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Autore: hey_youngblood    06/05/2019    3 recensioni
[Nephilim!AU]
2182. Gli umani sono segretamente in guerra con una specie da loro considerata superiore , i Nephilim.
Yuuri. Apprendista in una struttura che detiene queste creature, finirà per disertare le idee del padre e stringere un legame con uno di loro, Victor.
Otabek e Yuri fanno parte di un gruppo terroristico che mira a distruggere tutte le strutture in cui vengono rinchiusi tutti quella della loro specie. Durante una missione verranno catturati e imprigionati con gli altri nella sede principale dell'azienda che compie queste oscenità.
Dal testo:
“Sei la prima persona che prova bellezza osservandomi, da quando sono rinchiuso qui dentro.” Quelle parole uscirono in un sussurro dalle labbra che aveva sfiorato un momento prima. Yuuri lasciò la presa sul suo viso e scattò indietro d’istinto. Victor, ormai sveglio, lo osservava con occhi socchiusi, mentre sentiva la sonnolenza causata dal sedativo cercare di riportarlo nel sonno. “Ti prego, non avere paura di me.”
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Otabek Altin, Victor Nikiforov, Yuri Plisetsky, Yuuri Katsuki
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Ottavo
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Yuuri si risvegliò nel proprio letto, madido di sudore. Aveva il respiro affannato, e con fatica si tirò su dal materasso. Un mal di testa lo colpì così violentemente, appena aprì gli occhi, che non poté fare a meno che portarsi le mani alla fronte, premendole contro la pelle calda, in cerca di un po’ di conforto. Aveva freddo, sentiva tutto il proprio corpo fremere a contatto con la differenza di temperatura che invadeva la stanza. Le immagini di ciò che aveva fatto la sera prima invasero prepotentemente la sua mente, facendogli rivivere davanti agli occhi la scena.
Si rivide mentre, incapace di controllare il proprio corpo o di formulare un pensiero coerente, si avvicinava lentamente all’Aviano. Ricordò lo sguardo di Victor che lo invogliava a stabilire un contatto, che lo pregava silenziosamente di toccarlo. Era cosciente quando si era accovacciato accanto a lui, quando ne aveva osservato quel profilo etereo. Perfettamente inciso nella sua memoria stava ciò che era successo dopo, nel momento in cui si era ritrovato a cingere i fianchi della creatura angelica davanti a lui tra le proprie cosce, mentre gli circondava il viso candido con le proprie mani, nell’istante in cui le loro labbra avevano compiuto quell’atto sacrilego, capace di condannarlo davanti agli occhi di tutti.
Rilasciò un gemito frustrato. Non riusciva a credere d’aver compiuto di proprio impeto un’azione del genere. Scalciò di lato le coperte, alzandosi e dirigendosi in bagno per farsi una doccia. Mentre aspettava che l’acqua si riscaldasse, si lavò il viso nel lavandino. La sua immagine riflessa nello specchio lo fissava stralunata: le guance arrossate, i capelli spettinati, l’espressione per certi versi impaurita. Le sue labbra, leggermente gonfie e arrossate, un piccolo taglietto proprio al centro del labbro inferiore. Victor gli afferrò il labbro inferiore tra i denti, succhiando leggermente. Quel gesto lo fece fremere vergognosamente. Scosse la testa, voltando lo sguardo dallo specchio e cominciando a spogliarsi. Non poteva essere vero: non avrebbe mai avuto il coraggio di comportarsi in maniera così… oscena davanti a qualcuno, non nella vita reale.
