Il
Gioiello del Vaticano
Capitolo
17 - Il Diavolo
Nei Tarocchi,
la carta del
Diavolo ha una polarità attiva e passiva. È l’istinto cieco al di là
del
conscio, è l’impulsività senza luce di ragione. Parla di messa in
pratica di
magnetismo umano, d’invadenza nell’inconscio altrui. Indica
sovvertimento dell’ordine,
passioni ed eccessi.
Al negativo, però, è indicatore di squilibri, di nevrastenia. E ancora,
incentra gli abusi, le perversioni in tutte le loro forme. La persona
macchinosa che non controlla i propri istinti.
Papa
Sisto pregava davanti alla maestosa poltrona rivestita di stoffa
dorata,
inginocchiato sul pavimento ligneo e intento a recitare l’ultima di una
serie
di orazioni.
Il
suono dei passi sulle lucide assi di legno non sembrò raggiungerlo, e
la
contessa aspettò qualche altro istante, prima di schiarirsi la voce e
aspettare
una reazione.
L’uomo,
con fare pigro e svogliato, recitò le ultime parole in latino, e si
alzò in piedi,
per poi voltarsi verso la persona che lo aveva disturbato. In altre
circostanze, il suo sguardo sarebbe stato sprezzante ed alterato, ma
evidentemente ricordava il motivo dietro a quella visita e la sua
espressione
divenne un ghigno soddisfatto. Posò gli occhi sulla giovane donna, che
rispose
con un cenno d’assenso del capo, prima di indicare con la mano l’uomo
in piedi
accanto a lei.
«Sua
Santità», iniziò, accennando un inchino. «Posso presentarvi Federico da
Montefeltro, Duca di Urbino?».
L’uomo
appena nominato rimase al suo posto, la postura fiera e il mento alto,
ed
osservava Papa Sisto con sguardo solenne, attraverso il solo occhio
rimastogli.
«Federico»,
mormorò il papa, porgendo avanti il braccio destro, gesto che l’ospite
interpretò come un permesso di avvicinarsi.
«Santità»,
rispose il duca, umilmente.
Prese
la mano dell’uomo tra le sue e baciò l’anello color ambra,
accompagnando il
gesto da un piccolo inchino.
«Grazie, per essere venuto in così
breve tempo», continuò Sisto, in un atteggiamento di gratitudine a dir
poco
inusuale per il suo temperamento freddo ed arrogante.
«Tutto
per Vostra Santità», minimizzò l’ospite, con un accenno di sorriso, e
ritornando al suo posto. «Io sono un servo di Dio», aggiunse, ma dal
suo tono
traspariva una nota di sarcasmo.
«Un
servitore alleato con la mano che porge l’offerta più attraente»,
commentò
Gemma, scoccandogli un’occhiataccia eloquente. «Un interessante
bisbiglio,
riguardante una vostra alleanza con Firenze, ha raggiunto la città del
Vaticano», aggiunse, con un sorriso di finta cortesia e l’aria
angelica.
«Che
voce a dir poco bizzarra», rispose Federico da Montefeltro, con aria
divertita.
«Siete
una città famosa per la sua originalità, dopo tutto», ribatté la
contessa: un
riferimento decisamente poco celato alla piccola opera svolta
all’occhio destro
del duca.
Ciò
nonostante, l’ospite rise divertito.
«Perdonate
mia nipote», si intromise Papa Sisto. «La schiettezza è una delle sue
caratteristiche più marcate», aggiunse, scoccandole uno sguardo di
rimprovero.
«No,
non occorre alcuna scusa», lo tranquillizzò l’uomo, per poi voltarsi di
nuovo
verso la contessa, con sguardo ammirato. «Una donna tanto risoluta è un
tesoro
raro… una gemma preziosa», aggiunse, senza fare nulla per celare uno
sguardo
tutt’altro che consono alla situazione. «Al vostro posto, farei molta
attenzione a tenermela ben stretta».
