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Autore: BeaterNightFury    08/05/2019    0 recensioni
Ho letto da qualche parte che anche la persona più piccola può cambiare il corso del tempo.
Nessuno ha MAI detto se in meglio… o in peggio.

Ventus ha 16 anni, una meravigliosa famiglia adottiva, e un sacco da imparare sui mondi.
Terra e Aqua hanno responsabilità e sogni, e forse un po' il bisogno di comportarsi da giovani.
Lea ha una sorellina per cui è tutto il mondo, Isa ha un cane, Zack ha una ragazza e un amico da aiutare.
Sora ha troppa felicità per il suo bene, Riku ha la testa dura, e Kairi qualcosa che dovrebbe ricordare.
Insieme ad altri, condividono una sola storia.
(La trama è vagamente ispirata alla vecchia fanfiction "Til Kingdom Come" che ho scritto con i miei amici, ma questa considera canon la trama e gli eventi di Kingdom Hearts 3, quindi potrebbero esserci degli spoiler più avanti)
Genere: Avventura, Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Legacy – Capitolo 3
Il Tempo e le Persone
 
«Sono a casa!» Lea si chiuse la porta alle spalle e si abbandonò sul vecchio divano del soggiorno.
Era stata una giornata a dir poco caotica in città, e il ragazzo ci avrebbe scommesso, se il dolore che provava al fondoschiena era segnale di qualcosa, prima della mattina dopo avrebbe avuto il sedere blu.
«Lea, Lea, ci sono i cavalieri in città!» Kairi emerse dal corridoio e saltò sul divano vicino a lui.
«Oooh, i cavalieri! Davvero?» Lea non aveva neanche bisogno di fingersi interessato.
Era dal giorno del fuoricampo di Cloud che succedevano cose strane. Nei vicoli bui della città erano comparsi mostri, e la guardia cittadina aveva il suo bel da fare a tenere i civili al sicuro. Proprio quel giorno, Isa aveva iniziato a considerare di andare in giro con la pesante vanga da giardinaggio di suo padre, se non altro per evitare di venire aggrediti e feriti.
Che fosse tornato Zack a casa? No, non poteva essere. Sarebbe rimasto via per l’intera estate.
«Hai visto Genesis? Angeal?» Lea cercò di inquisire meglio sul racconto della sorellina.
«No, era un cavaliere femmina.» Kairi fece una smorfia di concentrazione. «Una signora. Con i capelli blu e una spada. Ah e poi c’era un altro. Basso basso con delle orecchie grandi così!” Fece un gesto con le mani, come ad indicare dei cerchi sulla cima della testa. «Hanno sconfitto i mostri al castello. Poi è arrivata la nonna e mi ha accompagnata qui a casa.»
«Dov’è nonna adesso? Ancora al lavoro?» Lea le chiese mentre Kairi si accoccolava contro di lui. La bambina fece sì con la testa.
«La signora Fair era qui fino a poco fa. Non voleva andare via, ma le ho detto che tornavi.»
Lea si morse il labbro per reprimere il disappunto. Era nei guai. Non aveva nulla in contrario che la madre di Zack avesse preso l’abitudine di tenere Kairi d’occhio – la nonna lavorava ancora alla biblioteca del castello, ed era lei che si prendeva cura di loro due. Un aiuto in più era una mano dal cielo…
… ma la signora Fair avrebbe detto alla nonna che Kairi era rimasta da sola.
«Perché sei in ritardo?» Kairi gli chiese, quasi a leggergli i pensieri.
A volte Lea era dispiaciuto per sua sorella. Dopo l’assurdo incidente che aveva portato via i loro genitori tre anni prima, Kairi ne aveva a malapena memoria, ed era stata spinta a crescere e maturare più dei suoi quattro anni. Non si poteva avere il concetto di “essere in ritardo” a quattro anni, non per cose meno triviali dell’asilo.
«Ho conosciuto un cavaliere anche io.» Lea decise di raccontare la storia con tutta la fantasia che poteva metterci, anche se qualcosa in fondo al suo cuore gli stava dicendo che forse quella favola aveva la verità in sé. «Un ragazzo, come me.»
«Ti ha salvato dai mostri, non è vero?» Kairi si rizzò su.
«Eeeeeeh no, ho salvato io lui.» Lea le picchiettò il naso con un dito. «Era aggredito spietatamente… dalla tristezza!»
Kairi lo guardò con aria perplessa, ma Lea non smise di raccontare.