Restò sotto il getto d’acqua finché non si sentì calmo. Era passato del tempo da quando era entrato nella doccia, ed i polpastrelli delle dita, completamente raggrinziti, glielo dimostravano. La pelle chiara, leggermente olivastra, era diventata d’un rosso acceso e l’intensità del vapore che pervadeva la stanza gli creava problemi a respirare. Uscì, virando verso la cucina per farsi un caffè. Il mal di testa lo infastidiva terribilmente, perciò inghiottì un’aspirina, per poi continuare a sorseggiare la bevanda calda. Mentre soffiava leggermente sulla tazza, sussultò. Victor gli stava tempestando la base del collo di piccoli baci umidi, lasciando qua e là piccoli morsi, soffiando poi sopra la sua pelle febbricitante, facendogli tremare ogni singolo muscolo del corpo. Per poco non rovesciò il caffè sul pavimento, limitandosi però a far cadere sulle proprie dita qualche goccia bollente, bruciandosi. Riappoggiò la tazza sul bancone, ancora praticamente piena, per poi accendere il rubinetto e mettere le proprie dita sotto l’acqua gelata. Doveva assolutamente smetterla di pensarci.
Quando smise di sentire dolore, chiuse la manopola del rubinetto. Con le mani strinse il bordo del lavello, mentre tentava di calmarsi. Tutto sembrava così irreale, come se fosse accaduto in un sogno, ma non era così. Si ricordava perfettamente com’era scappato, nel momento in cui era riuscito a riacquistare un po’ di lucidità per riprendere il controllo del proprio corpo. Altrettanto bene sapeva il percorso che aveva fatto uscendo dalla cella, dal laboratorio, dall’edificio fino alle strade percorse a passo svelto sul tragitto di casa. In ogni caso, era stata la potenza delle sensazioni che aveva provato, probabilmente per la prima volta nella sua vita, a rendergli tutto così illusorio. I contorni delle immagini, la figura di Victor, tutto davanti a lui era apparso lievemente fuori fuoco, un po’ soffuso, quando la cella dove avevano compiuto l’atto era perfettamente illuminata.
Sospirò frustrato. Svuotò la tazza nel lavandino per poi sciacquarla e rimetterla al suo posto. Lasciò cadere il proprio corpo sul divano, privo della maggior parte delle proprie energie. Si strofinò la faccia, cercando di chiarire tutto il turbinio d’emozioni che aveva in testa, poi poggiò la schiena contro il tessuto morbido, rilassando il collo e fissando il proprio sguardo sul soffitto. Chiuse gli occhi. Quel lento modo di seviziarlo lo stava mandando in estasi. Quel contatto frenetico contro la propria pelle, il contrasto di quelle labbra gelide gli faceva desiderare di più. Mosse inconsciamente il bacino verso quello dell’uomo che sovrastava, e la consapevolezza di non essere l’unico a provare quell’immenso desiderio gli faceva perdere la testa. Inarcò leggermente la schiena, volgendo il viso in alto. Rilasciò un gemito di puro piacere.
Il cuore gli batteva all’impazzata, il respiro era così affettato che gli sembrò di non ricevere più aria. Si accasciò in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia. Non riusciva a comprendere cosa gli fosse accaduto. Non rinnegava ciò che aveva provato prima e durante l’amplesso, ma ciò che gli rifuggiva era la mancanza della propria coscienza. Tutto era annebbiato, e non capiva come, nel ricordo di ciò che aveva compiuto, mancasse totalmente la presenza dei propri pensieri, come se la sua mente avesse avuto un black-out temporaneo che aveva spento tutto per quel periodo di tempo.
Alla domanda “cosa stavo pensando?”, che pure si era rivolto varie volte, non trovò la benché minima risposta, perché l’unica risposta era che avesse annullato sé stesso a vantaggio di quelle sensazioni travolgenti, cosa che non era nel suo codice genetico. Yuuri era quel tipo di persona che pensava troppo e agiva troppo poco, che rimuginava più e più volte sulle cose prima di compierle, senza avere comunque la certezza di ciò che avrebbe fatto poi. Non aveva risposta a quella domanda perché l’unica risposta credibile era che fosse stato sotto l’effetto di un qualche incantesimo – e la credibilità subito svaniva, appena formulata interamente.
