
Quando non era impegnato nei panni di Presidente del Club dei Senza Testa, Sir Patrick Delanay-Podmore e il suo cavallo fantasma stazionavano nei locali di competenza dei Tassorosso, Casa della quale il nobiluomo era stato membro tanti secoli prima.
- Non ci sono dubbi – affermò il cavaliere in tono convinto – la descrizione del soggetto coincide, con estrema precisione, con quanto raccontatomi dal mio discendente.
Alto, capelli corvini, volto scavato, costantemente vestito di nero.
E soprattutto – dettaglio fondamentale – sempre munito di una sacca contenente ferri per la marchiatura.
- Ares Mulciber era il marchiatore ufficiale dei Mangiamorte – raccontò Sir Patrick, mentre i presenti pendevano dalle sue labbra traslucide. – Era lui l’incaricato di apporre il Marchio Nero ai nuovi adepti. Più o meno volontariamente, s’intende.
- Quello che non riesco a capire – osservò Cedric, le cui dita carezzavano con vigore le morbide orecchie del Tasso Pagú acciambellato ai suoi piedi – è quale possa essere il collegamento che intercorre fra questo Mulciber e la nostra missione.
Roger Davies sedeva accanto a lui, la schiena incurvata in avanti, gli avambracci posati sulle cosce e il capo chino.
Sir Patrick, per la prima volta, parve esitare per qualche attimo.
- Beh – disse infine, indirizzando un paio di occhiate intimidite prima ad Helena e poi al Barone. – In occasione di una delle sue visite il mio discendente attualmente in vita, Sturgis Podmore, mi raccontò una storia piuttosto singolare. Dovete sapere che da ragazzo, ai tempi della Prima Guerra Magica, Sturgis aveva amato ed era stato riamato da una giovane strega sua compagna di scuola e, come lui, affiliata all’Ordine della Fenice.
Nessuno fiatava.
Imembri del tremolante uditorio lo scrutarono con insistenza, esortandolo a proseguire.
- Accadde però che costei, il cui nome era Mary Macdonald, era sua volta amata da un losco figuro (proprio di Ares Mulciber si trattava) con il quale, prima di conoscere Sturgis, la ragazza aveva intrattenuto un breve fidanzamento.
Sir Patrick fece una pausa ad effetto prima di decidersi a continuare.
- Beh. “Amata”, forse, non è la parola più appropriata da usare, però, perché Mulciber, di fatto, non accettò mai la fine della relazione e trascorse gli anni che seguirono a darle la caccia finché, uno sventurato giorno, non gli riuscì di snidarla.
- E che cosa accadde? – chiese subito Mirtilla, decisamente sulle spine.
- Non lo si sa di preciso, perché il loro incontro avvenne in assenza di testimoni.
- Ah – sbuffò la fantasmina, delusa.
- Purtuttavia – aggiunse Sir Patrick, infastidito dall’inopportuno intercalare della ragazza – si suppone che Mulciber l’abbia uccisa a sangue freddo perché di lei, in seguito, non si trovò mai più alcuna traccia.
Una nuova coltre di silenzio carico di tensione calò sui presenti. I fantasmi ristettero immbili, tremolando appena alla luce altrettanto mobile delle torce accese.
Ancora una volta fu Sir Nicholas a prendere la parola per primo.
- Direi che il collegamento, ora, è assolutamente chiaro.
- Già – mormorò la Dama Grigia, senza staccare gli occhi dalle maioliche gialle e nere che adornavano il caminetto. – Delitto d’amore.
- In contrapposizione all’amore puro che univa Cedric e la Chang – rincarò Dennis Canon, guadagnandosi una gomitatina di circostanza da parte del fratello.
- E ciò significa... – continuò stancamente il Barone, la voce già bassa ridotta ad un soffio.
Il Frate Grasso trasse un lungo sospiro e venne in suo soccorso, completando la frase per lui.
- ...che la prossima anima da salvare è la tua, mio caro.
 
[Bosco di Quarrishtë, Albania, inverno 1183]
Girandosi di tanto in tanto per lanciarsi rapide occhiate alle spalle, Helena correva nel bosco.
Avanzava quanto più velocemente le era dato di procedere, senza fare caso alle spine che le graffiavano il viso, laceravano la stoffa pregiata del suo lungo abito azzurro cielo e sfilacciavano i lembi del suo mantello già piuttosto logoro.
I tonfi sordi e ritmati di zoccoli che cozzavano contro il terreno gelato le fecero accapponare la pelle; la ragazza si impose di accelerare, allontanandosi il più possibile dal tronco di castagno in cui aveva nascosto il suo tesoro.
“Non lo deve trovare” si disse, ansimando per la fatica. “Né lui, né altri”.
Non le fu dato di proseguire ancora per molto.
Un’altra decina di falcate scomposte, due o tre radici pronte a farla incespicare saltate all’ultimo momento, e il cavallo da guerra le fu addosso, superandola con un balzo e infine sbarrandole il passo.
La sua fuga era giunta al termine.
Vi fu un lampo di luce verde; dopodiché il mondo, per lei, si tinse per sempre di Grigio.
 
Note a pié di pagina:
Buongiorno a tutti, sempre che sia rimasto qualcuno!
Avevo bisogno di ritrovare l’ispirazione per proseguire nel racconto e finalmente, dopo una pausa di qualche mese, eccomi qui.
Non c’è molto da dire su questo capitolo se non che, come sempre, la caratterizzazione dei personaggi segue quanto precedentemente adottato in altre storie che compongno il mio HC; spero quindi di non essere risultata poco chiara in alcuni passi.
Lascio il chiarimento del paragrafo finale al prossimo capitolo. Che cosa sarà accaduto alla sventurata Helena?
   
 
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