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Autore: crissi    12/05/2019    7 recensioni
Il mio lavoro mi costringe a volte a diventare invisibile nelle famiglie; obbligato a rimanere, indesiderato testimone, anche in momenti che intimi e segreti dovrebbero restare. E a restare imperturbabile, saldo, professionale, anche quando il loro dolore diventa mio.
Missing moments molto liberi visti da una personaggio marginale, una figura professionale ricorrente nell’anime, che ho voluto immaginare sempre come lo stesso individuo.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Rosalie Lamorlière, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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13 inevitabile follia

Dimagriva e non ci feci caso. Impallidiva e non vi diedi peso.
I peccatori restano ed io, che la davo per certa nella mia vita e la lasciavo sola per seguire le mie passioni, le mie ricerche, lo scopo superiore, io, peccatore, sono restato.
E con la mia solitudine pago.

1786, reggia di Versailles

La carrozza sussulta leggermente nel fermarsi ed io batto le mani, entusiasta e rumorosamente gaio.
- Voilà voilà! - esclamo -  Giunti a destinazione!
Alexandra mi guarda un poco di sbieco, sebbene con una piega di sorriso che non riesce a non sfuggirle.
Non mi ama particolarmente quando mi ridicolizzo a giullare, almeno così sostiene; in realtà credo che il mio lato pazzerello,  monello, raro ed imprevedibile, sia proprio ciò che l'ha fatta innamorare, ciò che l'ha spinta inizialmente a forzare la mia corazza di aspetto professionale, serio, composto, rigoroso sotto al quale celavo il mio io libero e permettergli di uscire. Già, proprio così, stare con lei porta alla luce quel bimbo spensierato che non mi sono mai permesso di essere. Stare con lei mi rende felice.
- Posso auspicare che ti controllerai un poco una volta scesi? - chiede minacciosa.
Fingo di non darle ascolto.
- Promettimi che cercherai di moderare il tuo entusiasmo una volta dentro… - ribadisce col sorriso sulle labbra rosse e un poco d’ansia nella voce, afferrando il mio braccio, costringendomi a guardarla, costringendomi a darle accesso alla mia anima al di là degli occhi.
- Siiiì … - prometto con poca onestà e con troppa veemenza.
Sono veramente senza freni stasera; stasera è la mia serata: sono euforico.
Finalmente Sua Maestà ha accolto le mie richieste per un ospedale sul modello austriaco, non solo un luogo ove celare e tentare di rimediare alla malattia, ma dove prevenirla per il bene pubblico oltre che dell'individuo. Perché le due cose sono reciprocamente dipendenti e inscindibili.
Alexandra mi picchia il ventaglio sulla testa a mo' di scappellotto come farebbe col moccioso insolente che so non avremo mai, perché per lei, per la sua gamba, per il suo bacino malmesso, un parto sarebbe troppo rischioso.
Da fuori ci aprono lo sportello ed io le passo davanti per precederla e poterla aiutare. Mi allunga l'inseparabile bastone che a mia volta affido al valletto, quindi le porgo le braccia e la sostengo nello scendere.
Ancora aggrappata a me si concede un attimo per riacquistare equilibrio poi, con un cenno, mi fa capire di essere pronta ad avviarsi. Il valletto ci rende il bastone   e sorretta da entrambi, passo dopo passo, sulle nostre cinque gambe, attraversiamo la corte, già gremita e chiassosa.
Si regge  a me mentre le stringo la vita, inanellati in questo abbraccio, una nostra sorta di danza.
Come sempre cerco di farle pesare il meno possibile la sua invalidità . Le sorrido, blatero schiocchezze, bisbiglio pettegolezzi e lei si distrae dalla fatica. Così bella, leggera e fragile come una farfalla dalle ali spezzate.
L'abito turchese confezionato per lei da Rose Bertin, pesante il meno possibile per non gravare ulteriormente sulla sua gamba malata, i capelli acconciati ed incipriati in volute argentee non possono non esaltare il cielo dei suoi occhi, particolarmente lucenti stasera. I suoi occhi: la prima cosa che cerco al risveglio e l'ultima che voglio guardare prima di addormentarmi.
