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Autore: iron_spider    03/05/2019    2 recensioni
“Tony, parlami. Che ti succede? Ci stai spaventando.”
Tony continua a fare il suo angelo di neve. Muove braccia e gambe avanti e indietro, fissando il cielo azzurro e terso finché Peter non si avvicina ancora, eclissando il sole. Socchiude gli occhi e lo guarda come se fosse pazzo.
Perché è pazzo.
“Peter,” dice Tony, iniziando quella conversazione che ha già fatto tante volte. “Ti fidi di me?”
“Certo,” dice Peter.
“Siamo in un loop temporale. Io sono Bill Murray. Mi ricordo tutto, e voi no, siamo… siamo intrappolati. Siamo in trappola, ragazzino. Ho fatto queste cose mille volte. E mille ancora. E ancora e ancora e ancora. Non so come uscirne. Quindi… mi arrendo. Adesso faccio angeli di neve. E basta.”

[post-Endgame // Traduzione // What If? // Tematiche delicate]
Genere: Commedia, Generale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Though I try, how can I carry on?



GIORNO OTTO
 

So when you’re near me, darling can’t you hear me
SOS
The love you gave me, nothing else can save me
SOS
 

Tony apre di scatto gli occhi e sente il cuore sprofondare. La disperazione lo afferra di nuovo e deglutisce a fatica, scuotendo il capo mentre ascolta Peter che si muove e si lamenta come sempre.

“Non ricordavo neanche che avessi messo una sveglia.”

Tony libera un respiro. Si tira su, si allunga facendo scrocchiare le ossa e gira la sveglia, interrompendo la musica.

Peter si gira sulla schiena. “Dio, per un attimo mi ero dimenticato dove fossimo.”

Tony rimane seduto sul bordo del letto, la testa affondata tra le mani. I primi momenti, all’inizio di ogni loop, sono la parte che lo fa stare peggio: si sente come se il mondo intero lo stesse lasciando indietro, come se lui non fosse più in grado di gestire niente e nessuno. Vorrebbe solo sdraiarsi e non alzarsi mai più.

“Peter,” lo chiama. “Uh-- la sveglia ha suonato un po’ troppo presto, puoi tornare a dormire. Io devo andare a fare una cosa.”

Quando rialza lo sguardo vede Peter che lo scruta sospettoso. Tony non riesce a costringersi a dire tutto adesso, non ci riesce: ripensa al cane Sandwich e a ciò che Peter aveva prima che lui lo portasse qui e si sente spezzare il cuore, come se tutto gli stesse crollando attorno e non potesse far nulla per impedirlo. Non può fare nulla.

“Che devi fare?” chiede Peter, sembrando un po’ più sveglio.

“Una cosa in città, ma torno subito,” dice lui. “E se ti preoccupi, vai al teatro dall’altra parte della strada e aspettami, io ti raggiungerò lì.”

Peter si mette seduto, poggiandosi sui gomiti. “Il teatro-- cosa… cosa succede?”

“Non posso dirtelo adesso,” dice Tony, con voce fragile. “Ma c’è qualcosa… qualcosa. Sta succedendo qualcosa. Te lo dico dopo. Ora devo, devo…” Si mette in piedi. Non sa cosa debba fare, non ha idea di cosa abbia in testa, si sente come se a quel punto tutto si fosse rotto definitivamente e non riesce a spiegarselo, non riesce a spiegarselo adesso, tutti i suoi fallimenti-- deve continuare ad aiutare-- ma non può semplicemente sparire di fronte al ragazzino, non come ha già fatto prima. “Sto bene,” dice, incontrando lo sguardo di Peter. Sente Cher nell’altra stanza. “Sto bene, tu stai bene, gli altri stanno bene… sta succedendo qualcosa, ma adesso non-- non posso, devo fare una cosa ma andrà tutto bene. Sto-- sto bene.”

“Non mi sembra,” dice Peter, alzandosi dal letto.

“Sto bene,” dice Tony, affrettandosi verso la propria valigia. La sua mente barcolla, perché non l’ha lasciata lì la sera prima, ma, cazzo, dovrebbe saperlo perché il loop-- il loop-- il maledetto loop… La rivolta in cerca di vestiti pesanti e in quel mentre la porta comunicante si apre, con Believe che risuona più forte.

La comparsa di Happy lo fa entrare ancor più nel panico e sa che è un egoista, che deve dirglielo, deve farlo, e dovrà dirglielo ancora mille volte, un milione; finalmente hanno la chiave dell’immortalità e vuol dire rimanere bloccati nello stesso giorno a Nederland, è meglio della fonte della giovinezza…

Si accascia per terra e si preme con forza la giacca sul volto, scoppiando in lacrime. Si odia, odia piangere, odia tutto quanto. Gli manca Pepper, vuole Pepper.

“Ehi, ehi, ehi, che succede?” chiede Happy. “Rhodey!”

“Tony,” lo chiama Peter, e sente le sue mani sulle spalle.
 

I need time to move on
I need a love to feel strong
‘Cause I’ve got time to think it through
And maybe I’m too good for you
 

“Tony, che succede?” gli arriva la voce di Rhodey. “Stai bene?”

Tony scosta la giacca dal volto, incontrando gli occhi di Peter. “Hai. Uh… hai salvato un corgi, l’hai chiamato Sandwich. Il giorno che ti ho detto di questo viaggio.”

Gli occhi di Peter si assottigliano e Tony si lascia sfuggire un lieve singhiozzo, cercando di non sembrare un infante.

“Come fai a saperlo?” chiede Peter.

Tony si sente stringere il cuore e scuote la testa. Sposta lo sguardo in modo da vederli tutti. “Vi fidate di me?”


 
§

 
“Allora, si è strozzato anche stavolta?” chiede Tony, quando Justin li raggiunge.

“Non si è strozzato,” dice Justin. “L’ho salvato per un pelo, gli ho detto di mangiare più piano, tutto a posto.”

“Bene,” dice Tony, sospirando. Ha l’impressione che oggi il suo cuore non stia funzionando a dovere, e gli altri sono ancora in agitazione per ciò che ha rivelato loro prima, dal suo bozzolo di panico accartocciato sul pavimento del motel. Ha fatto in modo che Peter chiamasse di nuovo May, e odia sentirlo mentire, specialmente senza sapere riguardo a cosa, di preciso. Sa che presto verranno smascherati, e che si troverà a dover fare i conti con qualcuno – May, Pepper, la squadra e chi per loro – che si presenterà qui all’ “ora di punta” rimanendo bloccato perché lui non è stato in grado di risolvere il rompicapo del loop. Teme quel giorno. Teme il momento in cui le loro voci dall’altro capo del telefono non saranno disposte a credere alle sue bugie e al suo procrastinare per non rivelare quel che cazzo sta succedendo.

“Otto giorni,” dice Happy, per la terza o quarta volta nell’ultima ora. “Cristo.”

“Che altro dobbiamo fare?” chiede Peter, spalla a spalla con Tony.

“Non sono sicuro,” dice lui, facendo un altro passo malfermo sul marciapiedi. La neve inizia a dargli sui nervi, il freddò gli dà sui nervi, le cazzate dell’uomo congelato sparse ovunque gli danno sui nervi. Osserva i bambini e Jeff correre lungo la strada e si schiarisce la gola. Nulla di ciò che hanno fatto ieri è servito a qualcosa. Nelle teste della gente non rimane nulla, nulla che li aiuti a ricordare, e la visione intermittente di vederli riscuotersi e collaborare perché anche loro ricordano si sta spegnendo nel suo cervello, come una fiamma battuta dal vento.

Si sente di nuovo sul punto di piangere e si sente la persona più debole del pianeta, senza alcuna idea né scopo. Ha bisogno di un segno.

Stanno camminando lungo una serie di vetrine a un paio di strade dal caos centrale di Nederland; qui gli eventi dell’uomo congelato sono un po’ più attutiti, anche se comunque troppo invadenti per i gusti di Tony.

“Sembrate proprio un gruppo di ballo,” dice una voce femminile. Tony alza lo sguardo e vede una donna davanti a sé, sull’entrata di un negozio con vetrine ampie e luminose che recano la scritta GEMMA - SCUOLA DI BALLO in lettere rosa.

Tony si ferma, osservandola. Ha i capelli neri e indossa una lunga gonna ondeggiante che sfiora il pavimento sporco. “Sei Gemma?” le chiede.

“Sì,” risponde lei. “Siete interessati a una lezione gratuita? In onore del vecchio Bredo, ovviamente.”

“È il tizio congelato,” borbotta Justin. “E certo che siamo interessati. Certo che sì.”

“Uh,” comincia Happy. “Non dovremmo aiutare--”

“Aspetta,” dice Tony, e Happy ammutolisce.

Forse è questo il segno. Forse. È la prima volta che qualcuno propone loro qualcosa in esclusiva da quando sono arrivati, e Pepper vuole che impari a ballare da… da sempre. Forse è per questo che sono bloccati. Forse sono qui per imparare qualcosa di nuovo. Forse ci sono altre possibilità in giro che non hanno ancora scoperto. E forse questa è una di esse.

“Cosa?” chiede Happy.

“Facciamolo,” dice Tony. “Balliamo.”

“Ballare?” chiede Rhodey. “Tony… so che ne stai passando tante, ma--”

“No, no,” si volta, sollevando le sopracciglia. “Magari è qualcosa che dobbiamo fare.”

“Ballare il liscio?” chiede Peter, a occhi sbarrati.

“Ballare il liscio.”

 
§

 
“Un due tre, un due tre… forza, ragazzi!”

“Non avevo mai pensato di ritrovarmi a ballare con te,” dice Happy, aggrappato alla mano destra di Tony e con l’altra attorno alla sua vita. “Lo dico a Pepper.”

“Beh, io lo dico alla polizia,” dice Rhodey. Anzi, grida. Tony non può permettersi di guardare nella sua direzione, perché sta ballando con Justin e non riuscirebbe a trattenersi dal ridere. “Questo è tradimento, Tony.”

“Come se avrebbe mai lasciato ballare con me il piccoletto,” dice Justin, volteggiando qua e là con Rhodey. “Sapevi che sarebbe toccato a te o Hogan.”

Peter sta ballando con l’insegnante e continua a fissarsi i piedi, apparentemente impegnato a tenersi il più possibile discosto da lei.

“Bel lavoro, Peter,” dice lei.

“Signorina Gemma,” dice Tony. “Quanto ci vuole per diventare esperti? Lo chiedo per un amico.”

“Esperti?” ride lei.

“Tony…” Happy si interrompe, strizzandogli la mano mentre compiono una giravolta.

“Scommetto che, di questo passo, saremo già abbastanza bravi in un paio d’ore…”

“Tony,” dice Rhodey.

“Meraviglioso, Tony,” dice Justin, muovendo i fianchi. “Un’altra grandiosa idea firmata Stark.”

Tony emette un verso rassegnato, scuotendo la testa.

“Ti ammazzerà,” dice Happy.

“Tornerò semplicemente in vita domani.” Abbassa lo sguardo. “Hap, non pestarmi i piedi. Dai, regola numero uno.”

“Piantala.”

 
§

 
“Perché abbiamo scelto proprio il soufflé?” chiede Tony, inginocchiandosi di fronte al forno per fissare quella roba infernale che rischia di collassare, esattamente come la sua vita.

“Ha detto di voler provare la cosa più difficile, no?” dice lo chef. “Ha pagato abbastanza.”

“Non voglio che collassi.”

“Il nostro sembra venuto bene,” dice Peter. Con suo orrore, stavolta è in coppia con Justin, ma, stranamente, non sembrano cavarsela troppo male. Come prima cosa hanno fatto del pollo fritto, poi una cheesecake, e adesso un soufflé.

“Sono un ottimo cuoco, ragazzo,” dice Justin, un po’ troppo compiaciuto.

“Saremo dei veri esperti con queste tre ricette tra… presto,” dice Tony.

“Sì, vedremo,” dice Rhodey, per poi sospirare. “Il nostro è appena collassato.”

“Dai, Rhodey!” esclama Tony, alzando le mani.