«Mogio in un angolo, solo con la sua spada. Anche gli eroi hanno bisogno di aiuto a volte.»
«E che cosa hai fatto allora?» Kairi aggrottò le sopracciglia e gli chiese in tono inquisitorio.
«Quello che c’era da fare.» Lea annuì. «Sono diventato suo amico.»
 
Memorie – Pagina 1
Ho letto da qualche parte che anche la persona più piccola può cambiare il corso del tempo.
Nessuno ha MAI detto se in meglio… o in peggio.
Ho imparato dal Maestro Eraqus che il mondo attorno a noi è la conseguenza delle nostre azioni. Forse è stata una delle prime cose che mi ha spiegato non appena sono stato abbastanza lucido per capirlo.

 
«Questa è la tua stanza, Ventus. Ne sei responsabile.» Il Maestro fece gesto a Ventus di sedersi sul letto e gli mostrò la stanzetta attorno a loro.
Era spoglia come soltanto un posto inutilizzato da tempo poteva essere. Le pareti erano vuote, la scrivania e gli scaffali erano occupati soltanto dalla polvere, e il letto disfatto era l’unica cosa che desse l’impressione che qualcuno ci vivesse – perché Ventus ci si era svegliato alcune ore prima.
«Questo castello ha i suoi modi di restare pulito nel tempo, ma sarai tu a doverti assicurare che il letto sia rifatto e i tuoi effetti personali restino in ordine. Troverai le lenzuola pulite in lavanderia, dove dovrai portare i tuoi abiti quando saranno sporchi. I primi giorni potrebbe essere difficile prendere l’abitudine, ma non avere timore di chiedere aiuto.» Il Maestro sorrise. «Prendersi cura dei mondi comincia sempre da sé stessi e dai propri spazi.»
Ventus si costrinse ad alzare lo sguardo.
«Che cosa vuol dire?» chiese al suo nuovo maestro.
«Beh, Ventus, tu sei nuovo qui. Vuol dire che io e i tuoi nuovi compagni dobbiamo adattarci a te come tu devi adattarti a noi.» Il Maestro si sedette sul letto accanto a lui. «Il modo in cui Terra e Aqua si comporteranno con te dipende da come tu ti comporti con loro, e viceversa. E sarà così con ogni persona che incontrerai sul tuo cammino.»
Ventus non disse nulla, ma si limitò a guardare il Maestro con aria interrogativa. Non ci aveva capito molto.
«I mondi attorno a noi sono la conseguenza delle azioni di ognuno.» Il Maestro gli appoggiò una mano su una spalla. Per un momento, Ventus temette di venire afferrato, o picchiato, o qualsiasi altra cosa, ma non accadde. «Le persone si comportano in una certa maniera per una certa ragione, che può essere dovuta al comportamento di un’altra persona, o a qualcos’altro che è appena accaduto, e l’accaduto precedente ha a sua volta una causa. Anche la persona più insignificante, persino un bambino che piange, può cambiare in modo radicale quello che accadrà nel futuro immediato e remoto.»
«E che cosa vuol dire?» Stavolta Ventus trovò il coraggio di chiedere.
«Vuol dire che per quanto possibile, come Custode del Keyblade, ti sto chiedendo di essere una causa di ordine e non di disordine.» Il Maestro si mise in piedi e gli sorrise di nuovo. «Benvenuto tra noi, Ventus. Questa era la lezione numero uno.»
 
Non è facile capire quando quello che stai facendo sta causando ordine o disordine.
Pensavo che inseguire Terra per impedirgli di partire fosse un modo per impedire il disordine – per salvare il mio amico… per preservare l’ordine che era la nostra amicizia.
Non avrei potuto immaginare che il discorso di Vanitas fosse stato per trattenermi in camera fino a quando non fosse stato troppo tardi per impedire a Terra di partire. Ero stato fregato come un bambino, e in un certo senso avevano usato le mie azioni per creare disordine.
Quando lo capii – quando Xehanort usò me per portare il Maestro Eraqus alla furia e all’ostilità, per fargli alzare la lama contro me e contro Terra – pensai avessero toccato il fondo.
Poi cominciarono a usare Shiro.

 
«Va bene. Ti darò una ragione per combattere.» Vanitas saltò giù dal ponte e camminò verso Ventus. «Vieni a cercarmi, nel solo e unico posto dove il X-blade può venire forgiato. Il Cimitero dei Keyblade.»
Il suo sguardo senza occhi resse quello di Ventus, poi una mano guantata di nero prese qualcosa da sotto ai vestiti.