Già dai primi passi la folla che ci si stringe attorno mi riconosce; cominciano i complimenti, i buoni auguri, gli incitamenti ; pochi a dir la verità gli sguardi di cattiveria e d'invidia perché, in fondo, tutti amano il dottore.
Cerco di salutare il maggior numero di persone possibili ora, prima che ci si trovi ad affrontare le scalinate, la parte più difficile per lei, per entrambi perché la sua sofferenza mi dilania. La vedo tremare al ricordo di quel giorno di violenza, in cui oltre alle ossa spezzate da lui, dai gradini sui quali l'aveva spinta deliberatamente, quasi perse la vita; la sento tremare addosso a me, la vedo concentrarsi sui passi da compiere, vincere il dolore ad ogni movimento, eppure ce la fa, ce la facciamo senza chiedere aiuto, noi una cosa sola quando c'è il bisogno, e arriviamo su nella galleria degli specchi illuminata come un giorno di sole.
Dalle decine di lampadari, migliaia di candele danzano nelle geometrie dei cristalli. Pare un moltiplicarsi di arcobaleni in altrettanti soli.
Mille e mille arcobaleni di mille e mille soli. Ma nulla è più bello di lei ai miei occhi.
- Buonasera dottore! - esclama la voce vellutata e tentatrice della marchesa di Cocodans, gentildonna per la quale il tempo sembra non trascorrere, a differenza dei tre mariti che ha già seppellito; arrivando alle nostre spalle, ci oltrepassa e mi urta, leggermente ammiccando.
Alexandra mi guarda ancora di sbieco e sorridendo insinua una domanda velata d’ironia.
- Devi forse confessarmi qualcosa Francois?
- Nulla di cui ti debba preoccupare, Sandrine. Non dovrai mai preoccuparti delle altre donne - bisbiglio al suo orecchio, stringendola per la vita- Specie di donne come la Cocodans: sono una persona che impara dagli sbagli e non li ripete. Sbagliare nel mio campo, lo sai, non permette seconde oppurtunità . E sono certo che neppure tu me ne concederesti una, mia adorata.
Rido e le bacio la mano, guidandola verso un divanetto dove potersi finalmente rilassare un poco.
Camerieri in livrea ci offrono stuzzichini e calici di vino; ne porgo uno ad Alexandra, che lo sorseggia appena, e rifiuta il cibo con una leggera smorfia, lasciandomi intendere di non sentirsi troppo a posto con lo stomaco. D’altronde, la moda vuole che cibo e corsetti si trovino in disaccordo e so già da tempo di non potermi intromettere tra una dama e la sua vanità senza uscirne sconfitto. Nel brindisi si uniscono a noi amici e conoscenti; complimenti, congratulazioni ed auguri, molti sinceri, altri meno, giungono da tutto intorno a noi.
Sorseggiando, esploro la sala con lo sguardo. Noto la presenza di molti ospiti stranieri, alcuni sconosciuti, altri più noti di quanto vorrei. Tra questi, il conte di Fersen. Dopo anni, dopo l'America, è tornato a Versailles e tutto fa intendere che voglia restarci a lungo.
- Sembra che la marchesa di Cocodans abbia tra le mani un nuovo amante facoltoso - sento dire alle mie spalle.
- Sarà mai un certo straniero? - ridono alludendo allo svedese.
No, penso, di certo Fersen ha ben altri pensieri in questo momento, ed io lo so bene trovandomi alla stregua di un confessore.
- Vogliate scusarmi… - dico e mi dirigo verso il chiacchieratissimo conte, che in disparte attira ancor più l'attenzione.
- Dottore..
- Conte di Fersen…
- Mi è giunta all'orecchio la bella notizia, le mie congratulazioni.
- Grazie, sarà un notevole impegno…
- Un lavoro arduo…
- Quasi quanto voi che cercate di passare inosservato. - lo rimprovero.
