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Autore: La_Sakura    02/05/2019    5 recensioni
Genzo Wakabayashi non è solo il portiere più acclamato e titolato del momento: è anche l’erede dell’impero della Wakabayashi Corp., una delle multinazionali più importanti sul mercato.
Non se n’è mai preoccupato troppo: con suo padre fisso al comando, e i fratelli già ampiamente attivi in varie filiali, non ha mai dovuto prendere le redini, riuscendo così a posticipare costantemente il suo completo inserimento in azienda. Forte della collaborazione della Personal Assistant di suo padre, ha continuato a concentrarsi sulla sua carriera di portiere paratutto del FC Bayern München, riuscendo pienamente a raggiungere gli obiettivi che si era prefissato.
O, per lo meno, così è stato fino ad ora.
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Serie "Im Sturm des Lebens"
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Karl Heinz Schneider, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Im Sturm des Lebens'
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ET - Capitolo 1

 

 

«Genzo e Karl ci hanno inviato i biglietti per la finale…» esordì Martha. La manager non distolse lo sguardo dallo schermo del pc, così la sua assistente la incalzò.

«Uno per me e uno per te, tribuna VIP.»

Nessuna risposta.

«La partita è domenica.»

«Ho già prenotato il volo. – Julia lo disse senza interrompere ciò che stava facendo, le dita si muovevano veloci sulla tastiera – Genzo mi ha mandato tre messaggi e Karl ne ha lasciati quattro in segreteria. Se sommiamo il tutto alle volte in cui avranno chiamato te…»

«Ci tengono… specialmente Genzo…»

«No. – Julia si alzò e prese la chiavetta per il caffè – Genzo ci tiene a far apparire solido il gruppo, e dato che attualmente, in sua assenza, siamo noi due a prendere le decisioni…»

Non finì la frase, ma non ce ne fu bisogno: Martha alzò gli occhi al cielo e la raggiunse al distributore automatico.

«Sei veramente cocciuta!»

«Perché? Sto facendo tutto quello che mi ha chiesto. Dirigo l’azienda in sua assenza seguendo le sue direttive, non mi permetto di “uscire dai binari”. – e mentre lo diceva, mimò le virgolette con le dita – E adesso vado pure a sorbirmi una noiosissima partita di calcio solo per dimostrare al mondo quanto sia solida e unita la Wakabayashi Corp. Deutschlands. Direi di essere un modello di lealtà lavorativa.»

«Hai dimenticato di dire che sei acida come uno yogurt scaduto.»

«Dettagli.» la liquidò tornando in ufficio. Si sedette sulla poltrona e ondeggiò leggermente a destra e a sinistra, come per cullarsi; soffiò sulla bevanda per raffreddarla prima di berla.

«Quindi Karl ti ha mandato il biglietto…»

Martha arrossì e distolse lo sguardo, cercando di concentrarsi sulla vetrinetta contenente alcuni animaletti di Swarovski di Frau Wakabayashi.

«Già…» mormorò.

«È una bella cosa.» asserì Julia, annuendo.

L’assistente non rispose, non voleva sbilanciarsi: preferiva godersi il momento e le piccole cose, come quel biglietto per la finale del Mondiale di Calcio.

Al contrario di Julia, lei moriva dalla voglia di vedere Giappone e Germania scontrarsi: non seguiva tanto il calcio a livello di club, preferiva le competizioni fra Nazionali, e nonostante le origini dominicane, si sentiva tedesca in tutto e per tutto.

«Quindi quando partiamo?»

Distolse l’attenzione da sé per riportarla al loro viaggio.

«Sto aspettando l’e-mail di conferma ma direi di partire sabato e rientrare martedì.»

«Lo stretto necessario, insomma.»

«Abbiamo da fare, qui.»

L’assistente annuì, capiva la necessità di non rimanere a lungo lontano da Monaco; nonostante ciò, una punta di delusione la colse.

«Puoi occuparti tu dell’albergo? Io vado dai Wakabayashi, mi hanno telefonato prima che tu arrivassi.»