Ventus si trovò a fissare quelli che sembravano alcuni centimetri di fili bianchi. Vanitas schioccò le dita, incenerendoli, e soltanto dall’odore acre Ventus capì che si trattava di capelli.
«Vedremo per quanto continuerai a fare il pacifista con la tua cucciola in mano nostra!»
Gli gettò addosso la cenere, per poi aprire un passaggio nelle ombre e sparire.
Ventus rimase per un momento attonito a fissare il punto in cui Vanitas era fuggito.
Shiro. Quei capelli erano i suoi. Avevano preso Shiro.
Come poteva essere…? Come erano finiti in quella trappola, e come erano riusciti a fare in modo che ci finisse anche un’innocente come lei?
«Sono stato uno stupido!» Ventus gridò a nessuno in particolare. La comparsa di Vanitas nella sua camera, le cose che il Maestro Xehanort gli aveva detto… cosa avrebbe potuto smentire, a quel punto, che la prova stessa di Terra fosse stata sabotata fin dall’inizio?
Avevano preso Shiro.
Ventus sarebbe fuggito a dirlo a qualcuno, ma a chi? Il Maestro Eraqus non lo avrebbe ascoltato, non dopo quello che gli aveva detto. Terra lo aveva mandato via, e dopo tutto quello che aveva detto e il modo in cui era fuggito, non si sentiva il coraggio di andare a cercare Aqua.
E se avesse perso tempo per cercare uno qualsiasi di loro – anche il Maestro Yen Sid, che pure lo aveva aiutato a cercare Topolino – probabilmente sarebbe stato troppo tardi per salvare Shiro.
No.
Doveva farlo lui, e accettarne le conseguenze.
 
Il cielo era stellato su Radiant Garden quella notte, ma nella piazza della città infuriava una battaglia.
Il giovane uomo, rifugiato in una casa abbandonata, tirò un sospiro e si accasciò contro la parete.
Tutto come da piano, anche se ancora non era sicuro di quanto ci sarebbe voluto perché il piano andasse interamente a compimento.
«… cammina, cammina, Russell ci disse di aver trovato qualcosa. Inseguì le impronte e scoprì un enorme pennuto. Proprio così, un uccello alto più di me, con le ali piccine così, le gambe lunghe così, il collo enorme e degli occhi grossi come le padelle!»
La sua ascoltatrice lo fissava come se avesse sentito lo stesso Maestro dei Maestri parlare.
«Il signor Fredricksen aveva cercato di cacciarlo via con il bastone, ma il pennuto si pappò il bastone!» Il ragazzo continuò. «Però il bastone non gli piaceva, quindi se lo sputò fuori subito. Però gli piaceva tanto il cioccolato di Russell…»
«E poi?» La bambina gli chiese di nuovo.
Quando il ragazzo aveva portato Shiro via dal castello in rovina, la piccolina non aveva fatto altro che piangere, ma con il passare delle ore, complici un biberon trovato nelle cucine, la canzone giusta, e la storia di quando lui e il suo migliore amico avevano salvato il beccaccino Kevin con l’aiuto di un anziano addetto ai palloncini e un boyscout, si era calmata e sorrideva.
«E poi c’erano una nave che volava, e tanti cani che parlavano, e alla fine il signor Fredricksen con il nostro aiuto riuscì a salvare il beccaccino e a portare la sua casa sulle Cascate Paradiso.»
Il ragazzo alzò lo sguardo verso la finestra che dava sulla piazza. I suoni della battaglia erano cessati, e stranamente nessuno sembrava essere accorso per via dei rumori.
«Che dici, gattina? Dici che possiamo salutarci?»
Shiro lo guardò negli occhi ed emise un suono interrogativo. Non sembrava capire esattamente quello che stesse accadendo, ma considerando la sua età c’era da aspettarselo.
Non poteva rimanere lì ancora per molto. Non poteva portarla con sé.
Il mondo di quella bambina era stato distrutto in poco meno di un giorno, e c’era un solo modo per non abbandonarla al suo destino.
 
«Lea! Giù dal letto!»
Il ragazzo soffocò uno sbadiglio e si avvolse ancora più strettamente nelle coperte coprendosi la testa con il cuscino. Era estate. Perché la nonna insisteva tanto che si alzasse?
«Ho bisogno di te, giovanotto. Mi serve che tu venga al castello oggi.» Nonna continuò, la sua voce sempre più vicina.