Abbassa lo sguardo, in difetto. Difficile confondersi con la massa, quando sei l'uomo più chiacchierato di Francia.
- Non ho più intenzione di fare ciò che ci si aspetta. Il mio posto è qui e voi sapete perché.
Riesco appena a mostrare un pizzico di contrarietà che la nostra attenzione viene catturata da qualcuno appena entrato nel salone. Una sensazione mi spinge a voltarmi come tutti verso l'ingresso e scorgo la dama bianca entrare.
Incredibile quanto un non colore possa attirare tanta attenzione, ma ancora più sorprendente quanto lei riesca a mantenerla. Rimane pochi istanti ferma all'inizio della galleria, il ventaglio con le piume di pavone bianco aperte ed immobili davanti al volto, lo sguardo intento a scrutare tutt'attorno, come in cerca di un obiettivo, una meta e per una frazione di momento, si sofferma anche su di me, catturando i miei pensieri e levandomi il respiro. Inizia quindi a muoversi attraverso i gruppi di persone, la gonna dai ricami turchese ed oro, ondeggiante sotto la luce delle mille e mille candele, ruba il colore agli arcobaleni e gli sguardi sono tutti per lei.
- Oh, guardate quella donna… - mormora incantata una dama accanto a noi .
E in un istante i commenti delle signore sono veramente tanti,  si moltiplicano, rimbalzano di bocca in bocca, distorti, sovente maligni: bella come una dea, sì, ma... il vestito è proprio fuori moda! … Una nobile straniera che viaggia in incognito? Non vuole si sappia il suo nome… Che bei capelli… Certo, l'acconciatura…
Eppure attrae. Le donne la scrutano con invidia; gli uomini la guardano con desiderio. È indiscutibilmente bella, specie quelle rare volte che solleva lo sguardo dal ventaglio di piume e scruta tutt'attorno con gli iridi chiari come acqua. Odo la Cocodans ammettere, un po’ a malincuore, che la sconosciuta si può pregiare di una bellezza naturale, raffinata, un poco severa; e sebbene l'incarnato sia coperto dal trucco, è evidente che sia sana, ben formata;  non goffa, ma cauta nei movimenti; decisa a tratti nel passo, ma intimidita nello sguardo; eppure non abituata ad essere intimidita e per questo fuori posto.
- Mi pare di averla già vista… - mormora Fersen e lo dice come se ciò dovesse sorprendermi; lui, l'uomo dal nome più sospirato nei salotti femminili e quello più sibilato a denti stretti in quelli maschili, dubita riguardo il conoscere una donna? A Versailles? Dove non c'è donna che non vorrebbe attirare la sua attenzione?
Quest’uomo è il mio opposto. Egli punta alla seduzione in qualunque caso, è più forte di lui: deve affascinare. E non è questione di sesso. Non solo.
Non penso male di lui: è nella sua natura; non può farne a meno di corteggiare, incantare, sedurre. Come lo scorpione non poteva evitare di pungere la rana.
Ecco! Dovrei pensare male di me, invece, dell'invidia che provo, perché non ho mai avuto il vantaggio delle sue armi: so che un bell'aspetto può aprire molte porte, in molti ormai dicono anche quelle della regina ed avrebbero ragione.
Non ho il tempo neppure di pensare ad una frase che possa essere diplomatica, ma al tempo stesso tagliente, solo quel tanto per soddisfare il mio orgoglio, che egli  mi lascia il calice tra le mani alla stregua di un qualunque servitore e, senza degnarmi di un fiato, s'incammina verso la sconosciuta. Un poco indispettito, resto ad osservare la scena del seduttore all'opera, dell’ ammaliatore in procinto di catturare l'ennesima preda.
E la dama accetta, cede, gli concede un ballo. Perché non dovrebbe? Sono il primo ad ammetterlo.
Li guardo conquistare la sala, l'attenzione tutta su di loro. Lui sta parlando, ma lei non alza lo sguardo, pare imbarazzata, incerta, tesa ora che non ha più un ventaglio dietro il quale celarsi. All’improvviso, un passo falso e solo la prontezza del cavaliere la salva dal rovinare a terra.