“Non rompere,” dice Happy. “Succederà anche al tuo.”

“Non portarmi sfiga.”

 
§

 
C’è molto silenzio.

“Mi sento al circolo del cucito,” dice Rhodey, accostandosi alla spalla di Tony.

“Circolo di macramè,” sussurra Tony.

Il posto è giusto dietro al Carosello della Felicità, e la maggior parte delle persone presenti è sopra i sessant’anni. Si era aspettato un corso di cucito, ha sempre voluto imparare, ma gli è toccato il macramè. Che va bene uguale. È impegnato a realizzare una sorta di arazzo, ascoltando la donna in bianco che ogni tanto dà loro istruzioni a bassa voce.

“Che ci facciamo con questa roba?” sussurra Justin. “Eh? A che ci--”

“Shhh!” sibila sonoramente Happy. “Sto cercando di concentrarmi, imbecille.”

Tony lancia un’occhiata a Peter e vede che è almeno… dieci passi avanti a loro, forse di più. Ha intessuto dei ninnoli dorati qua e là e l’intreccio gli arriva fin sotto le ginocchia. Alza lo sguardo, sorridendo.

“Cristo, ragazzino, sei un genietto.”

“Sono bravo con queste cose,” dice Peter, con un gran sorriso.

C’è qualche istante di silenzio, poi Justin sbotta a ridere. “Questo sembra un giocattolo erotico,” dice, sollevando il proprio lavoro.

Tutti gli altri smettono di sorridere.

 
§

 
Sono seduti nella stanza di servizio del teatro, e stanno guardando Il Giorno della Marmotta [1]. Non c’è nulla di più surreale. A Nederland hanno scovato un piccolo Blockbuster [2] dove si possono ancora noleggiare delle videocassette, e adesso sono intenti a guardare Bill Murray che ruba la marmotta andando a schiantarsi con l’auto.

Peter lancia un’occhiata a Tony e si agita sul vecchio divano di cuoio.

“Quindi… non ucciderti,” dice Happy. “Evidentemente non funziona.”

Tony non sa cosa potrebbe funzionare qui. Ma non vuole uccidersi. Non vuole pensarci, soprattutto con Peter vicino a lui, soprattutto con Pepper che lo aspetta là fuori e con una figlia in arrivo. È comunque inutile… certo, se morisse il loop potrebbe spezzarsi. E poi sarebbe morto, cazzo. Ha paura di rischiare, e spera che non sia quello che vuole il loop.

“Eh eh, anche lui si è beccato Cher,” ridacchia Happy, riferendosi al film.

Bill Murray muore fulminato di proposito nella vasca da bagno. Si fa investire da un camion. Si butta da un campanile. Andie McDowell e l’altro tipo vedono il suo corpo e lo compiangono, e Tony sente i brividi lungo la schiena. Questa roba non è una commedia, specialmente se ci sei dentro.

“Stava cercando di farlo diventare una persona migliore,” dice Peter. “Doveva… doveva smetterla di impegnarsi così tanto per convincere lei e… ed essere semplicemente una persona… normale, una brava persona.” Lancia un’occhiata affilata a Justin.

“Che c’è?” chiede lui, alzando le mani al cielo. “Io sono già fantastico, non so di che diavolo tu stia parlando.”

“Non usciremo mai di qui,” bofonchia Rhodey, scuotendo la testa.

 
§

 
Si mettono a imparare un po’ di greco con l’aiuto di un vecchietto nel padiglione degli alcolici, una delle lingue per cui Tony ha sempre provato un certo interesse. Riescono a diventare abbastanza bravi con le sculture di ghiaccio, o almeno molto più bravi di Justin con quella ridicola statua di “Howard”. Imparano a suonare il pianoforte grazie a una signora di nome Gina, il cui figlio è occupato con la gara di costumi dell’uomo congelato.

Tony si chiede se sia abbastanza.

GIORNO NOVE

Quella mattina, cerca di non avere un attacco di panico. Li porta a fare colazione e glielo dice lì. Non sa per quante altre volte sarà in grado di sopportare il colpo al cuore che lo coglie quando vede le loro espressioni. E poi la paura, la rabbia, lo scetticismo quando vedono Justin, quando la storia di Tony riceve conferma.

Cercano di imparare altre cose. Cucinano di nuovo, realizzano delle sculture di ghiaccio più complesse e riescono persino a vincere la gara. Peter parla con May al telefono, e Tony parla con Pepper quella sera, attorno alle dieci.

“È un viaggio piuttosto lungo,” dice lei, circospetta.

“Sì, ci stiamo divertendo,” dice lui, schiarendosi la gola.

“Sicuro?” chiede lei. “Sicuro che… non stia succedendo qualcosa?”

“Nah,” dice lui. “Va tutto bene, ci stiamo solo… prendendo una bella pausa.”

“Vorrei essere lì con te,” dice lei, dolcemente.

Lui sussulta appena, come se l’avessero colpito, e annuisce tra sé. “Vorrei che fossi sempre con me. Odio… odio stare lontano da te, lo sai. Mi piace stare a casa quando sto poco bene, con te che mi segui ovunque.”

“Anche al bagno.”

“Anche al bagno,” ride lui.

“Beh, fammi sapere quando state per tornare,” dice lei. “Vi farò una festa di benvenuto.”

“Grazie, tesoro,” dice Tony, schiarendosi di nuovo la voce. “Ti, uh… ti faccio sapere.”

 
§

 
Tony e Justin se ne stanno nel corridoio del motel, in fondo e di fronte alla finestra, da dove riescono a vedere appieno l’“ora di punta”. Quell’oscurità anomala, ultraterrena, le strade deserte, tutte le luminarie della Festa dell’Uomo Congelato sparite.

“Dobbiamo provare di nuovo a scappare,” dice Tony, guardando oltre il vetro appannato.

Justin sospira, in modo inusuale. “Per quanto vogliamo credere che funzionerà, ho la sensazione che questa cosa serva solo a catturare nuove persone, non a… a farle uscire.”

“Dovremmo comunque provare,” dice Tony. Detesta l’idea di lasciarsi sfuggire delle opportunità, ma detesta anche quella di morire assiderati là fuori perché il loop si rifiuta di lasciarli andare. Dovrebbe costruire una cazzo di armatura. Ma poi gliene servirebbero cinque. E sa che in questo posto non troverebbe i componenti adatti, neanche nella discarica. Ci hanno guardato.

“Ehi, uh,” dice Justin, esitando. “Insomma, mi… mi dispiace.”

Tony solleva lo sguardo. Completamente scioccato. “Ehm… siamo scivolati in un universo parallelo? Perché non ce la faccio a gestire altre schifezze magiche.”

Justin scuote la testa, senza guardarlo. “È che non ho davvero… immagino di aver pensato solo a me stesso, quando ti ho chiamato.”

“Ma davvero?” chiede Tony, accigliandosi. Non sa cosa diavolo stia succedendo.

“È solo… non lo so, merda, insomma, per tutto il tempo sono stato qui da solo e l’unica cosa che ho continuato a fare è stata mandarti quelle lettere. Farmi qualche giro, fare casino con la gente, ma… tu ci hai provato con tutto te stesso,” dice, ridendo, ma è una risata vuota. “Non lo so, come dicevo mi… mi dispiace di averti coinvolto.”

Tony non ha intenzione di dire non fa niente, perché non è vero, ma sa quanto Justin sia un bugiardo ogni cazzo di giorno della sua vita, e, in modo abbastanza scioccante, adesso sembra sincero.

“So che hai delle persone a cui tieni e… e che ne hai portate alcune con te, e che odii vederle bloccate qui, e-- merda, avrei dovuto dirti di venire da solo,” dice Justin. “O magari--” ride di nuovo, ma ha un’espressione amara in volto. “Magari avrei dovuto provare a cavarmela da solo. So che è per colpa di qualcosa che ho fatto io che ci sei dentro anche tu, intendo con il cazzo di fatto di… di ricordare.” Alza lo sguardo, incrociando i suoi occhi. “Non so cosa, ma devo essere stato io. Non ho idea di cosa cazzo sia, ma lo so.”

“Stai cercando di… ingannarmi?” chiede Tony. “Di farmi dispiacere per te o stronzate simili?”

“No, stavo solo… ripensando a tutto,” dice lui. “Forse sono io quello a cui dispiace. Nel senso… davvero.”

Tony lo fissa, per poi spostare di nuovo lo sguardo fuori dalla finestra. Non sa che diavolo gli stia succedendo, e perché si stia davvero dispiacendo per questo maniaco, e prende a fissare il parcheggio vuoto. “Ne usciremo,” dice, senza girarsi. “Ne usciremo, probabilmente ti prenderò a pugni un altro paio di volte e poi te ne tornerai in prigione.” A quel punto si gira a guardarlo. “Ma ti farò uscire di qui.”

GIORNO DIECI
 

So when you’re near me, darling can’t you hear me
SOS
The love you gave me, nothing else can save me
SOS
 

Tony si copre il volto con le mani. Per un breve istante, pondera se non rimanere sdraiato lì per non alzarsi mai più. Lasciar scorrere i giorni ancora e ancora facendo andare nel panico gli altri, senza fare più alcuno sforzo. Ci pensa intensamente. Si chiede cosa succederebbe.

Ma deve alzarsi.

Peter emette un lamento dall’altro letto. “Non ricordavo neanche che avessi messo una sveglia.”

“Già,” dice Tony, schiarendosi la voce. Si sporge di lato e spegne meccanicamente la sveglia. “Sì, è, uh… è per me, devo andare a fare una cosa.” Si alza, gettando le gambe oltre la sponda del letto. “Dammi un paio di minuti, torno subito… uh, dormi ancora un po’, ok, ragazzino?”

Peter si sposta un poco e assottiglia gli occhi nella sua direzione. Tony cerca di non farci caso, di non guardarlo: compie le azioni che ha fatto finora, andando di soppiatto nell’altra camera per spegnere la sveglia prima che Rhodey e Happy la sentano. Deve portare avanti il piano per imparare nuove cose, deve provarci di nuovo, migliorarsi, e gli piange il cuore al pensiero di coinvolgerli di nuovo, di costringerli a fare stronzate per loro inutili che potrebbero però essere la chiave di tutto per lui.

Non guarda Happy e Rhodey e torna subito nella sua stanza, dove Peter sta ancora torcendo il collo per seguire i suoi movimenti. Gli strascichi di sonno fanno capolino nei suoi occhi, ma è comunque attento, e Tony gli rivolge un rapido sorriso. Non vuole avere un altro crollo nervoso, né nascondergli altri segreti, ma il suo cervello sta avendo un malfunzionamento e non riesce a trovare un modo per comportarsi come dovrebbe. Nulla gli dà il coraggio di cui avrebbe disperatamente bisogno. Deve solo rimanere concentrato. Andrà a incontrare Justin, farà un paio di cosette, poi tornerà qui.

Rivolge un’occhiata a Peter e sente qualcosa rompersi dentro di lui. Questo è il Peter che ancora non sa nulla; è come se morisse ogni giorno, come tutti loro, con il Peter che conosceva la sera prima e per tutto ieri scomparso per sempre. Lo rivuole indietro, rivuole indietro le loro cazzo di vite, e non sa cosa fare, che strada prendere, niente, niente ha più senso ormai.

“Che succede?” chiede Peter, lentamente, sollevandosi sui gomiti.

Tony lo fissa. Vede tutte le possibilità, tutte le versioni passate e future. La sua mente è un coacervo di statico e incertezza, ma si avvicina comunque al letto di Peter, fermandovisi accanto.

“Devi fidarti di me,” dice Tony. E di solito a quelle parole segue un racconto, quel racconto, ma stavolta gli si incastra in gola come un principio di raffreddore.

“Posso venire con te?” chiede Peter.

Tony non sa cosa ha intenzione di fare, o perché non lo voglia con sé in questo momento, ma ha una brutta sensazione che gli solletica la nuca. Non riesce a identificarne i motivi; non ha intenzione di fare nulla di pericoloso, magari tornerà alla sala da ballo, o imparerà un altro paio di pezzi al pianoforte, o cercherà un posto dove imparare a suonare la chitarra. Ma qualcosa lo sta spingendo a tenerli fuori da tutto questo… solo per adesso.