«Eh?» Lea aprì gli occhi e si mise a sedere. La nonna aveva quasi una mano sulle coperte, e nel letto accanto al suo Kairi, già vestita ma scalza, saltellava sulle coperte disfatte. «Nonna, avevo detto ad Isa e Cloud che ci saremmo visti alla gelateria...» Lea cercò di protestare.
«C’è stata un’emergenza nella piazza ieri notte. Il professor Even ha telefonato stamattina… Braig ha trovato nella piazza un giovane e una bambina piccola. C’è bisogno di qualcuno che si occupi della piccola fino a quando non verrà rinvenuta la sua famiglia.»
Lea alzò gli occhi al cielo. Non era forse bastato dover imparare a cambiare i pannolini a tredici anni perché sua nonna lavorava alla biblioteca? Non aveva affatto intenzione di farlo di nuovo, e per giunta con una perfetta sconosciuta! Kairi era stato un altro discorso…
«E perché dovrei farlo io? Ti sembro forse Mary Poppins?» Lea sbuffò rumorosamente.
«No, mi sembri soltanto la persona di cui mi posso fidare di più al momento.» Nonna si fermò vicino al letto e si sedette accanto a lui. «Li hanno trovati all’alba e non c’è molta gente che entra in quel castello. Ancora meno tra questi hanno delle famiglie. Ti dispiace essere uomo abbastanza da prenderti questa responsabilità?»
Un’ora dopo, Lea aveva già preparato la colazione per sé e sua sorella, si era vestito e pettinato alla meno peggio, ed era ai cancelli del castello assieme a Nonna e Kairi, con metà della faccia coperta dalla bandana e lo sguardo basso, per evitare che le guardie di Lord Ansem lo riconoscessero e gli facessero fare una pessima figura davanti alla sua famiglia.
«Non possiamo far entrare bambini qui, signora.»
Le ultime parole famose. Dilan, la guardia con i capelli scuri, si avvicinò a Lea con una lancia e gliela puntò contro il naso celato dalla stoffa.
«Avevo detto che avrei portato qui i miei nipoti, Dilan.» Nonna sostenne il suo sguardo. «Lea è qui per prendersi cura della bambina che avete trovato in piazza, e non posso lasciare Kairi da sola a casa.»
«Siete parenti, eh?» Dilan abbassò la bandana di Lea con un singolo colpo di mano. «Il vostro affidabile nipote ha cercato di intrufolarsi nel castello più volte con un amico. Perdonatemi la cautela.»
Nonna fulminò Lea con lo sguardo, ma rivolse di nuovo un’occhiata a Dilan.
«E qualsiasi siano state le sue ragioni, ora è con me e dovrete risponderne ad Even se lo metterete alla porta.»
Per un momento, nei giardini regnò il silenzio. Kairi, che ancora teneva Lea per mano, gli diede una piccola stretta alle dita in quello che tra i due era sempre stato un segno di intesa. Il ragazzo decise che era l’ora di stare al gioco e dimostrare alle guardie il motivo per cui era lì, si chinò all’altezza di Kairi e la prese in braccio.
«D’accordo.» Fu Aeleus a intervenire. «Parleremo con Even. Il ragazzo attenderà nel corridoio.»
I due aprirono il cancello, conducendo dentro Lea, Kairi e Nonna.
«Ma è andata bene?» Kairi chiese a Lea parlandogli nell’orecchio. Lea fece spallucce.
Le guardie li condussero in un corridoio senza finestre, fino ad arrivare ad una porticina foderata in rosso dove li fecero fermare. Lea era già stato in quella zona del palazzo quando Zack ce lo aveva portato, settimane prima che gli erano sembrate una vita, prima che lui e Isa iniziassero a venire scoperti. Le guardie e la Nonna entrarono nella stanza, lasciando Lea e Kairi soli ad aspettare.
Da qualche parte nei meandri del castello si sentiva distinto il suono di qualcuno che piangeva.
«La bambina…» Kairi mormorò.
Il suono regolare e pesante dei passi di un uomo adulto riempì il corridoio, sempre più forte, sempre più vicino, e da dietro ad un angolo apparve una faccia familiare.
«Lea! Che stai facendo qui dentro?»
Non era né una guardia del castello né uno scienziato ad averlo riconosciuto – era Angeal della guardia cittadina, il mentore di Zack.
«Signore!» Lea si raddrizzò al meglio che gli consentiva il peso di Kairi e accennò a un gesto di saluto.
Angeal si avvicinò a loro con aria preoccupata.
