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Autore: lightvmischief    25/05/2019    0 recensioni
Una ragazza.
Un gruppo.
La sopravvivenza e la libertà.
Le minacce e i pericoli della città, delle persone vive e dei morti.
Prova a sopravvivere.
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO 16
 

CALUM
 

«... Kayla?!»

Fisso confuso e sorpreso la bambina davanti ai miei occhi: deve avere circa la stessa età di Margaret, ha i capelli neri arruffati e disordinati che le arrivano fino al petto, le braccia minute che fino a poco prima tenevano ben saldo il fucile puntato verso di me e Kayla, ora le tremano e nei suoi occhi chiari si possono ben notare tutte le emozioni che sta provando in questo momento.

«Oh, mio Dio!» esclama Kayla sottovoce, quasi come se non credesse a ciò che sta vedendo.

Mi volto appena verso di lei e vedo i suoi occhi lucidi e le mani che le coprono la bocca in uno stato di completo shock. Infatti ci impiega qualche secondo per superarmi e dirigersi incerta verso la bimba.

Facendo saltare il mio sguardo prima da una e poi all’altra, non posso far a meno di notare una certa somiglianza tra le due, soprattutto nei capelli e nel viso con i lineamenti morbidi. L’unica differenza saliente è il colore degli occhi: Kayla ha gli occhi di un castano intenso, si schiariscono solo quando la luce del sole batte sul suo viso.

Un pensiero comincia a farsi spazio nella mia mente. Mi ha raccontato di avere una sorella e un fratello, ma era piuttosto sicura del fatto che non li avrebbe più ritrovati, anche se avevo intravisto ancora qualche scia di speranza attraversarle il viso quando me ne aveva parlato.

«E-Ebony?» chiede Kayla timorosa, spaventata da ciò che potrebbe risponderle la bambina.

Si ferma a un metro di distanza da lei, incredula, incerta sul da farsi. Non la biasimo: se mi capitasse di ritrovare un componente della mia famiglia che ormai avevo dato per morto, mi comporterei esattamente nello stesso modo.

La bimba lascia cadere l’arma a terra, senza preoccuparsi troppo del rumore causato, gli occhi le si riempiono di lacrime mentre chiude la distanza tra lei e Kayla, stringendo quest’ultima in un abbraccio.

Kayla la stringe fortissimo e la alza in braccio, unendosi a Ebony in un pianto incredulo e gioioso.

Decido di rimanere dove sono per non intralciarle in questa loro sincera e commovente riunione e per lasciarle un po’ di privacy, giocando distrattamente con le mie mani.

Kayla appoggia a terra sua sorella e si abbassa alla sua altezza, mettendosi in ginocchio, allontanandola quanto basta da lei per poter esaminare ogni aspetto del suo viso, come se lo vedesse per la prima volta. Le sposta qualche ciocca di capelli dalla fronte e le appoggia le mani sulle guance, asciugandole le lacrime con i pollici.

«Come....» inizia Kayla, non riuscendo a terminare la frase perchè scossa da un singhiozzo.

«Pensavo di non rivederti mai più» dice Ebony, rinchiudendola di nuovo nella stretta morsa del suo abbraccio.

«E invece, eccomi qui!» esclama Kayla con una risata, facendo sorridere anche la sorella.

«Ti voglio tanto bene, Kaykay» esordisce la più piccola dopo qualche attimo di silenzio, seguito subito da un “anche io” di Kayla.

Il cuore mi si stringe nel petto a quel piccolo nomignolo e la scena davanti ai miei occhi mi trasmette un’immagine della ragazza completamente diversa da quella che ho avuto finora; adesso è completamente sopraffatta dalle emozioni, ma posso percepire un lato tenero e premuroso di lei che non avrei mai pensato di vedere.

Quando l’avevo vista con Margaret, ho capito che aveva una certa destrezza con i bambini e una scia di questo lato quasi materno l’avevo intravista, ma era come se si stesse sforzando. Ora, invece, è naturale, limpida, per la seconda volta riesco a vedere e capire ciò che sta realmente provando e la vedo vulnerabile.

