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Autore: lightvmischief    05/05/2019    0 recensioni
Una ragazza.
Un gruppo.
La sopravvivenza e la libertà.
Le minacce e i pericoli della città, delle persone vive e dei morti.
Prova a sopravvivere.
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO 15

KAYLA

Stringo bene i lacci degli scarponi e mi alzo, battendo le mani sulle mie cosce per risvegliare un po' i muscoli; mi aspetta una bella camminata beh, in realtà, ci aspetta: Calum sta finendo di sistemare il suo zaino e tra poco partiremo.

«Prendi un giubbotto, la sera fa freddo» mi ordina Calum, lanciandomi un'occhiata veloce mentre infila lo zaino e si lega una felpa in vita.

Annuisco e prendo un bomber nero, decisamente troppo grande per me, ma almeno mi terrà al caldo. Lo infilo nel mio zaino e imito Calum, mettendomelo sulle spalle.

«Pronto?» gli chiedo, sistemando la pistola e il coltello nei pantaloni in modo da poterli togliere velocemente, se dovessero servire.

«Andiamo.» Prende la cartina, la mette sotto il braccio e usciamo dalla palestra.

Metto una mano davanti agli occhi per lasciarli abituare alla luce del sole; ormai siamo ad ottobre e l'aria comincia a farsi più fredda, ma il calore del sole è una delle sensazioni migliori che io abbia provato ultimamente.

Calum si gira verso di me per qualche secondo prima di aumentare il passo e rimanendo davanti a me per guidarmi, siccome ha lui la cartina.

E così iniziano questi trenta minuti.

***

Mi guardo attorno: siamo in mezzo ad una via piuttosto larga, su entrambi i lati ci sono delle ville di diversi colori, anche se ormai sbiaditi. Sorrido tra me e me: mi sarebbe piaciuto scattare una fotografia una volta per poi mostrarla a Ebony, che mi avrebbe chiesto di portarla a vedere il luogo dal vivo, così avrei potuto fare una foto a lei, che poi sarebbe finita su una delle pareti di casa.

Mi fermo qualche istante, semplicemente per fissare i particolari nella mia mente, quasi anche a immaginarmi come sarebbe stata la scena.

«Ehi, ci sei?» Calum mi chiama, poco più avanti di me.

«Sì... Sì, scusami.» Faccio una corsetta per raggiungerlo e vedo spuntare sul suo viso un sorrisino.

«Tu che ti scusi? Questo è un miracolo!»

«Non ci posso credere» sbuffo, alzando gli occhi al cielo.

«Oh, avanti, sto solo scherzando» replica lui, allargando le braccia e facendomi l'occhiolino.

«Beh, vai a scherzare con qualcun altro» rispondo senza pensarci troppo.

Calum si avvicina a un palo della luce e lo abbraccia.

«Ehi, ciao, ti va di scherzare un po' assieme a me? Sai, questa qui non è dell'umore giusto oggi...»

Mi fermo nel mio cammino e scuoto la testa, nascondendo un sorriso.

Che idiota.

«Ti va di bere qualcosa insieme?» continua, ammiccando al palo.

«Calum.»

«Chi è lei? Nah, non ti preoccupare, baby, non è nessuno.»

«Calum, muoviti» lo richiamo, cercando di mascherare il mio divertimento.

Fa un giro attorno al palo e poi mi raggiunge saltellando.

«Che fretta c'è, piccola?» Lo guardo male e lo supero, rubandogli la cartina dalle mani.

Lo sento ridere dietro di me.

Idiota.

«Sai, ogni tanto dovresti lasciarti andare, in fondo, cos'hai da perdere?» mi chiede, raggiungendomi una seconda volta, sfiorandomi una spalla con la sua.

Tengo lo sguardo fisso sulla cartina, lasciando che i miei capelli mi coprano la faccia, ora in fiamme, per qualche strano motivo.

«Dovrebbero esserci delle rotaie qui» dico, ignorandolo e indicando la strada davanti a noi.

Aumento il passo e vedo che sotto a tutto un groviglio di erba, foglie e radici di alberi spuntano alcune parti arrugginite di quelle che sembrano quattro file di binari.

«Eccole qui.»

«Non dovremmo essere troppo lontani» dico, mostrando a Calum il punto cerchiato sulla cartina, più o meno a duecento metri da dove siamo ora.

«Dammi la mano» mi ordina Calum e per tutta risposta lo guardo confusa.

Allora decide di prendere iniziativa e intrecciare le sue dite tra le mie, salendo sui binari e saltando da una linea di ferro all'altra.

«Sei un'idiota, lo sai questo?» ridacchio, imitandolo e stringendo la sua mano come appoggio per non perdere l'equilibrio.

«Non sei la prima che me lo dice» risponde, voltandosi verso di me con un sorriso da far invidia.