“Non ancora,” dice Tony. “Ma tornerò tra… un’ora, al massimo. Ok? Puoi… dirlo agli altri da parte mia?”

“Non mi piace,” dice Peter, incupendosi.

“Neanche a me, ragazzino,” sospira Tony. “Ma devi fidarti.”

 
§

 
“Quindi avevi paura che succedesse qualcosa mentre pattinavamo sul ghiaccio?” chiede Justin, ondeggiando di fianco a lui. I loro pattini sono un po’ troppo larghi, e ciò non facilita per nulla le cose. Ma non c’è nessuno a guidarli e Tony in passato è andato a pattinare abbastanza spesso da ritenere di potercela fare da solo. In un’oretta potrebbe diventare veramente bravo. Sicuro.

“Non sapevo che saremmo andati a pattinare, l’abbiamo deciso insieme.”

“Vuoi dire che tu l’hai deciso e mi hai trascinato con te? Perché è questo che-- aspetta… Anthony, questo è un appuntamento?”

“Oh, Cristo santo,” dice Tony, alzando gli occhi al cielo e allontanandosi da lui. Tenta con tutto se stesso di non cadere per non mettersi in ridicolo, ma sente Justin che lo tallona, ridendo.

“Su, dimmi di più su questi tuoi presentimenti… o sentimenti…”

Tony scuote la testa, senza il minimo desiderio di parlargli in generale, ma ha quella sensazione assillante appiccicata addosso. “A volte non ti sembra di… uh… di poter vedere tutte le possibilità in un colpo solo? Nel senso, tutte le cose che potrebbero succedere… che sono successe e che accadranno?”

“Sì,” dice Justin, col fiato corto mentre fatica a tenere il passo. “Ma credo che sia solo suggestione… insomma, questa è una situazione di merda, veramente, veramente di merda e ci siamo bloccati dentro-- insieme…"

“Capito,” dice Tony. Pattinano fino all’altra riva del lago, con la neve che vortica attorno a loro. Ci sono poche altre persone sul ghiaccio, la maggior parte della città è impegnata come al solito negli eventi della festa.

“Sei già piuttosto bravo,” commenta Justin, tornando nel campo visivo di Tony. Si muove all’indietro, cercando di formare un otto con le lame, ma fallisce epicamente, pur ridacchiando.

“Andavo spesso a pattinare con mia madre,” dice Tony. Si schiarisce la gola, con davanti un piccolo flash del Rockefeller Center e di quel cappotto rosso che lei portava spesso. Faceva sempre oscillare le loro mani unite avanti e indietro mentre pattinavano, tenendo lui dal lato del muro per sicurezza.

Justin è a circa tre metri da lui, e adesso ha in faccia un’espressione assente, come se fosse intento ad ascoltare qualcosa. Poi sbianca, guardandosi i piedi.

“Che c’è?” chiede Tony, accigliandosi.

“Oh, cazz--” comincia Justin, e si interrompe, sparendo di colpo. Tony batte le palpebre, fissando per un secondo la zona d’aria adesso vuota, chiedendosi se non stia avendo un guasto neurale, poi vede la falla nel ghiaccio proprio dov’era Justin fino a un istante prima e connette i pezzi.

“Merda, merda,” impreca, pattinando fin lì, col cuore che gli sbatacchia nel petto. Cerca di andare più veloce e inciampa, cadendo in avanti, e per un istante teme di sprofondare nel ghiaccio anche lui. Sente gli scricchiolii, e si può quasi immaginarsi mentre soffoca, mentre affoga, ed è quello che sta succedendo a Justin proprio ora, proprio ora, oddio, oddio

“Ehi, amico, spostati!” Tony sente una voce dietro di lui, ma si trascina comunque in avanti, togliendosi la giacca e affondando il braccio nell’acqua.

“Justin!” grida. “Justin!” Spalanca gli occhi, cercando di vedere qualcosa, ma l’acqua è torbida, lattiginosa e mortalmente fredda, così fredda che ha l’impressione che il suo braccio sia già congelato. Sente altre grida dietro di lui, ma non le ascolta, risucchia un respiro e sprofonda un altro po’ nel buco, immergendo la testa e cercando di aprire gli occhi sott’acqua. La sua testa, le spalle, le braccia, adesso è sott’acqua con quasi tutto il busto e ha una paura folle di cadere, di perdere l’appoggio, ma agita le mani nell’acqua, cercando di trovare Justin, di afferrarlo.
Non può semplicemente lasciarlo morire, non può, anche se il freddo lo punge ovunque con mille aghi avvelenati, finché qualcuno non lo afferra per le gambe tirandolo indietro. Tossisce quando è di nuovo a contatto con l’aria, con la neve, e cerca di divincolarsi dalle mani di chi lo trattiene, ma sono troppe, e lo trascinano via. Ha un freddo cane.

“No, no,” dice in un lamento, coi denti che battono. “Devo--”

“La polizia sta arrivando, amico,” dice la stessa voce di prima, con le braccia agganciate sotto quelle di Tony per portarlo sulla terraferma. I pattini di Tony solcano il ghiaccio davanti a lui, intaccandolo. “Non dare loro due corpi da ritrovare, invece di uno solo.”

“Cazzo, sta affogando…” dice Tony, lottando contro la sua presa.

Arrivano sull’erba secca e innevata, in mezzo agli spettatori, quelli che hanno deciso che vedere qualcuno caduto nel ghiaccio fosse un evento abbastanza eccitante da abbandonare il padiglione ghiaccia-cervello.

“Lascia che se ne occupi chi di dovere…”

Tony riesce finalmente a scrollarsi di dosso l’uomo, cadendo sul fianco. Si allunga verso i lacci dei suoi pattini, cercando di scioglierli con le dita congelate. Gli stanno ancora battendo i denti e in quel momento si sente estremamente piccolo, il che entra in contrasto con ciò che dice dopo: “Sa chi sono io?”

L’uomo, grosso e corpulento, con addosso un mantello da scheletro, sembra un montanaro. Osserva Tony per un lungo istante, inclinando il capo. “Iron Man.”

“Esatto,” dice Tony, ancora intento a lottare coi lacci, continuando a guardare il punto in cui è scomparso Justin. Un gruppo di persone con indosso giacche uguali superano le altre, correndo sul ghiaccio.

“Non vedo l’armatura,” dice l’uomo.

“Già,” dice Tony, con l’amarezza che gli morde la lingua. “Il peggior errore della mia vita.”

Si sente impotente a starsene seduto lì senza far nulla, quando era lui quello a essere con Justin… è lui ad essere con Justin in questa cazzo di situazione da incubo. Osserva un paio di poliziotti che allargano il buco, con uno che si immerge per metà, poi un altro con indosso una muta da sub supera correndo lui e gli spettatori sulla riva.

Tony rimane a guardare. Sembrano passare secoli. Non sa perché si sia arreso, perché se ne stia seduto lì con un solo pattino, come un idiota; infine li vede trascinare un corpo fuori dall’acqua. Tony si affretta a togliersi l’altro pattino e si fionda verso di loro, scivolando sui calzini fradici, col montanaro che gli urla appresso.

“Stia indietro!” grida un poliziotto non appena si avvicina, mentre gli altri trasportano Justin verso il luogo in cui si sono raggruppati i curiosi. Tony non sa cosa pensare, e sente che ogni giorno che passa in questo posto si porta via un pezzettino della sua sanità mentale. Li segue, rischiando di cadere almeno cento volte, e si chiede perché non stiano tentando di rianimarlo qui, sulla sponda del lago ghiacciato. Vede che lo stanno portando verso la stazione di polizia, dietro la pista da bowling coi tacchini ghiacciati, e riesce ad avvicinarsi abbastanza da vedere il volto di Justin.

I suoi occhi sono sbarrati, e la sua pelle è blu.

 
§

 
Lo rianimano per dieci minuti. Sembrano dieci anni. Un medico è arrivato fin lì, dall’ambulatorio che hanno visitato nelle precedenti versioni di questo maledetto giorno, ed è lui a dare lo stop.

“Avete… avete finito?” chiede Tony, fissandolo.

“Mi dispiace, signore.”

Tony scuote la testa. Non ha idea di dove sia la sua mente. Si guarda intorno e vede i loro volti, con la sconfitta negli occhi e le spalle incurvate. Batte rapidamente le palpebre. “Avete finito? Veramente? Cos’è, adesso, il vostro nuovo uomo congelato?”

“Signore, ci abbiamo provato…”

Tony libera un brusco respiro, portando le dita alle tempie. “Potrebbe essere ancora vivo. È ibernato, cazzo.”

“L’effetto della temperatura dell’acqua, combinato con la mancanza d’aria--”

La porta dietro di loro si apre rapidamente e Tony si volta, vedendo Rhodey, Peter e Happy che entrano.

“Uh, scusatemi…”

“No, sono-- sono con me,” dice Tony. Barcolla lievemente sul posto, al contempo turbato e sollevato dalla loro improvvisa comparsa.

“Tony, cosa…” Rhodey si interrompe quando guarda il tavolo, proprio mentre i poliziotti coprono velocemente il volto di Justin col lenzuolo, dichiarandolo ufficialmente morto. “Quello era… Hammer? Justin Hammer?”

Tony si sente sul punto di vomitare. Guarda di nuovo il medico. “Siete sicuri?” gli chiede.

“Siamo sicuri.”

“Tornerò… più tardi,” dice. “Per occuparmi di tutto.”

“Non ha famiglia, oltre lei?”

Tony sospira, scuotendo la testa. “Non ne ho idea, lo conosco… lo conoscevo appena…” Scuote di nuovo la testa. Non sa che diavolo dire, o pensare, niente. “Devo andare, ripasso… ripasso più tardi.” Incrocia brevemente lo sguardo di Rhodey prima di spingere la porta, ritrovandosi di nuovo al freddo.

“Che sta succedendo-- perché diavolo Hammer è qui--”

“Come ha fatto a-- Cristo, cosa è successo--”

“Tony, stai bene?”

Si sente sull’orlo della follia. Vorrebbe scoppiare a piangere, urlare, farsi prendere dall’ira e spaccare tutto. Non vuole affrontare tutto questo, non sa come fare, odia Hammer e ciò che ha fatto, ma non lo vuole morto, e ieri sera si stava effettivamente comportando come un normale essere umano e adesso è morto, adesso è morto, cazzo.

Si copre la faccia con le mani, risucchiando un respiro. “Tornerà domani,” mormora tra sé. Vero? Vero? Funziona così. E stavolta ovviamente non sarà così. E ovviamente la morte di Justin finirà per tormentarlo per il resto della sua cazzo di vita. Ovviamente, è proprio ciò che quel maledetto di Hammer vorrebbe. Tony ha la tentazione di correre di nuovo dentro e prendere a pugni il suo corpo senza vita, per poi crollarci sopra in lacrime.

“Tony, stai congelando,” dice Rhodey, con la mano sul suo braccio. “Sei senza scarpe… torniamo al motel, ci spiegherai tutto--”

“Non mi va di spiegarlo,” dice Tony, prima ancora di rendersene conto. Ma è davvero così, la sola idea di spiegare tutte volte quella dannata storia è sempre terrificante, ma adesso è dieci volte peggio, è l’ultima cosa che vuole fare. Vorrebbe chiamare Pepper e scoppiare a piangere al telefono, ma la sua parte razionale e ancora in grado di funzionare lo dissuade in un sussurro: non mentre sei in questo stato.

“Ok,” dice Rhodey.

“Tony, andiamo… torniamo indietro e basta, così ti metti davanti al fuoco,” dice Happy.

Tony lascia scivolar via le sue mani congelate, e nota l’espressione del ragazzino – paura, preoccupazione, panico – e cerca di tornare in sé.

“Ok. Ok.”