«Ci penso io, tranquilla…»

 

Julia aveva preso posto accanto a Sanae, facendo poi accomodare Martha alla sua sinistra. Aveva salutato le W.A.G.S. nipponiche con un cenno del capo e un sorriso, e si era messa ad ammirare lo stadio: doveva ammettere che l’atmosfera che vi si respirava era carica di agonismo, l’aria era quasi elettrica.

Martha controllò l’orario.

«Manca poco.»

Le squadre fecero il loro ingresso in campo in quel momento, precedute dalle bandiere delle rispettive nazioni: lo stadio esplose in un boato, più di 90.000 persone iniziarono a gridare, il suono assordante delle vuvuzelas si innalzò al cielo, mentre la Coppa del Mondo faceva bella mostra di sé in mezzo al campo.

I giocatori, accompagnati dai bambini con la maglia gialla NO RACISM, si schierarono a centrocampo in un’unica linea, rivolti verso il pubblico. Lo speaker annunciò allora le due squadre e, dopo pochi minuti, lo stadio quasi si zittì per l’inno tedesco.

Mentre lo canticchiava a bassa voce, Julia gettò un occhio al maxischermo dove stavano inquadrando i vari giocatori della Germania, assorti e nervosi. Si voltò ad osservare Martha quando inquadrarono Karl, o meglio, der Kaiser. Era così diverso dentro e fuori dal campo, come due facce della stessa medaglia. Sorrise quando vide l’assistente arrossire lievemente sentendosi osservata.

«Ora tocca a te, sai?»

Le note dell’inno giapponese riempirono l’aria e le ragazze accanto a loro iniziarono a cantare all’unisono con i ragazzi della Nazionale. Inquadrarono Genzo, e Julia si accorse di aver trattenuto il respiro fino a quel momento: lui era lì, col cappellino calcato in testa, lo sguardo serio, concentrato, quasi come se si trovasse in un’altra dimensione.

L’inno finì, lei si riscosse dai suoi pensieri e fu avvolta nuovamente dai cori e dal terribile suono delle vuvuzelas.

«Ma sarà così per tutto il tempo?»

Martha annuì ridendo.

«Ho già mal di testa…» si lamentò quindi la manager, ma in realtà stava iniziando a divertirsi.

 

La prima mezz’ora scorse tranquilla, le due squadre si stavano studiando e le occasioni furono poche. Fu al 35’ che Schneider, spiazzando completamente Wakabayashi e la sua difesa, segnò un goal dal limite dell’area di rigore. Le due ragazze scattarono in piedi ed esultarono, fregandosene degli sguardi omicidi delle ragazze al loro fianco.

Si voltarono verso il tabellone per rivedere l’azione e notarono Karl lanciato di corsa verso le telecamere, seguito da alcuni compagni: appena arrivato di fronte all’inquadratura, si fermò, voltò lo sguardo alla sua sinistra, occhi al cielo, e con la mano destra prese ad arrotolarsi una ciocca di capelli da dietro l’orecchio, quindi tornò a fissare la telecamera e lanciò un bacio con la stessa mano.

Martha avvampò immediatamente, il riferimento a lei era fin troppo palese, dato che era un gesto che compiva meccanicamente quando si trovava in imbarazzo (e durante le prima uscite con lui, eccome se lo era!), e Julia si voltò verso di lei con aria sorniona.

«Hai ancora bisogno di conferme?»

«Mi manca l’aria…»

Si ricomposero e dopo essersi scusate con lo sguardo con Sanae e le altre per la reazione, si concentrarono di nuovo sul match.

Il primo tempo si concluse così sull’1 a 0, e le squadre si ritirarono negli spogliatoi per l’intervallo.

«Beh, quindi? Non è poi così male il calcio, vero?» chiese Martha alla manager, cercando di attirare l’attenzione del venditore ambulante che si aggirava sugli spalti.

«Mmh, non male… ammetto che pensavo di divertirmi molto meno.»

Estrasse il Blackberry dalla tasca e notò la lucina verde che indicava l’arrivo di un SMS.

GENZO W.

