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Autore: Amy W Gildeary    01/05/2019    1 recensioni
Il conte Girolamo Riario una volta disse: «Quando si deve trasmettere un messaggio, preferisco servirmi di mezzi che gli altri non userebbero».
Una donna, ad esempio.
E se papa Sisto IV non avesse avuto un figlio, ma una figlia?
E se il bellicoso Santo Padre avesse deciso di sfruttarla come arma per i suoi subdoli piani, approfittando dell'effetto sorpresa?
Cosa sarebbe successo se avesse avuto lei il compito di attaccare Firenze e di ottenere i servigi del geniale artista Leonardo da Vinci?
-
«Sapete chi sono?», domandò la giovane donna, chinando di poco la testa di lato; la voce morbida e vellutata, senza alcuna traccia di turbamento. «Sono Gemma Riario. Contessa di Imola, guida della Santa Romana Chiesa e nipote di Sua Santità, papa Sisto IV».
[...]
«Sì, lo so», commentò la contessa, con un sospiro annoiato. «Rimangono tutti sempre molto sorpresi di vedere una donna», continuò, con una naturalezza e una tranquillità a dir poco disarmanti, ben poco appropriati al contesto. «Volevano un figlio maschio. Lo avrebbero chiamato Girolamo. Ma poi sono arrivata io».
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leonardo da Vinci, Nico, Nuovo personaggio, Zoroastro
Note: What if? | Avvertimenti: Gender Bender
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Il Gioiello del Vaticano
Capitolo 17 - Il Diavolo

 

 

 

Nei Tarocchi, la carta del Diavolo ha una polarità attiva e passiva. È l’istinto cieco al di là del conscio, è l’impulsività senza luce di ragione. Parla di messa in pratica di magnetismo umano, d’invadenza nell’inconscio altrui. Indica sovvertimento dell’ordine, passioni ed eccessi.
Al negativo, però, è indicatore di squilibri, di nevrastenia. E ancora, incentra gli abusi, le perversioni in tutte le loro forme. La persona macchinosa che non controlla i propri istinti.

 

 

 

Papa Sisto pregava davanti alla maestosa poltrona rivestita di stoffa dorata, inginocchiato sul pavimento ligneo e intento a recitare l’ultima di una serie di orazioni.

Il suono dei passi sulle lucide assi di legno non sembrò raggiungerlo, e la contessa aspettò qualche altro istante, prima di schiarirsi la voce e aspettare una reazione.

L’uomo, con fare pigro e svogliato, recitò le ultime parole in latino, e si alzò in piedi, per poi voltarsi verso la persona che lo aveva disturbato. In altre circostanze, il suo sguardo sarebbe stato sprezzante ed alterato, ma evidentemente ricordava il motivo dietro a quella visita e la sua espressione divenne un ghigno soddisfatto. Posò gli occhi sulla giovane donna, che rispose con un cenno d’assenso del capo, prima di indicare con la mano l’uomo in piedi accanto a lei.

            «Sua Santità», iniziò, accennando un inchino. «Posso presentarvi Federico da Montefeltro, Duca di Urbino?».

L’uomo appena nominato rimase al suo posto, la postura fiera e il mento alto, ed osservava Papa Sisto con sguardo solenne, attraverso il solo occhio rimastogli.

            «Federico», mormorò il papa, porgendo avanti il braccio destro, gesto che l’ospite interpretò come un permesso di avvicinarsi.

            «Santità», rispose il duca, umilmente.

Prese la mano dell’uomo tra le sue e baciò l’anello color ambra, accompagnando il gesto da un piccolo inchino.

            «Grazie, per essere venuto in così breve tempo», continuò Sisto, in un atteggiamento di gratitudine a dir poco inusuale per il suo temperamento freddo ed arrogante.

            «Tutto per Vostra Santità», minimizzò l’ospite, con un accenno di sorriso, e ritornando al suo posto. «Io sono un servo di Dio», aggiunse, ma dal suo tono traspariva una nota di sarcasmo.

