Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: kyuukai    13/05/2019    1 recensioni
[“Compiti a casa”: Guido/Giorno + Fluff + AlienAU]
Quel 4 di Agosto qualcosa di bizzarro cadde dal cielo notturno.
Genere: Fluff, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Giorno Giovanna, Guido Mista
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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N.d.V: Altri compiti a casa. Stavolta i prompt erano:

Guido/Giorno + Fluff + Alien!AU. Spesso Giorno non gli sembrava per niente umano.

[Ammessi: introspettivo. Proibiti: comico/parodia. Giorno deve essere DAVVERO un alieno]. Sì altri personaggi di contorno.

Il che è stata una mezza sfida, perché ho una fifa degli alieni, e EuphemiaMorrigan che mi ha assegnato il compito lo sapeva eccome lol
A lei dedico la storia, ringraziandola del prompt stimolante, ed augurandomi che il fluff cariante risollevi l'umore dopo queste settimane impegnative.

E la ringrazio di averla anche betata.

Questo esercizio sarà di due capitoli, devo solo controllare un paio di dettagli prima di pubblicare il seguente, quindi abbiate un poco di pazienza.
Scritta ascoltando Gareth Emery & Standerwick feat. HALIENE “Saving Light (Notaker Remix)”.

Buona lettura!

If I fall tonight
You can be my saving light.

 

Mista era tornato strafatto dal lavoro dopo le nove di sera. Una volta tornato a casa, a malapena aveva buttato giù due bicchieri d'acqua, poi si era trascinato in camera, disfatto dei vestiti e spaparanzato sul letto ancora in disordine.

Accomodò la schiena contro il materasso, sospirando profondamente. Allungò una mano a far scivolare il cappello adorato dalla testa, e ravvivare i capelli corvini rimasti schiacciati sotto.

L'aria calma della campagna gli accarezzava la guancia, prometteva sollievo per la stanchezza; sorrise, socchiudendo gli occhi castani, e stirò le braccia sulla testa per dare pace alla pressione accumulata tra le vertebre.

Un sibilo strano lo privò della possibilità di addormentarsi sul posto. Si stuzzicò le orecchie con un dito, ma presto realizzò che proveniva da fuori.

Con il tempo che passava si fece progressivamente più forte, divenendo un rumore potente abbastanza da far vibrare i vetri delle finestre e l'intera cascina, far vacillare in modo precario i mobili.

Allarmato, si tirò a sedere e ruzzolò giù dalle scale alla svelta mentre il terremoto aumentava di intensità.

Il pensiero volò con preoccupazione alla famiglia, in visita alla sorella maggiore ad un paio di chilometri da lì, aveva appena partorito il suo primo figlio. Sperò con tutto il cuore che fosse circoscritto solo alla zona, e che loro stessero bene.

Si resse agli infissi quando un boato quasi spiantò la porta di casa, piatti e bicchieri cadevano dalla credenza, disseminandosi sul pavimento polveroso.

Bestemmiò con spirito, ancora col fiatone, poi un lampo di luce assoluta lo rese cieco per vari secondi; l'aria vibrò di energia che lo investì in pieno e gli rubò l'equilibrio, facendolo cadere sul pavimento, stordito.

Infine il nulla. Solo un silenzio ultraterreno, lo spavento per il fenomeno tale da mettere a tacere perfino i merli che di solito cinguettavano tra gli uliveti vicini.

C'era da aspettarselo: se il mondo doveva finire prima o poi, avrebbe scelto proprio il quattro di agosto per farlo, in barba a coloro che, da una vita, lo prendevano in giro per la sua tetrafobia.

Non appena fu abbastanza sicuro che la scossa fosse terminata si rialzò, sollevato che non avesse riportato ferite oltre un paio di lividi sulle ginocchia, e si affacciò all'esterno per controllare la situazione.

La sua Panda arancione era dove l'aveva lasciata sul vialetto, tutta intera.

Gli attrezzi da giardinaggio invece erano fuori posto, alcuni rovesciati a terra, due vasi di terracotta distrutti.

Storse le labbra, soppesando se fosse il caso di provare a mettere in ordine tutto prima del ritorno dei familiari o meno.