Spero che tu non abbia esultato…

Julia lanciò una rapida occhiata a Martha, quindi sorrise.

Eh sì, invece. Non hai sentito l’urlo?

La risposta non tardò ad arrivare.

Non piangere quando ci vedrai alzare la coppa.

Chiuse il dibattito con l’ultimo SMS.

Ti asciugherò le lacrime di delusione…

«Non ti avrà mica fatto delle domande di lavoro!?» esclamò Martha risiedendosi dopo aver acquistato due bottigliette d’acqua. Ne porse una a Julia che accettò di buon grado.

«No, voleva sapere per chi stessi tifando.» rispose sorridendo.

«Rischi il posto?» ironizzò l’assistente.

«Solo se la Germania vince.» e le fece l’occhiolino.

La partita ricominciò e loro tornarono a concentrarsi sul campo da calcio.

 

Ci furono un paio di occasioni sprecate per la Nazionale nipponica, il nervosismo iniziava ad aumentare. Fu al 10’ del secondo tempo che la situazione degenerò: Genzo commise un fallo su Kaltz e l’arbitro gli assegnò un rigore contro, oltre ad alzare cartellino giallo.

«Gli è andata bene – commentò Martha – con un fallo del genere poteva benissimo espellerlo.»

«Tanto lo para, non lo sai che lo chiamano Super Great Goal Keeper?»

«Che cosa? Non scherziamo! Se lo calcia Karl, non ci sono speranze per Genzo… con tutto il rispetto.»

«Scommettiamo?»

«Dieci euro, Fräulein Wagner?»

«Facciamo venti, Señorita Gomez.»

Il Kaiser si avvicinò al dischetto degli undici metri: i due compagni di club si squadrarono per qualche istante.

«Anzi, rendiamola più interessante. – Julia aveva uno sguardo malizioso – Se Genzo lo para, verrai al matrimonio di Heidi e Daniel come accompagnatrice di Karl.»

«Ah, è così? Allora se Karl segna, devi invitare il nostro capo a cena. Da soli, voi due.»

«Andata.»

Quando l’arbitro fischiò, Karl distolse lo sguardo, partì, calciò con tutta la forza che aveva in corpo… ma Genzo non solo intuì la direzione, riuscì anche a fermare il pallone, guadagnando così il vantaggio della rimessa.

«Oh, merda…» mormorò Martha.

«Te l’avevo detto.»

Sanae aveva esultato scattando in piedi, e Julia non poté fare a meno di notare quanto anche a lei facesse piacere, non tanto perché erano la Germania e il Giappone, bensì perché si trattava Genzo. Le telecamere del maxischermo inquadrarono il volto fiero e rilassato del SGGK, coperto dal suo berrettino verde della marca a tre bande. Sentì il cuore che ebbe quasi un sussulto quando vide le labbra che si piegavano in un sorrisetto soddisfatto.

L’azione ripartì, Genzo rilanciò lunghissimo e raggiunse Sawada, che saltando un avversario iniziò la sua discesa verso la porta tedesca. Martha iniziò a imprecare contro la difesa della propria Nazionale, allarmandosi: Sawada arrivò fino alla linea di fondo, dopo uno scambio di passaggi con Izawa, e crossò all’interno dell’area di rigore, dove erano letteralmente ammassati tutti i giocatori. Misaki saltò per colpire di testa, ma Müller fece lo stesso e respinse di pugno. Purtroppo per lui, Hyuga era attento e colpì la palla al volo, spedendola in rete.

«Oh no!»

«Non disperare Martha, siamo 1 a 1.»

«Sì, ma sai ora quelli come si lasciano innervosire? Il Kaiser rischia di perdere la concentrazione…»

Julia sghignazzò sentendola parlare così, ma cercò di non farsi notare. Il calcio da metà campo della Nazionale tedesca segnò la ripresa del gioco.

Alcuni scambi nervosi vennero intercettati da Ishizaki che, rinviando verso Misaki, rilanciò l’azione della squadra del Sol Levante. Vederli fu uno spettacolo per gli occhi: la coppia Misaki-Ozora si muoveva sul campo come se seguissero una corrente, una brezza che li portò dritti davanti alla porta di Müller che nulla poté contro il Twin Shot della Golden Combi. Era 2 a 1 per il Giappone.