Poi si ricordò, fu un pensiero casuale, frettoloso, che aleggiò nella sua testa solo per un attimo, prima di svanire. Yuuri lo riprese dall’oblio e lo riportò al centro del proprio pensiero. Nome: Victor Nikiforov. Poteri: lettura delle emozioni umane e controllo dell’aria. Yuuri rimase sconvolto: non credeva che il Nephilim l’avesse sottoposto ai suoi poteri e, d’altra parte, che significato potevano mai avere le parole lettura delle emozioni, se non quello che aveva concepito e sostenuto fino a quel momento? Gli scienziati che lavoravano alla PTEA & Co. non erano degli incompetenti, perciò non si sarebbero mai fatti scappare un dettaglio così importante, tralasciando il fatto che quel lieve errore poteva comportare un cambiamento radicale della situazione. Possibile che Victor Nikiforov non fosse solo in grado di leggere le emozioni, ma anche di manipolarle?
Probabilmente Vasilyev e gli altri lo consideravano tanto pericoloso perché, appunto, era capace, in un certo senso, di controllare le persone intorno a lui. E lui s’era avvicinato, l’aveva cercato d’aiutare, per poi essere ricambiato in quel modo? Usato tramite la simpatia che provava per lui?
Un’ondata di nausea lo colpì, tanto che dovette correre in bagno e rimettere quel poco che ancora il suo stomaco non aveva digerito dalla sera prima nello scarico del water. Non poteva credere d’essere stato considerato in maniera così infima, quando da parte sua provava un sincero moto di compassione nei suoi confronti. Si sentiva esausto, devastato, completamente a pezzi. Se anche non poteva negare d’aver desiderato quell’uomo, d’aver provato bellezza la prima volta che l’aveva visto, d’aver sognato quel viso etereo seviziarlo in modo osceno, d’aver sentito il suo corpo rispondere contro il proprio, adesso tutto era sparito.
Se aveva ragione, e non trovava altre ipotesi possibili per spiegare l’accaduto, allora non era la persona che si era aspettato. E se l’avesse avvicinato proprio perché aveva percepito che Yuuri aveva avuto una mezza-intenzione d’aiutarlo? Sarebbe stato questo il motivo che l’aveva portato ad abusare di lui? Gli faceva schifo.
Se era ancora intenzionato nel voler liberare lui e gli altri Aviani catturati, era, d’altro canto, sempre più convinto del non volerglisi mai più riavvicinare. Si sentiva sporco, senza valore, rimpiazzabile in fretta e senza danno. Gli venne da piangere, e lasciò le lacrime sgorgare sul viso mentre, accasciato sul pavimento del bagno, singhiozzava senza ritegno. Come aveva potuto essere così ingenuo? Così stupido! Gli si era mostrato senza difese, perché era stato ammaliato dalla sua bellezza, dalla sua parvenza d’angelo, e ciò lo aveva portato a considerarlo senza riserve come tale, buono. Che imbecille, avrebbe dovuto ricordarsi che la kalokagathia era un ideale dell’arte greca e non una condizione della realtà d’ogni epoca. Non voleva più averci niente a che fare.
Si ridestò dalla condizione patetica in cui si trovava solamente quando sentì il campanello del proprio appartamento risuonare nel silenzio dell’abitacolo. Si costrinse a smettere di piangere e a tirarsi su, si sciacquò velocemente la faccia, poi si diresse strisciando i piedi verso la porta. Dallo spioncino riconobbe la figura di Phichit, che lo osservava senza vederlo dall’altra parte della parete. Aprì la porta per ritrovarselo davanti, ed osservandolo il sorriso dell’amico si spense di colpo.
“Hai un aspetto terribile.” Sentenziò. Yuuri lo fece entrare in silenzio e, mentre l’amico si sistemava sul divano, tirando fuori da un sacchetto di plastica bianco, di cui Yuuri non si era accorto fino a quel momento, due contenitori di plastica che riportavano il logo del ristorante cinese dietro l’angolo.