«Dovreste essere a casa vostra, con quel che è successo ieri notte…»
«Siamo qui perché è successo qualcosa ieri notte.» Lea fece scendere Kairi e guardò Angeal negli occhi. «Mia nonna, la bibliotecaria del castello, dice che sono stati trovati per strada un uomo e una bambina. Dice che Braig li ha trovati. Io sono qui perché so… so cambiare i pannolini.» Lea si costrinse a sogghignare.
«Braig?» Angeal alzò gli occhi al cielo. «Perché mai quell'uomo sembra scovare tutti i guai dovunque si vada a infilare?»
«Ma è vero che ha perso l'occhio?» Kairi intervenne indiscretamente.
«Kairi!» Lea cercò di calmarla.
«Come fa una persona a perdere l'occhio?» La bambina chiese di nuovo. «Gli è caduto dalla testa?»
Angeal si coprì la bocca con una mano ed emise uno sbuffo.
Lea avrebbe voluto sprofondare nel pavimento.
«Credimi, Kairi, è meglio se non lo sai.» Il ragazzo alzò gli occhi al cielo.
La porta della stanza si aprì, e le guardie uscirono con Nonna ed Even.
«… e vorrei sapere perché vi siete presi la briga di rubarmi tempo prezioso!» Even stava sbraitando. «Vi hanno dato un babysitter per la mocciosa e voi volete anche metterlo alla porta?»
Alcuni minuti dopo, Angeal stava conducendo Lea negli alloggi per gli ospiti del castello, seguendo la direzione dei pianti, e bussò ad una delle porte.
Ad aprire fu un bambino – un ragazzino in età da prima media – con addosso un camice troppo lungo e largo e l’aria fin troppo seria. Metà del suo volto era coperto da un folto ciuffo blu argenteo.
«Ienzo, ho il babysitter.» Angeal disse al bambino. Il piccoletto annuì e lasciò la stanza di corsa, senza dire una parola.
Lea si guardò intorno – doveva essere una delle stanze degli ospiti del castello. La bambina di cui tutti parlavano era seduta su un letto appoggiato contro una parete, con dei cuscini infilati sotto il materasso dal lato libero per impedire che cadesse, e strillava a pieni polmoni. Aveva un pigiamino grigio a forma di gatto che era visibilmente lurido, le mancavano ciuffi di capelli bianchi come se qualcuno glieli avesse tagliati via senza badare al suo aspetto, e la sua faccia era rigata dalle lacrime.
Lea si morse il labbro – non sarebbe stato facile. Fece allargare sul suo volto il più affabile dei sorrisi, fece gesto a Kairi di restare indietro per un momento, e si sedette sul pavimento con la schiena rivolta verso al muro.
«Ehilà, funghetto. Piacere di conoscerti,» esordì scandendo bene le parole. «Io sono Lea. Lo hai memorizzato?»
Le tese la mano. Gli ricordava molto Kairi – nei giorni dell’incidente. Anche quella piccolina aveva la sua stessa aria smarrita, ma se possibile anche più aggravata dai capelli in disordine e dal vestitino sporco. E sembrava anche avere più o meno un anno.
La piccola smise di piangere e lo guardò negli occhi.
«Buongiorno.» Lea riprese a parlare in tono cantilenante. Qualsiasi cosa avrebbe dovuto fare, quella bambina andava calmata.
«Volio papà…» La bambina iniziò a dire in tono lamentoso.
Lea si coprì la faccia con una mano. Cominciamo bene.
 
«Zack, giusto?»
Una figura vestita di nero girò uno degli angoli di Tebe e si fermò davanti al ragazzo.
Zack non lo aveva mai visto dal vivo, ma conosceva l’uomo di fama. Era il Capitano Sephiroth, il capo della guardia cittadina. Cosa ci faceva lì?
«Capitano?» Zack scattò sull’attenti, per poi gettarsi un’occhiata fugace alle spalle. Ercole e Phil erano ancora impegnati nella piazza, Phil a sbraitare ed Ercole a fare piegamenti.
«Sei richiamato urgentemente a casa.»
Zack avrebbe voluto chiedere se fosse accaduto qualcosa, se la sua famiglia stesse bene, ma Sephiroth lo prese immediatamente per un braccio e tutto attorno a loro si fece buio.
Il mondo tornò a fuoco e Zack si ritrovò nella piazza principale di Radiant Garden – la stessa piazza in cui Cloud aveva segnato un fuoricampo sulla testa di Braig.
Si accorse subito che qualcosa non andava.