Devo ammetterlo: è davvero attraente. La luce del sole mette in risalto la sua carnagione olivastra e i tatuaggi che ha sul braccio sinistro.

Si passa una mano tra i capelli e poi si volta, continuando a saltare da un binario all'altro con me al suo seguito.

«Mi ricordo questo edificio! Siamo arrivati, Calum!» esordisco dopo qualche minuto, riconoscendo l'imponente fabbricato beige sul lato sinistro della strada.

Una volta attraversate le rotaie del treno, Calum si abbassa per superare una sbarra del treno, ormai ricoperta di ruggine ed edera, senza mai lasciarmi la mano.

«È lì!» dico, stavolta sono io a trascinare Calum dietro di me.

Sorrido, sfilandomi lo zaino dalle braccia e appoggiandolo per terra. Mi chino e comincio a togliere le bottiglie e appoggiarle sul distributore.

«Ti prego, dimmi che funzioni ancora» sussurro, aprendo il rubinetto.

Un urletto di felicità esce dalle mie labbra non appena vedo l'acqua scorrere giù dal distributore e finire nella bottiglia.

Mi giro verso di Calum, ancora dietro di me, con un sorriso sul viso e alzando il pollice, facendogli capire che funziona.

Lui ricambia il sorriso e mi imita, togliendosi lo zaino dalle spalle e appoggiandosi con una spalla alla macchina per guardare felice l'acqua corrente.

«Allora non hai solo un bel faccino» dice, guardandomi con un sorrisetto compiaciuto.

Alzo gli occhi al cielo, senza però lasciare che le sue parole mi innervosiscano.

«Tieni d'occhio l'ambiente, mi sembra tutto troppo tranquillo» dico dopo un po', ripensando a tutto il percorso che abbiamo fatto.

Siamo stati piuttosto fortunati perché non abbiamo trovato troppi Vaganti nella strada, in qualche modo siamo riusciti ad evitarli. Eppure qualcosa mi dice che questa fortuna finirà presto.

«Ci penso io, non ti preoccupare. Quante bottiglie ci mancano?»

«Ancora tre.»

Ho un brutto presentimento, sento la bocca dello stomaco chiudersi. O magari è solo la fame.

Infatti, poco dopo sento la mia pancia brontolare e deve averla sentita anche Calum, che si mette a frugare nello zaino, offrendomi poi un pezzo di cioccolato.

«Oh, mio Dio. Non ci posso credere» dico sorpresa, accettando con piacere un pezzo di quel cioccolato, che una volta era il mio preferito: fondente.

Era da mesi che non riuscivo a trovare un pezzo di cioccolato che non fosse stato scaduto.

«Sembri una bimba» esordisce Calum, ridacchiando.

«Taci» ribatto, dandogli una manata sul braccio.

Finge uno sguardo offeso e alza il cioccolato in alto, dove non riesco a raggiungerlo.

«Sai cosa? Puoi tenertelo.» Chiudo una bottiglia e la sostituisco con un'altra, incrociando le braccia al petto e dandogli la schiena, comportandomi proprio come una bambina.

Sobbalzo quando sento il suo braccio cingermi la vita e mi allontano.

Non sono pronta.

***
Il sole è calato da circa quaranta minuti ed ora siamo circondati da una nebbia che si sta infittendo sempre di più.

«Dovremmo tornare» suggerisce Calum, alzandosi dal marciapiede su cui avevamo deciso di sederci per fare una pausa.

Annuisco e mi infilo il giubbotto, poi alzandomi, rifiutando la mano tesa di Calum.

Sento tutto il peso dello zaino che spinge le mie spalle verso il basso.

Calum mi lancia un'occhiata e apre la bocca come se volesse dire qualcosa, ma poi scuote la testa e mi porge una torcia. Si sistema meglio lo zaino sulle spalle e poi comincia a farsi strada nella nebbia sulla via del ritorno.

Controllo che la mia torcia funzioni, accendendola e spegnendola un paio di volte e seguo Calum.

Sento l'umidità entrarmi nelle ossa. Devo mantenere il passo di Calum, altrimenti rischio di perderlo nella nebbia. Il fatto che sia vestito tutto di nero non aiuta affatto.

Sento il mio stomaco contorcersi, ma cerco di non pensarci troppo, non voglio dar ragione al mio istinto che mi dice che qualcosa andrà storto.

«Mi dispiace per prima.» Sussulto quando sento la voce di Calum, troppo preoccupata a guardarmi intorno in cerca di qualche possibile minaccia.

«Cosa?» rispondo distrattamente, notando che si è fermato pochi passi più avanti di me per aspettarmi.

«Non volevo oltrepassare il limite, so che è ancora presto-»

«Ssh!» lo zittisco velocemente, mettendomi l'indice sulle labbra e lanciandogli un'occhiata veloce.