Gemma
non era affatto nuova a situazioni come quelle, tutt’altro che
lusinghiere e
piacevoli, e non fece nulla per nascondere uno sguardo scettico e
vagamente
infastidito, prima di spostare la conversazione su tutt’altro
territorio.
«Dunque
cosa potete dirci riguardo alla vostra alleanza con Lorenzo de’
Medici?»,
domandò, alzando le sopracciglia con aria di sfida e incrociando le
braccia al
petto.
«Non
potrei essere più d’accordo con voi, contessa Riario», rispose il duca,
ignorando lo sguardo di ammonimento rivoltogli poco prima. «Non faccio
certo
mistero della mia brama verso ciò che mi attrae», proseguì, e lo sforzo
compiuto da Gemma per non mettere mano al proprio stiletto fu a dir
poco
ammirevole.
Sisto,
d’altro canto, tornò a sedersi comodamente sulla sua poltrona,
osservando il
piccolo scontro con un sorriso soddisfatto. Non perdeva occasione di
vedere la
sua piccola spia all’opera e di compiacersi della decisione di aver
investito
tempo e risorse nella sua preparazione. Dimenticando per un momento
quanto
tempo stava impiegando per recuperare la chiave, era una delle migliori
armi a
disposizione del Vaticano.
«Lo
Stato Pontificio vi offre cinque mila fiorini d’oro per combattere per
noi
contro i Medici», rispose la contessa, tenendo ben salde le braccia
attorno al
petto, o al minimo segnale di cedimento le sue mani sarebbero corse
alle armi.
«Non
è il denaro ad attrarmi», rispose il duca. «Non uccido per soldi. Lo
faccio per
piacere», aggiunse con un ghigno sadico stampato in volto, e abbassando
il tono
della voce sull’ultima parola.
Tutto,
nella postura e nello sguardo di Gemma, indicava quanto volentieri
avrebbe
voluto sguainare la spada.
«Federico»,
si intromise Sisto, prima che la situazione iniziasse a degenerare.
«Credo
vogliate ristorarvi prima di discutere di affari. Bene, ci vedremo di
nuovo più
tardi», lo congedò, prima di fare cenno ad una serva di guidarlo verso
gli alloggi
degli ospiti.
Gemma
lo seguì con lo sguardo colmo di disprezzo, sguardo che ebbe premura di
celare
quando si voltò di nuovo verso Sisto.
«Credo
proprio che dovresti tenerti alla larga dalle nostre trattative
politiche», le
disse il papa, e la contessa si aspettò di ricevere un altro sguardo di
rimprovero, per cui fu parecchio sorpresa di vederlo sogghignare
soddisfatto.
«Sei più agguerrita del solito, ultimamente», aggiunse, studiandola con
attenzione. «Interessante».
«La
congiura dei Pazzi è alle porte e creerà molto scompiglio. Dobbiamo
essere
tutti pronti alle sue conseguenze», rispose lei con noncuranza.
«E
una nuova era nascerà con essa», aggiunse Sisto. «Ma fino ad allora,
anche
essere sempre vigili è importante. Il viaggio del Duca di Urbino
potrebbe aver
raggiunto orecchie indiscrete, quindi occupati di controllare tutto il
perimetro», le ordinò, congedandola con un cenno della mano.
«La
prudenza non è mai troppa», concordò Gemma, annuendo.
«E
nemmeno la violenza».
Uscita
dalla stanza in cui Sisto si era ritirato in preghiera, Gemma raggiunse
il suo
piccolo gruppetto di guardie svizzere e, con un semplice schiocco di
dita, le
sguinzagliò fuori dalla fortezza, in modo da far controllare le entrate
e i
giardini circostanti. Un’altra mezza dozzina di soldati la seguirono
verso la
parte più remota del palazzo, e vennero da lei inviati a sorvegliare
gli
ingressi.
«Controllerò
lo studio di Sua Santità e gli Archivi», disse la giovane donna con
tono
asciutto, avvicinandosi all’entrata dei bagni.