C’erano solchi nella pietra, sassi spezzati, anneriti come se bruciati, sparpagliati dovunque. Un albero era stato sradicato, alcuni presentavano bruciature e un altro era stato abbattuto, troncato di netto.
Per quanto fossero all’aperto, verso il centro della piazza si avvertiva un vago odore di pesante, stantio, che a Zack sembrava di riconoscere.
Gli venne immediatamente in mente Ade.
Fece per girarsi verso Sephiroth e chiedergli cosa fosse successo, ma il capitano non c’era.
Zack era solo.
Sei richiamato urgentemente a casa.
Qualcosa doveva essere successo, ma cosa? Zack fu tentato di andare a parlarne con i suoi genitori – ammesso non fosse successo qualcosa a loro, oppure andare al castello e parlare con Angeal, quando due voci tagliarono il silenzio e due ragazzi corsero verso di lui.
«Zack! Zack, sei tu, vero?»
Cloud fu il primo a raggiungerlo. Il tacito Isa lo seguì a ruota.
Nessuno dei due era a mani vuote: Cloud stringeva la sua mazza da baseball nel pugno e Isa aveva una vanga da giardinaggio dall’aria pesante appoggiata su una spalla.
«Cos’è successo?» Zack chiese loro. «E dov’è Lea?»
I due rimasero in silenzio per un momento mentre Zack passava lo sguardo da uno all’altro, poi Cloud fu il primo a parlare.
«Non lo sappiamo,» disse. «Non era dove volevamo vederci, e abbiamo provato a cercarlo a casa ma non c’è nessuno. Né lui, né la nonna o la sorellina.»
«Né alcun segno di lotta.» Isa appoggiò la vanga a terra e incrociò le braccia. «C’è stata una battaglia ieri notte in questa piazza. Non sappiamo esattamente cosa sia accaduto, ma dicono che sono stati ritrovati dei feriti. Li hanno portati al castello.»
«Volevamo andare a cercare Lea…»
«… Ma è fuori discussione, Cloud. Soprattutto per te, se ci tieni a entrare nelle guardie.» Isa lo zittì.
«Ma tu e Lea lo fate…»
Zack non li lasciò continuare.
«Posso controllare io al castello, ragazzi. Inutile discuterne,» intervenne. «Qualsiasi cosa sia accaduta, se è stata messa in movimento la guardia cittadina, non potrà di certo essere affrontata con una mazza e una vanga.»
Gli dispiaceva sminuire gli sforzi dei due, ma non voleva metterli in pericolo – non ora che Lea non si trovava.
Cloud lo guardò per un momento con l’aria da cucciolo ferito, come se volesse in un qualche modo convincerlo senza parlare. Zack si maledisse mentalmente per aver acconsentito di aiutarlo con Aerith – quel piccolo testardo sembrava più che intenzionato a fare l’eroe, ma non aveva affatto capito di non poter fare la differenza alla sua età.
Un momento. Aerith.
«Ma ho bisogno che mi facciate un favore. Tornate nel borgo e andate a casa di Aerith. Per favore, assicuratevi che stia bene, ditele che sono tornato e sono tutto intero.»
«Possiamo farlo. So dove abita.» Cloud fece sì con la testa. «Seguimi, Isa.»
Girò i tacchi, quasi prendendo il ragazzo più grande per la manica, e corse via verso le strade che portavano al centro abitato.
Zack rimase un momento nella piazza, a cercare di capire dalle tracce del combattimento cosa fosse successo.
Non lo aveva menzionato ad Isa e Cloud, ma aveva già visto una devastazione del genere, e quello che aveva visto non gli piaceva.
Aveva visto come Ventus aveva fatto a pezzi qualche mattone nella piazza di Tebe per spazzare via i mostri, e Ventus. Era. Un. Bambino. O perlomeno, il suo fisico non era affatto quello del distruttore.
Zack aveva anche visto l’arena e come era stata ridotta dopo che Terra e Aqua avevano vinto due tornei all’Olimpo, e quei due, che combattevano come Ventus ma erano decisamente più anziani ed esperti, avevano mandato polvere dalle fondamenta dello stadio fino in cima agli spalti!
… o qualcosa del genere.
Era sicuramente successo qualcosa che aveva coinvolto qualcuno forte come loro… qualcuno con le loro stesse armi.
Il suo sguardo si fermò su una zona del pavimento dove i mattoni erano stati strappati dal suolo e spazzati via. La malta sottostante si era sbriciolata in certi punti, ed erano visibili delle familiari trame a spirali, tracciate da quella che sembrava la punta di una scarpa.