            «Un servitore alleato con la mano che porge l’offerta più attraente», commentò Gemma, scoccandogli un’occhiataccia eloquente. «Un interessante bisbiglio, riguardante una vostra alleanza con Firenze, ha raggiunto la città del Vaticano», aggiunse, con un sorriso di finta cortesia e l’aria angelica.

            «Che voce a dir poco bizzarra», rispose Federico da Montefeltro, con aria divertita.

            «Siete una città famosa per la sua originalità, dopo tutto», ribatté la contessa: un riferimento decisamente poco celato alla piccola opera svolta all’occhio destro del duca.

Ciò nonostante, l’ospite rise divertito.

            «Perdonate mia nipote», si intromise Papa Sisto. «La schiettezza è una delle sue caratteristiche più marcate», aggiunse, scoccandole uno sguardo di rimprovero.

            «No, non occorre alcuna scusa», lo tranquillizzò l’uomo, per poi voltarsi di nuovo verso la contessa, con sguardo ammirato. «Una donna tanto risoluta è un tesoro raro… una gemma preziosa», aggiunse, senza fare nulla per celare uno sguardo tutt’altro che consono alla situazione. «Al vostro posto, farei molta attenzione a tenermela ben stretta».

Gemma non era affatto nuova a situazioni come quelle, tutt’altro che lusinghiere e piacevoli, e non fece nulla per nascondere uno sguardo scettico e vagamente infastidito, prima di spostare la conversazione su tutt’altro territorio.

            «Dunque cosa potete dirci riguardo alla vostra alleanza con Lorenzo de’ Medici?», domandò, alzando le sopracciglia con aria di sfida e incrociando le braccia al petto.

            «Non potrei essere più d’accordo con voi, contessa Riario», rispose il duca, ignorando lo sguardo di ammonimento rivoltogli poco prima. «Non faccio certo mistero della mia brama verso ciò che mi attrae», proseguì, e lo sforzo compiuto da Gemma per non mettere mano al proprio stiletto fu a dir poco ammirevole.

Sisto, d’altro canto, tornò a sedersi comodamente sulla sua poltrona, osservando il piccolo scontro con un sorriso soddisfatto. Non perdeva occasione di vedere la sua piccola spia all’opera e di compiacersi della decisione di aver investito tempo e risorse nella sua preparazione. Dimenticando per un momento quanto tempo stava impiegando per recuperare la chiave, era una delle migliori armi a disposizione del Vaticano.

            «Lo Stato Pontificio vi offre cinque mila fiorini d’oro per combattere per noi contro i Medici», rispose la contessa, tenendo ben salde le braccia attorno al petto, o al minimo segnale di cedimento le sue mani sarebbero corse alle armi.

            «Non è il denaro ad attrarmi», rispose il duca. «Non uccido per soldi. Lo faccio per piacere», aggiunse con un ghigno sadico stampato in volto, e abbassando il tono della voce sull’ultima parola.

Tutto, nella postura e nello sguardo di Gemma, indicava quanto volentieri avrebbe voluto sguainare la spada.

            «Federico», si intromise Sisto, prima che la situazione iniziasse a degenerare. «Credo vogliate ristorarvi prima di discutere di affari. Bene, ci vedremo di nuovo più tardi», lo congedò, prima di fare cenno ad una serva di guidarlo verso gli alloggi degli ospiti.

Gemma lo seguì con lo sguardo colmo di disprezzo, sguardo che ebbe premura di celare quando si voltò di nuovo verso Sisto.

            «Credo proprio che dovresti tenerti alla larga dalle nostre trattative politiche», le disse il papa, e la contessa si aspettò di ricevere un altro sguardo di rimprovero, per cui fu parecchio sorpresa di vederlo sogghignare soddisfatto. «Sei più agguerrita del solito, ultimamente», aggiunse, studiandola con attenzione. «Interessante».

            «La congiura dei Pazzi è alle porte e creerà molto scompiglio. Dobbiamo essere tutti pronti alle sue conseguenze», rispose lei con noncuranza.