 
§

 
Il silenzio si instaura tra loro come le mura di una fortezza, tenendo lui dentro e loro fuori. Riesce a sentire unicamente i loro respiri, lo scoppiettio del fuoco, il fruscio delle coperte che gli hanno messo addosso ogni volta che si muove. Peter è seduto per terra accanto a lui, mentre Rhodey e Happy sono sul suo letto. Riesce a percepire i loro sguardi su di sé, pesanti e attenti, mentre cercano di capire come diavolo sono finiti lì e come estorcergli un racconto. Lui ha un copione, ma non sa come recitarlo e non vuole, non ha più voglia di farlo.

“Tony,” lo chiama Rhodey.

“Ecco, uh… sta succedendo qualcosa,” dice Tony, schiarendosi la voce. “Sta succedendo qualcosa qui, in questa merda di città, e c’entra-- c’entrava…” Scuote di nuovo la testa, col cuore che gli sprofonda. Non può crollare per Justin Hammer. Non per Justin Hammer. “C’entrava Hammer. Ma, uh… non voglio parlarne.”

“Tony,” dice di nuovo Rhodey. “Non siamo-- abbiamo il diritto di sapere cosa sta succedendo.”

“Certo,” dice Tony, guardandoli. “Certo che sì. Ma ho bisogno che mi lasciate… in pace. Ve lo dico domani. Ve lo dico domani.”

 
§

 
La giornata passa. Tony evita a tutti i costi la stazione di polizia e l’obitorio. Happy ha visto che il corpo di Justin è stato spostato lì. Fanno colazione. Pranzano. Cenano. Fanno tutto in silenzio, mangiano in silenzio, tornano al motel in silenzio. Odia quello che sta facendo, odia come si sente, quello che sta passando.

Coglie Peter che parla con Happy, quando Tony è un paio di passi avanti a lui, lo sente dire che non vede l’ora di tornare a casa. E quella notte, quando ognuno è nel proprio letto, finisce anche per piangere in silenzio, per tutto ciò che hanno perso, per tutto ciò che non avranno mai più. E per quel bastardo di Justin Hammer.

GIORNO UNDICI


So when you’re near me, darling can’t you hear me
SOS
The love you gave me, nothing else can save me
SOS
 

Tony si sveglia di soprassalto.

Peter emette un lamento dall’altro letto. “Non ricordavo neanche che avessi messo una sveglia.”

Tony scosta bruscamente di lato piumino e lenzuola, cadendo quasi a faccia avanti quando si alza dal letto. Il suo cuore è impazzito, va a singhiozzi, sussultando.

“Tony?” chiede Peter. “Che cosa--”

“Un secondo,” dice Tony, lanciandogli un’occhiata da sopra la spalla e intercettando lo sguardo spaurito di Peter. Fa un cenno nella sua direzione, cercando di tenere a bada il panico pur sapendo che non ci sta riuscendo, come tutto ciò che ha fatto qui finora. La sua mente è frenetica, così come i suoi movimenti, e non sa cosa cazzo stia facendo, ma esce dalla stanza inseguito dal verso though I try how can I carry on.

Si fionda in pigiama lungo il corridoio, fino alla porta di Justin, e deve bussare una sola volta e attendere solo un breve momento prima di vederla spalancarsi.

Justin è lì, in piedi, con un gran sorriso stampato in faccia.

Tony è congelato sul posto, nonostante sia al chiuso, relativamente al caldo, lontano dalla neve e da tutti gli eventi di quel cretino di ghiaccio.

“Hai pianto?” chiede Justin. “Anthony Stark, ti sei disperato per me?” ride, reggendosi alla maniglia della porta, sbilanciato sui talloni. “Oh, mio Dio, vorrei averti visto. Sai, credo che abbiamo fatto progressi… ok, tu sei un eroe, non ti piace la morte, ma ora che siamo, come dire, in confidenza…”

Tony vede-- dello statico. Sente dello statico. Lo percepisce sulla punta delle dita, e ha l’impressione che, probabilmente, sta perdendo la capacità di valutare le sue azioni prima di metterle in pratica. La sua rabbia divampa all’improvviso, scaldandogli le orecchie, e spintona Justin all’indietro con tutta la forza che ha.

“Oh, merda,” esala lui, inciampando all’indietro. La sua stanza è ancora una volta un disastro, e quando cade all’indietro inciampa in una borsa da viaggio, sbattendo la testa contro la sponda in ottone del letto. Tony sente uno schiocco, e lo vede accasciarsi a terra.

Oh, no.

“Ehi,” lo chiama, ancora fermo sulla soglia. “Ehi, idiota. Alzati.”

Nulla. Nessun movimento. Oh, no, cazzo.

“Hammer,” dice Tony. “Non sei morto di nuovo. Non di nuovo. Se mi stai prendendo per il culo ti ammazzo veramente.” Se non l’ho già fatto.

Non si muove. Tony serra la mascella e scavalca un cumulo della sua roba, preparandosi a vederlo rialzarsi di scatto per spaventarlo, o qualcosa del genere. Ma lui rimane immobile, anche quando Tony gli cerca il battito – un battito inesistente – lungo il collo. Non c’è. Tony sente un sudore freddo inondargli la fronte e gli cerca anche il polso. Niente. Si è spezzato l’osso del collo.

Lo lascia andare e la mano di Justin si abbatte a terra, sul tappeto.

Tony sbotta a ridere. Si siete sui talloni, strofinandosi gli occhi. Ride di nuovo. Se prima si sentiva pazzo, non sa come dovrebbe sentirsi ora, ma in effetti non sa neanche cosa diavolo stia succedendo in generale.

“Tony?” sente la voce di Happy, in fondo al corridoio.

“Tony?” Adesso è quella di Rhodey.

“È andato di qua, credo, non sono sicuro…” Peter.

Tony rimane seduto lì. È all’inferno. Sono tutti all’inferno. Guarda lo stupido cadavere di Justin e gli dà un colpetto, ridendo di nuovo. È morto per davvero, cazzo. Di nuovo. L’ha ucciso lui. Può succedere di tutto. Non si stupirebbe se arrivassero degli alieni a deporgli dentro delle uova. O se il tizio morto congelato – dovunque sia – tornasse in vita in veste di zombie per terrorizzare tutti coloro che si prendono gioco della sua dipartita. O se l’intera città saltasse in aria.

Guarda di nuovo Justin, e poi le sue mani. Non sono ancora riuscite a risolvere nulla. Non ancora. Ma perché è morto di nuovo? Perché dovrebbe succedere qualcosa di così surreale e improbabile? Non ha fatto altro che dargli una spinta.

“Magari dobbiamo morire tutti e due,” dice Tony, deglutendo a fatica. Questa cosa li vuole morti? Li farà rimanere morti? Perché non gli va molto a genio. Non può fare questo a Pepper, o a sua figlia, o al ragazzino o a Happy o a Rhodey o alla squadra. Non è più così cocciuto da sostenere che non ha persone che hanno bisogno di lui: è vero, e adesso lo sa. Ma se deve morire, per vivere… tanto vale provare. Non si fida più di tanto di questo posto o di questo cazzo di loop, ma è già con un piede nella fossa ed è pronto a tentare qualsiasi cosa.

Sente un’esclamazione sorpresa dietro di lui. Un coro, in realtà.

“Tony, ma che cazzo?”

Tony punta le mani contro il tappeto e si mette in piedi. “Sì, l’ho ucciso,” dice, facendo un cenno verso Justin. “Ha provato ad aggredirmi, quindi…”

“Quello è… Justin Hammer?” chiede Rhodey.

“Già,” dice Tony. “Era qui per uccidermi.” Sa che dovrebbe fare qualcosa, non gli piace l’idea che trovino il suo corpo, né di affrontare tutta la situazione, anche se la dimenticheranno comunque. Sa che tutto ciò rimarrà nel passato, solo un’ombra sui giorni futuri, e detesta questo fatto – detesta persino pensarci. Sente la paura nel proprio cuore, ma è in sordina, soppiantata dalla preoccupazione per loro.

“Cristo, Tony-- uh…” Rhodey lo aggira, entrando nella stanza.

“Stai indietro, ragazzino,” dice Happy.

“Non è il primo cadavere che vedo.”

“Insomma, se è stata legittima difesa non dovremmo avere problemi,” dice Rhodey. “Credo che ci siano delle telecamere in corridoio, probabilmente hanno ripreso tutto. Cristo…”

Tony sibila tra sé, sapendo cosa mostreranno le telecamere, ma comunque non gli importa più di tanto.

“Cazzo, dobbiamo… chiamare la polizia? Non mi sono mai trovato in una situazione simile,” dice Rhodey, guardando Happy.

“Non guardare me-- Peter, smettila di cercare di entrare.”

“Vado io,” dice Tony, ritenendo che farli rimanere qui sia una buona distrazione. Si schiarisce la gola, cercando di non cedere – andrà bene, andrà bene – e dà una pacca sulla spalla a Peter, senza incrociare il suo sguardo. “Torno, uh… torno subito.”

“Tony, stai bene?” chiede Rhodey. “So che… insomma, anche se era lui--”

“Sto bene,” dice Tony, tirando leggermente su col naso.

Non sta per niente bene.

 
§

 
Ripensa al Giorno della Marmotta. Ripensa a Happy che diceva non ucciderti, e cerca di non farsi riecheggiare in testa quelle parole in un loop infinito. Pensa – spera – che l’edificio del teatro sia abbastanza alto da fare il suo lavoro, ma si arrampica sulla guglia del tetto per sicurezza.

Non l’ha mai fatto in questo modo. È stato sul punto di sacrificarsi molte volte, ma mai così e, cazzo, non vuole farlo. Ma continua a ripetersi che non è reale, che non rimarrà così, che è solo un mezzo per raggiungere un fine.

Non si lascia tempo di pensare ancora, o non lo farà più. Si butta.

È rapido.

GIORNO DODICI

“Perché stiamo cercando di rifarlo se la prima volta non ha funzionato?” grida Justin, ansimando mentre corrono. “Perché dovremmo farlo di proposito? È un metodo del cazzo, comunque.”

“Magari devi farlo tre volte, o qualcosa del genere!” grida Tony, rischiando di inciampare in una radice nascosta dalla neve.

Magari riusciranno a cadere e ammazzarsi prima che l’orso li raggiunga.

“Farà male!” grida Justin, subito dietro di lui.

“Almeno nessuno troverà i nostri corpi!” grida lui di rimando, schivando un albero.

“Potremmo anche non morire subito!”

“Oh, penso proprio di sì,” dice Tony, con l’orso che ringhia e ruggisce, sempre più vicino.

“E allora perché—diavolo-- stiamo correndo?”

Tony sussulta, guardandosi alle spalle. L’orso li sta raggiungendo, e Justin fa una smorfia. Iniziano entrambi a urlare, correndo più veloce.

Ok, questo è stato un errore.

GIORNO TREDICI

“Un po’ di calore corporeo,” mormora Justin. C’è della brina tra i suoi capelli e sulle ciglia. “Dai.”

“No,” replica Tony, tremando. “Stiamo cercando. Di morire.”

Il suo cervello si sta spegnendo. Sono nel freezer da… cinque ore, probabilmente. Di più. Ma non lo sa nessuno. Sono qui, ed è tutto ciò che importa.

“Lo fai per me?” prega Justin, cercando di sorridere.

“Dio. No.”

Chiude gli occhi. Spera che tutto questo serva a qualcosa, cazzo. Avevano pensato di lasciarsi morire assiderati nella foresta, ma… non volevano ripetere l’episodio dell’orso – non di nuovo.

Si inclina un po’ troppo a destra e fa cadere una busta di piselli surgelati. Ha troppo freddo per guardare. Justin chiude gli occhi.

GIORNO QUATTORDICI

Justin è già morto. Tony non vuole neanche pensarci. Si è messo sul carosello da quando si sono alzate le fiamme. Su e giù, su e giù, su e giù.

Poi la sente. Quella cosa che non è ancora accaduta, quella che ha temuto finora, la cosa più orribile che potrebbe succedere. Il suo cuore sprofonda nel vedere Peter che corre all’interno.