«Maledizione!» sbuffò Martha, appoggiando il mento sui palmi delle mani rivolti verso l’alto. Julia le mise una mano sulla spalla a mo’ di consolazione.

«Quanto manca?»

«Cinque minuti…» sospirò l’assistente, controllando l’orologio.

Le vuvuzelas continuavano a riempire lo stadio con il loro suono, le tifoserie non si erano perse d’animo nemmeno per un istante, e anche ora continuavano a sostenere le rispettive Nazionali in quello che si prospettava essere lo sprint finale.

Fu l’azione dell’ultimo minuto a decidere le sorti del match; non fu completamente colpa di Schester, lui cercava solo il goal del pareggio. Schneider aveva crossato all’interno dell’area di rigore, dove c’era un po’ di parapiglia. Sia Franz che Genzo avevano saltato per prendere la palla: il portiere aveva avuto la meglio, riuscendo anche a bloccarla, ma nella discesa entrambi si erano sbilanciati, e Schester era finito addosso a Wakabayashi.

Si accorsero subito che c’era qualcosa che non andava, perché l’estremo difensore non si rialzava da terra.

«Cosa sarà successo?» chiese Martha, continuando a scrutare il campo. Julia iniziò ad innervosirsi, non vedeva nulla e non capiva; notò Schneider che si avvicinava a Genzo, ancora disteso a terra; vide Kaltz fare dei gestacci verso Schester; alla fine lo speaker annunciò la sostituzione di Wakabayashi con Ken Wakashimazu, e Genzo venne portato fuori in barella.

Alla vista dei paramedici Julia scattò in piedi: tutte le ragazze sedute accanto a lei notarono il suo nervosismo, ma solo Sanae si attentò a dirle qualcosa.

«È in buone mani…» le mormorò, posandole una mano sul braccio, al che Julia tornò a sedersi, cercando di nascondere la preoccupazione.

Il direttore di gara decretò la fine di lì a poco, e i giocatori giapponesi, seppure col pensiero al loro portiere, iniziarono a festeggiare la vittoria di quel Mondiale.

La General Manager della Wakabayashi Corp. Deutschlands estrasse il Blackberry dalla borsa e compose il numero di Genzo, senza risultato.

«È spento.» mormorò, più a sé stessa che alla sua assistente.

«Staranno verificando le sue condizioni…» osservò Martha. Julia annuì e volse lo sguardo al campo dove stavano avvenendo le premiazioni, senza però osservarle veramente.

 

Il cellulare le squillò mentre stavano uscendo dallo stadio, accalcate nella ressa.

«Karl?»

«Sto cercando di parlare con Genzo, ma i medici non mi fanno entrare. Dove siete?»

«Siamo all’uscita delle tribune. Hai un modo per farci entrare?»

«Ho sguinzagliato Kaltz e Müller, vi stanno cercando.»

«Karl… è grave?»

«Non lo so, Julia. Si teneva il ginocchio. Se fosse una frattura potrebbe giocarsi la Bundesliga, per lo meno il girone di andata.»

Martha le fece cenno di avvicinarsi: aveva individuato Hermann.

«Arriviamo!» chiuse la comunicazione col Kaiser e raggiunse i due giocatori.

«Siamo riusciti a convincere un responsabile della sicurezza che abbiamo bisogno di voi, ma dobbiamo passare inosservati: avete qualcosa della Wakacorp.?»

«Che diamine è successo?» lo interruppe Martha, mostrandogli i pass aziendali.

«Schester gli è atterrato su un ginocchio.» le rispose, facendo loro un cenno per seguirli.

«Potrebbe essere niente, – intervenne Müller – ma potrebbe anche essere molto.»

Il responsabile della sicurezza li lasciò rientrare, cercando di mascherare il nervosismo con la noncuranza: Kaltz lo ringraziò rifilandogli una sonora pacca sulla spalla. Percorsero i corridoi in silenzio, Julia sentiva il cuore batterle all’impazzata.