“Che cosa ti porta qui di sabato pomeriggio, Phichit?” richiuse la porta, poi osservò l’amico spacchettare un paio di bacchette e staccandole trattenendone una tra i denti. Si sedette sulla poltrona, perché in quel momento preferiva non sentire il calore del corpo di nessun altro. Aveva le difese a terra, si sentiva nudo, attaccabile.
Phichit lo guardò mentre spacchettava anche lui le proprie bacchette ed afferrava uno dei due contenitori contenenti il cibo. Solo quando l’amico lo vide mescolare lentamente il pollo con le bacchette, si decise ad ingoiare il primo boccone. Aveva ancora un sentore di nausea, ma erano quasi ventiquattrore piene che non ingurgitava niente di solido, ed aveva paura che si sarebbe sentito anche peggio se non avesse tentato di mettere qualcosa in bocca in quel momento.
“Ho un piano per liberare gli Aviani dalla struttura.” Disse l’altro, ancora a bocca piena e Yuuri per poco non si strozzò.

 
Ω
 
Victor si sveglio, fortuitamente, nel bel mezzo del giorno. Vedeva gli impiegati della struttura che lo teneva prigioniero affrettarsi nelle proprie mansioni, alcuni con dei documenti tra le braccia, altri pronti per fare le iniezioni. Dall’altra parte del vetro le persone stavano vivendo la vita di tutti i giorni, a discapito suo, e probabilmente di altri come lui, costretti a dar via la propria per una causa che li vedeva i nemici. Da quando era iniziata quella guerra sotterranea, aveva sentito umani chiamare la loro specie con diversi appellativi: mostri, alieni, invasori. In realtà, la questione era più semplice di così.
Victor, come tutti i propri antenati o i propri simili, era nato e aveva vissuto l’intera vita sulla Terra. Non provenivano da chissà quale pianeta lontano, con l’intento di dominare il pianeta, o migliorarlo. L’universo non li aveva creati che in modo analogo a quello usato per le creature che ora dichiaravano loro guerra: nati da umani, vivevano come umani. Avevano un’etica, una morale e dovevano guadagnarsi da vivere esattamente come tutti gli altri.
Molti Nephilim erano nascosti tra gli umani, senza che nessuno se ne rendesse conto; altri, invece, preferivano la tranquillità delle colonie, o comunità, dove potevano tranquillamente mostrare i propri poteri, la propria natura agli altri, senza essere giudicati né rinchiusi perché diversi. Tuttavia, la verità era che la loro specie non era altro che un progresso di quella umana: qualcosa di diverso s’era a un certo punto dell’evoluzione integrato al DNA originale, e ne aveva modificato alcune caratteristiche, ne aveva migliorato alcune qualità. Non erano diversi dagli umani, ne erano i diretti discendenti.
Se lui stesso era stato catturato, il motivo risiedeva nella sua incapacità di trattenersi: amava volare, sentire la carezza dell’aria sulla pelle, mentre la levigava a suo volere. Come, d’altra parte, adorava poter leggere e manipolare le emozioni delle persone che aveva intorno. Doveva essere stato troppo incauto, mentre viveva quella vita, perché un giorno due uomini in giacca e cravatta gli si erano presentati davanti, cercando d’arrestarlo. Se era riuscito a fuggire da quei due uomini, non era riuscito a fare altrettanto con le telecamere di sicurezza. Appena quei due corpi furono ritrovati, era ormai chiaro a chiunque stesse lavorando sul caso che Victor non fosse come loro.