            «E una nuova era nascerà con essa», aggiunse Sisto. «Ma fino ad allora, anche essere sempre vigili è importante. Il viaggio del Duca di Urbino potrebbe aver raggiunto orecchie indiscrete, quindi occupati di controllare tutto il perimetro», le ordinò, congedandola con un cenno della mano.

            «La prudenza non è mai troppa», concordò Gemma, annuendo.

            «E nemmeno la violenza».

 

 

 

 

Uscita dalla stanza in cui Sisto si era ritirato in preghiera, Gemma raggiunse il suo piccolo gruppetto di guardie svizzere e, con un semplice schiocco di dita, le sguinzagliò fuori dalla fortezza, in modo da far controllare le entrate e i giardini circostanti. Un’altra mezza dozzina di soldati la seguirono verso la parte più remota del palazzo, e vennero da lei inviati a sorvegliare gli ingressi.

            «Controllerò lo studio di Sua Santità e gli Archivi», disse la giovane donna con tono asciutto, avvicinandosi all’entrata dei bagni.

            «Contessa Riario, siete certa di non volere alcuna scorta?», chiese il capitano Grunwald, accompagnato da altre due guardie.

            «Non ne ho alcun bisogno», rispose la giovane donna, portando una mano sopra all’impugnatura della spada, in un gesto eloquente. «Più tardi il Santo Padre si riunirà con il Duca di Urbino per rafforzare le nostre alleanze, e il loro incontro deve procedere senza alcuna interruzione».

            «Darò ordine ai soldati di controllare i loro alloggi», rispose il capitano, senza bisogno di ricevere ulteriori istruzioni.

Gemma annuì e li congedò con un cenno della mano, prima di varcare la soglia dei bagni. Solo quando sentì la porta chiudersi alle sue spalle, poté permettersi di rilassare i muscoli del suo corpo.

La partenza di Leonardo da Firenze era stata uno scomodo imprevisto, e la contessa temeva la vendetta di Sisto da un momento all’altro, viste le numerose settimane trascorse senza alcuna nuova informazione utile. Fortunatamente, la Pasqua era ormai alle porte e il collerico papa non aspettava altro che colpire la dinastia de’ Medici: la congiura sarebbe stata per lui un ottimo intrattenimento, una distrazione dalla ricerca della seconda chiave.

La giovane donna iniziò a camminare lungo i bordi della vasca, con lo sguardo poco attento e la mente che vagava altrove. Doveva concludere quella missione il prima possibile, e soprattutto prima che i suoi pensieri, ancora confusi, diventassero veri e propri dubbi.

Non si accorse nemmeno di aver già finito il perimetro della stanza e di essere tornata al punto di partenza, accanto al portone d’ingresso. Diede un’ultima occhiata tutt’intorno, poi si voltò verso il passaggio segreto per gli Archivi.

Ebbe appena il tempo di dare le spalle ai bagni, quando sentì un tonfo sordo dietro di lei, seguito dallo scorrere dell’acqua. Incerta, tornò più vicina alle vasche, ma il vapore celava ogni cosa sotto di esso, rendendole impossibile capire quale fosse stata la causa di quel rumore.

Poi, d’un tratto, una figura iniziò ad emergere dalla densa nebbia bianca.

In un primo istante, Gemma fu sicura di essere vittima delle allucinazioni, e rimase immobile con lo sguardo confuso e diffidente, aspettando di vedere quell’immagine scomparire dalla sua mente.

Leonardo emerse dal candido vapore, alcune gocce d’acqua che cadevano dalle ciocche di capelli bagnati sul suo viso, gli abiti completamente aderenti al suo corpo, e il suo caratteristico sorrisino soddisfatto.

La contessa indietreggiò di qualche passo, la mente che le urlava di risvegliarsi e di mettere mano alle armi, di fermarlo, di cogliere immediatamente quell’occasione. Ma non riuscì a fare nulla del genere, rimase a fissarlo sconvolta e privata della voce.