«Tu chi sei?» Sento Ebony chiedermi con sospetto, alzandosi da terra assieme a Kayla. Noto quest’ultima guardarmi per qualche secondo, quasi con aria riconoscente, per poi distogliere lo sguardo dal mio e farlo tornare su sua sorella.

«Oh, io sono Calum, sono con lei» dico preso allo sprovvista, alzando una mano in segno di saluto e avvicinandomi cautamente alle due.

«È davvero con te?» indaga subito lei diffidente e sveglia, proprio come la sorella.

Kayla annuisce un paio di volte, l’ombra dello shock ancora presente sul suo bel viso, cercando un costante contatto fisico con la sorella, intrecciando quindi le dita della sua mano con le sue, come se avesse bisogno di provare a se stessa che non sta sognando, non se la sta immaginando: lei è veramente lì.

«Come avete fatto a entrare?» domanda Ebony, guardando prima me e poi Kayla.

«Ho fatto saltare la serratura. Ah, a proposito, mi dispiace per quella.»

«Non importa, adesso che ti ho trovata non ti lascio più sola» interviene Kayla, passandosi il dorso della mano libera sulla faccia.

«Vuoi stare qui assieme a me?»  

«No, non se ne parla» mi intrometto, prima che Kayla possa dire qualcosa.

Non posso dire di conoscerla bene, ma so con certezza che accetterebbe qualsiasi cosa sua sorella le chiedesse o dicesse. Infatti, mi lancia un’occhiata contrariata e incrocia le braccia al petto, alzando un sopracciglio. Apre la bocca per parlare ma, di nuovo, la blocco.

«Ebony, che ne diresti di venire insieme a noi al nostro rifugio? Non è molto lontano da qui e possiamo partire domani mattina.» Mi chino su un ginocchio alla sua altezza, speranzoso.

«Calum.» mi ammonisce Kayla, ancora prima che sua sorella potesse esprimersi.

Le guardo duro per qualche istante: sarebbe la scelta migliore per entrambe e lei lo sa, solo che è troppo orgogliosa per ammetterlo. Non solo in questa casa sarebbe completamente isolata da qualsiasi possibilità di provviste, a meno che non abbia intenzione di passare di casa in casa, rischiando di farsi ammazzare dai Morti; inoltre, sarebbero solo lei e sua sorella contro ogni possibile minaccia lì fuori e, nonostante Kayla abbia provato diverse volte di sapersela cavare piuttosto bene da sola, ora doveva badare anche a Ebony.

Riporto lo sguardo alla bambina davanti a me, aspettando una sua risposta positiva.

«Io non posso andarmene» risponde risoluta, i suoi occhi fissi nei miei quasi con ferocia, come se stesse proteggendo qualcosa.

«Perché?» le chiedo confuso. Fossi stato io nelle sue condizioni, avrei accettato senza battere ciglio.

«Non posso abbandonare mamma e papà.»

«Cosa? Sono ancora vivi?» chiede Kayla, confusa.

Ebony distoglie lo sguardo da quest’ultima per spostarlo al pavimento e cominciare a giocare con una ciocca dei suoi capelli.

«Venite con me» ci ordina, voltandosi e cominciando a salire le scale.

Osservo Kayla con la stessa aria confusa della mia, anche se io comincio ad essere quasi preoccupato.

«Non spaventatevi» ci prega, facendomi allarmare ancora di più.

Apre una porta lentamente, si sposta di lato e ci lascia dare un’occhiata all’interno.

Con la coda dell’occhio vedo Kayla portarsi una mano alla bocca scioccata e quasi scannerizzare l’intera scena nella sua mente.

Lo spettacolo davanti a noi è devastante: ci sono tre figure, una seduta con la schiena appoggiata al letto e la testa che guarda al soffitto, con la bocca aperta, un’altra fa avanti e indietro dall’armadio fino ad un’altra porta nella stanza e l’ultima in una posizione innaturale, quasi accasciata, con il volto verso la finestra.