Alla fine decise di farlo, si abbassò a raccogliere l'innaffiatoio e riportarlo contro il muro della cascina. Buttò un occhio oltre le filari di viti, in cerca di qualche segno, magari i vicini di campo che allarmati erano usciti dalle loro case, ma non c'era anima viva in giro a quell'ora.

Sospirò spossato e fece per tornare dentro quando, con la vista periferica, scorse qualcosa alzarsi dal giardino sul retro della cascina.

Del fumo bianco.

Fece due passi verso il punto da cui proveniva.

C'era effettivamente una voragine circolare tra le file di fiori, ed al suo interno, una figura a faccia in giù nel terriccio. Le membra piegate in angoli poco naturali, sparpagliate tra le petunie piantate dalla madre neanche un mese prima.

Immediatamente accorse al suo fianco, e lo issò sulle ginocchia, mentre la sudorazione aumentava sempre più.

Lo sconosciuto non pesava niente e l'epidermide era di un colore bizzarro, quasi fosse semi trasparente, oppure era colpa del riflesso debole della luna che faceva capolino ogni tanto da dietro le nuvole.

Le palpebre erano strette, chiuse, ed i tratti del viso algido totalmente abbandonati nell'oblio.

Mista provò a smuoverlo per le spalle un paio di volte, sorprendendosi di quanto fosse gelido e difficile da afferrare; le mani non riuscivano a far presa contro la pelle, venivano respinte come se ci fosse una barriera invisibile a separarli, il che lo allarmò ulteriormente.

Nonostante i suoi tentativi rimase svenuto, la testa ciondolante sul petto glabro era sporca di fiori e terra fresca.

“Ehi, dimmi che non sei morto, su” lo scongiurò, la voce rotta per l'agitazione e la stanchezza.

Messo alle strette, alzò le mani a schiaffeggiargli piano le guance, e tentennò, sbattendo con forza gli occhi.

Poteva essersi trattato di un'allucinazione, eppure avrebbe giurato per un secondo di vedere, da sotto l'epidermide del ragazzo, delle particelle di luce brillare. Sparirono veloci, lasciando un velo di colore addosso alla sua forma, molto più rassicurante del pallore spettrale in cui lo aveva trovato.

Un timore terribile gli attraversò la mente nel vederlo così inerme tra le sue braccia, la cassa toracica non si espandeva, ed avvicinando l'orecchio, nemmeno un filo di respiro usciva dalle labbra.

Solo allora gli poggiò due dita all'altezza del collo, e sbigottito realizzò che non avvertiva battiti.

Guido però aveva dimenticato del tutto ogni nozione della respirazione bocca a bocca che gli avevano insegnato in piscina all'età di dieci anni.

Si diede forza, poiché senza il suo aiuto il giovane sarebbe morto a quel modo, e stava per appoggiarlo a terra e far pressione sul suo sterno, quando sentì un debole suono provenire da lui.

Stava riprendendo lentamente i sensi, e mugugnò infastidito, ritirando le mani al petto per riflesso incondizionato.

I capelli, lunghi fino ad oltre la nuca e biondi, quasi platino alla luce lunare, ondeggiarono assieme alla testa, in evidente segno di smarrimento. Dopo cominciarono ad emanare una luminescenza simile a quella delle lucciole di notte, si sgrovigliarono dai morbidi boccoli e ricaddero sul viso che aveva provato a ripulire.

Aprì la bocca dopo poco, ma Mista non capì un'accidente di quello che provava a dire.

Lo prese comunque per un buon segno.

“Ah, per fortuna stai bene! Non ci crederai, ma c'è stato un terremoto pazzesco, e poi quella lampo accecante... Giuro, non ho toccato vino stasera, sono sobrio. Anche se un bicchierino ci vorrebbe per rilassarmi ora come ora” scherzò amabilmente per combattere la confusione scatenata dall'intera situazione.

Il fatto che il ragazzo adagiato a lui, in ascolto, fosse a dir poco stupendo non aiutava a calmare l'agitazione che animava il suo cuore.

Con lo sguardo, vigile nonostante si fosse appena ripreso, stava seguendo il percorso di una goccia di sudore lungo la sua tempia con estrema attenzione.