            «Contessa», mormorò da Vinci, percorrendola dalla testa ai piedi con lo sguardo.

            «Artista», rispose Gemma in un sussurro, stupendosi di essere riuscita a fare qualcosa di diverso dal restare immobile al centro della stanza.

            «La porta era chiusa», scherzò Leonardo, indicando un punto indistinto alle sue spalle.

Il tempo di rendersi conto di possedere finalmente un vantaggio su Gemma e, in un istante, il suo sorrisino sparì e la mano corse alla cintura, afferrando e sguainando una balestra. E l’arma puntava proprio lei.

            «Un’entrata di grande effetto», commentò la contessa, alzando lentamente le mani in aria, in segno di resa.

            «Per ottenere un’udienza… privata», rispose l’artista, marcando notevolmente l’ultima parola, e non risparmiandole un altro languido sguardo lungo il suo corpo. «Sono sorpreso di vedervi sulla difensiva», aggiunse poi, soffermando l’attenzione sulla spada e sullo stiletto.

            «Un’eccellente conoscenza delle tecniche di combattimento», rispose lei, cercando di tenere sotto controllo il nervosismo per lo svantaggio che stava accumulando. «Sguainare una delle mie armi richiederebbe comunque più tempo dello scocco di una delle vostre frecce».

Leonardo annuì, d’accordo con il suo ragionamento, ma una parte di lui si sentì amareggiata dalla tacita accusa celata dietro alle sue parole: quella secondo la quale non ci sarebbe stata alcuna esitazione nel ferirla.

            «Speravo di poter avere un colloquio con papa Sisto», disse Leonardo, uscendo dalla vasca ed avvicinandosi alla contessa. «Ma devo ammettere che questo imprevisto non mi dispiace affatto», proseguì, giungendo a pochi passi da lei.

            «Temo di non poter dire lo stesso, artista», rispose Gemma, ma sentire una certa mancanza di convinzione nel pronunciare quelle parole le sottrasse un altro po’ di fiducia, carenza che andò ad alimentare il suo già discreto svantaggio.

            «Sono passate settimane dall’ultima volta che abbiamo avuto il piacere di sfidarci», proseguì Leonardo, senza dare segno di voler abbassare l’arma. «Non vorrete farmi credere che io sia stato l’unico a sentirne la mancanza», aggiunse, abbassando notevolmente il tono della voce.

            «Dev’essere stata una tortura straziante, per portarvi a rischiare la vita introducendovi nella tana del lupo», ipotizzò la contessa, cercando in ogni modo di spostare l’argomento della conversazione altrove.

Sentiva la sua caratteristica sicurezza abbandonarla secondo dopo secondo, e la sensazione di camminare così vicina al limite delle sue certezza non la stava aiutando.

            «Un pericolo ampiamento ricompensato…», sussurrò Leonardo, avvicinandosi ulteriormente, e per Gemma resistere all’impulso di indietreggiare fu molto difficile. «…dalla vostra presenza e da questo interessante scambio di ruoli», concluse, arrivando a un soffio da lei.

            «Vi suggerisco dunque di goderne, fin tanto che potete», rispose la contessa, con aria di sfida. Ma sapeva meglio di lui che sarebbe stato alquanto arduo riportare la situazione sotto il suo controllo.

            «Assolutamente», sussurrò Leonardo, allungando una mano verso la cintura della giovane donna ed estraendone prima lo stiletto, e in seguito la spada, per poi gettarli entrambi nei pochi centimetri d’acqua che ancora coprivano il fondo della vasca.

Senza mai dar segno di voler abbassare l’arma, da Vinci mantenne il contatto visivo con la contessa, e nel mentre la mano libera iniziò a vagare per tutto il suo corpo, premendo abbastanza da poter riconoscere la presenza di altre armi. Non distolse mai lo sguardo, nemmeno quando si chinò per controllare lungo le sue gambe, e mai perse il suo tipico sorriso di vittoria.

