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Autore: BeaterNightFury    11/03/2019    0 recensioni
Ho letto da qualche parte che anche la persona più piccola può cambiare il corso del tempo.
Nessuno ha MAI detto se in meglio… o in peggio.

Ventus ha 16 anni, una meravigliosa famiglia adottiva, e un sacco da imparare sui mondi.
Terra e Aqua hanno responsabilità e sogni, e forse un po' il bisogno di comportarsi da giovani.
Lea ha una sorellina per cui è tutto il mondo, Isa ha un cane, Zack ha una ragazza e un amico da aiutare.
Sora ha troppa felicità per il suo bene, Riku ha la testa dura, e Kairi qualcosa che dovrebbe ricordare.
Insieme ad altri, condividono una sola storia.
(La trama è vagamente ispirata alla vecchia fanfiction "Til Kingdom Come" che ho scritto con i miei amici, ma questa considera canon la trama e gli eventi di Kingdom Hearts 3, quindi potrebbero esserci degli spoiler più avanti)
Genere: Avventura, Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Ho visto che qualcuno ha ripreso a leggere! Bentornati, ehe!
Ora, quella che apparirà in questo capitolo è un’headcanon che ho in testa da mesi, e a cui ho sempre adorato pensare. La mia beta (sempre Miraha, che per chi non lo sapesse già, ha creato il personaggio di Shiro e me la lascia usare) e gli altri lettori del primo minuto – i ragazzi che mi hanno dato l’ispirazione per la storia – sono d’accordissimo, quindi avanti tutta…
 
E niente, buona lettura!
(I colori diversi nella parte finale stanno ad indicare diverse calligrafie. Non avendo molta scelta di caratteri con l'editor del sito, sarà un trucco che userò abbastanza spesso. Penso vi sarà abbastanza facile capire chi sta scrivendo cosa.) 

 
Legacy – Capitolo 2
Nubi All’Orizzonte
 
«No! Nooo, nooooooo
Riconoscendo la voce, Ventus affrettò il passo verso la stanzetta di Shiro.
Come c’era da aspettarsi, Aqua era lì, visibilmente pronta e in ordine, e fin là era tutto normale.
Decisamente meno plausibile era il fatto che Shiro fosse scalza e con niente addosso a parte il pannolino, e stesse nascosta sotto il comodino continuando ad urlare a monosillabi il suo disappunto.
«Non sei molto contenta del vestito nuovo, giusto cucciola?» Ventus si affacciò alla porta solo per ridere alla vista di Shiro e della sua battaglia di principio.
«E non vuole uscire da lì.» Aqua sospirò in tono rassegnato, poi guardò Ventus. «Senti un po’ chi parla.» Commentò. «Non vedo né camicia… né cravattino… né giacca. Perché ti sei messo i tuoi soliti vestiti, Ven?»
«Beeeh…» Ventus incrociò le braccia dietro la testa. «L’esame lo fate voi, ma comunque io sarò nella stanza. E se schizza una fiammata? E se Terra rompe un’altra finestra? Almeno così non me li rovino. Poi quando festeggiamo mi cambio anche io.»
«Terra è ancora alle docce?» Aqua gli chiese in tono un po’ più calmo.
«Sì, ed è un fascio di nervi. E non ha finito la frittata né il formaggio a colazione, lo hai visto anche tu…»
«Beh, tu ti sei dimenticato la marmellata e te ne sei accorto soltanto quando avevi già la bocca piena di pane e burro di arachidi, Ven…»
Shiro approfittò del momento di distrazione di Aqua per trotterellare attraverso la stanza e guadagnare la porta, e uscì in corridoio.
«Furbetta…» Ventus commentò, per poi infilare la porta e partire all’inseguimento.
Gli ci vollero pochi passi per raggiungere e afferrare la bambina, ma andò quasi a sbattere contro qualcuno.
L’uomo davanti a lui non era affatto uno sconosciuto: il cappotto nero, l’incedere ingobbito, il volto segnato dal tempo, gli occhi incavati, il pizzetto e la testa glabra… Ventus non lo vedeva da quattro anni, ma il nuovo arrivato non poteva essere che il Maestro Xehanort, l’uomo che lo aveva accompagnato e lasciato lì.
«Ma guarda…» L’anziano maestro scrutò la bambina e il ragazzo con i suoi occhi gialli, simili a fari. «Ventus. Quanto tempo…»
«Buon giorno, Maestro.» Ventus accennò a un inchino il meglio che poteva con una bambina in pannolino in braccio. «Shiro, ricordi che dice il nonno quando si incontrano le persone? Devi dire ciao...»
Per tutta risposta, Shiro nascose la faccia contro la spalla di Ventus.
«Cucciola, andiamo, le buone maniere? Fallo per zio.»
Shiro girò leggermente e fece la testa per sbirciare.
«Di’ ciao…»
«Ciao… pelato
Se Ventus avesse potuto sprofondare nel pavimento, lo avrebbe fatto. Se non fosse stato davanti ad un Maestro del Keyblade, si sarebbe messo a ridere forte. L’unica cosa che poteva fare era mordersi il labbro e sperare che qualcuno lo salvasse da quella situazione… non gli piaceva affatto lo sguardo di disapprovazione di quel vecchio. Se davvero gli aveva insegnato prima di lasciarlo al castello, era più che contento di non avere più niente a che fare con lui.
Schizzò via di soppiatto, rientrò nella stanza di Shiro, e si richiuse la porta alle spalle.
«Qualcosa non va, Ven? Sembra tu abbia visto un fantasma.» Aqua gli chiese non appena Ventus ebbe lasciato Shiro nella culla.
«Il Maestro Xehanort.» Ventus rispose con un filo di voce. «Shiro ha preso in giro il Maestro Xehanort
 