«Contessa
Riario, siete certa di non volere alcuna scorta?», chiese il capitano
Grunwald,
accompagnato da altre due guardie.
«Non
ne ho alcun bisogno», rispose la giovane donna, portando una mano sopra
all’impugnatura della spada, in un gesto eloquente. «Più tardi il Santo
Padre
si riunirà con il Duca di Urbino per rafforzare le nostre alleanze, e
il loro
incontro deve procedere senza alcuna interruzione».
«Darò
ordine ai soldati di controllare i loro alloggi», rispose il capitano,
senza
bisogno di ricevere ulteriori istruzioni.
Gemma
annuì e li congedò con un cenno della mano, prima di varcare la soglia
dei
bagni. Solo quando sentì la porta chiudersi alle sue spalle, poté
permettersi
di rilassare i muscoli del suo corpo.
La
partenza di Leonardo da Firenze era stata uno scomodo imprevisto, e la
contessa
temeva la vendetta di Sisto da un momento all’altro, viste le numerose
settimane
trascorse senza alcuna nuova informazione utile. Fortunatamente, la
Pasqua era
ormai alle porte e il collerico papa non aspettava altro che colpire la
dinastia de’ Medici: la congiura sarebbe stata per lui un ottimo
intrattenimento, una distrazione dalla ricerca della seconda chiave.
La
giovane donna iniziò a camminare lungo i bordi della vasca, con lo
sguardo poco
attento e la mente che vagava altrove. Doveva concludere quella
missione il
prima possibile, e soprattutto prima che i suoi pensieri, ancora
confusi,
diventassero veri e propri dubbi.
Non
si accorse nemmeno di aver già finito il perimetro della stanza e di
essere
tornata al punto di partenza, accanto al portone d’ingresso. Diede
un’ultima
occhiata tutt’intorno, poi si voltò verso il passaggio segreto per gli
Archivi.
Ebbe
appena il tempo di dare le spalle ai bagni, quando sentì un tonfo sordo
dietro
di lei, seguito dallo scorrere dell’acqua. Incerta, tornò più vicina
alle
vasche, ma il vapore celava ogni cosa sotto di esso, rendendole
impossibile
capire quale fosse stata la causa di quel rumore.
Poi,
d’un tratto, una figura iniziò ad emergere dalla densa nebbia bianca.
In
un primo istante, Gemma fu sicura di essere vittima delle
allucinazioni, e rimase
immobile con lo sguardo confuso e diffidente, aspettando di vedere
quell’immagine
scomparire dalla sua mente.
Leonardo
emerse dal candido vapore, alcune gocce d’acqua che cadevano dalle
ciocche di
capelli bagnati sul suo viso, gli abiti completamente aderenti al suo
corpo, e
il suo caratteristico sorrisino soddisfatto.
La
contessa indietreggiò di qualche passo, la mente che le urlava di
risvegliarsi
e di mettere mano alle armi, di fermarlo, di cogliere immediatamente
quell’occasione. Ma non riuscì a fare nulla del genere, rimase a
fissarlo sconvolta
e privata della voce.
«Contessa»,
mormorò da Vinci, percorrendola dalla testa ai piedi con lo sguardo.
«Artista»,
rispose Gemma in un sussurro, stupendosi di essere riuscita a fare
qualcosa di
diverso dal restare immobile al centro della stanza.
«La
porta era chiusa», scherzò Leonardo, indicando un punto indistinto alle
sue
spalle.
Il
tempo di rendersi conto di possedere finalmente un vantaggio su Gemma
e, in un
istante, il suo sorrisino sparì e la mano corse alla cintura,
afferrando e
sguainando una balestra. E l’arma puntava proprio lei.
«Un’entrata
di grande effetto», commentò la contessa, alzando lentamente le mani in
aria,
in segno di resa.
«Per
ottenere un’udienza… privata»,
rispose l’artista, marcando notevolmente l’ultima parola, e non
risparmiandole
un altro languido sguardo lungo il suo corpo. «Sono sorpreso di vedervi
sulla
difensiva», aggiunse poi, soffermando l’attenzione sulla spada e sullo
stiletto.
