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Autore: Teo5Astor    08/05/2019    19 recensioni
Un mistero accomuna alcuni giovani della Prefettura di Kanagawa, anche se non tutti ne sono consapevoli e non tutti si conoscono tra loro. Non ancora, almeno.
Radish Son, diciassettenne di Fujisawa all'inizio del secondo anno del liceo, è uno di quelli che ne è consapevole. Ne porta i segni sulla pelle, sul petto per la precisione, e nell'anima. Considerato come un reietto a scuola a causa di strane voci sul suo conto, ha due amici, Vegeta Princely e Bulma Brief, e un fratello minore di cui si prende cura ormai da due anni, Goku.
La vita di Radish non è facile, divisa tra scuola e lavoro serale, ma lui l'affronta sempre col sorriso.
Tutto cambia in un giorno di maggio, quando, in biblioteca, compare all'improvviso davanti ai suoi occhi una bellissima ragazza bionda che indossa un provocante costume da coniglietta e che si aggira nel locale nell'indifferenza generale.
Lui la riconosce, è Lazuli Eighteen: un’attrice e modella famosa fin da bambina che si è presa una pausa dalle scene due anni prima e che frequenta il terzo anno nel suo stesso liceo.
Perché quel costume? E, soprattutto, perché nessuno, a parte lui, sembra vederla?
Riadattamento di Bunny Girl Senpai.
Genere: Mistero, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: 18, Bulma, Goku, Radish, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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15 – Una realtà che lacera il petto
 
 
 
Due anni prima
 
«Alzati, Goku! Possibile che tu sia sempre in ritardo?!» esclamo, entrando nella stanza di mio fratello e accendendo la luce. Sempre la stessa storia: io già pronto per andare a scuola e lui  ancora a letto. E ce ne vuole a essere più ritardatari di me, eh. «Muoviti, la mamma ha già messo in tavola la colazione!»
Guardo mio fratello destarsi lentamente e mettersi a sedere contro la testiera del letto. Sembra intontito. Più del solito, almeno.
Però oggi è una giornata diversa. A qualche giorno di distanza da quando sono comparse quelle strane ferite sul corpo di Goku, i nostri genitori vogliono che torni a scuola. Loro pensano che se le sia autoinflitte, in più ha cancellato subito i messaggi minacciosi che dice di aver ricevuto. Solo io gli credo, e non capisco perché i miei si comportino così.
Certo, gli sono stati vicini più che mai in questi giorni. L’hanno fatto sentire bene, l’ho visto anche tornare a sorridere grazie alle parole e ai gesti d’affetto di nostra madre. Però… però non mi sembra giusto tutto questo. Io le ho viste comparire davanti ai miei occhi quelle ferite e ho cominciato a trovare in rete notizie relative a una certa Sindrome della Pubertà. Molti dicono che sono solo voci, leggende metropolitane. Io mi sento smarrito, ma sto cercando di fare del mio meglio per aiutare mio fratello. Ad esempio oggi lo accompagnerò a scuola, e voglio vedere se i suoi compagni che gli hanno creato problemi si azzarderanno ancora a comportarsi così dopo che gli avrò messo paura. Goku non voleva tornare, diceva di non sentirsi ancora pronto. I miei hanno insistito, però. Spero che andrà tutto per il meglio.
«Dai, non fare così…» cerco di rassicurarlo. «La mamma e il papà vogliono che torni a scuola oggi, ti accompagno io in classe e faccio brutto con quei tuoi compagni che ti hanno rotto le palle, vedrai che non lo faranno più. Ci penso io, te l’ho detto anche ieri sera».
«E-e tu chi sei?!» urla, sgranando gli occhi, con una voce che non sembra nemmeno la sua.
«Eh?! Dai, Goku, è tardi…» sbuffo, facendo per uscire.
«D-dove mi trovo?!» grida, guardandosi intorno freneticamente. Sembra spaventato. Tanto, anche. «Cosa sta succedendo?! Io… io…».
 