Alcuni minuti dopo, i tre ragazzi erano nel salone, tutti e tre con i loro abiti quotidiani, e Aqua aveva infilato Shiro in una tuta da gattino che la bambina adorava.
Terra era ancora pallido e nervoso mentre era in piedi sull’attenti davanti ai due Maestri, con Aqua accanto a lui.
Ventus era alla loro sinistra, con la schiena rivolta verso il muro, unico vero spettatore della prova, mentre i due Maestri esaminatori occupavano due dei tre troni sulla predella del salone. Il terzo trono, quello centrale, era occupato dal seggiolino di Shiro, che il Maestro aveva deciso di tenere lì, lontana dagli esaminandi, per ragioni di sicurezza.
La piccolina, che fino ad attimi prima era stata a ridere e borbottare in braccio al padre, era l’unica ignara della solennità del momento, ed era tutta presa a giocare con un piccolo Keyblade giocattolo che portava il suo nome inciso sull’elsa e a cercare di recitare per quanto meglio poteva la filastrocca delle novantanove scimmie.
Il Maestro Xehanort di tanto in tanto le lanciava sguardi con la coda dell’occhio, e sembrava quasi disgustato dalla situazione. A un certo punto Shiro se ne accorse.
«Pelato!» pigolò, indicandolo con il Keyblade.
Ventus si dovette nuovamente mordere il labbro per non scoppiare a ridere, e fu certo di aver sentito Terra emettere un colpo di tosse.
Il Maestro Eraqus invece non fece una piega e guardò Terra e Aqua.
«Oggi affronterete l’Esame per ottenere il Simbolo della Maestria. Non uno, ma due dei Prescelti del Keyblade sono qui davanti a noi come candidati. Tuttavia questa non è una competizione, o una battaglia per la supremazia. Non una prova di volontà, ma una prova di cuore. Entrambi potreste prevalere, o nessuno dei due.»
Il discorso venne interrotto dall’inconfondibile tonfo di legno su pietra quando Shiro si lasciò sfuggire di mano il giocattolo. Ventus fu tentato di andare a riprenderglielo, ma rimase fermo al suo posto.
«Ma sono sicuro che il nostro ospite, il Maestro Xehanort, non ha viaggiato fino a qui per assistere al fallimento delle nostre promesse più giovani.» Il Maestro Eraqus continuò. «Confido che siate pronti.»
«Sì!» Terra e Aqua esclamarono all’unisono.
Il Maestro portò alla mano il suo Keyblade e si mise in guardia.
«Allora che la prova abbia inizio!»
 