«Un’eccellente
conoscenza delle tecniche di combattimento», rispose lei, cercando di
tenere
sotto controllo il nervosismo per lo svantaggio che stava accumulando.
«Sguainare una delle mie armi richiederebbe comunque più tempo dello
scocco di
una delle vostre frecce».
Leonardo
annuì, d’accordo con il suo ragionamento, ma una parte di lui si sentì
amareggiata dalla tacita accusa celata dietro alle sue parole: quella
secondo
la quale non ci sarebbe stata alcuna esitazione nel ferirla.
«Speravo
di poter avere un colloquio con papa Sisto», disse Leonardo, uscendo
dalla
vasca ed avvicinandosi alla contessa. «Ma devo ammettere che questo
imprevisto
non mi dispiace affatto», proseguì, giungendo a pochi passi da lei.
«Temo
di non poter dire lo stesso, artista», rispose Gemma, ma sentire una
certa
mancanza di convinzione nel pronunciare quelle parole le sottrasse un
altro po’
di fiducia, carenza che andò ad alimentare il suo già discreto
svantaggio.
«Sono
passate settimane dall’ultima volta che abbiamo avuto il piacere di
sfidarci»,
proseguì Leonardo, senza dare segno di voler abbassare l’arma. «Non
vorrete
farmi credere che io sia stato l’unico a sentirne la mancanza»,
aggiunse,
abbassando notevolmente il tono della voce.
«Dev’essere
stata una tortura straziante, per portarvi a rischiare la vita
introducendovi
nella tana del lupo», ipotizzò la contessa, cercando in ogni modo di
spostare
l’argomento della conversazione altrove.
Sentiva
la sua caratteristica sicurezza abbandonarla secondo dopo secondo, e la
sensazione di camminare così vicina al limite delle sue certezza non la
stava
aiutando.
«Un
pericolo ampiamento ricompensato…», sussurrò Leonardo, avvicinandosi
ulteriormente, e per Gemma resistere all’impulso di indietreggiare fu
molto
difficile. «…dalla vostra presenza e da questo interessante scambio di
ruoli»,
concluse, arrivando a un soffio da lei.
«Vi
suggerisco dunque di goderne, fin tanto che potete», rispose la
contessa, con
aria di sfida. Ma sapeva meglio di lui che sarebbe stato alquanto arduo
riportare la situazione sotto il suo controllo.
«Assolutamente»,
sussurrò Leonardo, allungando una mano verso la cintura della giovane
donna ed
estraendone prima lo stiletto, e in seguito la spada, per poi gettarli
entrambi
nei pochi centimetri d’acqua che ancora coprivano il fondo della vasca.
Senza
mai dar segno di voler abbassare l’arma, da Vinci mantenne il contatto
visivo
con la contessa, e nel mentre la mano libera iniziò a vagare per tutto
il suo
corpo, premendo abbastanza da poter riconoscere la presenza di altre
armi. Non
distolse mai lo sguardo, nemmeno quando si chinò per controllare lungo
le sue
gambe, e mai perse il suo tipico sorriso di vittoria.
In
tanti incontri che avevano avuto, in tante occasioni in cui erano
arrivati ad
un soffio l’uno dall’altra, in tanti contatti fisici… Gemma non si era
mai
sentita tanto nervosa, né il suo corpo aveva mai risposto in quel modo
al suo
tocco. Era sempre riuscita a restare calma e sicura di sé, i muscoli
rilassati
ma pronti a rispondere ad ogni riflesso, la mente sgombra da
distrazioni e
concentrata sull’obiettivo.
In
quel momento, le sue certezze erano svanite, l’avevano abbandonata,
lasciando
il posto a reazioni e pensieri del tutto incapaci di tranquillizzarla.
Ogni
punto del suo corpo raggiunto da quel tocco sembrava bruciare,
protestare per
le barriere frapposte, bramare perché quel contatto potesse essere
qualcosa di
più.