Una ragazza, circondata da un’aura celeste, che piroettava sull’arena quasi fosse una pista di pattinaggio, tenendo in alto la sua spada, sferrando una aggraziata quanto micidiale aggressione magica…
Aqua. Aqua era stata lì.
Zack riconosceva quei solchi, riconosceva le scarpe che li avevano lasciati.
«Dannazione!» sbottò, mettendosi a correre verso i cancelli del castello. Non era più preoccupato solo per Lea – cosa era successo nella piazza?
Attraversò i giardini andando quasi a sbattere contro Ienzo, che esaminava delle bruciature nell’erba lasciate senza dubbio da qualche mostro – Zack li riconosceva ormai, sapeva le tracce che lasciavano –, salì le scalinate saltando un gradino ogni due, e quasi non si fermò davanti a Dilan e Aeleus.
«Zack Fair della guardia cittadina!» ansimò. «Sono stato richiamato a casa dal Capitano!»
I due lo riconobbero quasi subito e non fecero una piega quanto a lasciarlo entrare, e Zack irruppe nei corridoi di corsa. Non sapeva cosa lo stesse trattenendo dal non urlare il nome della sua amica… poi andò a sbattere contro qualcosa e si ritrovò una bambina, caduta sul sedere, davanti a lui.
Cosa ci faceva Kairi lì?
«Cavolo… Kairi… scusami, non ti avevo vista!» Zack la prese in braccio e guardò su e giù nel corridoio, nel caso qualcuno avesse visto la sua epocale figuraccia.
«Non fa niente,» la bambina rispose. Le tremava un poco il labbro, ma si stava sforzando di restare stoica. Zack la rimise a terra.
«Cosa ci fai tu qui?» Si chinò per guardarla negli occhi. «Non è posto per bambini.»
«Lo hanno detto anche i due signori grandi qui fuori, ma poi hanno lasciato entrare me e Lea lo stesso.» Kairi si dondolò sui piedi.
«Anche Lea è qui?» Zack chiese immediatamente.
Kairi fece sì con la testa. «Hanno trovato una bimba nella piazza, e c’era bisogno di qualcuno che sa fare il fratello.»
Dalla gola di Zack uscì un suono che sembrava un imbarazzante ibrido tra una risata e un sospiro di sollievo. Di tutti i posti in cui Lea poteva essere finito… stava facendo il babysitter al castello di Ansem.
«Cos’è successo ieri notte, Kairi?»
«Non lo so.» Kairi girò un poco su sé stessa, le mani giunte dietro la schiena. Poi camminò verso una delle porte e la spinse, rivelando Lea che cercava di calmare una bambina di più o meno un anno, seduta in una culla di fortuna con un evidente broncio.
«Zack! Sei tornato!» Lea era piacevolmente sorpreso dalla sua presenza. «Il funghetto qui continua a lamentarsi di volere i suoi genitori. Quasi non si lascia toccare
«E Kairi mi aveva detto che sai fare il fratello…» Zack gli si avvicinò con un sorrisetto, poi si fece serio. «Lea, cos’è successo in piazza ieri notte?»
Il ragazzo scrollò le spalle.
«Sarei curioso di saperlo anche io. Ho parlato con Angeal non appena sono arrivato qui. Ora che ci penso, non mi stupisce che tu sia arrivato qui un paio d’ore dopo… questa storia puzza. Braig ha trovato la bambina e un uomo al centro della piazza. Angeal è tornato qui poco fa, e a quanto pare l’uomo si chiama Xehanort, ma non mi è riuscito a dire niente riguardo alla bambina, a parte che era abbracciata a quelli che sembravano dei pezzi di armatura. Che Angeal non ha visto, per la cronaca.»
«Ho esaminato la piazza.» Zack si appoggiò a un muro. «Hai detto Xehanort, no? So chi era l’altro combattente, forse. E forse ho anche un modo per provare che dico il vero.»
 
«Per come parli di Terra…» Aqua nascose con una mano le risate. «Credo che solo Ventus e Shiro arriverebbero a parlare così.»
Zack incrociò le braccia e sorrise.
«Ventus lo conosco. E Shiro chi è?»
Aqua tirò fuori una fotografia da una tasca nascosta dalle pieghe dei vestiti. Zack riconobbe Ventus, con una maglietta verde e un paio di calzoncini corti, e una bambina molto piccola, forse un anno, che galleggiava in un lago con un salvagente. Ventus la manteneva da dietro, per evitare che si allontanasse.