«Che la partita abbia inizio!»
L’altoparlante in cima al campo da baseball della Radiant Junior High tuonò nel momento preciso in cui Zack e i suoi amici riuscirono a trovare dei posti a sedere.
Isa stava ancora borbottando tra sé e sé con gli occhi al cielo, mentre Aerith, che portava sopra al suo vestito una felpa con i colori della sua scuola, cercava con lo sguardo qualcuno tra i membri della squadra che giocava in casa.
«Senti, Isa, non cominciamo. Se proprio dobbiamo parlare di ritardi vogliamo proprio parlare del fatto che tu ci hai fatto aspettare tutti per portare Bolt a passeggio?» Lea quella mattina era di umore decisamente nero, e si vedeva lontano un chilometro.
«Doveva fare quella grossa!» Isa ribatté immediatamente. «Tu ci hai trattenuti fuori per prendere un palloncino a tua sorella!»
La sorellina di Lea, una bambina sui quattro anni con i suoi stessi capelli rosso fiamma, se pur molto più ordinati, un vestitino bianco, e un palloncino rosso legato ad uno dei polsi, fissò Isa e gli mostrò la lingua.
«Grazie tante, Kairi.» Lea si abbandonò su un sedile e tirò un sospiro.
«Allora, chi è il tuo compagno di cui parlavi?» Zack chiede ad Aerith sedendosi accanto a lei.
«Dovrebbe scendere in campo a momenti.» Aerith continuava a scrutare la squadra. «Ha i capelli biondi, molto irti, e porta il 7 come numero di maglia.»
«Quella è una ragazza?» Lea li interruppe, indicando il giocatore in posizione di battuta, che aveva visibilmente lunghi capelli neri e un accenno di seno sotto la maglietta.
«Quella è Tifa. E se fossi in te non metterei in dubbio la sua capacità di giocare se ci tieni ai denti.» Aerith puntualizzò.
Vicino a loro, Lea si era preso Kairi sulle ginocchia e stava iniziando a spiegarle le posizioni. Soltanto un’ora prima, usciti di casa, si era mostrato decisamente annoiato quando sua nonna gli aveva incaricato di badare a sua sorella per la giornata, ma da come si comportava con lei sembrava volerle davvero bene.
Era un lato del ragazzo che Zack, avendolo conosciuto soltanto a scuola, non aveva mai conosciuto né immaginato. Come pure, gli riusciva difficile anche immaginare che Isa fosse un amante dei cani, eppure davanti al suo pastore tedesco bianco, il ragazzo era un’altra persona. Zack non lo aveva mai visto ridere tanto.
Zack aveva iniziato a frequentare Lea e Isa da quando Angeal aveva “convocato” Lea al castello per interrogarlo. Dopo che Lea aveva giurato e spergiurato che nessun negozio in cui si fosse mai recato vendesse alcol ai ragazzini, Angeal aveva comunicato a Zack che sarebbe partito in alcuni giorni per venire addestrato a dovere, e Zack si era ritrovato con una promessa fatta ad Aerith che sarebbe stato incapace di mantenere.
Poi Lea si era offerto di pensarci in sua vece, e nei giorni successivi si erano visti più volte nei pochi stralci di tempo che Zack aveva a disposizione.
Non erano mai riusciti però a trovare libero Cloud, il compagno di classe che Aerith aveva menzionato, un ragazzino riservato che, a quanto pareva, viveva solo con la mamma e si occupava di portare avanti la casa assieme a lei, e avevano deciso di aspettare la partita conclusiva di baseball dell’anno scolastico per sorprenderlo all’uscita.
Dopo Tifa, passarono alla battuta altri ragazzi. Zack sentì Aerith fare i loro nomi, uno per uno.
Cecil. Claire. Bart. Wedge.
Poi finalmente…
«Eccolo, lui è Cloud!»
Un giocatore minuto con irti capelli biondi emerse dalla panchina e si infilò in testa il caschetto. Aveva un brutto colorito verdastro, e se Aerith non lo avesse immediatamente indicato come il suo compagno di classe, Zack lo avrebbe preso per un ragazzino di prima media anziché di terza.
«Non mi sorprende che le guardie lo abbiano rifiutato.» Zack bisbigliò ad Aerith. «Non gli avrei mai dato tredici anni.»
Stava tremando un po’ quando si mise in posizione sulla casa base.
Il lanciatore avversario scagliò la palla, strike uno. Cloud si rimise in posizione e attese il secondo tiro, strike due.
Al terzo tentativo, il ragazzino riuscì a guadagnare tre basi, ma immediatamente dopo che l’arbitro lo ebbe dichiarato salvo, Cloud si piegò in due, si chinò verso terra e vomitò sul piatto della base.
«Rieccolo con lo scherzetto dei nervi…» Aerith alzò gli occhi al cielo. «Ha l’ansia da prestazione.»
«Non invidio i corridori…» commentò Lea.
Quasi a confermare quello che Lea aveva detto, l’arbitro fischiò un timeout e fece gesto ad alcuni inservienti di raggiungere il campo, per poi mettere un braccio attorno alle spalle di Cloud e portarlo fuori dal diamante.
«Non è comunque male, come battitore.» Isa commentò indicando il tabellone, dove alla squadra della Radiant Junior erano stati appena aggiunti due punti per le tre basi guadagnate da Cloud.
«Già, era un gran bel tiro. Hai visto che tremava? Non lo avesse fatto, forse sarebbe stato fuoricampo.» Lea aggiunse.
Zack notò che parecchi della squadra ospite, i Western Woods, stavano ridendo mentre lasciavano il campo, e si chiese se avrebbero riso altrettanto se Cloud anziché vomitare in terza base lo avesse fatto in casa base, addosso al loro ricevitore.
«Stanno ripulendo il campo.» Aerith fece loro notare. «Direi che sia la nostra occasione. Andiamo da lui.»
Si mise in piedi e li condusse giù per gli spalti, fino ai bordi recintati del campo.