Qualcosa
era cambiato, e niente era mai riuscita a spaventarla tanto.
Leonardo
raggiunse di nuovo la sua altezza, in un contatto visivo che non era
mai stato
spezzato, e si concesse alcuni istanti per assaporare quel momento.
Dopo
numerosi e vani tentativi di tenere in pugno la situazione, era giunta
la sua
occasione di condurre i giochi, e sapere di non essere lui quello con
le spalle
al muro gli regalò una piacevole sensazione di soddisfazione.
Non
abbassò comunque la balestra, nonostante avesse appurato che la
contessa non
aveva altre armi con sé, ma questo non le avrebbe impedito di
contrattaccare e
difendersi usando nient’altro che il suo corpo.
Ormai
vicina ad un limite che non aveva alcuna intenzione di oltrepassare,
Gemma
osservò Leonardo con sguardo confuso, abbassando lentamente le braccia.
«Non
avete ragione di preoccuparvi, artista. Privata delle armi, che altro
potrei
farvi?», domandò, cercando di ritrovare il tono caratteristico dei loro
scontri, una zona a lei familiare che potesse donarle un minimo e
sicurezza.
«Oh…»,
quasi gemette da Vinci, inclinando di poco la testa di lato.
«Innumerevoli
cose, in innumerevoli modi», mormorò, vagando con lo sguardo fino alle
sue
labbra.
«Non
se continuate a starmi così addosso», rispose invece Gemma. Non
esattamente
quello che il fiorentino si aspettava, ma attribuì la causa alla
situazione,
per la prima volta svantaggiosa, in cui la contessa si trovava.
«Potreste
usare un po’ di fantasia: sono certo che trovereste qualcosa da fare»,
proseguì
Leonardo, ricordando con una certa dose di ammirazione la capacità di
Gemma di
trovare punti deboli anche in momenti che ne sembravano privi.
«O
potreste muovere qualche passo indietro», ribatté la contessa,
apostrofandosi
mentalmente da sola, alla ricerca di una capacità di rispondere a tono
che
sembrava sparita.
«Io
sto benissimo», commentò da Vinci, sempre più sorpreso dall’improvvisa
mancanza
di malizia nelle parole della sua avversaria. «Siete voi che apparite
un po’
tesa», proseguì, accorciando ulteriormente la già modesta distanza.
«Posso fare
qualcosa per… aiutarvi a rilassarvi?», mormorò, con un filo di voce.
Gemma
lo vide abbassare lo sguardo sulle sue labbra e le pupille dilatarsi
per il
desiderio, ed attinse a tutte le sue forze per ritrovare la sua
maschera: se
non per contrastarlo almeno per guadagnare del tempo.
«Sono
certa che non possediate alcuna altra abilità, se non quella di
mettermi i bastoni
tra le ruote», mormorò, un’insinuazione molto più velata di tante altre
precedenti, ma sufficiente per farle ritrovare un minimo di
tranquillità.
Leonardo
però mandò la sua piccola conquista a monte, decidendo di proseguire la
conversazione vicino al suo orecchio. Troppo
vicino al suo orecchio.
«Io
invece sono certo che ce ne siano parecchie», mormorò lui, con voce
roca. «Una
più soddisfacente dell'altra», aggiunse, quasi sfiorandole la pelle con
le
labbra.
L’inaspettata
fitta che la colpì allo stomaco la colse completamente impreparata, e
nemmeno
si accorse di aver assecondato il suo desiderio di chiudere gli occhi,
di non
sentire altro che non fosse il suo respiro sulla pelle e la sua voce
calda e
morbida. Ebbe bisogno di qualche secondo per ritrovare il contatto con
la
realtà, giusto in tempo per capire che proseguire lungo quel sentiero
sarebbe
stato troppo pericoloso.
«Che
cosa volete, artista?», domandò lei, molto più brusca di quanto non
volesse.