L’odore di marcio e di corpi in composizione mi arriva pungente al naso, facendomi pizzicare gli occhi e causando l’arrivo della nausea.

L’avevo detto che stava proteggendo qualcosa, solo che non mi sarei mai aspettato questo: stava tenendo quelli che una volta erano i suoi genitori rinchiusi dentro una stanza. Una scia di brividi mi ricopre le braccia.

Ebony chiude la porta a chiave e alterna il suo sguardo tra me e la ragazza al mio fianco, ancora visibilmente scossa. Chi non lo sarebbe?

«Ebony...» inizia Kayla sottovoce, anche se nel silenzio calato in questa casa sembra quasi stia urlando.

«È successo una settimana fa» si difende la più piccola, indietreggiando di qualche passo dalla porta.

«Quelli-quelli non sono più mamma e papà.»

Non posso immaginare cosa sta provando Kayla in questo momento: ha appena scoperto che sua sorella è ancora viva, che tiene segregati in una camera dei Morti che erano i suoi genitori, che sono morti appena una settimana fa.

«Non sapevo cosa fare, mi hanno detto di rimanere giù perchè avevano sentito un rumore, ma io non sapevo-» riprende Ebony, prima di scoppiare in un pianto disperato.

«Non è colpa tua» le dico, provando a rassicurarla. Dannazione, è solo una bambina, non poteva prevedere ciò che sarebbe successo.

Inaspettatamente, Ebony allaccia le braccia attorno al mio bacino, stringendomi forte, con la guancia premuta contro il mio ventre. Le accarezzo un paio di volte i capelli cauto.

«Bonnie, ascoltami, Calum ha ragione, non possiamo rimanere qui.» Kayla si china all’altezza di sua sorella, appoggiandole una mano sulla schiena, muovendola su e giù.

Mi abbasso anche io, trovandomi ad una distanza ravvicinata con Kayla per la terza volta oggi. Le scruto il viso in cerca di qualsiasi emozione, ma questa volta non riesco a leggerla, non riesco a capire cosa le stia passando per la testa.

Ebony annuisce lentamente, asciugandosi le lacrime con i pugni e spostandosi i capelli dal viso.

«Dovremmo riposarci un po’» suggerisco, abbozzando un sorriso alla bimba, sperando di tirarla un po’ su di morale. Lei guarda sua sorella come per cercare il suo permesso e poi ci fa strada giù per le scale.

Nella fretta di prima non avevo notato le varie candele accese per le varie stanze della casa.

Ci mostra un divano e ci fa cenno di prendere posto, ma prima di farlo Kayla mi fa cenno con la testa di seguirla da una parte più appartata. Rifila qualche scusa a sua sorella e poi la seguo.

«Che c’è?» le chiedo curioso, passandomi il pollice sul labbro inferiore, prendendomi poi il mento.

«Una volta riportato lo zaino da voi io e mia sorella cerchiamo un altro posto.»

«Cosa? Perchè?»

Kayla si passa una mano tra i capelli, che per la prima volta vedo sciolti, nervosa, spostandosi una ciocca che le era caduta proprio davanti agli occhi.

«Devo prendermi cura di lei» risponde sospirando.

«Ed esattamente come hai intenzione di farlo? Da sola, là fuori, preda di qualsiasi possibile minaccia?» le chiedo sarcastico, lasciandomi scappare una risata amara. E io che pensavo che avesse finalmente ceduto al suo dannato orgoglio. «Lo sai che da noi sareste le benvenute e avreste anche un posto sicuro-»

«Un posto sicuro? Non so se te ne sei accorto, ma non c’è un posto sicuro. Da nessuna parte» ribatte, interrompendomi.

Mi inumidisco le labbra con la lingua, stringendo i pugni e contando fino a tre prima di parlare. Non vorrei dare spettacolo con sua sorella nella stanza proprio accanto, ma lei ce la sta mettendo tutta per farmi perdere le staffe.