In tanti incontri che avevano avuto, in tante occasioni in cui erano arrivati ad un soffio l’uno dall’altra, in tanti contatti fisici… Gemma non si era mai sentita tanto nervosa, né il suo corpo aveva mai risposto in quel modo al suo tocco. Era sempre riuscita a restare calma e sicura di sé, i muscoli rilassati ma pronti a rispondere ad ogni riflesso, la mente sgombra da distrazioni e concentrata sull’obiettivo.

In quel momento, le sue certezze erano svanite, l’avevano abbandonata, lasciando il posto a reazioni e pensieri del tutto incapaci di tranquillizzarla. Ogni punto del suo corpo raggiunto da quel tocco sembrava bruciare, protestare per le barriere frapposte, bramare perché quel contatto potesse essere qualcosa di più.

Qualcosa era cambiato, e niente era mai riuscita a spaventarla tanto.

Leonardo raggiunse di nuovo la sua altezza, in un contatto visivo che non era mai stato spezzato, e si concesse alcuni istanti per assaporare quel momento. Dopo numerosi e vani tentativi di tenere in pugno la situazione, era giunta la sua occasione di condurre i giochi, e sapere di non essere lui quello con le spalle al muro gli regalò una piacevole sensazione di soddisfazione.

Non abbassò comunque la balestra, nonostante avesse appurato che la contessa non aveva altre armi con sé, ma questo non le avrebbe impedito di contrattaccare e difendersi usando nient’altro che il suo corpo.

Ormai vicina ad un limite che non aveva alcuna intenzione di oltrepassare, Gemma osservò Leonardo con sguardo confuso, abbassando lentamente le braccia.

            «Non avete ragione di preoccuparvi, artista. Privata delle armi, che altro potrei farvi?», domandò, cercando di ritrovare il tono caratteristico dei loro scontri, una zona a lei familiare che potesse donarle un minimo e sicurezza.

            «Oh…», quasi gemette da Vinci, inclinando di poco la testa di lato. «Innumerevoli cose, in innumerevoli modi», mormorò, vagando con lo sguardo fino alle sue labbra.

            «Non se continuate a starmi così addosso», rispose invece Gemma. Non esattamente quello che il fiorentino si aspettava, ma attribuì la causa alla situazione, per la prima volta svantaggiosa, in cui la contessa si trovava.

            «Potreste usare un po’ di fantasia: sono certo che trovereste qualcosa da fare», proseguì Leonardo, ricordando con una certa dose di ammirazione la capacità di Gemma di trovare punti deboli anche in momenti che ne sembravano privi.

            «O potreste muovere qualche passo indietro», ribatté la contessa, apostrofandosi mentalmente da sola, alla ricerca di una capacità di rispondere a tono che sembrava sparita.

            «Io sto benissimo», commentò da Vinci, sempre più sorpreso dall’improvvisa mancanza di malizia nelle parole della sua avversaria. «Siete voi che apparite un po’ tesa», proseguì, accorciando ulteriormente la già modesta distanza. «Posso fare qualcosa per… aiutarvi a rilassarvi?», mormorò, con un filo di voce.

Gemma lo vide abbassare lo sguardo sulle sue labbra e le pupille dilatarsi per il desiderio, ed attinse a tutte le sue forze per ritrovare la sua maschera: se non per contrastarlo almeno per guadagnare del tempo.

            «Sono certa che non possediate alcuna altra abilità, se non quella di mettermi i bastoni tra le ruote», mormorò, un’insinuazione molto più velata di tante altre precedenti, ma sufficiente per farle ritrovare un minimo di tranquillità.

Leonardo però mandò la sua piccola conquista a monte, decidendo di proseguire la conversazione vicino al suo orecchio. Troppo vicino al suo orecchio.

            «Io invece sono certo che ce ne siano parecchie», mormorò lui, con voce roca. «Una più soddisfacente dell'altra», aggiunse, quasi sfiorandole la pelle con le labbra.