Leonardo
parve ridestarsi a quelle parole, iniziando a ricordare il vero motivo
che lo
aveva spinto ad azzardare un’impresa del genere.
«Sarebbe
scortese non invitare un vostro ospite a visitare gli Archivi Segreti,
non
trovate anche voi?», mormorò lui con tono retorico, allontanandosi di
un passo
e puntandole di nuovo contro la balestra.
La
conosceva da un po’ di tempo, abbastanza da aver ormai imparato che il
minimo
punto debole diventava, per la contessa, un’occasione irresistibile di
attaccare. Era l’unico motivo che lo convinse a non riporre l’arma, per
quanto
fosse tentato.
«Pretesa
piuttosto arrogante, da parte di chi si è appena introdotto
furtivamente nella
casa di Dio», rispose Gemma con diffidenza.
Di
nuovo, non ebbe nemmeno il tempo di sentirsi tranquilla e su un terreno
a lei
familiare, che Leonardo la destabilizzò un’altra volta, iniziando a
camminarle
intorno fino a sparire dalla sua visuale.
«Pretesa
che, tuttavia, sarebbe meglio per voi esaudiate», mormorò l’artista
alle sue
spalle, premendo la balestra contro la sua schiena.
Un
istante dopo, la sua mano libera indugiò di nuovo sul suo corpo
cingendole la
vita, il tocco delicato ma allo stesso tempo fermo e deciso, di sicuro
non
intenzionato a lasciare la presa tanto facilmente.
«Avete
improvvisamente ritrovato il senso della giustizia?», domandò Gemma,
con un che
di amaro nel tono della voce. «Non vi ho mai visto così zelante nei
confronti
della vostra amata Firenze»,
aggiunse, ricordando quanto le fosse stato facile distrarlo dai suoi
doveri nei
confronti della città.
«Gli
Archivi Segreti…», ripeté Leonardo, chinando il capo su di lei.
«…Gemma»,
mormorò con un filo di voce, ad un soffio dal suo collo.
La
contessa avrebbe tanto voluto voltarsi. Che fosse per prenderlo a
schiaffi o per
zittirlo in altro modo non aveva importanza, ma ciò che più bramava in
quel
momento era la possibilità di voltarsi.
«Se
non desiderate altro…», mormorò Gemma, sperando che fosse ben celato
l’orgoglio
che le bruciava dentro.
Adocchiò
immediatamente la porta d’ingresso principale, e in religioso silenzio
iniziò a
camminare in quella direzione. Non era un’ingenua: c’erano ben poche
cose che
Leonardo poteva voler trovare negli Archivi Segreti, e il pensiero che
quel
particolare oggetto fosse addosso a lei non era d’aiuto, in un’infinita
lista
di punti a suo sfavore.
Il
respiro le si bloccò in gola quando sentì la presa attorno alla sua
vita
stringersi all’improvviso, fermandola sul posto.
«So
delle guardie là fuori», mormorò da Vinci, fin troppo vicino al suo
orecchio.
«Così come so che esiste senz’altro un’altra via per accedere agli
Archivi»,
aggiunse, senza alcun accenno di volersi allontanare.
«Dunque
non vedo come io possa esservi utile, se sapete già tutto», ribatté la
contessa,
restando immobile dov’era.
«Non
apprezzate la mia compagnia, forse?», chiese l’artista, con finto tono
perplesso. «Eppure…», proseguì, rafforzando ancora di più la presa, e
la
contessa trovò improvvisamente difficile riuscire a deglutire. «…il
vostro
corpo dice tutt’altro», bisbigliò, avvertendo chiaramente, nonostante
gli
strati di stoffa, i muscoli dell’addome tesi.
E
Gemma lo sapeva, sapeva benissimo di aver perso ogni controllo sulle
reazioni
che il tocco di Leonardo le stava scatenando. La sua ultima speranza
era
cercare di minare il suo potere su di lei, portare entrambi allo stesso
livello.