«I sintomi di Goku indicano una forma di disturbo dissociativo» ci spiega la dottoressa, stringendo tra le mani gli esiti degli esami a cui è stato sottoposto mio fratello. Ora sta dormendo, ricoverato nell’ospedale vicino alla spiaggia di Shichirigahama.
«D-disturbo dissociativo?» ripete mia mamma con voce tremante. «Bardack, io…» aggiunge, guardando spaventata mio padre, seduto accanto a lei.
«Andrà tutto bene, Gine. Dobbiamo cercare di stare calmi» prova a rincuorarla lui, in tono poco convinto, cingendo le sue spalle con un braccio. Li osservo da dietro, in piedi, e mi fa paura vederli così spaventati.
Cosa sta succedendo?! Davvero i miei genitori hanno paura?! Ho sempre pensato che i genitori fossero quel genere di persone che risolvono i problemi, come fossero degli eroi. Che sanno sempre quello che bisogna fare. Che hanno le soluzioni.
Non ho ancora quindici anni, e mi sembra di scoprire un’amara verità: i genitori sono persone normali, come noi figli, e non sempre sanno quello che devono fare. A volte hanno paura. A volte possono sbagliare, probabilmente.
«È una patologia che provoca nel soggetto una perdita della propria identità, della consapevolezza di sé» riprende la dottoressa. «Come è successo a vostro figlio, anche molti altri pazienti hanno manifestato una perdita parziale o totale della memoria. In questo preciso momento non ha ricordi legati a voi, nonostante siate la sua famiglia».
«Com’è potuto succedere?!» sbotta mio papà, mentre mia madre scoppia in lacrime.
Abbasso la testa. Stringo i pugni.
Sento per la prima volta una fitta trapassarmi il petto. Ma è solo un attimo. Sto bene.
«Uno stress estremo o un forte trauma psicologico possono essere tra le possibili cause» risponde la dottoressa, in tono asettico.
Gli insulti ricevuti sono stati qualcosa di talmente doloroso per Goku da portarlo a disfarsi di una parte dei suoi ricordi. Probabilmente, facendo così, è riuscito a non crollare del tutto.
 
All’inizio non è stato facile interagire con lui. Non sapevo come fare, non si ricordava davvero più nulla.
«Goku, mi sono fermato a comprarti un manga mentre venivo qui!» esclamo, entrando nella stanza di ospedale di mio fratello e porgendogli il nuovo fumetto della sua serie preferita. Lui ama leggere, soprattutto i manga. Cerco di riavvicinarmi a lui un passo alla volta. «Mi avevi detto che non vedevi l’ora di leggerlo».
Volge lo sguardo verso di me, ma i suoi occhi sono vacui. «G-grazie…» farfuglia timidamente, con una voce che ancora fatico a riconoscere come sua. Sì, perché il timbro della sua voce è diventato più infantile, come certi suoi atteggiamenti. E anche il suo carattere è diverso. «E-ehm… a Goku-san piaceva questa serie?» domanda, impaurito, stringendo forte tra le mani il manga che gli ho dato.
“Goku-san”… il modo in cui ha cominciato a chiamare il vecchio sé stesso, quello di cui non ha più nessun ricordo. Quello che tutti rivogliono indietro. Quello che merita rispetto anche secondo lui, a giudicare da quel “-san” finale.
«S-sai… Goku non si ricorda di questa serie…» sussurra, guardandomi negl’occhi e accennando un sorriso. «N-non sei arrabbiato, vero? Almeno a te piace Goku?» mi chiede, con gli occhi che si riempiono di lacrime. «Tutti vogliono Goku-san, ma io sono solo Goku… e non so cosa fare…» sospira, tirando su col naso.
Mi fa una pena che non saprei descrivere.
“Goku”… il modo in cui chiama il sé stesso che è adesso, la persona priva di ricordi che è.
Sento il cuore andare in frantumi. E una scossa attraversarmi il petto, ancora una volta. Porto istintivamente una mano nel punto che mi fa male e stringo la camicia. Ansimo.
«S-stai bene, fratellone?» domanda timidamente Goku, allungando una mano fino a sfiorarmi i capelli, per poi ritrarla istintivamente. «G-goku può chiamarti fratellone anche se sei il fratellone di Goku-san?»
«Certo che puoi» gli sorrido dolcemente, rialzando la testa. Il dolore è passato, anche stavolta. «Anzi, devi chiamarmi così: perché io sono il fratellone di Goku, non di Goku-san!»
 