“Tony!” grida Peter dall’ingresso, dove il fuoco non è ancora arrivato. “Tony, ti prego!”

Il carosello completa un altro giro e Tony non riesce più a vederlo. Si aggrappa al suo fenicottero tossendo un poco. Il fumo si sta facendo sentire. “Peter, esci subito di qui!” grida. “Non voglio che tu veda!” Perché diavolo ha dovuto seguirlo? Non vuole che qualcuno dei suoi lo veda così, ma in particolare non il ragazzino.

“No, no!” grida Peter, la voce che cede al panico. Le fiamme si avvicinano un po’ troppo a lui e il cuore di Tony ha un singhiozzo. “No, Tony, non è-- senti, so che ti sta succedendo qualcosa, so che hai bisogno di aiuto--”

“Ragazzino, devi-- devi andartene!” Sa come deve sembrare: dare fuoco a una giostra mentre ci sei sopra non è esattamente una mossa equilibrata. Si chiede se funzionerà. Il fuoco è l’esatto opposto del ghiaccio. Lui è bloccato nel ghiaccio. Sono bloccati nel ghiaccio. Le ultime due volte c’entrava il congelamento. Magari questa è la soluzione. Magari domani sarà il suo ultimo oggi.

Tossisce di nuovo, e riesce a malapena a vedere. La sua testa si fa leggera, e il calore aumenta sempre più. Ha paura di come sarà… si è bruciato in passato, ma mai fino a questo punto. I muri attorno a lui stanno iniziando a crollare e il soffitto sembra sul punto di cedere.

“Tony, non ti lascio morire!” grida Peter. “Non posso, non posso!”

Tony fa un altro giro e socchiude gli occhi quando vede la determinazione sul volto di Peter. Il suo cuore sprofonda… sa cosa accadrà dopo, anche se non ha ancora vissuto questa versione dei fatti. E non può accadere. Non può accadere, cazzo. “No!” grida. “Esci di qui, andrà tutto bene!”

“No!” grida Peter.

Tony è troppo in alto su quel cazzo di fenicottero per saltar giù rapidamente e calmare Peter. Ci prova comunque e si sgancia, ma quando finisce di nuovo il giro vede Peter che digrigna i denti, preparandosi a correre nel fuoco. No. Maledizione, no. Justin, quando è successo a lui la prima volta-- cazzo, si è sentito morire e non gli sta nemmeno simpatico. Ma Peter… Peter no. Non può vederlo. C’è già stato Titano, e Titano è abbastanza. Non può vederlo di nuovo, non può.

“No, Peter!” grida Tony, ancora lottando per scendere e uscire di lì senza morire, senza qualche orribile ustione di terzo grado, ma quando rotola giù sul pavimento metallico della giostra quella gira di nuovo, offrendogli un perfetto scorcio di Peter che si slancia tra le fiamme. L’intero piano è irrilevante, adesso – Peter è l’unica cosa che conta, e Tony rotola giù dal carosello, cadendo sul pavimento. Si sente la testa leggera, ha le vertigini, e il soffitto alla sua destra crolla, col muro che cede e le finestre che esplodono facendo piovere vetri ovunque.

Tony si rimette in piedi, con gli occhi che lacrimano, e perlustra la stanza con lo sguardo. Affonda la faccia nell’incavo del gomito.

“Tony!” grida Peter, ma lui non riesce a vederlo.

“Pete, dove sei?”

C’è troppo fuoco. Troppo fumo. Ma Tony fa comunque un paio di passi: lo vede, vicino al muro, e si precipita verso di lui, ma poi succede: Peter grida, la mano alta sopra la sua testa, e il soffitto crolla proprio sopra di lui.

“No!” grida Tony, con voce spezzata. “Peter!”

Non pensava che il fuoco avrebbe attecchito così, aveva fatto in modo che sembrasse un incidente e i proprietari erano abbastanza lontani da non venir coinvolti, ma adesso si sente sul punto di un infarto, perché l’intero edificio sta collassando e il ragazzino è là dentro. Tossisce, trattenendo il respiro, e si ripara la testa con l’avambraccio mentre altri detriti lo colpiscono. Si affretta verso di lui e vede Peter che si rialza da solo, spingendo via le macerie del soffitto e delle pareti solo per essere investito da altre, e si piega su un ginocchio quando si abbattono con un boato sulla sua schiena.

Tony non riesce a pensare, c’è troppa roba tra lui e Peter, ma scalcia per farsi strada e riesce finalmente a portarsi al suo fianco. Ma Peter è forte, e si libera da solo. Tony gli afferra rapidamente il braccio, sostenendolo per il resto del percorso e spegnendo con le mani i punti in cui la sua manica ha preso fuoco. La strada più rapida è bloccata e sforza gli occhi, non riuscendo a vedere nulla; si muove per pura memoria muscolare, spinto dalla paura per quel ragazzino ansimante accanto a lui. Si fanno largo attorno alla giostra, inciampando su altre macerie che cadono, col soffitto che frana sul carosello, scivolando a bloccar loro la strada. Tony si tira su la maglietta con la mano libera, a coprire la bocca, e finalmente distingue il profilo della porta sul retro in mezzo al fumo.

 
§

 
Si fermano solo brevemente all’ambulatorio, perché Peter vuole uscire di lì il prima possibile. Tony sa che si sta comportando in modo scostante perché è infuriato per ciò che è accaduto, è spaventato, innervosito e chissà cos’altro. Non può dargli torto, e il suo stesso senso di colpa minaccia di annegarlo da un momento all’altro. Forniscono loro dell’ossigeno, e lo stesso medico della prima dipartita di Justin dice che entrambi hanno inalato molto fumo, ma che sembrano stare bene. Solo qualche ustione di primo grado, che viene trattata sul posto. In teoria, la polizia dovrà interrogarli più tardi, ma sembra che i sospetti stiano ricadendo su qualche filo elettrico difettoso. Esattamente come voleva lui.

Tony non pensa a Justin o a dove sia il suo corpo, vuole solo riportare il ragazzino in stanza per farlo riposare.

“Che diavolo stavi facendo?” chiede Rhodey, con le braccia incrociate sul petto come un padre arrabbiato. “Perché cazzo sei corso via così-- perché eri lì-- e l’incendio--”

“Non posso spiegarvi nulla,” dice Tony, senza guardare Peter, che sta prendendo dei respiri profondi accanto a lui. Hanno ancora delle chiazze di fuliggine sulla pelle, e hanno entrambi bisogno di una doccia.

“Sei fuori di testa?” chiede Happy. “È per colpa… è per colpa della neve? So che non ami la neve, ma siamo qui da appena un giorno, pensavo ci volesse di più.”

Tony sussulta. È stanco. È fottutamente esausto, di tutto. Si sfrega gli occhi, cercando di pensare, di pensare alla sua prossima mossa.

“Peter,” dice Happy. “Che c’è?”

Tony riapre gli occhi e guarda di lato, verso Peter: il suo volto è contratto, e sta facendo dei respiri brevi, superficiali, con una mano artigliata al petto.

“Peter,” dice Tony, posandogli una mano sulla spalla. “Stai bene?”

Gli occhi di Peter trovano i suoi e vi legge la paura, quel tipo di paura che gli ghiaccia il sangue nelle vene. Poi Peter risucchia un respiro spezzato e si accascia contro di lui, col braccio inerte contro il suo ventre.

“Ehi, ehi--”

C’è un profondo silenzio. Tony riesce a sentire solo la propria voce e il battito del suo cuore che schizza alle stelle.

“Peter. Peter.”

Lo fa stendere per terra. Lo scuote. Peter non sta respirando regolarmente, non respira affatto, finché non tira un grosso respiro strozzato per poi fermarsi di nuovo. Tony trova a tentoni il suo polso, che è debole, sottile, oscillante, come quello del suo cuore nei primi giorni del reattore arc.

La voce di Rhodey trapela oltre il velo di silenzio assordante. “… Tony! Tony? Che succede? Sta andando in--”

“Non sono sicuro-- hanno detto-- hanno detto che stava bene…” Scuote la testa e inizia le compressioni toraciche, contando meccanicamente e fissando in faccia il ragazzo. Non ha neanche più il certificato di rianimazione ma ricorda i passaggi e cerca di concentrarsi: questo è il ragazzino, è il ragazzino, deve-- deve fare qualcosa…

Si danno il cambio quando inizia ad affaticarsi, e Rhodey riesce meglio di lui, visto che non è rimasto coinvolto in un cazzo di incendio. Tony lo osserva, con un terrore crescente nel cuore. Dai, Peter. Dai, Peter, svegliati, Peter. Lo ripetono in una cantilena, come un mantra scaramantico.

Quando inizia a passare troppo tempo, il cuore di Tony scivola via.

Rhodey interrompe il terzo ciclo. Guarda in direzione di Tony. Anche Happy lo guarda, ed entrambi hanno in faccia quell’espressione di chi non vuole turbarlo, come se sapessero cosa stia succedendo. C’è anche una profonda tristezza lì, perché anche loro vogliono bene a Peter… no-- no…

“Dobbiamo riportarlo all’ambulatorio,” dice Tony, avviandosi, ma Rhodey gli piazza una mano sul petto.

“Tony.”

“Quel dottore, può… può aiutarlo--”

“Tony,” dice ancora Rhodey. La sua voce si spezza, la sua facciata si sgretola. “Tony, è--”

“No, non lo è, non è niente,” dice lui, cercando di spingere da parte Rhodey per raggiungere Peter, ma Happy si frappone.

“Credo che…” Happy tira su col naso, guardandosi brevemente indietro, poi mette le mani sulle spalle di Tony. “Intossicazione da fumo… ne ho sentito parlare e--”

“No, non può essere,” dice Tony, spingendolo via, ma quando vede di nuovo il volto di Peter capisce. È senza vita, con la testa reclinata all’indietro, la bocca schiusa. Ha ancora chiazze di fuliggine ovunque, anche in faccia, ma è pallido, e il suo corpo è esanime. Tony si siede sul bordo del letto e gli prende il polso, premendovi le dita. Non vi è neanche un battito debole, niente. Si allunga per cercarlo sul collo… nulla.

Tony è paralizzato. Si sente ancora addosso un intenso calore. Dev’essere andato in arresto cardiaco. Aveva inalato più fumo di quanto pensassero quegli stupidi medici di montagna.

“No, non può… non può essere--”

“Dio,” esala Rhodey. “Dobbiamo chiamare--”

“Non chiameremo sua zia,” dice Tony. “No.”

“Tony,” dice Happy, accostandosi a lui. “So che… so quanto gli vuoi bene e non ci posso credere neanch’io, ma dobbiamo… dobbiamo affrontare--” Sospira, scuotendo la testa. “Se n’è andato, è--”

“Non dirlo,” mormora Tony.

Sente salire la nausea. Non Peter, non lui, e Tony sente le lacrime che gli salgono agli occhi, scivolandogli lungo in volto mentre fissa quel ragazzino di solito così pieno di vita e adesso steso lì, immobile. Inala un respiro e scuote la testa, stringendo i denti, e si ricorda di dove sono. Delle circostanze.

Questo non è l’ultimo loop. Non può permetterlo.

“Uscite,” ordina.

“Cosa?” chiede Rhodey.

“Uscite, dovete uscire di qui,” dice Tony, schiarendosi la voce senza staccare gli occhi da Peter.

“Tony.”

“Per favore,” dice Tony, chiudendo gli occhi. “Voglio… lasciateci da soli, voglio che ve ne andiate.”

“Tony, lui è--”

“Lo so!” grida lui, con voce roca, troppo forte, e si gira per vedere se Peter abbia reagito, ma è uguale a prima. Ancora morto.

Peter Parker è morto. Di nuovo. E adesso non c’è un modo per salvarlo. A parte quello che Tony già conosce, e non vuole più muoversi, non vuole respirare, non vuole fare nulla che possa risolvere il loop. Perché adesso ne ha bisogno. Ha bisogno di un’altra possibilità.