Raggiunsero Karl-Heinz che, a braccia conserte, fissava la porta dell’ambulatorio medico, ancora chiuso. Accanto a lui, Ozora si grattava la testa, visibilmente in ansia: al contrario del Kaiser, indossava ancora la maglietta e i pantaloncini da gara.

«Ancora nulla?» Kaltz si avvicinò al proprio capitano, che scosse la testa negativamente. Le due ragazze si avvicinarono a lui, che rimase impassibile, la mascella contratta per la tensione. Julia fece per dire qualcosa quando il suo Blackberry prese a suonare.

«È Herr Wakabayashi…» si giustificò prima di allontanarsi per rispondere.

Quando raggiunse nuovamente il gruppo, Genzo non era ancora uscito.

«Ha chiamato per sapere di lui?»

Julia annuì.

«Non riusciva a raggiungerlo telefonicamente e voleva sapere se c’erano novità. Gli ho promesso di farlo richiamare non appena…»

La porta si aprì: il portiere ne uscì in stampelle, sguardo basso, la visiera del berretto ben calcata sul volto. Ozora fu il primo ad avvicinarsi a lui: si scambiarono un paio di frasi in giapponese, dopodiché la stella del Barça si allontanò, verosimilmente per farsi la doccia. Ci furono alcuni istanti di silenzio, rotti solamente dal rumore dei tifosi all’esterno della struttura, ma quando Karl fece per parlare, Genzo lo anticipò.

«Ringrazia Schester da parte mia, Schneider.»

«Il tuo sarcasmo è fuori luogo. – intervenne Kaltz – Sai bene che Franz non aveva nessuna intenzione di infortunarti.»

Un sorriso beffardo comparve sul volto del SGGK.

«Il Werder Brema gli sarà grato per avermi tolto di mezzo per un po’.»

Fece qualche passo in avanti, dirigendosi verso lo spogliatoio della sua Nazionale, quando forse realizzò che Martha e Julia erano lì. Si voltò e alzò lo sguardo verso la Manager.

«Con che volo rientrate domani?»

Martha prese la parola, vedendo che l’amica non rispondeva.

«Lufthansa delle 19:05.»

«Cercatemi un posto sullo stesso volo, non vado in Giappone, la Federazione lo sa già. Julia, tutto chiaro?» aggiunse poi, notando il suo sguardo perso. Continuava a fissarlo, stringendo in mano il Blackberry. Una leggera gomitata dell’assistente la fece tornare coi piedi per terra.

«Quando accendi il cellulare – mormorò senza distogliere lo sguardo da lui – chiama tuo padre. Era preoccupato.»

Il ragazzo annuì, quindi si voltò per riprendere il suo percorso.

«Genzo…» lo chiamò Julia. Sapeva di avere la sua attenzione, sebbene non si fosse girato: vedeva i muscoli della schiena tesi. Si avvicinò di qualche passo, non sapeva esattamente cosa la spingesse a farlo, sentiva solo che voleva abbracciarlo, doveva abbracciarlo. Gli si parò davanti e questo lo costrinse a guardarla negli occhi, dove lesse la muta domanda.

«Ne parliamo a casa. – le sussurrò – Promesso…»

Lei desistette dai suoi propositi e annuì, lasciandogli percorrere la distanza che lo separava dagli spogliatoi e dai festeggiamenti.




E niente, ieri ci speravo, di riuscire a pubblicare, ma sono stata in casa tipo un'ora in tutto il giorno, mea culpa che non mi sono organizzata...

Personalmente adoro questo capitolo, perché FINALMENTE una partita di calcio: siamo in Captain Tsubasa, oppure no? 

Ovviamente non può mancare l'infortunio di Genzo (Sono perfettamente in linea con il sensei XD), che sicuramente altererà nuovamente gli equilibri. 

Lo so, non odiatemi. Manca poco, ancora pochi capitoli, si vede già la luce in fondo al tunnel *blink*

Vi abbraccio forte

Sakura 

   
 
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