Partì una caccia all’uomo e, seppur fosse riuscito a svanire dal proprio paese, non sarebbe stato in grado di farlo per sempre. La rete globale di strutture anti-Aviani – come gli umani chiamavano la loro specie – presentava ramificazioni in ogni paese del mondo e, ovunque avesse avuto intenzione d’andare, non avrebbe mai più potuto vivere in mezzo agli umani. Perciò aveva deciso di andare in un posto isolato, lontano da qualsiasi sorta di contatto umano, ma non fu sufficiente. Dopo poche settimane, fu sorpreso e catturato da una squadra speciale mentre, solo nella sua grotta nelle montagne della Patagonia, tentava di dormire.
Ed ora era rinchiuso lì, da mesi, sostenuto solamente dalle misere porzioni di cibo che il personale si preoccupava di dargli e dalle catene che lo tenevano ancorato alla parete dietro di lui. Nessuna simpatia, affetto o supporto aveva percepito dal momento in cui si trovava là dentro, e non riusciva ancora a capacitarsi d’essere sopravvissuto così a lungo senza contatto umano o qualcosa da fare. La sua paura più grande risiedeva nel fatto di perdere la ragione, perché quello era l’effetto che la sua condizione provocava: col passare del tempo aveva sentito mormorii riguardanti altri esemplari che, in mancanza di lucidità, avevano compiuto atti estremi, come uccidere degli addetti o sé stessi.
Nei giorni seguenti a questi avvenimenti, osservava la cura con cui nuovi apparecchi di sicurezza venivano azionati o posizionati in determinati punti. Avevano paura, e facevano bene, ma non per le motivazioni che credevano: i Nephilim non erano malvagi, ma erano pur sempre troppo umani, e reagivano alle situazioni come tali. Erano loro a farli diventare dei mostri.
Poi aveva visto quel ragazzo: impacciato, completamente ignaro di ciò che facevano a quelli come loro. L’aveva osservato, ne aveva percepito le emozioni. Tutto di lui lo portava a pensare che fosse totalmente diverso dagli altri impiegati della struttura. Aveva percepito quel tiepido calore di amore per il mondo e ne era rimasto inebriato.
Negli ultimi tempi era diventato quasi impossibile credere che al mondo esistessero ancora persone del genere, che non avevano preso una parte nella guerra, ma dopo averlo incontrato aveva rivisto una speranza che credeva morta e sepolta. Quel ragazzo imbranato e dall’aspetto innocuo aveva provato bellezza, e gli aveva permesso di bere ogni singola goccia di quell’emozione, a cui si era aggrappato con tutte le proprie forze.
“Yuuri” si ritrovò a mormorare, poggiando la testa contro la parete e chiudendo gli occhi. Riportava alla mente quel contatto, così tremendamente vicino, febbricitante, che aveva avuto col moro qualche giorno prima.
L’aveva scorto mentre, appoggiato al vetro, rifletteva. Gli era apparso tormentato, dibattuto con sé stesso, ne aveva captato l’essenza lieve di vergogna, la voglia di avvicinarsi e la necessità di stare alla larga da lui. Victor ricordò d’aver percepito un brivido scuotergli il corpo: voleva sapere, ma, più di tutto, non voleva lasciare che si allontanasse da sé.
Aveva bisogno di lui, non soltanto perché rappresentava la prima luce, la prima speranza di poter uscire vivo da lì, ma perché ne era rimasto ammaliato. Non aveva incontrato una persona così ingenua, così buona, in anni e sentiva un sentimento crescere dentro di lui. Qualcosa di totalmente nuovo e potente.
Perciò l’aveva fatto, perciò s’era permesso di avvicinarlo a sé con l’aiuto dei propri poteri, per quanto fievoli potessero essere. Certo, era stato possibile soprattutto perché Yuuri già provava ciò che poi lui si era preoccupato d’amplificare; non avrebbe potuto lavorare altro che in quel modo, nelle condizioni in cui era. Sapeva che aveva agito male e che, probabilmente, aveva perfino esagerato: non era in grado di controllare il suo potere se non al pieno delle proprie facoltà, ma non rimpiangeva niente di ciò che era successo. Lui lo desiderava, e aveva scoperto che anche l’altro lo desiderava allo stesso modo.