«Vedo
che la vostra brama di dimostrarmi
quanto apprezziate il mio corpo è rimasta invariata», mormorò,
abbassando il
tono della voce ad ogni parola. «Così come il mio… bruciante
desiderio… di piegarvi al mio volere», mormorò, riducendo
il tutto ad un sussurro roco.
Per
la prima volta da quando era emerso dalla vasca, anche Leonardo sentì
il suo
autocontrollo vacillare notevolmente, al solo provare ad assecondare la
sua
mente nelle immagini che quelle parole avevano evocato. Con non poca
difficoltà, mantenne salda la presa attorno alla balestra, ma non poté
nulla
contro l’improvviso desiderio di avvicinarsi ai suoi capelli e
inspirare
profondamene.
Aveva
sentito la sua mancanza ogni giorno durante il viaggio intrapreso in
Valacchia,
ma in quel momento si chiese come aveva potuto resistere tanto a lungo
senza di
lei. Senza vederla, senza sfidarla, senza toccarla.
«E
così niente è cambiato. Tranne forse per un dettaglio…», mormorò, le
parole di
lui soffocate contro i suoi morbidi capelli. «…non sono io a trovarmi
dalla
parte sbagliata di un’arma, ora», aggiunse, stringendole di nuovo la
presa in
vita e facendole premere la schiena contro la balestra.
Gemma
riconobbe facilmente la nota di soddisfazione e compiacimento nella sua
voce di
Leonardo, la stessa che assaporava lei ogni volta che sentiva di avere
l’artista in pugno. A ruoli invertiti, sentiva la mancanza di quel
potere.
«Siete
per caso dispiaciuto per questa posizione?», mormorò la contessa con
finto
rammarico, la sicurezza che piano piano stava, inspiegabilmente,
tornando.
«Possiamo tranquillamente rimediare».
«Invero
questa posizione mi dà molto piacere», ribatté Leonardo, incapace di
resistere
alla tentazione di chinare nuovamente il capo e proseguire ad un soffio
dal suo
orecchio. «E il mio intuito mi dice che per voi è lo stesso», sussurrò
e, a
riprova delle sue parole, spostò di poco la mano poggiata all’altezza
della
vita, avvicinandosi pericolosamente al seno.
«Non
brillate certo per la vostra perspicacia, artista», commentò Gemma, in
un
tentativo di voltare il capo e di poterlo vedere in volto.
Il
suo sforzo per proseguire la conversazione restando fermi dov’erano
fallì,
quando sentì la balestra spingerla di nuovo in avanti.
«Gli
Archivi Segreti, contessa», ripeté Leonardo, concentrandosi su
quell’obiettivo
pur di non cedere alla tentazione di mandare tutto al diavolo e
assecondare le
sue provocazioni.
Gemma
trattenne un sospiro di frustrazione, e ricominciò a camminare in
direzione del
passaggio segreto, celato dietro al drappo di velluto appeso alla
parete.
Camminava
lentamente.
Molto
lentamente.
Angolo
dell’autrice
Buonsalve
a tutt*!
Ho
di nuovo finito di betare dieci minuti fa: questo nuovo palinsesto non
mi è
ancora entrato in mente, o forse sono io che eccello nell’arte di
procrastinare
le cose da fare. Chi può dirlo.
Non
so se si evince da questo capitolo (o dalla storia in generale, a voler
essere
più precisi), ma io ho un vero debole per le scene come queste:
provocazioni,
sfide, punti deboli scovati e sfruttati, frasi più o meno velate… Ed
era da un
po’ che l’artista fiorentino e la contessa romana non si cimentavano in
questa
gara a chi dei due cede per primo.
Quest’intero
scontro negli Archivi Segreti era originariamente un enorme capitolo di
venti
pagine, ma per ovvie ragioni di lunghezza (e di suspence) si interrompe
qui e
prosegue in quello successivo.
Spero
di avervi incuriosito abbastanza da attendere il prossimo aggiornamento
con più
impazienza del solito. Come sempre, ci si rilegge tra due settimane.
Un
bacione
Amy
W. Gildeary