Passano i giorni e le cose, poco alla volta, vanno sempre meglio tra me e lui. Tra un esame e l’altro a cui lo sottopongono e tra un pianto disperato e l’altro di mia mamma, che si sente terribilmente in colpa, imparo a conoscere meglio la nuova versione di mio fratello minore. Non solo il suo modo di parlare e la sua voce sono cambiate, ma è anche diventato mancino, ad esempio. Sono cambiati i suoi gusti relativi al cibo e alle cose che adesso sembrano interessargli. Un giorno ho cominciato a parlargli dei dinosauri e lui ha subito dimostrato tanto entusiasmo per questo. Non gli erano mai piaciuti, ero io un loro fan quando ero piccolo, soprattutto, ma la stessa passione non l’avevo mai condivisa con mio fratello.
Una volta dimesso dall’ospedale e tornato a casa, continuo a notare nuovi cambiamenti in lui: cammina in modo diverso da quello che ricordavo, si rifiuta di uscire di casa e anche i suoi vestiti sembrano non piacergli più, come gran parte delle sue cose.
Non è più il Goku che conoscevo, ma gli voglio bene lo stesso.
Anche il suo modo di rapportarsi coi nostri genitori è molto cambiato. Per lui sono praticamente degli estranei. Sembra impaurito e imbarazzato davanti a loro, come se pensasse di averli delusi perché non è più in grado di essere la persona che loro ricordavano e che loro vorrebbero che tornasse a essere. Gli mettono addosso pressione e neanche se ne rendono conto. Non lo fanno con cattiveria, questo l’ho capito, però sembra che non lo accettino. Provo a parlargliene, ma anche mia madre non la riconosco più. Ogni giorno che passa mi sembra diversa. Appena Goku è stato male piangeva continuamente, ora sorride sempre, senza motivo. Ma il suo è un sorriso vuoto, come i suoi occhi neri che ormai sembrano grigi da quanto sono spenti. Non sta più andando al lavoro, resta sempre in casa insieme a Goku. Parla sempre di meno con noi.
Mio padre sembra invecchiato di anni nel giro di pochi giorni. I suoi occhi sono perennemente arrossati, è diventato sfuggente anche lui e sembra essersi chiuso in sé stesso. Ha sempre la barba incolta, ormai. Quella stessa barba che non riesce a crescere sulla profonda cicatrice che gli solca la guancia da sempre e che non ho mai ben capito come si sia procurato. Una volta, quando ero piccolo, mia madre mi aveva spiegato che se l’era fatta facendo a botte con dei teppisti più grandi di lui quando andava al liceo, e che quindi io non avrei mai dovuto lasciarmi coinvolgere in una rissa.
Vago come un fantasma per casa, mentre osservo intorno a me la mia famiglia sgretolarsi lentamente e inesorabilmente, consumata dal dolore e dai sensi di colpa.
Non ho ancora quindici anni e mi ritrovo in mezzo, in un limbo di cui non intravedo più né l’inizio né la fine. Ogni giorno mi sembra di avere un peso sempre più grande da portare sulle spalle. Ci sono momenti in cui mi sembra di soffocare, ma non lo dico a nessuno. Non so cosa devo fare, non so come sistemare le cose… ma so che devo farmi vedere forte, indifferente. Anche se le fitte al petto sono diventate sempre più frequenti e sempre più lunghe, soprattutto alla sera, quando vado a letto e provo a dormire.
Non ho ancora quindici anni, ma ogni giorno che passa mi sembra di avere un mondo sempre più grande da portare sulle spalle. Un mondo fatto di problemi più grandi di me. Di paure. Di speranze. Un mondo che mi schiaccia, che mi opprime, che mi toglie il respiro. Una realtà che mi lacera il petto.
 