Sposto la torcia con attenzione facendo un giro su me stessa: ho sentito qualcosa.

«Non vedo niente» dice Calum, cercando di tranquillizzarmi.

Annuisco distrattamente, sperando che abbia ragione e che abbia deciso di lasciar cadere l'argomento di poco fa: l'avevo zittito perchè avevo davvero sentito qualcosa, ma allo stesso tempo non volevo parlare di ciò che era successo per non dargli troppa importanza. In fondo, non era successo niente di così importante, no?

Il ragazzo decide quindi di riprendere il cammino e io rimango pochi passi dietro di lui, tenendo lo sguardo fisso sulla schiena per non perderlo di vista.

Per qualche minuto riesco a liberare la mia mente da ogni nervosismo e sento solo il rumore dei miei passi mischiarsi a quello del mio respiro. Mi sistemo meglio lo zaino sulle spalle e perdo qualche secondo a stringere le cordicelle, quando la luce della mia torcia comincia a lampeggiare e poi spegnersi del tutto.

Impreco sottovoce, dandogli qualche colpetto, provando a farla riaccedere.

«Oh, avanti!» Agito il piccolo oggetto nelle mie mani ma senza ottenere alcun risultato.

Alzo subito lo sguardo allarmata e vedo a pochi metri il bagliore della torcia di Calum e cerco di raggiungerlo con una corsetta, fermandomi pochi secondi dopo perchè ho sentito un altro rumore.

Dei passi pesanti.

Un lamento soffocato.

Faccio appena in tempo a voltarmi alla mia sinistra che vedo un Vagante a una distanza troppo ravvicinata; il mio cuore comincia a battere freneticamente per lo spavento e sento il respiro cominciare ad affannarsi, ma faccio capo a tutta la forza nel mio corpo per prendere il coltello infilato nella cintura dei pantaloni e piantarlo nella testa dell'essere, togliendolo poi con fatica e facendo cadere il corpo con un tonfo a terra.

Riporto lo sguardo rapidamente a dove avevo visto Calum pochi minuti fa, ma non c'è più.

Sento una scossa di paura attraversarmi le ossa e l'adrenalina farsi spazio nelle mie vene.

«Calum!» lo chiamo, sperando di sentire una sua risposta, sperando di sentire la sua voce e non un altro lamento.

Mi accorgo di aver stretto il coltello nelle mani e le sento tremare, così come le mie gambe che cominciano a fare fatica a sostenere il peso del mio corpo, aumentato anche dalle bottiglie nello zaino.

Comincio a correre alla cieca, inutilmente, ma è l'unica cosa razionale che al momento mi sembra di fare, mentre provo con tutta me stessa a ripetere di calmarmi.

I miei sensi cominciano a diventare ovattati, l'unico rumore che riesco a sentire è il battito del mio cuore, che sembra essere impazzito.

D'un tratto, mi sento scaraventare a terra e ci impiego qualche secondo per capire cosa sta succedendo: un Vagante mi ha attaccato da destra e ora sono intrappolata tra il suo lurido corpo e il cemento freddo e ruvido. Il peso del suo corpo mi schiaccia e mi fa mancare il respiro, comincio a vedere appannato e a sentire gli occhi pungere, le braccia farsi molli e la mia mente annebbiarsi, ma con la poca lucidità che mi è rimasta riesco a tirare un calcio su quello che una volta era il ventre di quell'essere, riuscendo ad ottenere qualche centimetro in più.

Mi piego con fatica in avanti, con il peso dello zaino che mi ancora a terra, colpendolo sul collo. Emette un grugnito strozzato e allunga di nuovo le braccia verso il mio corpo. Scivolo indietro e riesco a uscire dalla sua presa mortale, alzandomi in piedi con qualche traballamento, raccogliendo il coltello cadutomi dalle mani a causa della caduta.

«Calum!» chiamo ancora, disperata, dopo aver rifilato un altro calcio al Vagante, facendolo rotolare per terra.

Lo uccido prima che possa riprendersi e quasi mi manca un battito quando sento il mio nome, anche se lontano.

Ho il respiro affannato, i polmoni che iniziano a bruciare e i muscoli del mio corpo tremare e dolere per la mancanza di ossigeno.

Le lacrime cercano la loro via d'uscita, appannandomi la vista.

Non ora, non ora, non ora.

Provo di nuovo a chiamare Calum, ma tutto ciò che ne esce è un verso strozzato.

Mi volto in tutte le direzioni, non capendo più in quale devo andare, il panico già presente si trasforma in terrore e mi ritrovo a pensare abbattuta che non so più cosa fare.

Percepisco qualcosa prendermi da dietro e, con i sensi ovattati e ponderando la scelta di continuare a lottare oppure lasciare che io mi abbandoni al mio destino, mi giro nella stretta e lascio che il coltello strisci sul corpo indefinito.