Possedeva un'eleganza senza tempo, perfino nel stare perfettamente fermo, etereo nel modo in cui pian piano drizzò le spalle, distendendo le membra pallide e slanciate, piantò le dita dei piedi nel terriccio, ad assaggiarne la trama sotto la pianta nuda.

Il movimento dell'iride, schermata dai boccoli in disordine, faceva vibrare le ciglia bionde, così folte e lunghe.

Era come ammirare da lontano il David di Michelangelo, e vederlo prendere vita proprio sotto i propri occhi increduli, avere l'onore di essere testimone dei primi preziosi attimi di esistenza di un tale essere ultraterreno, in cui la fredda roccia diveniva carne duttile e tangibile al tatto.

E Mista al centro del mondo che si apprestava a scoprire.

Serrò le labbra di scatto, sentendo i morsi dell'imbarazzo avvinghiarsi dietro le spalle e stringere prepotente, facendo rizzare i peli sulla nuca ora che aveva ripreso conoscenza e poteva constatare che l'aveva soccorso con indosso solo le mutande.

Non che lo sconosciuto fosse messo tanto meglio, dato che era nudo come sua madre l'aveva fatto.

“Ma che fine hanno fatto i tuoi vestiti? Non puoi essere arrivato senza fin qui. Han fatto... puf?” chiese non appena avvertì il peso dell'altro gravare più sulle gambe, osservarlo con stupore mentre allungava le mani nella sua direzione.

Una ciocca bionda cadde dalla spalla ad incorniciare il collo da cigno, distraendolo dal chiedere perché avesse una gemma conficcata nel palmo levato.

Mista ebbe seri problemi ad inghiottire non appena le sentì appoggiarsi contro la curva delle spalle, in cerca di un appiglio ben saldo.

“... B-bimbo che ti prende?”.

Lo sconosciuto non parve curarsi del suo farfugliare nervoso, le ciglia spesse e chiare sfioravano la pelle arrossata della guancia di Guido, prima di accostarsi ulteriormente e premere le labbra sulle sue.

Ogni nervo nel corpo esplose non appena il contatto avvenne, e le sentì sostare sulle proprie con fermezza. Le cosce tremarono senza controllo, le punte dei piedi formicolarono nelle ciabatte e la testa vorticò, mentre l'asse gravitazionale si spostava completamente verso il misterioso estraneo.

Avvertì le vene andare a fuoco, ed energia pura scorrere a velocità spaventosa verso il punto dove erano congiunti, caldo e soffice come il ragazzo non gli era parso in precedenza.

Fu un bacio casto, una semplice impressione sulla bocca schiusa per la sorpresa. Eppure lo lasciò col fiatone, una leggera sensazione di vertigine e stanchezza addosso.

Il biondo sospirò profondamente, e con lentezza calcolata lasciò cadere i palmi da lui.

“Per l'autonomia limitata basterà” disse con pizzico disappunto alla fine, riaprendo gli occhi tempestati di stelle, profondi come il cielo notturno, privi di sclera.

Il moro vi ci specchiò, sgomento, vedendo il suo stesso colorito sbiancare mano a mano.

“Ti ringrazio, Guido Mista, per le informazioni che mi hai fornito. Ne farò tesoro e buon uso”.

Probabilmente stava anche boccheggiando come un pesce fuori d'acqua senza rendersene conto, poiché fece affiorare una risata cristallina. Una volta esaurita, rizzò maggiormente la sua postura, catturando il chiarore lunare sugli zigomi eleganti, impreziositi da polvere di diamante.

Le unghie allora si illuminavano e le alzò, pigiando come se avesse una tastiera sotto le dita.

Guido si ritrasse di scatto non appena apparve un ologramma davanti a sé, trattenendo a malapena un urlo spaventato. Varie icone colorate guizzavano su un reticolato al neon tra i loro visi.

“A quanto pare la mia navicella si trova a tre chilometri dalla posizione attuale, il che ne renderà il recupero assai difficile, dato che non ho abbastanza energia per teletrasportarmi a bordo”.