«Noi possiamo darvi protezione-» Anche stavolta non lascia che io finisca di parlare.

«No ho bisogno della vostra protezione. Posso farcela benissimo da sola.»

«Ah, davvero? Che mi dici di Reece allora? Ho proprio visto come sei riuscita a farcela da sola» obbietto, rendendomi conto solo qualche istante dopo di ciò che ho appena detto.

Cazzo.

«Questo è veramente un colpo basso anche per te» sputa velenosa, scuotendo la testa, lasciandomi da solo nella stanza buia.

Mi prendo la testa tra le mani, scompigliandomi i capelli dal nervoso.  Lo sapevo che non era colpa sua se Reece era morto, volevo solo cercare di convincerla a fare la cosa giusta, per lei e per sua sorella, per cercare di tenerle in vita ancora per un po’, soprattutto ora che si erano appena ritrovate.

Se eravamo riusciti ad andare d’accordo per più di qualche minuto, ora eravamo tornati di nuovo al punto di partenza.

Lascio sbollire per qualche minuto tutta l’irritazione cresciuta dentro di me. Torno nell’altra stanza, cercando di non inciampare e di non andare a sbattere contro le pareti.

Sul divano trovo Kayla ed Ebony abbracciate che dormono di già: nonostante pochi attimi prima le avrei volentieri urlato contro, ora non posso far altro che intenerirmi davanti alla scena.

Prendo i due zaini, che Kayla ha spostato vicino al divano, e li uso come cuscini, prima di stendermi a terra, chiudendo gli occhi e desiderando di fare sogni beati, sperando che i demoni nella mia testa non decidano di farmi visita almeno per una notte.

***

Vengo svegliato da un leggero chiacchiericcio non molto lontano dalle mie orecchie. Aspetto qualche secondo prima di aprire gli occhi, cercando di godermi ancora qualche minuto di completa pace. È passato un po’ di tempo da quando sono riuscito a dormire così beatamente l’ultima volta.

Alzo le braccia per strofinarmi gli occhi e sento una fitta di dolore al braccio sinistro, ricordandomi della ferita inferta da Kayla la sera precedente.

La sera precedente. Sono successe così tante cose. È stata la prima volta che ho visto Kayla così disperata, così spaventata e impreparata quando mi ha colpita. Per la prima volta ho visto oltre il suo lato duro e sicuro e ho visto quella che mi è sembrata la vera Kayla: terrorizzata da ciò che le succede attorno, così come lo siamo tutti.

Forse il suo è solo un modo di proteggersi, magari fingendo di sentirsi all’altezza di poter sconfiggere i Morti e la morte le dà un po’ di senso di sicurezza, senso ormai mancante nell’universo in cui viviamo.

«Ehi, è sveglio.»

Il mio flusso di pensieri viene interrotto bruscamente, quindi giro la testa alla mia sinistra, lasciando che gli occhi mettano a fuoco le due figure davanti a me.

Mi alzo piano sul gomito destro, tenendo invece il braccio sinistro appoggiato sul mio ventre.

«Buongiorno» dico strascicando un po’ le parole, con la voce che mi esce più roca di quanto immaginassi.

Kayla mi porge un sorriso tirato, spostando subito lo sguardo sul braccio bendato. Si alza dalla posizione seduta in cui era e va verso un tavolo: la seguo con con lo sguardo puntato sulla sua schiena. Per un momento mi sembra quasi di essere tornato alla normalità, qui, circondato dalle mura di una casa, con Kayla che si muove come se conoscesse questo posto a memoria - nonostante siamo qui da poche ore soltanto -, come se anche lei avesse riavuto indietro un pezzo della sua normalità trovando sua sorella. È tutto così folle, così surreale.

«Vuoi un po’ d’acqua?» mi chiede Ebony gentilmente, porgendomi una bottiglia d’acqua, facendomi distogliere l’attenzione da sua sorella.

La più piccola è seduta a gambe incrociate sul bordo del divano, avvolta da una coperta arancione, con la mano minuta che spunta da sotto di essa.