“Lo so,” ripete Tony. Ha la tentazione di dire loro tutto, ma ci ripensa. Non riuscirebbe a sopportarlo. Si sente sul punto di rompersi in mille pezzi, e deglutisce a fatica. “Mancano sei ore a fine giornata. Farò quello che-- fatemi-- fatemi solo--” La sua voce traballa e abbassa lo sguardo, sfuggendo i loro.

“Ok,” dice Rhodey. “Ok.”

 
§

 
Tony non ha alcuna risposta per tutto ciò. Non sa cosa lo abbia ucciso, perché sia morto, ma sa che ha a che fare con l’incendio, quindi sa anche che è colpa sua. Intossicazione da fumo… i suoi polmoni e il suo cuore non hanno retto. Il ragazzino è forte, è Spider-Man, ma Tony lo ha ridotto così.

Sistema il corpo inerte del ragazzo, lo adagia sul lato del letto dove dorme di solito. Poi chiude a chiave entrambe le porte, nel caso che Happy e Rhodey dovessero provare a fare qualcosa. Sa come deve sembrare. Sembra che abbia perso completamente la testa, che sia uscito di senno nel momento in cui si è trovato di fronte a un’altra versione del mondo senza Peter Parker, e sa che a questo punto potrebbe davvero collassare.

Si avvicina, si inginocchia di fianco al letto come se stesse pregando e prende la mano di Peter tra le sue.

“Doveva capitare a me,” sussurra. “Doveva capitare a me, dannazione. Sono io il debole di cuore qui, non tu. Tu sei quello giovane, sono io il vecchio, tu dovresti-- non questo,” dice, piano. “Non questo, qualunque cosa ma non questo, so che te l’ho già detto.” Culla la mano di Peter, le sue dita molli, e lo guarda. Prima non aveva avuto un corpo, solo cenere, solo dolore e il testardo ottimismo che sarebbe arrivato qualcosa a risolvere tutto, a cambiare tutto e a farlo uscire di lì. Su Titano era rimasto seduto nello stesso punto per quelli che gli erano sembrati decenni, pregando e sperando, sperando e implorando che Peter tornasse in qualche modo in vita, o che morisse lui stesso. All’epoca non sapeva neanche se Pepper fosse viva, e si era sentito distrutto. Spezzato.

Anche adesso si sente così, ma ora ha un corpo, che un tempo conteneva lo spirito vivace di Peter, e continua a fissarlo, con quell’ottimismo insistente che riecheggia in fondo alla sua testa. Potrebbe svegliarsi. È proprio qui. Potrebbe succedere qualsiasi cosa. Ma non succede. Non succede.

Tony non si muove, tiene stretta la mano di Peter e chiude gli occhi, con le lacrime bollenti che non cessano mai, e ben presto riesce a malapena a respirare dal naso.

“Non so se ricorderai nulla di tutto questo,” dice Tony, con la gola che gli fa male e la testa che pulsa, aprendo gli occhi e guardando di nuovo Peter. “Non ho idea di come diavolo funzioni questa roba, se ne conserverai un ricordo anche se sei morto, non lo so… e so che dopo questo potresti avere della rabbia latente, o un po’ di quella tua brevettata permalosità alla Peter Parker, ma te lo dico lo stesso… a volte vorrei non esserti mai andato a cercare, ragazzino. Sei-- sei troppo buono, e io sono solo un-- un mercante di morte o qualcosa del genere. Un portasfortuna. Spider-Man non ha bisogno di me, tu sei… sei bravo già da solo, sai quello che stai facendo. Guarda in cosa ti ho portato.”

Stringe per un istante la mano di Peter al petto, sporgendosi con l’altra per pulire un po’ di fuliggine dalla sua guancia. Una volta ha fatto quello stesso gesto, quello che fanno i padri, senza nemmeno pensarci: gli aveva pulito uno sbaffo giallo di senape sulla guancia col pollice… e Peter l’aveva odiato, aveva fatto un verso schifato e gli aveva scacciato via la mano, ma stava comunque ridendo, e sorridendo, e l’aveva preso in giro dicendo che May aveva fatto la stessa identica cosa a colazione. Tony aveva replicato prontamente che doveva piantarla di mangiare come un bimbo dell’asilo, ma in quel momento aveva saputo, dal profondo del cuore, che ci era dentro fino al collo. Che Peter era ormai parte integrante della sua famiglia, un punto fisso, un contratto firmato. Aveva visto il futuro, tutti i possibili futuri, e includevano Peter che faceva da fratello maggiore a qualunque bambino Stark-Potts venuto dopo di lui, aiutandolo coi compiti, rincorrendolo qua e là per il Complesso, tenendolo in braccio quando sarebbe stato ancora piccolo e fragile e appena nato, perché Tony si fidava ciecamente di quel ragazzo.

E adesso è morto di fronte a lui.

Stringe di nuovo la mano di Peter fra le sue, poggiando la fronte contro le sue nocche. “Fa’ che non sia l’ultimo loop,” dice, a bassa voce. “Ho bisogno di questo ragazzino. È… è troppo importante, maledizione, per May, per i suoi amici, per Ned e MJ… Pepper gli vuole bene, Happy gli vuole bene, merda, Happy non vuole bene nemmeno a me ma al ragazzino sì… e il mondo ha bisogno di lui, è un eroe-- è l’eroe, Peter-- Peter farebbe qualunque cosa per salvare le persone. Per fare la cosa giusta.” E tutto questo ne è un perfetto esempio, e a Tony fa male il cuore. Prende un respiro tremolante. “Questo non può essere l’ultimo loop perché non posso vivere senza di lui. Punto e basta.”

Sono passate due settimane. Questo è il quattordicesimo giorno, la sua scadenza. E non avrebbe potuto fallire in modo peggiore.

 
§

 
Rhodey e Happy a un certo punto provano a entrare, e Tony crede di sentire anche un’altra voce, ma non tentano di buttar giù la porta, quindi non è costretto a difendere la sua scelta di rimanere seduto là dentro col corpo senza vita del ragazzino. Scende l’oscurità, si fa più buio, e Peter non torna. Tony rimane nello stesso punto, si sente debole e piccolo e disperato, ma non si muove. Si limita ad aggrapparsi alla mano di Peter, e prega per un altro loop. Solo un altro. Me ne serve un altro.

11:58

“Dai, Pete,” sussurra, guardandolo in volto.

11:59

“Torna indietro.”

GIORNO QUINDICI
 

So when you’re near me, darling can’t you hear me
SOS
The love you gave me, nothing else can save me
SOS
 

Tony apre di scatto gli occhi.

Peter emette un lamento dall’altro letto. “Non ricordavo neanche che avessi messo una sveglia.”

Un sorriso si fa strada sul volto di Tony, così ampio che quasi fa male, e serra con forza gli occhi con una lacrima che gli corre lungo la tempia. È vivo. Peter è vivo, è tornato, hanno avuto la loro seconda possibilità. Il sollievo lo fa sentire leggero, incorporeo, più giovane di quanto non sia mai stato, e prende un profondo respiro prima di gettare le gambe oltre il bordo del letto per poi quasi collassare per terra.

Senza il quasi. Collassa veramente, con le ginocchia che gli cedono di colpo, impattando col tappeto.

“Tony!” esclama Peter, e lo sente scansar via le coperte e alzarsi, mettendogli una mano sulla spalla.

Quei maledetti ABBA strillano ancora in sottofondo, ma a Tony non importa, e quando Peter lo issa in piedi, prima che possa dire qualunque cosa, lo abbraccia con impeto.

“Ehi,” ride Peter, dandogli una pacca sulla schiena. “Ehi, che hai? Che succede? Incubo? Ma sono gli ABBA questi?”

Tony libera un piccolo sbuffo, cercando di non svenire per il sollievo di vedere che Peter è qui, che Peter è vivo, e può abbracciarlo e parlargli ed essere con lui in una stanza dove non è morto, cazzo, e per una volta, per una sola volta in questo inferno di ripetizioni, è veramente contento di avere un altro loop--

“Sì, sono gli ABBA,” dice Tony, ridendo e stringendolo forte. “Sì, è stato un incubo.”

“Ero morto?” chiede Peter, esitante ma diretto.

Il cuore di Tony ha un sussulto e si scosta da lui, ancora con le mani sulle sue spalle. “Te lo ricordi?” chiede.

“Titano? Quello?” chiede Peter, con occhi enormi, come se non fosse sicuro del perché di quella domanda.

Tony si schiarisce la gola. Ovviamente ha pensato a quello. La prima volta che è morto. La seconda è stata cancellata, è perduta, non tornerà. Se Peter sarà mai in grado di ricordare qualcosa dei loop, spera che non sia l’incendio, e tutto ciò che è successo dopo. “Sì,” risponde, e lo abbraccia di nuovo. “Scusa se ti abbraccio di primo mattino. È strano.” Gli trema la voce.

“Io adoro gli abbracci.”

Tony trattiene una risata. “Sì, lo so benissimo.” Le sue emozioni stanno traboccando, sopraffacendolo, e sa che sta perdendo la testa, che ormai è più che pazzo, e si sente come se ci fosse una marea di cose che deve dire e che non ha ancora detto. A tutti, alle persone che ama, e ne ha tre qui con sé. Si scosta di nuovo, vedendo che Peter lo guarda ansiosamente. “Pete, volevo solo dirti che sei… sei il migliore. Sei un supereroe anche quando non sei Spider-Man, mi fai essere una persona migliore, sei un genio e una persona meravigliosa, una persona buona, e ti voglio bene. Sono… sono davvero fortunato ad averti con me.” Lo scuote leggermente.

“Anch’io ti voglio bene,” dice Peter, assottigliando gli occhi. “Perché mi stai dicendo tutto questo?”

“Perché,” dice Tony, proprio mentre la porta comunicante si apre all’ingresso di Happy, con Cher che arriva fin lì mischiandosi con SOS. “Sto perdendo completamente la testa.”

 
§

 
“E quella volta nell’84,” dice Tony. “Con le bottiglie di vodka?”

“Sì,” dice Happy, sorridendo. “Sì, mi ricordo.”

“Sei fantastico,” dice Tony, stringendogli la spalla. “Sei il mio uomo di punta, mi conosci come le tue tasche, sai sempre quello che mi passa per la testa e-- ti voglio bene.”

“Anch’io ti voglio bene, Tony…”

“Come mai questa sagra dell’amore?” chiede Rhodey, seduto accanto a Peter sul letto di Tony.

“Tu sei il prossimo, amico,” dice Tony, indicandolo da sopra la spalla, ma proprio in quel momento si sente bussare alla porta. Tony sa già che probabilmente è Justin, maledizione, e il “probabilmente” diviene certezza quando bussano di nuovo, in modo più insistente. “Aspetta, idiota!” grida Tony.

“Tony, sei migliore di così,” dice Rhodey, rimproverandolo.

“Sta avendo una fase,” sussurra Peter.

“Ed è una scusa per urlare alla donna delle pulizie?”

“Non è la donna delle pulizie,” interviene Tony, alzando gli occhi al cielo. Inciampa nei suoi stivali, rischiando di cadere, per poi raggiungere Rhodey e prendergli il viso tra le mani. “Sei il mio migliore amico. La mia vita è… è fuori fase senza di te al mio fianco. Mi fido di te, ti voglio un bene dell’anima e non avrei superato il mio periodo al MIT – e molti altri – senza di te--” Bussano un’altra volta.

“Va bene, va bene,” dice sbrigativo Rhodey, dandogli una pacca sulla mano, ma è decisamente arrossito.

Tony va infine alla porta, afferrando una giacca nel mentre. Apre la porta e indossa la giacca, trovandosi di fronte Justin che se ne sta lì imbronciato come un amante respinto.

“Non riesco a credere che tu mi abbia ucciso di nuovo.”

“È stato un incidente,” dice Tony, superandolo per entrare in corridoio.

“Mi hai ficcato la testa nel cesso a forza.”

“Sì, ma non volevo ucciderti,” dice Tony, da sopra la spalla.

“Ma che cazzo?” grida Rhodey, dietro di loro. “Che cazzo…”

“Oh, ciao,” dice Justin.

“Oh, ciao?