“Ma... Chi sei?” farfugliò, aggrottando con forza la fronte. L'altro fece svolazzare veloce la mano per far scorrere lo schermo di lato, per evitare che si frapponesse tra di loro, e continuò svelto le sue operazioni.

Il che forse era ancora più incredibilmente strano: non sembrava affatto preoccupato dal mare di corbellerie che aveva appena detto.

“Sono Giorno Giovanna, provengo da Hamon, sfera celeste situata in prossimità della nebulosa Brando, a sedici milioni di anni luce dal questo pianeta” mormorò affabile, senza il benché minimo impaccio “Spero tu possa perdonare il modo bizzarro in cui ci siamo incontrati, si è trattata di un'emergenza. Ero in missione quando, attraversando il Sistema Solare, una pioggia di meteoriti sulla cintura di Giove ha colpito i propulsori del mio velivolo. Dopo aver perso rapidamente energia e controllo, mi sono visto costretto a ...”.

“Aspetta 'spetta 'spetta!” interruppe Guido, premendo una mano sul petto del ragazzo, che si ammutolì all'istante “... Mi vorresti far credere che sei un alieno?”.

Giorno fece un gesto col polso, facendo sparire in una pioggia di scintille blu i diagrammi disegnati in aria. Poi annuì con decisione “Trovandomi su un pianeta non mio, presumo di sì”.

Mista andò in tilt, lasciandolo senza parole, incerto perfino su come sentirsi a riguardo.

Davvero non riusciva ad associare all'adone a pochi centimetri da lui ad una testa a lampadina che tante volte aveva visto nei film. Quinto ne aveva una fifa terribile fin da bambino, faceva spegnere all'istante la televisione prima che potesse riapparire sullo schermo un'altra volta.

Senza rendersene conto, dopo un po' il cervello doveva essere andato in modalità autonoma, perché la prima cosa che si ritrovò a dire fu:

“Si, però... P-però di tutti i posti dove dovevi cadere proprio tra i fiori di mia madre? Già si lamenta per ogni respiro che prendo! 'E Guido trovati un lavoro, a quando ci fai conoscere la tua ragazza, hai ventitré anni, è ora di pensare a mettere su famiglia', è una piaga!” vomitò, in un crescendo di sgomento, dando voce ad ogni pensiero gli frullasse in testa senza la benché minima censura “E poi... Bimbo, che ti hanno insegnato i tuoi genitori o a scuola? Non si baciano mica le persone senza chiedere il permesso!”.

Che probabilmente era la cosa più stupida da dire in una situazione di contatto del terzo tipo con un essere misterioso, di cui non sapeva le intenzioni perché lo aveva interrotto.
Se ne ricordò solo allora, e temette di averlo fatto arrabbiare o scocciare di fronte alla moltitudine di sciocchezze appena proferite, invece non parve averci fatto troppo caso.

Dopo averlo ascoltato senza batter ciglio, si rannicchiò tra le sue braccia, con una tranquillità allarmante o spossatezza, non riuscì a capirlo.

“Ehi!” si lamentò indignato, agitandosi, per riavere l'attenzione su di sé.

“Perdonami, la carica sta finendo. Sono un essere fatto di luce, e senza” sbadigliò con grazia, posando la guancia fredda sul petto, una mano appoggiata contro la sua anca, morbida e delicata “Temo potrei correre il rischio di non potermi muovere più”.

Le unghie a mandorla, che aveva usato come tasti in precedenza, sfiorarono appena la linea dei boxer, e Mista alzò gli occhi al cielo, implorandolo di farle fermare prima che avvampasse al suo cospetto.

Non avrebbe potuto dire se la richiesta era stata ascoltata o meno, perché non appena riabbassò lo sguardo verso la creatura si accorse che era svenuta nuovamente, senza forze tra le sue braccia aperte. Inoltre poteva vedere, attraverso il corpo etereo in trasparenza, l'orma lasciata nel terreno e ciò che restava delle petunie.

Rafforzò perciò la presa sulla forma appena tangibile e si alzò sulle gambe, diretto a casa.

Doveva portarlo al sicuro e trovare un modo per aiutarlo.

Le tante domande che frullavano nella testa avrebbero dovuto attendere il suo risveglio.

  
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