Annuisco e prendo un sorso mentre Kayla torna verso di noi, stavolta con quelle che mi sembrano bende in mano. Mi fa cenno di piegare le gambe per lasciarle un po’ di spazio per sedersi per terra affianco a me.

«Bonnie, hai detto che qui c’è una credenza con tante bottiglie, vero? Puoi portarmene una, per favore?» Ebony obbedisce subito agli ordini della sorella e si alza dal divano con la coperta, che ora striscia sul pavimento.

Scruto per qualche istante il viso della ragazza davanti a me: sarà solo un’impressione, ma la sua espressione mi sembra più leggera, più rilassata. Sbatte un paio di volte le palpebre, facendo oscillare le lunghe ciglia che le adornano gli occhi scuri.

«Ti fa male?» mi chiede un po’ incerta, facendo passare il suo sguardo dal mio braccio al mio viso.

Ci impiego qualche secondo per risponderle che non è niente, troppo perso nell’osservare ogni suo movimento. Ho bisogno di concentrarmi, una doccia fredda non sarebbe male.

Sarei cieco se dicessi che non è una bella ragazza, starei mentendo a me stesso, ma non era proprio il momento adatto per lasciare il via libera a questi pensieri.

«Mi dispiace per ieri» sputo fuori veloci le parole, cercando di non pensarci troppo. È la seconda volta in poche ore che mi sento in dovere di scusarmi con lei per le mie azioni o per le mie parole, fino a quando, poco tempo prima, non me ne importava troppo dell’effetto che avrebbero potuto avere su di lei.

«No, hai ragione.»

I miei occhi si spalancano involontariamente alla sua affermazione: cosa stava succedendo?

«Non posso prendermi cura di lei quando non so nemmeno come prendere cura di me stessa.»

«Non era questo che intendevo-» Vengo interrotto da Ebony che ritorna nella stanza con una bottiglia di vodka, credo, più grande di lei.

Tutte le volte che provo a scusarmi e provo ad avere una conversazione più civile del solito con lei, veniamo interrotti in qualche modo.

«Questa era quella più piena» spiega Ebony alla sorella, che la ringrazia velocemente.

Kayla sfila delicatamente l’elastico dal mio braccio, poi toglie la benda improvvisata della sera prima ora decorata da una macchia del mio sangue.

Svita il tappo dalla bottiglia di alcool, lasciando il suo sguardo fisso nel mio per più del dovuto.

«Dì a Calum quello che hai detto a me stamattina.» Versa il liquido sulla ferita per disinfettarla e subito sento un bruciore pungente: chiudo gli occhi e aspiro aria dai denti serrati.

«Abbiamo una macchina che funziona.»

Apprezzo che Kayla le abbia chiesto di parlare, così da farmi distrarre dal dolore che mi sta infliggendo involontariamente.

«Ci sono anche dei vestiti e del cibo qui in giro. In macchina abbiamo un po’ di pistole che mamma e papà avevano trovato in giro.»

Kayla, nel frattempo, prende le nuove bende e mi fascia con cura il braccio con le sue mani delicate, avvolgendole bene e fermandole con un pezzo di scotch di tessuto.

«È troppo stretto?» mi chiede con un’aria fin troppo preoccupata, come se il fatto che sia troppo stretta potesse costarmi la vita.

In realtà credo che si senta in colpa per avermi inflitto in primo luogo il taglio, ma l’aveva fatto solo per difendersi, non gliene avrei mai fatto una colpa. Era sotto shock, era piuttosto sorpreso che fosse anche solo riuscita a pensare abbastanza lucidamente per provare a salvarsi la vita in qualche modo.

«No, no, va bene così. Grazie.» Kayla pulisce l’elastico e lo indossa al polso, passandosi poi le dita tra i capelli per spostarli dal suo viso.

La luce timida del sole entra dalla finestra, permettendomi di capire che sono solo le prime ore del mattino, ma illuminando la stanza in cui ci troviamo. Noto solo ora che le candele sono state spente.