Cloud era seduto sulla panchina e si guardava le scarpe, con un sacchetto di carta appoggiato sulla panca vicino a lui. La ragazza che aveva battuto per prima, Tifa, era seduta poco lontano da lui e lo fissava senza avvicinarsi.
Aerith fece per avvicinarsi ai giocatori e attirare l’attenzione del ragazzo, ma Kairi fu più rapida. Si avvicinò a Cloud, si sfilò il palloncino dal polso e glielo porse.
«Sei triste?» gli chiese.
Cloud la ignorò per un momento. Zack fece per avvicinarsi, ma Lea lo trattenne.
«Mio fratello dice che quello era un gran bel tiro.» Kairi continuò, porgendo di nuovo il palloncino a Cloud. «È quello lì dietro. Quello con la bandana e la faccia da salame.»
Cloud alzò lo sguardo.
«Beh… grazie…» rispose, con la voce rauca di chi ha la gola che brucia.
«Beh, grazie.» Lea alzò gli occhi al cielo, facendo ridere Aerith.
Zack decise che quello era il momento, e fece due passi in avanti, fino a fermarsi davanti al battitore biondo.
«Non è che me lo fai rivedere?» Gli chiese.
«Come scusa?» Cloud alzò lo sguardo, perplesso. Non sembrava aver capito chi aveva davanti, ma d’altra parte, Zack aveva addosso abiti civili.
«Riprovi quel tiro. Dove nessuno ti vede.» Zack gli fece un sorrisetto. «Soltanto io, te, Aerith, Kairi, e i qui presenti Moccio e Miccia.»
«Mi chiamo Lea, zuccone!»
Cloud guardò Zack negli occhi per un momento, senza dubbio chiedendosi dove fosse l’imbroglio. Zack rimase a guardarlo con la mano tesa, senza dire nulla.
Un momento dopo, Cloud restituì il palloncino a Kairi, poi si infilò in testa il caschetto, prese mazza, guantone e una palla, ed esclamò: «Va bene.»
«Woo! Andiamo, Cloud, unisciti ai grandi!» Lea gli diede una pacca sulla schiena.
Zack gli scartò immediatamente accanto, pronto a fargli scudo dal suo esuberante compagno, e guidò il gruppetto nella piazza centrale, per poi fermarsi nella zona centrale, il quadrato delimitato dalle quattro aiole.
Fece piazzare Cloud con la schiena contro l’angolo delimitato da un’aiola e gli prese la palla dalle mani, per poi indietreggiare verso il centro.
«Lea e Isa sono la mia difesa, io sono il lanciatore, e se supera i pini nelle aiole dietro di me, è fuoricampo. Pronto?» Zack tirò fuori il suo vecchio guanto da una tasca, e Lea e Isa fecero lo stesso con i loro.
Cloud sembrava essere troppo concentrato sulla palla nelle mani di Zack per capire che tutto il piano fosse premeditato da giorni.
«Allora vai!» Zack scagliò la palla verso di lui.
Lontano dagli sguardi di decine di sconosciuti, nella piazza deserta, Cloud sembrava molto più capace di tenere gli occhi sulla palla e la mente nel gioco.
Zack udì quasi subito il tonfo di legno sul morbido, e la palla schizzò via in alto, oltre i pini.
«Corri, Cloud, corri!» Aerith urlò immediatamente, e il ragazzino, dopo un breve momento di confusione, buttò la mazza a terra e fece il giro della parte interna delle aiole, alzando un pugno in aria con un urlo di gioia quando ebbe completato il giro.
Isa e Lea avevano lasciato il centro della piazza, probabilmente alla ricerca della palla, ma se fosse stata una partita vera, Cloud avrebbe segnato un punto.
«Bel lavoro, porcospino!» Zack corse da Cloud, gli tolse il casco e gli strinse le spalle con un braccio.
«Oh, sì, bel lavoro davvero
Una delle guardie reali – le guardie del corpo di Lord Ansem – era entrato nel quadrato delimitato dalle aiole, spingendo Isa e Lea davanti a sé.
Sotto il braccio di Zack, Cloud parve quasi sgonfiarsi quando lo vide. Sgranò gli occhi e chinò il capo, quasi a volersi proteggere.
«Cosa c’è, Braig? Adesso è proibito giocare nella piazza?» Zack tenne Cloud con una mano, come a dirgli di restare dritto, e guardò la guardia con aria di sfida.
Si accorse solo allora che un bernoccolo si stava gonfiando sulla fronte del cecchino. Cloud lo aveva colpito in testa con la palla.
«No, sto solo dicendo che sarebbe un vero peccato,» Braig sogghignò. «se il Capitano Sephiroth venisse a sapere che uno dei suoi uomini ha colpito una guardia reale!»
Cloud fece un passo in avanti.
«Non è stato lui, sono stato io!» quasi gridò.
Braig si avvicinò a lui e lo squadrò dall’alto in basso.
«Oh, guarda un po’ chi è tornato a fare lo spaccone.» Gli premette una mano sulla testa. «Non ti è bastata l’ultima volta, pannolino?»
«Ridammi la palla. È mia!» Cloud ribatté di nuovo. «C’è scritto il mio nome lì!»
Persino Isa, normalmente impassibile, sembrava abbastanza sorpreso davanti all’improvvisa presa di coraggio da parte del ragazzino.
«Credo proprio che me la terrò, invece.» Braig si infilò la palla in tasca. «Assieme all’autografo del campione. Ciao a tutti, marmocchi!»
Si allontanò così rapidamente che sembrava fosse svanito nel nulla.
«Cloud, mi dispiace per la tua palla.» Zack disse immediatamente, ripromettendosi di regalargli la sua prima di partire per dovunque Lord Ansem volesse mandarlo.
«Se la può tenere.» Cloud sbuffò. Sembrava un’altra persona rispetto al bambino che aveva vomitato in terza base.
«Era lui, vero?» Aerith lo raggiunse tenendo Kairi per mano. «Il guardiano del re che ti ha insultato quando hai cercato di parlare con le guardie cittadine?»
«Già, in persona.» Stavolta era Cloud a sogghignare. «E gli ho fatto vedere le stelle e sa che sono stato io
Riprese la mazza e il casco, e c’era una nuova determinazione nel suo sguardo.
«Oh, e comunque… hai parlato con una guardia cittadina, Porcospino.» Zack si strinse nelle spalle. «Non mi sono ancora presentato. Io… io sono Zack.»
 
