Per
questa storia, che descrive delle scene durante la guerra, ho deciso di alzare
di un tono il rating.
[ W: 509 |
C: John Watson | Tag: GuerraAfghanistan ; preS1 ]
Questa
non è vita
«Non
aver paura. Ci penso io a te. Non ti lascerò morire. Tieni duro.» il Tenente
Watson continua a ripetersi, cercando di infondere coraggio al soldato che ha
tra le braccia. Se solo lo avessero avvertito delle condizioni dell’uomo si
sarebbe premurato di portare con sé qualcosa di più utile a fermare
l’emorragia. Qualcuno alle sue spalle annuncia che l’area è libera. Issato il
ferito su una portantina corrono verso il camion che li riporterà al campo
base.
Le
macerie la fanno da padrone in quella strada desolata. Il pericolo più alto è
quello di essere mirati da un cecchino. Quanti colleghi, amici, il dottore
aveva perso per questo motivo, non riusciva più a portarne il conto.
La
squadra avanza compatta. Il soldato si contorce dal dolore e tutti cercano di
farlo stare zitto. Ma come si fa a mantenere il silenzio? John fatica a non
urlare e piangere di fronte a tanto orrore. «Eccoci, ci siamo quasi. Guardami.»
gli ordina perentorio «Starai bene.» gli promette fissandolo negl’occhi ancora
scintillanti.
Sono
tutti a posto. Loro si sono posizionati sul retro dell’autocarro. Possono
partire.
Un
uomo si acquatta accanto a lui. John neppure sente cosa gli dice, concentrato
com’è a lavorare. Potrebbe essere importante? Ogni particolare potrebbe esserlo
in quegli istanti. Il dottore scorge i gradi sulle sue spalline, è un
sottufficiale, impugna un fucile di precisione. È quasi rassicurante avere un
tiratore scelto tra i buoni.
Cominciano
a muoversi, lenti. Fanno lo slalom fra alcuni detriti. Ripassano di fianco ad
una macchina che hanno incrociato quando sono arrivati, John la ricorda
perfettamente. Lì immobile. Chissà che fine ha fatto il proprietario, ma non è
difficile da immaginare. Nel migliore dei casi è morto, nel peggiore è
prigioniero da qualche parte. Certo, ci sarebbe anche l’opzione della libertà,
magari è vivo, ma costretto oramai ad allontanarsi da casa e molto
probabilmente con la famiglia dimezzata.
Ma
Watson è un medico, possibile che la sua mente reputi più dolce la morte che la
vita? D’altronde non sta cercando con tutte le forze di salvare l’uomo nelle
quali viscere affonda le mani? Affronta le sue giornate con la speranza di
rivedere sempre una nuova alba e un nuovo tramonto, ma il suo unico scopo è aiutare
quei soldati e il proprio paese. Solo questi desideri gli danno la forza di
andare avanti, ma John è seriamente convinto che questa non sia una vita degna
di essere chiamata tale.
Un
bambino sbuca da un vicolo che hanno appena sorpassato. Il Tenente lo vede
bene, piccolo, corre verso di loro. Dio, non è possibile. «Accelera.» intima a
chiunque stia guidando. «Veloce!» insiste. Il sangue gli si gela nelle vene. Il
tiratore si prepara a fare fuoco. «Non sparare!» gli grida Watson.
È
un istante. La deflagrazione è potente. John non saprà mai chi ha premuto il
grilletto, se uno dei loro o un nemico.
Quello che è certo è che altre vite sono state spezzate. Non potrà mai
cancellare dalla mente quelle iridi d’ossidiana del bambino che lo fissavano
prima di saltare in aria.
La storia
non riguarda in maniera diretta il telefilm e le sue dinamiche. E gli autori ci
hanno mostrato uno spezzone che riguarda la guerra di neppure 20 secondi all’inizio
della primissima puntata. Ho voluto in qualche modo colmare questo vuoto
immaginando un’esperienza che Watson potrebbe aver vissuto e che lo avrebbe
segnato irrimediabilmente.
Specifico che so che l’uomo è Capitano, qui l’ho immaginato ancora Tenente,
come se fosse ancora nel pieno del servizio e mancasse dell’altro tempo prima
del suo congedo.
Approfitto per ringraziare tutti i lettori e le altre persone che stanno
seguendo e lasciando una recensione alle storie.
A presto,
K.