L’inaspettata fitta che la colpì allo stomaco la colse completamente impreparata, e nemmeno si accorse di aver assecondato il suo desiderio di chiudere gli occhi, di non sentire altro che non fosse il suo respiro sulla pelle e la sua voce calda e morbida. Ebbe bisogno di qualche secondo per ritrovare il contatto con la realtà, giusto in tempo per capire che proseguire lungo quel sentiero sarebbe stato troppo pericoloso.

            «Che cosa volete, artista?», domandò lei, molto più brusca di quanto non volesse.

Leonardo parve ridestarsi a quelle parole, iniziando a ricordare il vero motivo che lo aveva spinto ad azzardare un’impresa del genere.

            «Sarebbe scortese non invitare un vostro ospite a visitare gli Archivi Segreti, non trovate anche voi?», mormorò lui con tono retorico, allontanandosi di un passo e puntandole di nuovo contro la balestra.

La conosceva da un po’ di tempo, abbastanza da aver ormai imparato che il minimo punto debole diventava, per la contessa, un’occasione irresistibile di attaccare. Era l’unico motivo che lo convinse a non riporre l’arma, per quanto fosse tentato.

            «Pretesa piuttosto arrogante, da parte di chi si è appena introdotto furtivamente nella casa di Dio», rispose Gemma con diffidenza.

Di nuovo, non ebbe nemmeno il tempo di sentirsi tranquilla e su un terreno a lei familiare, che Leonardo la destabilizzò un’altra volta, iniziando a camminarle intorno fino a sparire dalla sua visuale.

            «Pretesa che, tuttavia, sarebbe meglio per voi esaudiate», mormorò l’artista alle sue spalle, premendo la balestra contro la sua schiena.

Un istante dopo, la sua mano libera indugiò di nuovo sul suo corpo cingendole la vita, il tocco delicato ma allo stesso tempo fermo e deciso, di sicuro non intenzionato a lasciare la presa tanto facilmente. 

            «Avete improvvisamente ritrovato il senso della giustizia?», domandò Gemma, con un che di amaro nel tono della voce. «Non vi ho mai visto così zelante nei confronti della vostra amata Firenze», aggiunse, ricordando quanto le fosse stato facile distrarlo dai suoi doveri nei confronti della città.

            «Gli Archivi Segreti…», ripeté Leonardo, chinando il capo su di lei. «…Gemma», mormorò con un filo di voce, ad un soffio dal suo collo.

La contessa avrebbe tanto voluto voltarsi. Che fosse per prenderlo a schiaffi o per zittirlo in altro modo non aveva importanza, ma ciò che più bramava in quel momento era la possibilità di voltarsi.

            «Se non desiderate altro…», mormorò Gemma, sperando che fosse ben celato l’orgoglio che le bruciava dentro.

Adocchiò immediatamente la porta d’ingresso principale, e in religioso silenzio iniziò a camminare in quella direzione. Non era un’ingenua: c’erano ben poche cose che Leonardo poteva voler trovare negli Archivi Segreti, e il pensiero che quel particolare oggetto fosse addosso a lei non era d’aiuto, in un’infinita lista di punti a suo sfavore.

Il respiro le si bloccò in gola quando sentì la presa attorno alla sua vita stringersi all’improvviso, fermandola sul posto.

            «So delle guardie là fuori», mormorò da Vinci, fin troppo vicino al suo orecchio. «Così come so che esiste senz’altro un’altra via per accedere agli Archivi», aggiunse, senza alcun accenno di volersi allontanare.

            «Dunque non vedo come io possa esservi utile, se sapete già tutto», ribatté la contessa, restando immobile dov’era.

            «Non apprezzate la mia compagnia, forse?», chiese l’artista, con finto tono perplesso. «Eppure…», proseguì, rafforzando ancora di più la presa, e la contessa trovò improvvisamente difficile riuscire a deglutire. «…il vostro corpo dice tutt’altro», bisbigliò, avvertendo chiaramente, nonostante gli strati di stoffa, i muscoli dell’addome tesi.

E Gemma lo sapeva, sapeva benissimo di aver perso ogni controllo sulle reazioni che il tocco di Leonardo le stava scatenando. La sua ultima speranza era cercare di minare il suo potere su di lei, portare entrambi allo stesso livello.