Terra si sedette sullo scalino più basso del cortile e rimase a guardare l’orizzonte.
Si era svegliato agitato quella mattina, con il cuore invaso dalla paura di fallire, ma non aveva davvero creduto che il fallimento sarebbe stato una possibilità, finché il Maestro, l’uomo che aveva sempre considerato un padre e che lo aveva cresciuto da quando lui aveva ancora tutti i denti da latte, non lo aveva guardato negli occhi per dirgli che no, lui non aveva passato l’esame.
Ma c’è sempre la prossima volta”, aveva detto. Ma Terra non si sentiva di riprovare.
Si sentiva come se qualcuno lo avesse preso a botte, e gli avesse levato di colpo tutto l’entusiasmo e la motivazione.
«Papà!»
La voce di Shiro gli fece girare la testa. Sua figlia era seduta sullo scalino più alto, e lo fissava con una certa aria trionfale.
La bambina si rimise in piedi, poi si sedette sullo scalino dove aveva appoggiato i piedi, e sporse le gambe su quello sottostante. Si mise in piedi di nuovo. Si sedette, sporse i piedi, e poi decise che era molto più rapido scivolare direttamente con il sedere da uno scalino all’altro.
«Che combini, gattina?» Terra scattò in piedi e la raggiunse. «Vuoi imparare a fare le scale?»
Shiro fece sì con la testa ed emise un «Hm!» che avrebbe potuto essere sia un sì che un no.
«Vuoi che ti insegno io?» Terra le prese le mani.
Per tutta risposta, Shiro cercò di prenderlo per le braccia e fece gesto di farsi abbracciare.
«Che cosa c’è?» Il giovane sollevò la bambina e la prese in braccio.
Shiro lo guardò negli occhi.
«Bua, papà?»
Terra scosse la testa. «No, gattina… non mi sono fatto male. Papà è solo un po’ triste, tutto qui.»
«Papà no tlitte. Papà bbavo. Papà…» Il volto della bambina si contorse, quasi a voler cercare di ricordare una parola. «Papà eloe
Sembrava abbastanza soddisfatta di quel che era appena riuscita a dire, ma Terra era abbastanza convinto che quel vocabolo nuovo le fosse stato insegnato di proposito. Restava da capire da chi.
«Non devi aver paura dell’oscurità.»
La voce del Maestro Xehanort emerse dal portone del castello, immediatamente seguita dal suo padrone.
L’anziano Custode procedeva lentamente, con la schiena leggermente curva e uno sguardo che sembrava voler scrutare l’anima, e mentre si avvicinava a loro, Terra notò che Shiro nascondeva lo sguardo.
«Ed è frustrante che Eraqus rifiuti il suo potere. Potresti allenarti con lui per sempre, e tuttavia ai suoi occhi non saresti mai un maestro.» Xehanort continuò.
Terra cercò di calmare Shiro facendola balzellare in braccio, ma rimase serio.
«Non capisco, Maestro. Cos’è che non riesco a imparare?»
«Vai bene così come sei,» Xehanort disse allontanandosi. «L’oscurità non può essere distrutta, soltanto controllata.»
Terra stava per pensare ad una possibile risposta, probabilmente un ringraziamento, ma un rumore venne da dietro di lui – le campane del castello avevano preso a suonare.
Non era certo di sapere cosa volesse dire, non quella volta, ma gli era stato insegnato che era per comunicazioni importanti, se non addirittura emergenze, e fece la cosa più logica che gli venisse in mente.
Girò i tacchi e tornò dentro.
 