Uno di quei giorni, torno a casa da scuola nel tardo pomeriggio e vedo Goku in salotto intento ad accarezzare Balzar.
«Ciao fratellone!» mi sorride, senza rendersi conto di avere un enorme ematoma tra la parte superiore del petto e la mascella. No, non di nuovo!
«Mamma!» grido, correndo a cercarla. Penso sia in camera da letto. «A Goku… a Goku sono comparsi di nuovo quei lividi! Sta succedendo di nuovo!»
«Ah, capisco» risponde in tono asettico. Non mi guarda nemmeno, mentre mi cadono letteralmente le braccia lungo i fianchi. È seduta per terra, intenta a sbattere e poi ripiegare con cura una pila di vestiti di Goku. Il suo sguardo è vacuo, ormai non sorride neanche più senza motivo. «Va tutto bene, Goku. Va tutto bene, Goku» continua a ripetere in un perenne sussurro simile a una cantilena. I miei occhi si riempiono di lacrime, incapace di accettare questa realtà del cazzo che si è portata via prima mio fratello e ora mia madre. Chi sarà il prossimo?! Io o mio padre?! Chi crollerà per primo?!
Mi avvicino a lei, tremando, mentre sta piegando l’ennesima maglietta di mio fratello con estrema cura. La accarezza dolcemente, prima di riporla con le altre.
Crollo in ginocchio davanti a lei, con gli occhi sgranati, mentre il petto comincia a farmi così male che temo potrebbe esplodere da un momento all’altro.
«Mamma… io…» le dico, mentre sento lacrime calde bagnarmi le guance.
«Non devi preoccuparti di nulla, Radish» ribatte lei, tranquilla, guardandomi finalmente negli occhi. «Perché stai piangendo? Va tutto bene, Radish. Goku sta bene, Radish» comincia a cantilenare.
Il petto mi fa sempre più male. Sempre di più.
Mi viene spontaneo un gesto che non facevo più da chissà quanti anni, forse da quando andavo all’asilo: abbraccio mia madre. Piango abbracciato a mia madre. Lei smette di piegare l’ennesima maglietta di Goku e mi abbraccia per un istante che sembra infinito. Sento anche una sua lacrima bagnarmi il volto, e il petto comincia a farmi meno male. Poi si stacca improvvisamente da me e ricomincia il suo lavoro, e con esso la sua nenia. Non piange più. «Va tutto bene, Goku. Va tutto bene, Goku».
Mia mamma non ha retto il colpo per tutto quello che sta succedendo e la sua salute mentale ne è uscita compromessa.
Un rumore attira la mia attenzione. Mi volto e vedo mio padre che osserva impietrito la scena, con la valigetta da lavoro abbandonata ai suoi piedi. Ha gli occhi sgranati, la bocca semiaperta. Le sue mani tremano. E sta piangendo. Non avevo mai visto piangere mio padre, non pensavo nemmeno che i papà sapessero piangere.
Una nuova fitta al petto mi fa piegare in avanti dal dolore. Comincia di nuovo a mancarmi l’aria. Respiro profondamente, mentre sento le mani di mio padre scuotermi le spalle. Mi dice qualcosa, ma non sento niente. So solo che riesco a farmi forza e a rialzarmi, uscendo dalla stanza. Non devo cedere, almeno io.
 
E, invece, alla fine ho ceduto. Quella stessa notte, una fitta al petto più forte della altre mi sveglia di soprassalto. Mi porto istintivamente una mano all’altezza del cuore e sento qualcosa di strano al tatto. Osservo la mia mano e mi accorgo che è tutta sporca di sangue. Del mio sangue, che sgorga dal petto che mi brucia e mi fa contorcere dal dolore. Mi alzo di scatto, il mio letto è un bagno di sangue. Urlo, mentre mi sfilo la maglia e la getto a terra. Ho tre profondi e lunghi squarci che mi attraversano il petto in diagonale.
Ci ho provato. Ci ho provato davvero a resistere, a essere forte. Ma alla fine non ce l’ho fatta.
Mio padre non c’è, è in ospedale con mia mamma. È stata ricoverata.
Allora era tutto vero: la Sindrome della Pubertà esiste e io sono solo l’ennesima vittima di tutto questo.
«Fratellone! Stai bene?!» grida Goku dalla sua stanza. Mi ha sentito, ma ha paura ad uscire da camera sua di notte. Meglio così, non posso farmi vedere da lui in questo stato.
«S-sì… ho… fatto un incubo!» sbiascico, mentre cerco di tamponarmi le ferite con le lenzuola. «T-torna pure a… dormire!»
Crollo a terra, nelle tenebre. Mi appoggio con la schiena contro il letto e stringo forte il lenzuolo contro il mio petto lacerato da questa realtà del cazzo.
Piango. Piango perché non so cos’altro fare. Perché penso di non meritarmi tutto questo.
 
Mi ritrova così mio padre, la mattina dopo, ma non ricordo molto di quello che è successo. So solo che mi risveglio in un letto d’ospedale, con tutto il torace bendato e nessun dottore disposto a credere alla mia versione dei fatti. Mio padre non dice niente, è stravolto. Fa la spola tra la mia stanza, quella di mia madre in psichiatria e casa nostra, dove c’è Goku.
Per quanto provi a spiegare le mie ragioni, per tutti i dottori il mio è solo un delirio. Un problema psichiatrico simile a quello di mia madre. A un certo punto ho capito che avrebbero trasferito anche me in psichiatria se non l’avessi piantata, e che a quel punto non sarei più uscito da questo ospedale di merda. Secondo loro mi ero autoinflitto quei tre squarci oppure ero stato aggredito da un gruppo di persone a cui non andavo a genio. Te lo ripetono talmente tante volte che alla fine quasi ci credi anche tu che abbiano ragione. Ma io, in realtà, sapevo benissimo com’erano andate le cose. C’erano dei ragazzi ricoverati per vari motivi che mi guardavano come fossi un alieno o un pazzo, magari un criminale, per poi parlottare tra loro. Chissà quali storie si stanno inventando su di me, sulle mie ferite che, dicono i dottori, resteranno impresse sul mio petto. Solo una giornalista, una certa Husky, crede alle mie parole dopo averle sentite per caso. Ma non mi fido di lei, perché dovrei farlo? Sta solo facendo il suo lavoro, dopotutto, anche se è l’unica persona gentile con me qui dentro e ogni tanto viene a farmi compagnia e prova a farmi ridere. Solo che io non so se sono più capace di ridere, nemmeno di sorridere probabilmente.
Mi sento solo, impotente. Non ho potuto salvare Goku, forse non merito neanche di salvare me stesso.
 