Tuttavia, erano giorni che non lo vedeva, che non ne sentiva la presenza vicino o dentro la propria cella. Dal momento in cui si era alzato e se ne era corso fuori, non l’aveva più visto, se non attraverso il vetro che lo divideva dal resto del mondo. Lo aveva osservato passare alcune volte, facendo avanti e indietro con dei documenti tra le mani, ma mai si era fermato ad osservarlo, mai gli aveva prestato la benché minima attenzione, non aveva percepito niente in quei pochi secondi che ne aveva visto la figura passargli davanti.
Era preoccupato, tremendamente turbato dalla probabilità che il ragazzo potesse aver capito, averlo scoperto. Non aveva mai usato il proprio potere su persone come lui, anche perché di solito era attratto da altro, e non aveva idea di come avrebbe potuto reagire: sapeva solo che l’avrebbe presa male, ma non intuiva quanto.
Sospirò, combattuto. Temeva terribilmente che quell’atteggiamento fosse la conseguenza logica della consapevolezza del suo far male, e si ritrovò a chiedersi se proprio lui, che non aveva voluto che farlo avvicinare, l’avesse portato inconsciamente ad agire in modo opposto. Una morsa allo stomaco lo rese pienamente cosciente.


 
Ehilà! Non ve lo aspettavate che avrei aggiornato così presto, eh?
Oggi sono qui col nuovo capitolo per farvi una sorpresa: è il compleanno della storia! Ho pubblicato il primo capitolo esattamente due anni fa, e dato che è un'occasione più unica che rara, ci tenevo a fare qualcosa per festeggiare. La prima idea era un banner o una copertina, ma non sapendo disegnare ho lasciato perdere (se qualcuna ha voglia di farlo, in ogni caso, mi renderebbe molto felice).
Quindi eccoci qua, la mia amata Victuuri torna oggi da noi terribilmente tormentata. Il mio povero Yuuri è distrutto, e ha fatto più male a me scriverlo di quanto potrà mai fare a chiunque altro.
Inoltre, finalmente abbiamo un POV Victor, che ancora non aveva mai messo parola su niente dall'inizio della storia. In qualche modo dovevo dargli occasione di scolparsi almeno ai nostri occhi, se non a quelli di Yuuri. E grazie a questo espediente ho potuto anche dare qualche informazione in più riguardo la specie Aviana o Nephilim.
Sono cosciente che gli ultimi due capitoli siano stati parecchio lenti, ma mi servivano per dare profondità ai personaggi, perciò perdonatemiiiii

Ho, ancora, una notizia da darvi, ma preferisco aspettare il prossimo capitolo e lasciarmi un po' di suspence. Spero che festeggiate con me la mia bambina che cresce, lasciandomi qualche recensione: i temi di questa volta saranno le vostre impressioni generali sulla storia, come s'è andata ad evolvere nel corso del tempo, e ovviamente voglio sentire la vostra sul capitolo, perchè non posso essere l'unica devastata qui. Mi piacerebbe sentire tutti, o comunque molti di voi, anche se sono due righe.
Detto questo, vi lascio alla pubblicità:
 
Predestined 
La mia long che ha per protagonisti i BTS e ambientata nel mondo magico ha estremamente bisogno d'affetto e supporto.
MIKROKOSMOS 
Una minilong sempre sui BTS ispirata dalla canzone Mikrokosmos, del nuovo album (inutile dire che conterrà parecchio fluff). 

Appena in tempo 
Una oneshot senza pretese, missing moment rosso di Predestined (non dovete per forza aver letto la storia principale per leggere questa), sulla coppia Jikook perchè si, come si può non amare i Jikook e in generale la maknae line.
Vi mando un bacio e vi aspetto in tanti.
Spread the love 
Carlotta

 
  
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