Ventus corse in camera sua e si buttò sul letto, senza neanche pensare a togliersi le scarpe.
Si era immaginato un miliardo di volte quel giorno, ma non si aspettava che sarebbe finito così.
Senza nemmeno alzarsi, prese il Keyblade di legno dal punto in cui lo aveva appoggiato alla sedia accanto al letto e prese a sventolarlo in aria.
Non sarebbero affatto guastate quelle sfere corrotte che avevano iniziato ad attaccare anche lui in quel momento, se non altro per dargli qualcosa a cui non pensare. Un tempo, quel “giocattolo” era stato talmente pesante che agitarlo per qualche minuto gli aveva fatto salire dolori su per i muscoli delle braccia…
Prima di scendere aveva rigato il muro vicino alla porta dove Aqua aveva insistito per misurare la sua statura da quando era arrivato.
La parete era immacolata fino ad un metro e trentacinque dal pavimento, con la semplice scritta “12 ANNI” marcata da un pennarello nero appena vicino.
 
«Quanti anni avrà quindi? Nove?» Terra chiese in un tono di voce che rasentava il bisbiglio.
«Xehanort non mi ha saputo dire il giorno del suo compleanno,» Il Maestro Eraqus disse a voce più alta. «Non c’è bisogno di bisbigliare, Terra, Ven può sentirti. E secondo me può anche dirci quanti anni ha senza problemi.»
«Eh?» Ventus si lasciò scappare. Non sapeva la risposta a quella domanda – non la ricordava.
Il Maestro si avvicinò a lui e lo fece alzare.
«Ora, Ventus, fa’ il bravo e di’ AAAAAAH.»
Ventus fece quanto gli era stato ordinato. Il Maestro gli tenne aperta la bocca con un dito e si chinò per guardare all’interno. Fece un sorrisetto.
«Premolari che spuntano. E sta già cambiando voce. Sapete, ragazzi, credo sia un dodici.»
 