 
Lazuli mi abbraccia, interrompendo il mio lungo racconto. Mi stringe forte. Mi lascia sentire il suo cuore battere contro il mio. Appoggiato sulle mie cicatrici. Un sensazione che sa di pace, che mi fa immaginare che il mio petto non sarà mai più sfregiato finché avrò lei al mio fianco. Che mi dà la certezza che nessuna realtà potrà mai più lacerarmi il petto finché potrò specchiarmi nei suoi occhi di ghiaccio. Finché lei sarà qui, davanti a me.
«Come sta tua mamma? La vedi mai?» mi domanda, in un dolce sussurro.
«Mio padre dice che sta migliorando, giorno dopo giorno. Io l’ho vista tre volte da allora, Goku mai. I medici dicono sia meglio così».
«E tuo padre?»
«Lui… lui è stanco. Ho deciso di andare a lavorare perché non ce la faceva più con gli straordinari al lavoro e, allo stesso tempo, badare a mia madre. Ho deciso io di fare così, non me l’ha chiesto lui» le spiego. «Lo sento a volte per telefono, ma viene pochissimo a casa nostra. I medici hanno detto anche a lui di non vedere troppo spesso Goku, che ha bisogno di tranquillità prima di tutto».
«Come fai a convivere con tutto questo dentro di te?» chiede, malinconica. «Come fai a sorridere sempre, a esserci sempre per gli altri, quando nessuno c’è stato per te?»
«Sai, a volte vorrei che la mia vita fosse un film in cui montare solo le parti in cui sono stato felice» le spiego. «Però non si può fare, quindi cerco di sorridere lo stesso. Tanto il passato è passato, ormai, no?»
«Rad, io… io avrei tanto voluto esserci per te, allora, come tu ci sei stato per me quando tutto andava male» sussurra, mentre mi stringe più forte. «Tu sei stato il solo a restarmi accanto, e nemmeno mi conoscevi. Io… io avrei dovuto esserci lo stesso per te, non so come hai potuto superare tutto quello che ti è capitato ed essere la persona che sei adesso».
«Per me l’importante è che ci sei ora, Là. E che ci sarai in futuro, sia quando saremo felici che quando mi pioverà addosso ancora qualche casino» le rispondo, accarezzandole i capelli. «Non devi diventare triste pensando a quello che mi è successo, io ce l’ho fatta lo stesso in qualche modo, no?»
«È stato…» bisbiglia, prima di interrompersi. «No, scusa, niente».
Resto qualche secondo in silenzio, stretto a lei. So dove sta andando a parare e dove finirà questa conversazione. Mi chiedo se sia un bene, per me. Probabilmente no, ma io ho scelto fin dall’inizio che sarei stato sempre sincero con Lazuli. Anche perché so che lei si comporta allo stesso modo nei miei riguardi, non ne ho mai dubitato neanche per un istante.
«Dimmi pure, Là».
Si stacca dal mio petto e mi guarda in faccia, stringendomi entrambe le mani nelle sue. Ha gli occhi lucidi e il cerchietto da coniglietta ormai tutto storto. È bella, che dire “bella” non sarebbe mai abbastanza per descriverla.
«È stato grazie a lei, vero?» sibila, fredda. «È stato grazie a quella ragazza di cui mi avevi parlato una volta se sei riuscito ad andare avanti?»
«Sì… credo di sì…» rispondo, distogliendo lo sguardo dal suo. Videl è il mio passato, ormai. Le sono grato, gliene sarò sempre, ma non provo più nulla per lei.
«Devi dirmi cosa ha fatto per te, cosa è stata per te» riprende, ancora più gelida.
«Io, veramente… non so se abbia senso parlarne adesso, e non mi va molto…» provo a oppormi. «Non provo più nulla per lei, te lo giuro».
«Guarda che mi fido di te, scemo» ribatte, offesa, incrociando le braccia sotto il seno e voltandosi di lato con la faccia. «Però lei c’è stata, a differenza mia, quando tu avevi bisogno di qualcuno» aggiunge, irritata. «Io… io le sono grata per quello che ha fatto per te, anche se mi fa soffrire tutto questo!» sbotta, tornando a guardarmi. «Dobbiamo dirci tutto tra noi, Rad».
«Ok…» sospiro, sorridendole e sistemandole delicatamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio, per poi accarezzarle la guancia.
Accenna un sorriso anche lei, prima di prendere la mia mano e stringerla tra le sue, appoggiandola sulla coscia.
«In ogni caso, anche se ho detto che sono grata a quella là, sappi anche che la odio allo stesso tempo» sibila, glaciale, cominciando lentamente a conficcare le unghie nella dorso della mia mano. «Non sopporto l’idea di quello che possa esserci stato tra voi».
 