«Quindi, avete detto una macchina?» esordisco dopo qualche istante di silenzio.

Kayla si alza in piedi stiracchiandosi le braccia sopra la testa e facendo alzare la maglietta che indossa, rivelando le linee di un addome quasi scolpito. Sento scie di calore percorrermi il corpo e il cavallo dei jeans tirare ma, ancora una volta, non è questo il momento.

«Sì, il problema è che le chiavi sono nella tasca di quella che una volta era nostra madre» dichiara la ragazza, chinandosi in avanti per afferrare le cose lasciate a terra ed infilandole nel suo zaino, mostrando parte della sua scollatura nel mentre, non aiutandomi in tutta questa situazione quasi imbarazzante.

«Posso prenderle io» offro, decidendo di alzarmi finalmente dal pavimento.

«Devi stare molto attento» interviene Ebony, lasciando cadere la coperta sul divano dietro di lei.

«Non posso farti rischiare la vita per-»

«Ho deciso io di farlo, nessuno mi sta forzando a fare niente, perciò non ti preoccupare» dico, interrompendo subito Kayla.

Sarò anche uno stronzo molte volte, ma non sono un pezzo di ghiaccio: rivedere di nuovo quelli che una volta erano i suoi genitori sarebbe troppo per lei. Ha già dovuto far fronte al fatto che siano morti una seconda volta, solo che questa volta ne aveva la certezza. Non volevo farle passare quell’inferno una terza volta, soprattutto se questo era esattamente il giorno seguente.

«Ebony, hai detto che qui ci sono anche altre provviste, giusto? Mentre io prendo le chiavi, voi potete prendere quelle e raggruppare tutto ciò che trovato in salotto» dichiaro, passandomi le mani sui pantaloni.

Ebony annuisce e subito se ne va, obbedendo ai miei ordini, mentre Kayla è piuttosto titubante sull’intera situazione. Incrocia le braccia al petto, alzando le spalle. Apre un paio di volte la bocca come se volesse dirmi qualcosa, ma poi lascia perdere e lascia vagare il suo sguardo sul pavimento.

«Andrà tutto bene» la rassicuro, avvicinandomi e mettendoci tutta la mia forza di volontà per non allungare le braccia e stringerla in un abbraccio. Non so se tutto quello che sta succedendo sia nella mia testa che fuori sia causa di tutto ciò che è successo nelle ultime ore, ma decido di non dargli troppo peso. È solo attrazione fisica, è normale, no?

«Solo… stai attento» sussurra, dando voce alle sue preoccupazioni, prima di lasciarmi solo.

Seguo la sua figura fino a quando non la vedo sparire dietro a un muro, cercando in tutti i modi di capire lei e i suoi modi di fare. Se io ero complicato, lei lo è mille volte di più: non so mai come comportarmi con lei, perchè in un modo o nell’altro, quando mi aspetto una sua reazione ne ricevo sempre un’altra che è l’opposto.

Mi lascio andare ad un sospiro: è ora di andare a prendere quelle chiavi.

***

«Ce l’ho fatta!» esclamo soddisfatto, facendo dondolare il portachiavi sull’indice della mia mano, cogliendo di sorpresa le due sorelle.

«Anche noi abbiamo raccolto un bel po’ di roba» dice Kayla, lasciando spazio al primo timido sorriso della giornata.

«Torniamo alla base!» dico con fin troppo entusiasmo, provando a strappare una risata da entrambe le sorelle, ma ricevendone una solo dalla più piccola.

Prendo il mio zaino e quello di Kayla e li infilo sulle spalle, ignorando le lamentele di quest’ultima, insistendo che può farcela a portarlo. Non molla proprio mai, eh?

Una volta essersi arresa, decide di riempirsi le tasche dei pantaloni e del giubbino con tutto ciò che può entrarci dentro e le mani con il resto, non prima di aver controllato di aver ben sistemato il coltello nella cintura dei pantaloni.