«Hai conosciuto Ven? Hai conosciuto questo ragazzo?»
Zack fece di sì con la testa.
«Quindi Shiro è lei, eh?» Indicò la bambina.
 
«Quindi tu saresti Shiro, eh?»
Era identica alla bambina della foto, salvo per alcuni ciuffi di capelli in meno, che sembravano essere stati tagliati senza che importasse.
«Shiro?» Lea fece una smorfia. «Era quello che cercavi di dirmi con tutti quegli io io pio pio?»
La bambina indicò sé stessa.
«Shio!» squittì in tono esasperato.
«Va bene, va bene!» Lea alzò le braccia. «L’ho memorizzato, funghetto.»
 
 
Ultimamente, il cielo sopra le isole era spesso punteggiato da stelle cadenti, e Sora e Riku facevano del loro meglio per non perdersene nemmeno una.
A volte Sora cercava di spingere Riku di lato, nel tentativo di vedere le stelle per primo ed esprimere un desiderio. Ma, dopo due notti di scie luminose, Riku sembrava quasi aver perso l’entusiasmo.
«Alcuni anziani del paese dicono che è un brutto segno,» disse, guardando il cielo. «Dicono che è in arrivo…»
«… una disgrazia o una guerra.» Sora mormorò senza accorgersene, facendosi serio senza volerlo.
Si portò entrambe le mani alla bocca. Che era successo?
Non era una cosa che aveva voluto dire!
«Da quando in qua sai cos’è una disgrazia?» Riku lo guardò storto, alzando un sopracciglio.
«Infatti non lo so!» Sora sentiva le guance farglisi calde. Incrociò le braccia dietro la testa in un movimento che gli pareva quasi istintivo. «Perché, tu lo sai?»
«Vuol dire qualcosa di molto brutto.» Il bambino più grande fece alcuni passi in avanti e colse da terra alcuni sassolini. «Brutto come se il cielo ci cadesse addosso.»
Quando ebbe il pugno sinistro pieno di pietre, Riku mise la mano destra sulla spada di legno che portava sempre appesa alla cintura dei pantaloni.
«Un giorno voglio diventare forte come gli eroi.» Fece un sorriso, mostrando i ciottoli che aveva in mano. «Così quando le stelle cadranno dal cielo le spedirò lassù, indietro da dove sono venute!»
Scagliò i sassi verso l’alto e poi iniziò a ribatterli con la spada, uno dopo l’altro, lontani da loro. Uno stava ricadendo lontano da lui… non lo avrebbe raggiunto in tempo… Sora strinse la sua spada giocattolo e vibrò l’ultimo colpo, facendo rimbalzare anche l’ultimo sassolino lontano.
«Ricordi che ha detto la signorina?» Sora affiancò Riku. «Devo starti vicino altrimenti non vali niente.»
Riku rimase fermo e zitto mentre guardava Sora in faccia.
Sora rimise la spada alla cintura e gli rivolse il più caldo dei suoi sorrisi.
«Un giorno in città racconteranno storie nuove.» Gli mise una mano sulla spalla. «Racconteranno dei due grandi e potenti eroi che rimettono le stelle a posto nel cielo. Insieme perché sono amici del cuore. E diranno “c’era una volta un eroe, anzi no, erano due, e si chiamavano Riku e Sora” e noi saremo lì ad ascoltare e tutti ci guarderanno.»
Mentre lo ascoltava, Riku stava diventando sempre più rosso ad ogni parola.
«Ma io non voglio finire in una storia…» disse, stringendosi nelle spalle. «Io… voglio soltanto rimettere a posto le stelle…»
«Beh ma è quello che fanno gli eroi.» Sora prese Riku per le spalle con il braccio con cui già lo stava toccando e strinse forte.
Riku lo prese a sua volta con un braccio, da sotto le ascelle, e lo sollevò in aria per un momento.
«Sora, dai, se pensi di essere un eroe col peso piuma che sei…!» ridacchiò, poi lo lasciò andare e lo sollevò di nuovo, stavolta con entrambe le braccia, cercando di issarselo sulle spalle. Sora cercò di farsi lasciare lottando con tutte le sue forze, e finirono entrambi per terra prima di accorgersene.
«Siamo dei pesi piuma tutti e due!» Sora, atterrato di pancia addosso a Riku, alzò la testa e si mise a ridere.
«Piuma? A me?» Riku si sollevò e portò minacciosamente le braccia all’indietro. «Ora arriva il solletico!»
   
 
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