 
 
 
 
 
 
Note: una chiusura dedicata a Lazuli in versione soft psycho giusto per stemperare un po’, dopo un capitolo dedicato a un lungo flashback decisamente triste e commovente.
Non lo so, penso che a volte capiti di essere troppo piccoli o di sentirsi non abbastanza forti per affrontare problemi che sono o appaiono troppo grandi.
A volte capita che la realtà faccia così schifo da farci male fisicamente o da distruggerci psicologicamente, non tutti reagiscono allo stesso modo e con gli stessi tempi. Alcuni ce la fanno da soli, altri hanno bisogno di aiuto. Ci sono quelli che capiscono che il mondo non può cambiare, ma possono cambiare gli occhi con cui guardarlo e lo spirito con cui affrontarlo. Rad penso faccia parte di quest’ultima categoria e, a modo suo, anche Lazuli, di cui comunque abbiamo saputo qualcosa relativamente a un passato difficile sin da quando era piccolissima.
C’era tanta attesa per Bardack e Gine, spero ne sia valsa la pena nonostante non emergano come dei genitori modello, anche se probabilmente neanche se ne rendono conto, come spesso capita a molti genitori se proviamo ad analizzare con freddezza i loro comportamenti. Però non sono cattivi, e il fatto che Gine crolli è per “eccesso” d’amore e dispiacere nei confronti di Goku. Il paragone con la mamma di Lazuli mi sembra impietoso in questo senso, per non parlare del padre, che di fatto l’ha abbandonata appena nata e si è fatto subito una nuova famiglia con un’altra figlia.
Scopriamo anche tutto su Goku e sul perché è così, sul motivo per cui si esprime così. Da quando Là l’ha chiamato “Goku-kun” ormai sta usando questo appellativo per definire sé stesso quando parla, ma, due anni prima, chiamava sé stesso solo “Goku” per opporlo al “Goku-san” di cui non ricordava più nulla.
 
Un grazie specialissimo va anche oggi a chi dedica sempre parte del suo tempo a leggere e a lasciarmi il suo parere, che è sempre una cosa fondamentale per un autore e diventa sempre più importante quando una long comincia a diventare articolata. Quindi, grazie di cuore a tutti, sarei curioso di sapere cosa ne pensa di questo flashback anche chi di solito legge in silenzio, mi farebbe piacere!
Dato che nel cap. 4 di “Mythos” ho postato un mio disegno di Lazuli in versione Gorgone Medusa, ho pensato finalmente di fare la stessa cosa anche in questa storia. Ho trovato un disegno fatto un annetto fa con Yamcha in versione giocatore di baseball e mi è sembrato perfetto per il Yamcha Wolf di questa storia, dunque ve lo allego anche se non me la cavo poi così bene per come vedo io le cose, anzi! ;-)
 
Bene, il capitolo però si è chiuso col botto: siete curiosi da sapere qualcosa in più su Videl con un altro lungo flashback? Reagirà con calma e sangue freddo la nostra Là al racconto di Rad?
Bene, ci vediamo mercoledì prossimo con “L’arcobaleno dopo la pioggia”, l’ultimo capitolo prima di tornare ad occuparci della vicenda di Lunch, che immagino vi manchi molto! ;-)
Ci vediamo invece domenica con “Mythos” e il cap. 5 “L’amore di una dea”, per chi la sta seguendo o volesse iniziarla!
 
Teo
 
 
 
 

Yamcha-Baseball
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