Tutto avviene in un istante e non riesco neppure a capire come, ma mi ritrovo la sconosciuta, in fuga, finirmi addosso. Per un istante i nostri sguardi si incrociano e non riesco a credere a ciò che riconosco dietro il trucco e le lacrime.
Il mio bicchiere finisce sul pavimento in frantumi, e la donna mi sospinge via, scomparendo. Mi volto, vorrei seguirla, tranquillizzarla e soprattutto capire. Capire a cosa imputare questa sorpresa: un colpo di testa? O non è la prima volta? E poi… Fersen? Lui non è adatto a voi, proprio come la Cocodans non era adatta a me! Appunto, come posso criticare io… Ma non è questione di buono, di migliore: semplicemente non adatto.
Improvvisamente, il turbinare di questi pensieri e qualsiasi tentativo di azione si interrompono quando vengo fermato da una mano sulla spalla che mi trattiene saldamente, ancor prima di muovere un passo.
- Dottore, vostra moglie! - esclama allarmato uno degli ospiti.
E le parole diventano confuse, mentre la musica si ferma, cedendo spazio al brusio.  
Mi volgo a guardare verso il divanetto dove avevo lasciato Alexandra.
Alexandra che cade a terra.
Alexandra che si accascia scomparendo nella nuvola celeste del suo abito.
E tutto il mio mondo, le mie certezze, le mie ambizioni, crollano insieme a lei. Il futuro si azzera, nulla più importa. Neppure ricordo perché volevo arrivare, dove arrivare. Solo ed impotente dinnanzi al fato che non mi vuole felice.



Parigi, Aprile 1789

Sto particolarmente male stasera. Non so bene perché. Ricordi, nervosismo, immagini sfuocate, ma terribili. Immagini della vita che avrei voluto vivere con lei,  portata via.
Ogni tanto mi succede, non più spesso come una volta, ma succede. Ed il dolore è sempre intenso, sempre lo stesso. Ripenso al tempo sprecato, a ciò che sembrava importante e non lo era; mi affliggo per colpe che in realtà non ho, ma non riesco ad evitarmelo.
“Se solo… se invece...se…” si ripetono nella mia testa, inutilmente, dolorosamente, ineluttabilmente. Perché è inevitabile tormentarsi, impossibile continuare a vivere quando la tua vita stessa è stata spenta.
Bussano alla porta. Ignoro.
Bussano ancora, con più forza.
Chiamo a gran voce la domestica che però non risponde.
I colpi diventano insistenti, irritanti. Disperati, ma di questo mi renderò conto solo poi.
Mi alzo di scatto dalla poltrona, molto più che seccato, per andare di persona alla porta d’ingresso. Apro ormai furente ... e li vedo.
Lo sguardo chiaro e angosciato di Oscar che si leva su di me,  mi colpisce, richiamando brutalmente alla memoria un altro sguardo, con altra simile disperazione.
Lei lo sorregge a fatica e quasi mi crolla fra le braccia, esausta, nel momento in cui recepisce di avercela fatta, di essere a destinazione, di essere in salvo.
- Eravate il luogo più sicuro e André è ferito - mormora in una supplica.
- Buondio, Oscar, che vi è accaduto?
I miei domestici appena giunti si occupano di risollevarli, mentre impartisco veloci indicazioni su cosa fare.
- Siamo stati aggrediti, giù a Saint Antoine. Una folla … Oddio, il nostro cocchiere! … Spero sia riuscito a mettersi in salvo. - si angustia.
- Sedete e permettete che vi dia uno sguardo…
- Prima André, dottore, prima André! - raccomanda con tono ansioso, ignorando il rivolo di sangue che le scivola da una tempia.
Poiché non è il momento di far questioni, lancio uno sguardo alla mia governante, la quale prende uno straccio imbevuto e, con una presa gentile ma salda, costringe Oscar ad accomodarsi, cominciando a ripulirle la ferita.