Più in alto c’erano altre righe, altri momenti della sua vita. Quando aveva richiamato Evocavento alla mano, quando aveva imparato a lanciare alcune magie, il giorno in cui Terra gli aveva insegnato a fare la verticale e quello in cui gli aveva regalato il Keyblade giocattolo, le quattro ricorrenze della data che Aqua aveva deciso come il suo compleanno, la nascita di Shiro, la notte in cui si era svegliato e si era ricordato che da piccolo aveva avuto un gatto.
Quella mattina aveva scritto “Esame di Terra e Aqua” sulla tacca più in alto, ma adesso la scritta era cancellata da un enorme scarabocchio nero.
Si chiese quando sarebbe arrivata Aqua a bussargli alla porta e dirgli di cambiarsi.
Si chiese cosa le avrebbe dovuto rispondere, perché non gli andava di cambiarsi.
Non gli sembrava giusto.
Non pensava che ci fosse nulla da festeggiare, non quando Terra non aveva passato l’esame ed aveva lasciato la sala per uscire in giardino.
Rimase a fissare il soffitto ancora un po’, fino a quando fu la campana del castello a farlo scattare in piedi. Dubitava che Aqua o qualsiasi altro occupante del castello gli avrebbe dato la motivazione per muoversi, ma se la campana stava suonando, era perché qualcosa di importante era successo – magari persino un’emergenza – e al suono della campana tutti erano convocati nel salone.
A Ventus non era mai capitato un allarme vero, soltanto delle esercitazioni, e dubitava questa lo fosse.
Era quasi nel corridoio quando sentì una voce dietro di lui.
«Farai meglio a muoverti, Ventus, o non rivedrai mai più Terra.»
Ventus si girò sul posto. C’era qualcuno appoggiato contro la sua scrivania. Una figura umana, interamente ricoperta da degli strani abiti in apparente cuoio che gli aderivano al corpo quasi fossero una seconda pelle. Il suo viso era celato da una maschera e non un solo millimetro della sua faccia era visibile.
«Cosa? Posso vedere Terra ogni volta che voglio!» Ventus ribatté subito, avvicinandosi allo sconosciuto. Non poteva essere un adulto – era alto quanto lui, e lui era basso per la sua età.
Aveva qualcosa a che fare con l’allarme? Non lo aveva mai visto prima.
«Come adesso? Ti sta lasciando indietro.» Ribatté lo sconosciuto. Anche la sua voce era quella acerba di un ragazzo che cresceva ancora. «E quando lo raggiungerai, sarà una persona diversa.»
Anche senza che parlasse, la sola presenza del ragazzo in nero metteva Ventus a disagio. Ma le parole che pronunciava erano anche peggio. Ventus si sentiva un pugno di gelo colpirgli l’addome ed espandersi nelle viscere ad ogni frase che lo sconosciuto gli diceva.
«Guarda, chiunque tu sia, tu non sai nulla di Terra!» Ventus cercò di mettere insieme il suo miglior tono intimidatorio e ribattere. «Io e lui saremo sempre una squadra… stai cercando di litigare o cosa?»
Si mise in guardia, noncurante di avere per le mani soltanto un giocattolo.
Magari il suo interlocutore non sapeva nemmeno che lo fosse.
E comunque quel giocattolo pesava. Probabilmente non abbastanza da ferire gravemente – e quello era stato il motivo per cui era stato costruito – ma se fosse arrivato in qualche punto critico, avrebbe quantomeno lasciato lividi o bernoccoli.
«Oh, cresci un po’.» Lo sconosciuto lasciò la scrivania e attraversò la stanza a passi. «È questo ciò che chiami amicizia?» Si girò di nuovo verso di lui, fissando su Ventus uno sguardo senza occhi. «Non conoscerai mai la verità se non esci là fuori a cercarla da solo. Andiamo, cosa potresti mai sapere se resti fermo nel tuo piccolo mondo, senza cercare nulla?»
Un’ombra si allungò sul muro davanti allo sconosciuto, e il ragazzo ci passò attraverso… per poi sparire all’interno di essa.
Dove era finito?
RAPPORTO SEGRETO N°1
 
1 Dicembre. Cinque giorni che Ventus è con noi.
Prima di lasciarlo qui, il Maestro Xehanort non ci ha detto nulla di lui. Non sappiamo nemmeno quanti anni ha, o non lo sapevamo, perlomeno, finché il Maestro Eraqus non ha esaminato la sua statura, la sua voce, e i suoi denti, e ha concluso che deve avere dodici anni.
Non sembra abbia dodici anni, affatto. Va bene che io ne ho sedici e sono alto per la mia età, ma gliene avrei dati nove, come minimo. Anche meno per come si comporta. Sembra una pagina bianca. Se già è un perfetto sconosciuto in questo momento, è ancora più difficile capire qualcosa su di lui dato che non parla con noi.
Il Maestro Eraqus mi ha suggerito di prendere nota di tutto quello che vedo Ventus fare, e di cercare di capire che persona è dalle mie osservazioni.
Non è facile. Non con un bambino che fissa il muro, a stento parla, e si ritrae se viene minimamente toccato.