Ebony si infila la tracolla del fucile, lasciandolo dietro alla schiena e anche lei si riempe le mani con tutto ciò che riesce a portare.

Dopo un ultimo controllo da parte di quest’ultima di non aver dimenticato niente e dopo aver sussurrato un breve addio ai suoi genitori, apro la porta della casa, lasciando uscire le due prima di richiuderla alle mie spalle.

Non abbiamo messo in conto che i Morti si sarebbero raggruppati in questa via dopo le urla disperate mie e di Kayla di ieri sera.

Ebony fa qualche passo indietro, nascondendosi dietro alla schiena di sua sorella, che vedo subito pronta a farle da scudo. Si volta lentamente verso di me, avvicinando a fatica un dito alle labbra e facendomi cenno di seguirla.

La sua tattica era giusta: se non facciamo rumore, non possono attaccarci e, visto che ora l’unico che ha le mani libere per sparargli sono io, sarebbe un suicidio anche solo sparare il primo colpo. Perciò la seguo, rimanendo dietro ad Ebony, in modo che abbia le spalle protette. Se dovesse succederle qualcosa, Kayla non me lo perdonerebbe mai e già non eravamo esattamente migliori amici.

Kayla si fa strada verso la macchina - che Ebony deve averle mostrato prima -, evitando di fare rumori e cercando di stare il più lontano possibile dai quei corpi sparsi per la strada.

Come arriviamo a solo un metro dalla macchina, dalla parte del guidatore, proprio davanti alla portiera c’è uno dei Morti che continua a muoversi avanti e indietro la fiancata dell’auto.

Kayla si blocca improvvisamente, probabilmente pensando a come aggirare il problema e un flash mi passa per la mente: il coltello.

Mi avvicino alla ragazza, che mi guarda stranita: lascio che il braccio destro le cinga la vita, per poi farlo passare per tutta la cintura dei suoi pantaloni finchè la mia mano non sente il coltello, non distogliendo di un secondo lo sguardo dall’obiettivo davanti a me.

Sfilo il suo coltello e glielo mostro, facendole capire che non ero improvvisamente impazzito: per tutta risposta, alza le sopracciglia sorpresa e annuisce. Quindi la supero e prudentemente arrivo alle spalle del corpo. Appoggio una mano sulla sua spalla e lo colpisco dritto nel cranio: questo si irrigidisce di colpo e lo sento pesante, quindi lo accompagno verso terra, cercando di fare il tutto nella maniera più furtiva in assoluto.

Prendo quindi le chiavi, apro la macchina e apro le portiera con successo. Ebony sale sui sedili posteriori, mentre Kayla mi fa raggiunge nel sedile del passeggero.

Ce l’abbiamo fatta.

Infilo la chiave nel cruscotto e metto in moto, schiacciando sull’acceleratore e ringranziando il fatto che la macchina non abbia il cambio manuale.

«Nel tuo gruppo ci sono tante persone?» chiede dopo qualche attimo di silenzio Ebony.

«Un po’, sì. Ci sono anche quattro bambini che hanno circa la tua età.»

«Ho otto anni e mezzo» sottolinea, mettendosi in una posizione in mezzo ai due sedili per sentirsi parte della conversazione.

Lancio un’occhiata fugace a Kayla e la trovo con lo sguardo perso oltre il finestrino alla sua destra. Deve avere molti pensieri nella testa.

Ridacchio alla constatazione di Ebony e lascio cadere la breve conversazione iniziata.

In poco tempo riusciamo ad arrivare alle familiari porte della palestra, quindi spengo il motore e scendo dalla macchina, aprendo la portiera ad Ebony per farla scendere e riprendendo i due zaini.

«Andiamo?» chiedo a Kayla, notando che esita qualche secondo prima di scendere dall’auto.

Come se fosse appena uscita da uno stato di trance, sbatte velocemente le palpebre e raggiunge me e sua sorella all’entrata delle porte.

«Benvenuta nella tua nuova casa, Ebony.»

   
 
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