            «Vedo che la vostra brama di dimostrarmi quanto apprezziate il mio corpo è rimasta invariata», mormorò, abbassando il tono della voce ad ogni parola. «Così come il mio… bruciante desiderio… di piegarvi al mio volere», mormorò, riducendo il tutto ad un sussurro roco.

Per la prima volta da quando era emerso dalla vasca, anche Leonardo sentì il suo autocontrollo vacillare notevolmente, al solo provare ad assecondare la sua mente nelle immagini che quelle parole avevano evocato. Con non poca difficoltà, mantenne salda la presa attorno alla balestra, ma non poté nulla contro l’improvviso desiderio di avvicinarsi ai suoi capelli e inspirare profondamene.

Aveva sentito la sua mancanza ogni giorno durante il viaggio intrapreso in Valacchia, ma in quel momento si chiese come aveva potuto resistere tanto a lungo senza di lei. Senza vederla, senza sfidarla, senza toccarla.

            «E così niente è cambiato. Tranne forse per un dettaglio…», mormorò, le parole di lui soffocate contro i suoi morbidi capelli. «…non sono io a trovarmi dalla parte sbagliata di un’arma, ora», aggiunse, stringendole di nuovo la presa in vita e facendole premere la schiena contro la balestra.

Gemma riconobbe facilmente la nota di soddisfazione e compiacimento nella sua voce di Leonardo, la stessa che assaporava lei ogni volta che sentiva di avere l’artista in pugno. A ruoli invertiti, sentiva la mancanza di quel potere.

            «Siete per caso dispiaciuto per questa posizione?», mormorò la contessa con finto rammarico, la sicurezza che piano piano stava, inspiegabilmente, tornando. «Possiamo tranquillamente rimediare».

            «Invero questa posizione mi dà molto piacere», ribatté Leonardo, incapace di resistere alla tentazione di chinare nuovamente il capo e proseguire ad un soffio dal suo orecchio. «E il mio intuito mi dice che per voi è lo stesso», sussurrò e, a riprova delle sue parole, spostò di poco la mano poggiata all’altezza della vita, avvicinandosi pericolosamente al seno.

            «Non brillate certo per la vostra perspicacia, artista», commentò Gemma, in un tentativo di voltare il capo e di poterlo vedere in volto.

Il suo sforzo per proseguire la conversazione restando fermi dov’erano fallì, quando sentì la balestra spingerla di nuovo in avanti.

            «Gli Archivi Segreti, contessa», ripeté Leonardo, concentrandosi su quell’obiettivo pur di non cedere alla tentazione di mandare tutto al diavolo e assecondare le sue provocazioni.

Gemma trattenne un sospiro di frustrazione, e ricominciò a camminare in direzione del passaggio segreto, celato dietro al drappo di velluto appeso alla parete.

Camminava lentamente.

Molto lentamente.

 

 

 

Angolo dell’autrice

Buonsalve a tutt*!

Ho di nuovo finito di betare dieci minuti fa: questo nuovo palinsesto non mi è ancora entrato in mente, o forse sono io che eccello nell’arte di procrastinare le cose da fare. Chi può dirlo.

Non so se si evince da questo capitolo (o dalla storia in generale, a voler essere più precisi), ma io ho un vero debole per le scene come queste: provocazioni, sfide, punti deboli scovati e sfruttati, frasi più o meno velate… Ed era da un po’ che l’artista fiorentino e la contessa romana non si cimentavano in questa gara a chi dei due cede per primo.

Quest’intero scontro negli Archivi Segreti era originariamente un enorme capitolo di venti pagine, ma per ovvie ragioni di lunghezza (e di suspence) si interrompe qui e prosegue in quello successivo.

Spero di avervi incuriosito abbastanza da attendere il prossimo aggiornamento con più impazienza del solito. Come sempre, ci si rilegge tra due settimane.

Un bacione

Amy W. Gildeary

   
 
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