 
Sei giorni.
Ventus non ha molti vestiti di ricambio, quindi gli ho lasciato un vecchio pigiama che non mi va più. Gli arriva quasi alle ginocchia e gli ho dovuto rimboccare i pantaloni, ma si è QUASI messo a ridere quando ha visto il dinosauro e la frase stampati sul davanti.
Non so a cosa sia dovuta la cicatrice che ha appena a sinistra dello sterno, ma deve aver fatto davvero male, anche se non sembra profonda. E non è l’unica che ha addosso. Ho intravisto segni di unghiate, vecchie sbucciature su gomiti e ginocchia che fanno pensare a un sacco di cadute. Mi chiedo cosa gli abbiano fatto per ridurlo così.
Ieri notte siamo stati svegliati dalle sue urla.

 
Due settimane.
Ha paura delle forbici. Seriamente?
Deve fare qualcosa a quei capelli, stanno diventando decisamente folti sul davanti e se non li taglia gli impediranno di vedere. Aqua ha cercato di tagliarglieli.
Ventus si è nascosto sotto il letto.

 
Quindici giorni.
Terra, sinceramente, vuoi perdere un po’ meno tempo ad a prendere nota
e un po’ più di tempo a cercare di capire di cosa ha bisogno Ven? GRAZIE.

Ventus continua a soffiarsi via i capelli dalla faccia. Mi sono assentato con la scusa di andare in bagno, sono tornato nel salone con le mani piene di gel, e gli ho passato entrambe le mani tra i capelli.
Il piccoletto ha protestato, ma almeno ora ci vede... E si è lasciato toccare, non appena ha capito che lo stavo aiutando.

 
Venti giorni.
Aqua ha iniziato a chiamarlo Ven. Ven APPREZZA.

 
Un mese.
Abbiamo festeggiato l’anno nuovo con una specie di torneo in cima alla montagna. Armi finte, ovviamente.
Ventus ha fatto del suo meglio, ma… beh, è un bambino e si muove come un bambino.
Ha bisogno di farsi un po’ più di forza nelle braccia. Gli ho lasciato la mia vecchia spada da allenamento. A stento riesce a tenerla sollevata… ma serve più a lui che a me.
Non so se ho fatto la cosa giusta.

Secondo me sì.
 
Un mese e mezzo.
Ma quanto burro di arachidi si fa fuori Ventus? Credo che potrebbe VIVERE di pane, burro di arachidi e marmellata.
Se stai leggendo questa pagina, Aqua, smettila di assecondarlo, il Maestro potrebbe dare la colpa ad entrambi!

OH, LEGGI CHI SCRIVE.
 
Un mese e mezzo.
Ventus è diventato un chiacchierone.
Non riesco a stare nella stessa stanza con lui senza che decida di parlare di qualcosa. È un miglioramento enorme rispetto a solo due settimane fa.
Ha anche iniziato a chiedermi consigli per quanto riguarda la magia. Lo avevo già visto provarci con Terra, ma non credo sia andata molto bene a giudicare da come mi si è attaccato al braccio dopo che gli ho mostrato il Fire.

Scusa tanto, ma vi siete messi contro di me voi due?
 
Tre mesi
Chi ha detto a Ven che è socialmente accettabile buttarsi addosso alle persone senza alcun tipo di preavviso?

Tu quando ti sei messo a RIDERE.
 
Tre mesi e mezzo
Ven soffre ancora di incubi. A volte riesce ancora a svegliarci. L’altra notte ho attraversato il corridoio per chiedergli se avesse bisogno di qualcosa, e anche Terra ha avuto la stessa idea.

Ed è finita con tutti e tre a dormire nello stesso letto. Ahi, la schiena.
 
Un anno e cinque mesi
(Ha, vi ho beccati!)
C’è qualcosa che non va con quei due. Terra è pallido come se avesse visto un fantasma, e stamattina gli ho visto lasciare la presa sul suo bicchiere e fare una bella frittata sul pavimento. Frittata di VETRI, si intende. E succo di pompelmo. Aqua… non ne parliamo. Ho perso il conto delle mattine che la vedo correre in bagno dopo la colazione.
C’è qualcosa che non mi dicono. Qualcosa che non mi VOGLIONO dire.
Ragazzi, se c’è qualcosa che non va… notizia dell’ultimo minuto. Ho quattordici anni (tredici e mezzo, ma dettagli) e sono vostro amico. Mi volete parlare oppure no?

 
   
 
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