Mi concentro su André che nel frattempo è stato portato su un lettino dell'ambulatorio. Non sembra in sé, lo sguardo perso… Non capisco con che forza sia riuscito ad inanellare un passo dopo l'altro fin qui.
Gli apro la giubba e mi chino ad auscultargli il torace tumefatto.
Palpo le costole, una dopo l'altra, e non mi paiono lesionate. Ma in verità, il pover'uomo é talmente dolorante da non riuscire a capire quale parte del corpo potrei definire sana.
- André… André, parlatemi! Dove sentite dolore?  - cerca di rispondere in modo confuso. - André vi hanno picchiato alla testa? Avete perso i sensi?
- No, no, mi volevano ben sveglio per impiccarmi meglio - mormora sarcastico dopo un istante.
- Cosa ricordate? Vedete bene? Udite bene ciò che dico? Riuscite a respirare senza provare dolore?
- Ho solo gran mal di testa… e preferirei dimenticare..
Palpo il cuoio capelluto insanguinato.
- Grazie al cielo è arrivato Fersen! - mormora Oscar alle mie spalle, sorprendendomi -  Se non fosse arrivato per disperdere la folla, temo non ne saremmo usciti vivi.
Vedo André stringere i denti e gli occhi in un gesto di disturbo, per quelle parole. Esausto, forse rassegnato.
- Ormai pensavo che fosse finita. Ero a terra, non riuscivo neppure più a tentare di ripararmi da calci e bastonate, ma ... è arrivato!…
Si interrompe, china lo sguardo, porta la mano alle labbra tremanti per l'agitazione, mentre due lacrime oltrepassano le ciglia. Prende un lungo respiro, deglutisce e quando risolleva il viso, vi scopro una luce nuova negli occhi lucidi ed un sorriso che dovrebbe stonare in questo momento.
- Grazie al cielo, Fersen è arrivato! È arrivato…
E ripete quel nome, e rende grazie, e sorride di un sorriso sciocco, inopportuno davvero, penso. Perché ripetere quel nome a quel modo? Che si sia trasformata in una inebetita damigella in adorazione del proprio cavaliere salvatore?
Vado a controllarle il capo che sanguina ancora sebbene meno copiosamente, preoccupato da quell'atteggiamento che non riconosco come suo; lei mi prende la mano, la stringe tra le sue e guardandomi negli occhi come in preda all'estasi, ripete ancora “grazie al cielo, è arrivato Fersen”.
- Tenete la pezza premuta qui e sdraiatevi… ecco, così… tranquilla … - mormoro preoccupato accompagnandola nei movimenti.
- Appena in tempo… credevo fosse finita, invece mi ha salvata dal linciaggio… gli devo la vita… gli devo… Tutto….
La guardo volgere lo sguardo alle mie spalle.
E capisco. Capisco cos'era quella luce nei suoi occhi, la stessa che vedo nei pazienti quando dico loro che si salveranno. La scoperta, la consapevolezza, la certezza. Ed è chiaro chi sia il tutto cui si riferisce.
Siedo accanto a lei, inizio a medicarla: la testa, il polso, la spalla… Anche Oscar, come André, è pesta e sanguinante, ma in fondo, sono miracolosamente illesi entrambi.
Forse c'era uno scopo superiore in tanta ferocia? Forse doveva servire a qualcosa?
Forse il male non sempre vien per nuocere, a volte apre i cuori. Sembra che per Oscar sia stato così.
Ma all'illuminazione di Oscar, non vedo corrispondere André, il quale giace con lo sguardo fisso al soffitto e l'espressione rassegnata sul volto di colui che ne ha avuto abbastanza.
Temo che egli interpreti diversamente quei ringraziamenti allo svedese vaneggiati da Oscar, come se si aspettasse di vederla infiammarsi nuovamente in quel sentimento da nulla.
Sospiro preparando il necessario per mettere qualche punto qua e là, e penso che per ricucire i sentimenti, dovrà Oscar fare il primo passo, chiarire, levare ogni dubbio.
E spero che poi, nulla di nefasto li allontani nuovamente.




   
 
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