“Tony, dove stai andando?” chiede Justin, ignorando platealmente l’indignazione di Rhodey.

“A fare le mie cose,” dice Tony, percorrendo il corridoio diretto alla hall.

“Tony!”

“Ehi, ma che cazzo-- cosa-- Hammer-- dove stai--”

“Ma che cazzo succede?

“Tranquilli, è docile come un cerbiattino o come… una piccola lontra,” li informa Tony, spingendo la porta d’ingresso e uscendo nel freddo.

 
§

 
“Tony, parlami. Che ti succede? Ci stai spaventando.”

Tony continua a fare il suo angelo di neve. Muove braccia e gambe avanti e indietro, fissando il cielo azzurro e terso finché Peter non si avvicina ancora, eclissando il sole. Socchiude gli occhi e lo guarda come se fosse pazzo.

Perché è pazzo.

“Peter,” dice Tony, iniziando quella conversazione che ha già fatto tante volte. “Ti fidi di me?”

“Certo,” dice Peter.

“Siamo in un loop temporale. Io sono Bill Murray. Mi ricordo tutto, e voi no, siamo… siamo intrappolati. Siamo in trappola, ragazzino. Ho fatto queste cose mille volte. E mille ancora. E ancora e ancora e ancora. Non so come uscirne. Quindi… mi arrendo. Adesso faccio angeli di neve. E basta.”

Riesce a sentire Justin che discute con Rhodey e Happy da qualche parte lungo la strada, con le voci che si fanno man mano più forti.

Peter lo guarda fisso. “Cosa?”

“Lo so.”

“No, intendevo… cosa?

“Già.”

Continua a fare il suo angelo di neve.

GIORNO SEDICI

“Non riesco a credere che tu abbia rivelato il tuo indirizzo in TV,” sbuffa Justin. “Idiota.”

“Zitto, cretino,” dice Tony. “Sto raccontando… una storia.”

Si appoggia ridendo alla spalla di Justin. La sua vista è sfocata e il suo cervello - il suo cervello è fritto. Sta bevendo grappa [3]. Grappa! Non beve grappa da secoli. E sa di torta di mele. Sta sorridendo così tanto che gli fa male la faccia. Gli mancano gli altri, ma non sa dove siano. Si ricorda a malapena di essere uscito dalla stanza.

“Quindi poi li ho, uh…” biascica Tony, “Li ho presi tutti, anche se avrei potuto portarne solo quattro. Perché sì, cavolo. Nessun passeggero o hostess lasciato indietro. Mi manca un sacco Jarvis.”

“Sì, ho sentito che è successo,” dice Justin, e lo vede con dei contorni decisamente sfocati. “L’ho visto… in TV. Nella guardiola del secondino.”

“Huh.”

“Già.” Sbadiglia sonoramente, e a lungo. “Sono contento che tu sia qui.”

“Anch’io. Aspetta, no.”

Justin abbaia una risata. “Beccato.”

“No, odio questo posto,” dice Tony, guardandosi intorno nella penombra del bar. Oh. Allora sono nel vagone-bar. Guarda di nuovo Justin. “E odio te.”

“Pfft. Mi sopporti.”

“Esatto.”

La porta si apre e il luogo viene inondato di luce; Tony solleva una mano a bloccarla come se fosse un vampiro.

“Eccolo qua.”

“Tony, ma che cazzo?” sbotta Happy. “Cos’è, adesso ti sbronzi con questo tizio?”

All’improvviso Justin viene sbalzato in aria e Tony cade di faccia sul sedile su cui era seduto fino a un secondo fa, e quando alza lo sguardo vede che è Peter ad averlo sollevato di peso da terra, inchiodandolo al muro.

“Non mi fido a lasciarti ubriacare con lui,” dice Peter, incenerendo Justin con lo sguardo.

“Ecco, questo è il mio ragazzo,” dice Tony, indicandolo. “È forte, eh?”

“Forte?” uggiola Justin. “Ma che cazzo? Gli ha iniettato qualcosa? Questo non è-- è… assurdo--”

“Spider-Man,” dice Tony, puntandogli contro il dito.

Peter, Rhodey e Happy si girano di scatto verso di lui, in un misto di paura, rabbia pungente e delusione.

Tony fa un verso noncurante, scacciandoli con un gesto. “Va tutto bene. Tutto… bene. Tanto qui nessuno è reale.”

GIORNO DICIASSETTE

Tony è sdraiato nella neve, quasi come l’altro giorno – l’altro oggi – quando stava facendo angeli di neve. Solo che stavolta c’è lo skilift bloccato proprio sopra di lui e gli altri quattro sono lassù, a guardarlo con occhi impauriti.

Il livello di dolore che sta sopportando è-- è semplicemente… oltraggioso. È l’unica cosa che riesce a pensare. Questa intera esperienza è oltraggiosa.

Si è rotto una gamba. Al cento per cento.

“Tony!” grida Peter. “Tony, sto--”

“Non. Saltare. Giù!” grida lui di rimando. Sa che quel ragazzino è Spider-Man, ma non è pronto per vederlo morire di nuovo. Mai più. Un gruppo di persone si sta radunando attorno a lui, con alcuni che si inginocchiano a parlargli, ma lui non risponde e continua semplicemente a fissare i suoi amici e Justin su quel maledetto skilift sopra di lui, chiedendosi se non sia una qualche allegoria che non riesce a interpretare. Non sa se ci riuscirà mai.

Il solito dottore inutile si affretta a raggiungerlo, accovacciandosi accanto a lui.

“Mi lasci qui,” dice, senza neanche guardarlo. “Vivo qui, adesso.”

GIORNO DICIOTTO

Sono seduti sul palco di fronte a una discreta folla, e Tony individua i volti di Peter, Rhodey e Happy in seconda fila, che lo fissano con una strana trepidazione mista ad ansia, come se non sapessero più bene chi sia.

“E Justin – prossima domanda per il Gioco degli Scoppiati – Tony vorrebbe avere un funerale sfarzoso?”

“Sapete, guardandolo così,” comincia Justin, portando alle labbra il microfono, “potreste pensare che voglia un funerale in grande, di lusso, ma Tony è un uomo semplice. Anche se non è esattamente così che appare, considerando la sua… rilevanza sociale. Ma il suo unico desiderio per la sua estrema festa sarebbe qualcosa di intimo con le persone a cui tiene di più.

“Tony?”

Tony gira la sua lavagnetta bianca, sulla quale si leggono le parole QUALCOSA DI INTIMO CON LE PERSONE A CUI TENGO DI PIÙ.

“Wow,” dice il presentatore. “Vi conoscete davvero bene, nei minimi dettagli, sembra.”

“Siamo in confidenza.”

Hanno guardato questo gioco più e più volte. Hanno memorizzato le domande, dicendosi le rispettive risposte, e quando vincono quell’enorme, stupido trofeo, Tony sente chiudersi quel buco a forma di Nederland scavato nel suo cuore. Anche se solo per la durata di quel loop.

“Cazzo, sto andando fuori di testa,” dice tra sé quella notte, nel suo letto, col trofeo accanto a lui.

GIORNO DICIANNOVE

È nella piazza centrale, circondato da luci blu. Forse è di nuovo un po’ brillo. È seduto su una cassa recuperata da qualcuno, perché sta parlando da molto tempo e la maggior parte della gente è qui, intenta ad ascoltare rapita la sua storia.

“Quindi voi siete prigionieri! Nella vostra stessa città! E non lo sapete, ma… ma ora sì, perché volevo che lo sapeste. Perché sto cercando di risolvere questo schifo. E quante altre volte volete che accada?” dice, poggiando i gomiti sulle ginocchia. “Insomma, siete intrappolati… non avete una vita, fuori dalla Festa dell’Uomo Congelato? Fuori da Nederland?”

Tutti lo fissano.

“Intendo… non avete famiglia? Là fuori, da qualche parte? Un cugino a New York, vostra madre a… a Omaha, non saprei.”

Non gli sembra di essere stato convincente, ma sembra… che stiano ascoltando. Si mette in piedi. “Qualcuno di voi ha visto Il Giorno della Marmotta? Dovete… ribellarvi!” Alza in aria entrambe le mani, guardandosi intorno e incontrando facce impensierite. “Dovete solo concentrarvi – intensamente – e… e ricordarvi ciò che vi sto dicendo ora. Imprimetevelo nel cervello. Ascoltate Iron Man… ascoltate--”

“Ah, ecco!” esclama un giovane con una maglietta dell’Uomo Congelato. “Ecco dove ti ho già visto!”

Tony lascia ricadere la testa.

Morirà qui.

Ancora. E ancora. E ancora.

GIORNO VENTI

“Pepper?”

“Oh, mio Dio, Tony,” dice lei, mentre lui preme con forza il telefono contro l’orecchio. “Tony, cos’è successo? Dove siete? May e io stiamo impazzendo, non avete più chiamato, non riusciamo a rintracciare i vostri cellulari, che sta succedendo? Siete feriti? È successo qualcosa, vi hanno rapiti? Cosa posso…”

Tony chiude gli occhi, strizzandoli, con la testa che ciondola pesantemente in avanti e il busto inclinato sul tavolo. Tira un respiro e sente la stanchezza nelle ossa, la sconfitta che gli irrigidisce le spalle. “Siamo in trappola,” gracchia, scuotendo la testa. “Li ho fatti finire in una trappola. Sono stato io, cazzo, li ho fatti venire qui… è colpa mia. È colpa mia. Non ti vedrò mai più. Non-- non vedrò mai nostra figlia.”

“Cosa?” chiede Pepper. “Tony--”

“Se vuoi risposarti, puoi farlo,” dice Tony, tra i singhiozzi, risucchiando un respiro. “Fai-- fai solo registrare la mia morte così puoi, insomma, fare ciò che vuoi. So che ti piace quel tizio, Chris, della contabilità… va bene, davvero, è un brav’uomo. O Steve. Insomma, Steve è Capitan America. Sarebbe-- sarebbe una buona scelta-- o Nataša, se vuoi… si prenderebbe comunque cura della bimba meglio di--”

“Tony, ascoltami. Ascoltami. Concentrati.”

Lui rimane in silenzio, asciugandosi qualche lacrima prima che ne cadano altre.

“Dimmi cosa sta succedendo. Tutto quanto.”

“Sono il Giorno della Marmotta,” dice, in fretta. “Sono… nel Giorno della Marmotta. Sono Bill Murray. Le lettere erano-- non c’è nessuna cerimonia di premiazione, ha fatto tutto Justin Hammer… è bloccato nel loop, vive lo stesso giorno qui, in questa città, ancora e ancora e ancora, ed era l’unico a ricordarselo e gli serviva aiuto-- è solo questo posto, il mondo esterno va avanti normalmente-- ma in qualche modo, in qualche… cazzo di modo, sono finito qui e ricordo anch’io. Peter, Rhodey e Happy-- si dimenticano come tutti gli altri, ogni notte. Scocca la mezzanotte e ricominciamo dal mattino, con quei cazzo di… ABBA in sottofondo, e Cher… Justin è morto un paio di volte, anch’io sono morto un paio di volte, Peter è morto… una volta…”

“Tony. O mio Dio.”

“Non so come risolverlo,” esala Tony, e vuole disperatamente tornare da lei, vuole disperatamente stringerla a sé e parlarle e riavere la sua vita-- la loro vita, quella per cui hanno lottato, che si sono guadagnati. Vuole riportare Peter a May. May, alla quale ha promesso che avrebbe tenuto suo nipote al sicuro. In passato hanno usato l’espressione “fare assieme i genitori” [4] e adesso l’ha delusa, ha deluso Peter. Vuole riportare Rhodey e Happy da dove sono venuti, nel mondo reale e non qui, non nel freddo Colorado, in una gabbia di morte ammuffita, ma non può… non ci riesce. È perduto. Può risolvere ogni tipo di problema, ma non questo. “Nessuno può uscire, e se qualcuno entra rimane-- rimane a sua volta intrappolato, non ricordano--”

“Ma tu ricordi?”