«Kayla, cazzo, sono io! Sono Calum!»

Questa volta le lacrime scendono e mi sento quasi mancare tra le sue braccia, mentre l'unica cosa che mi verrebbe da fare sarebbe urlare, se solo riuscissi a respirare normalmente.

Mi accorgo che mi sta trattenendo vicino al suo corpo, mentre mi trascina verso una casa.

Con una mano spara un colpo alla serratura della porta, facendola saltare, aprendola e portando dentro entrambi.

«Respira» mi ordina.

«Non è niente» dico a fatica, scuotendo la testa veemente, accorgendomi di quanto stupida risulti quell'affermazione.

«Dannazione, Kayla, respira insieme a me.» Calum mi prende le mani e le stringe nelle sue, il suo sguardo fisso nei miei occhi mentre cerco di dargli retta e seguire il ritmo del suo respiro.

«Va tutto bene. Siamo al sicuro adesso.»

Mi prende il viso tra le mani per qualche secondo, intimandomi a concentrarsi su di lui.

Lascio che mi avvicini verso di lui, avvolgendomi tra le sue braccia.

Riesco lentamente a calmare il mio respiro e il battito del mio cuore, percependo le gambe cominciare a cedermi per davvero.

Calum sembra capirlo e lascia che raggiungiamo il pavimento, sempre stretta tra le sue braccia. Mi accarezza i capelli e io appoggio la testa sul suo petto, chiudendo gli occhi per qualche istante, lasciando che il mio corpo si ammorbidisca al suo tocco.

«Va tutto bene» ripete lui, la sua voce proprio di fianco al mio orecchio.

Mi metto velocemente seduta non appena mi ricordo di averlo colpito con il coltello. Prendo la torcia da terra e la punto verso il corpo, cercando la ferita sul suo corpo, guadagnandomi un'occhiata confusa da parte del ragazzo.

Scopro di avergli tagliato il braccio destro dai rivoli di sangue presenti. Metto la torcia in bocca, puntandola sul taglio, e gli prendo l'arto tra le mani, sentendolo contrarsi al mio tocco. Lo esamino per qualche minuti, scoprendo felicemente di non essere andata troppo in profondità con l'arma.

Presagisco il suo sguardo che segue curioso ogni mio movimento e rimango sorpresa dal fatto che non abbia detto una parola per fermarmi.

Lascio andare il suo braccio, mi apro il giubbotto, lasciandolo cadere alle mie spalle, ignorando le piccole scie di brividi che mi percorrono la pelle. Appoggio a terra la torcia, pulisco la lama con la mia maglietta prima di tagliare una striscia di stoffa da un fianco all'altro, non preoccupandomi più di tanto di lasciare il mio ventre scoperto.

Frugo nello zaino e prendo una delle bottiglie d'acqua, ignorando Calum quando prova a ribattere.

Verso l'acqua sulla ferita, tentando di pulirla il più possibile dal sangue e dallo sporco; poi gli avvolgo il pezzo di stoffa con le mani ancora un po' tremanti, mi sciolgo la coda di cavallo e uso l'elastico per assicurare la benda improvvisata al suo braccio.

Lascio scivolare le mani lungo il suo arto fino ad arrivare alla sua mano, rimanendo ferma più del dovuto. Alzo poi lo sguardo e rimango spiazzata dalla vicinanza del suo viso al mio e al trovare Calum che già mi stava fissando.

Gira la mia mano tra la sua e intreccia le sua dita con le mie, stringendole leggermente.

Un rumore sordo, come qualcosa che cade a terra, ci fa risvegliare entrambi da quello stato di trance in cui eravamo caduti.

«Non siamo soli» esordisce Calum con una smorfia misto tra seccata e presa alla sprovvista, alzandosi in piedi e tirandomi su assieme a lui.

Mette il braccio sano davanti al mio corpo, spostandomi leggermente dietro di lui, quasi per proteggermi.

Alzo gli occhi al cielo istintivamente, anche se stavolta non ho la forza di controbattere oppure lamentarmi.

Entrambi rimaniamo immobili in silenzio per quella che sembra un'eternità, aspettando che qualsiasi cosa si stia nascondendo, esca allo scoperto.

«Sono armata!» Sussultiamo entrambi alla voce femminile che riecheggia nella casa.

Subito dopo vedo spuntare la canna di un fucile, decisamente troppo grande rispetto al corpo della bambina che lo tiene in mano.

Sento il mio cuore affondare in fondo al petto.

«... Kayla?!»



___________________
SPAZIO AUTRICE:
Spero questo capitolo vi sia piaciuto - a me personalmente è piaciuto molto scriverlo - e, se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate! I vostri pensieri sono sempre ben accetti.
Grazie a tutti!
- Marina

   
 
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