“Non so perché,” dice lui, asciugandosi di nuovo gli occhi. “Pep, lo-- lo so che ho fatto un sacco di cose, e ho risolto problemi che credevamo irrisolvibili, ma questo… mi sta esaurendo, amore, non riesco-- non ho fatto alcun progresso, nessuno. Ma vorrei-- ti prego, di’ a May che Peter sta bene. Solo… che non so come riportarlo lì, da lei, dove dovrebbe essere, ma sta… sta bene. E ti amo.”

“Tony--”

“Ti amo tantissimo,” ripete, e gli sembra un addio. Non la vedrà mai più. “Ho avuto la fortuna di averti sempre accanto, sono-- sono stato fortunato ad aver passato così tanto tempo con te e sei la persona più incredibile del mondo--”

“Ti amo,” dice lei, con la voce che si spezza. “Ti aiuterò.”

Si sente tremare il cuore. “Pepper… non puoi venire qui. Non puoi, nessuno può, verrete solo risucchiati in questo maledetto loop e non voglio che succeda a nessun altro.”

“Ti amo, Tony,” dice lei, stavolta più chiara e forte. “Ti aiuterò.”

GIORNO VENTIDUE

“Va bene,” dice Tony, dal posto del guidatore, mentre si avvicinano al confine della città. Il suo cuore batte così forte che ha la sensazione che l’intera macchina possa sentirlo. “Vado e basta.”

“Tony, ti adoro, ma non funzionerà,” dice Justin, dal sedile di mezzo.

“Non dire che mi adori, e funzionerà,” dice Tony. Si volta verso Rhodey, sul sedile del passeggero.

“Mi fido di te,” dice lui. “Forse è la volta buona.”

“Non hai detto che non volevi che morisse qualcun altro?” chiede Justin. “Perché se ci proveremo, qualcuno morirà. O anche tutti quanti.”

“Avremmo potuto lasciarti qui e basta,” dice Happy.

“Esatto,” dice Tony, girandosi per vedere il sedile posteriore. Guarda Peter e ripensa a quando l’ha visto morto nella stanza del motel. Non vuole vederlo morire assiderato, né sfigurato in un qualche orribile incidente d’auto. Ma non hanno alternative. Questa è l’unica che hanno. Devono provarci di nuovo.

“Stiamo bene,” dice Peter. “Va tutto bene.”

“Ok,” dice Tony, voltandosi di nuovo. Dà gas e sorpassa quella linea metaforica, imboccando la strada che conduce fuori città. Sta trattenendo il respiro… non può essere così facile, non può essere così facile…

No. Non è così facile.

La neve ruggisce sul versante della montagna per poi cadere in un pesante velo, atterrando sopra la macchina come un autobus, o un camion. Si riversa sopra al parabrezza e oscura completamente la visuale. Tony preme a fondo l’acceleratore, e la macchina si muove un poco prima di bloccarsi e spegnersi.

Tony sbatte le mani sul volante, digrignando i denti per trattenere le urla che vorrebbe liberare.

“Te l’avevo detto,” dice Justin. “No?”

“Stai zitto.”

GIORNO VENTISETTE

“Correte, forza!” dice Tony, assicurandosi che Peter sia accanto a lui mentre si fiondano attraverso la neve, fuori città. Trascinano le loro valigie, che sbatacchiano mentre corrono, e Tony affonda nella neve ad ogni passo. “Andate! Andate più veloce che potete!”

“Hai intenzione di correre… fino a Denver?” ansima Happy, lanciando un’occhiataccia a Tony mentre avanzano.

“Sì! Cristo!”

“Non funzionerà!”

“Zitto! Chiameremo aiuto non appena saremo in un posto dove prende!”

“Tony, non-- ah!”

Tony inchioda con uno stridio quando sente l’esclamazione di Rhodey, e quando si gira lo vede riverso sul fianco, intento a stringersi la caviglia. “Che succede, che hai?”

“Mi sono slogato la caviglia,” dice Rhodey, con sguardo incredulo.

“Non ci credo,” dice Happy, col fiatone. “Non ci credo.”

Justin si piega in avanti, dandosi una pacca sulle ginocchia prima di scoppiare in una risata isterica.

“Stai zitto,” dice Tony, indicandolo minaccioso.

“Dammi una mano, ragazzino, vedo se riesco a poggiare il piede,” dice Rhodey.

Peter si avvicina, lo issa in piedi e si passa il braccio di Rhodey attorno al collo. “Ok, reggiti a me.”

“Bene, riesco a-- ah… oh, merda, no, è come-- è come quella volta, Tony, al secondo anno…”

Non è decisamente ciò che vorrebbe sentire Tony. Si rimette in piedi, fissando Peter che cerca di mantenere in piedi Rhodey. È riuscito a ricostruirgli delle gambe, a rimetterlo in piedi, ma non ha gli strumenti adatti qui… li ha cercati, cazzo, ma non c’è nulla di utile da nessuna parte e sembra fatto apposta, da chiunque abbia architettato il tutto.

“Lasciatemi qui e andate,” dice Rhodey, e Peter lo guarda accigliato.

“No,” dice Tony, abbattuto. “No, proveremo… proveremo di nuovo domani.”

GIORNO TRENTASEI

È buio. È l’ora di punta. Tony ha bevuto sette tazze di caffè e Rhodey continua a tenerlo d’occhio con fare nervoso. Justin è seduto su un barile rovesciato, intento a limarsi le unghie. Non c’è nessuno in giro, e la città sta assumendo quell’aria spettrale tipica di quest’ora del giorno.

Il giorno. Il giorno dei giorni. Il maledetto giorno dal quale non riescono a scappare. Hanno provato a fuggire a piedi, per quanto lenti, ma Peter è svenuto. Senza alcuna ragione apparente. Hanno rubato un furgone e hanno cercato di fuggire rapidamente, evitando la valanga, ma hanno sbandato sulla strada ghiacciata, precipitando sul crinale sottostante. Sono riusciti ad abbandonare il veicolo prima che cadesse in un’esplosione di fiamme, e la polizia li ha trattenuti prima che potessero spostarsi a piedi.

Hanno provato a scalare la montagna, più volte, ma è sempre finita in tragedia, ancora e ancora e ancora. Hanno scovato un piccolo aereo da trasporto quando hanno esplorato la zona oltre le baite, e Tony non ama ripensare a com’è andata a finire quella volta. Dopo un po’, hanno quasi avuto l’impressione che quel maledetto loop stesse anticipando i loro piani, fermandoli ancor prima di arrivare sulla strada… hanno affrontato un incendio al motore, una parata fuori programma, una quarantena, una rissa, un allarme bomba… tutto quello che poteva accadere è accaduto.

Peter se ne sta seduto in disparte, su una panchina di cemento sul ciglio della strada.

“Ci proviamo di nuovo?” chiede Happy, in piedi di fianco a Rhodey.

“Sì,” dice Tony. “Datemi un secondo.” Si avvicina alla panchina, captando il clacson di un’auto in lontananza, e scompiglia i capelli di Peter. “Tutto ok, ragazzino?”

“Avevi ragione, l’altra volta,” dice Peter. “Riguardo a-- al fatto di preoccuparmi per l’università. Avevo paura di… di lasciare te e May, di lasciare New York e non-- non riuscire più a essere Spider-Man, o dover essere Spider-Man da qualche altra parte, e quindi la gente si sarebbe chiesta perché Spider-Man si fosse trasferito, e a New York avrebbero pensato che li stessi abbandonando per qualche ragione, ma adesso… non importa più. Perché non uscirò mai di qui.” Scuote la testa, fissando il suolo. “A quanto pare, ho già perso molti giorni di scuola, e insomma… non lo so, ci stavo solo pensando.”

Tony fissa la sua nuca. Ultimamente ha oscillato tra un vivace ottimismo e il disfattismo più nero, ma questo-- questo gli fa venir voglia di portare Peter fuori di qui più di quanto abbia mai voluto prima. È diventato un po’ ossessivo, soprattutto dopo che hanno raggiunto la quota di Un Mese, ma adesso ha un breve momento di lucidità. “Ehi,” gli dice, posandogli una mano sulla spalla. “Continueremo a provare ogni giorno. E alla fine incapperò in qualcosa, perché è così che funziona di solito… e risolveremo anche la questione della scuola. Su, quello è niente, non è che un-- una buca sulla strada. Ok? Ok? Ci sono qua io, farò in modo che--”

Sente lo stridio delle gomme di un’auto dietro l’angolo e smette di parlare, con tutti che si girano in direzione del suono.

“Se è di nuovo quel dannato Chet--”

“No, non è una macchina rossa,” dice Tony, socchiudendo gli occhi e osservandola accelerare.

E fermarsi esattamente di fronte a loro.

È una piccola macchina blu, coi finestrini oscurati, e Tony quasi muore sul colpo quando si apre la portiera del guidatore e vede uscire Pepper. Ha l’impressione che il mondo intero si fermi, come se non ci fosse nulla di reale a parte lei, e anche se è passato meno di un mese, gli sembra enormemente più incinta di prima. Si sente inchiodato a terra, incapace di muoversi, di fare qualsiasi cosa che non sia fissarla a bocca aperta mentre aggira la macchina, con gli occhi puntati su di lui. Nell’ultimo periodo si è ridotto a un coacervo di emozioni contrastanti, ma in questo momento è bloccato tra il voler collassare in lacrime e il saltellare qua e là in preda alla gioia. È lì, riesce a vederla. Però è qui.

“Porca troia,” dice Happy.

“Oh, mio Dio,” dice Rhodey.

Justin scivola dietro un lampione. E Peter non dice nulla, anche se i suoi occhi sono dilatati, come se non credesse a quello che sta vedendo.

“Pep…” comincia Tony, ma lei scuote la testa, avvicinandosi a lui e prendendogli le mani.

“Non me ne vado senza di te,” dice lei. “E senza di voi. Anche tu, Hammer. E me ne andrò sicuramente di qui… perché questa bambina non nascerà in Colorado. O dentro un loop temporale.”

Tony la fissa. Non sa cosa dire, cosa pensare. Ma, per la prima volta da molto tempo, ha l'impressione che la parte più ottimista di lui stia avendo la meglio.
 


 
Tradotto da What if there was no tomorrow di © iron_spider

 
Note di traduzione:
 
[1] Come accennato, il titolo italiano del film è Ricomincio da capo, ma per coerenza con la storia ho preferito mantenere la traduzione letterale che richiama la festività.
[2] In originale, il negozio si chiama Family Video, e l’ho sostituito con un equivalente un po’ più familiare e comunque esistente negli USA.
[3] In originale, Tony beve moonshine, che è un tipo di liquore generico prodotto in casa, spesso clandestinamente. Essendo la grappa un liquore prodotto comunemente in casa in Italia, ho optato per questa traduzione.
[4] L’espressione originale era co-parenting, tradotta a volte come co-genitori, che ritengo francamente orrenda; ho scelto di usare una perifrasi che rendesse il concetto.


Note Della Traduttrice:

Ehilà, rieccomi ad aggiornare questa traduzione dopo la devastazione che è stata Endgame, sperando che, nella sua estrema stravaganza, possa distogliere i pensieri di chi legge dagli ultimi sviluppi del MCU.
Questo, come accennato nello scorso capitolo, è un capitolo "aggiunto", poiché quello originale era troppo pesante e lungo per essere caricato come capitolo unico. Il titolo è stato scelto da me, ma è in linea con gli eventi e richiama comunque il testo della canzone scelto dall'autrice, che tra l'altro cita proprio questo verso in questa sezione. Il layout, ho dimenticato di specificarlo prima, rispecchia quello originale della storia, con le indicazioni dei giorni in maiuscolo non distanziate dal testo.
Sono abbastanza sicura che il rating arancione sia adatto, ma fatemi sapere se ritenete opportuno alzarlo, considerando le menzioni esplicite e descrizioni di suicidio e morte presenti, anche se non "reali".

Grazie a tutti coloro che seguono e leggono la storia, e un grazie particolare a _Atlas_ che ha commentato gli scorsi capitoli di quest'ultimo, folle progetto :')
A presto, col capitolo finale,

-Light-
   
 
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