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Autore: BabaYagaIsBack    13/05/2019    0 recensioni
●Book I●
Aralyn e Arwen anelano alla libertà. Fin dall'alba dei tempi quelli come loro sono stati emarginati, sfruttati, ripudiati, ma adesso è giunto il momento di cambiare le cose, perché nessun licantropo ama sottomettersi, nessun uomo accetta la schiavitù. Armati di tenacia e coraggio, i fratelli Calhum compiono la più folle delle imprese, rubando a uno dei Clan più potenti d'Europa l'oggetto del loro potere. In una notte il destino di un'intera specie sembra cambiare, peccato che i Menalcan non siano disposti a farsi mettere i piedi in testa e, allora, lasciano a Joseph il compito di riappropriarsi del Pugnale di Fenrir - ma soprattutto di vendicarsi dell'affronto subìto.
Il Fato però si sa, non ama le cose semplici, così basta uno sguardo, un contatto, qualche frecciatina maliziosa e ogni cosa cambia forma, mettendo in dubbio qualsiasi dottrina.
Divisi tra il richiamo del sangue e l'assordante palpitare del cuore, Aralyn e Joseph si ritroveranno a dover compiere terribili scelte, mettendo a rischio ciò che di più importante hanno.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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43. Confessions

Joseph osservò con stupore la schiena di Aralyn farsi strada all'interno della propria stanza – sospettava che la stanchezza gli stesse giocando qualche brutto scherzo, ma più istanti passavano, più le probabilità che non stesse sognando si facevano maggiori. 
Chiudendo la porta la seguì, spiando il modo in cui aveva preso a guardarsi attorno e studiare il suo eccessivo ordine, rimembranza del solito sé che non era riuscito a dimenticare. Nell'insieme, comunque, la situazione pareva essere stranamente confortante, quasi la figura di Aralyn fosse sempre stata nei luoghi da lui abitati, anche se in sordina, una sorta di immagine sfuocata agli angoli degli occhi; il fatto che fosse lì non generava in lui alcun disagio, ma piuttosto piacere, persino in prossimità dell'arrivo dei suoi confratelli. Lo rilassava vederla muoversi nella sua quotidianità, facendogli quasi credere che potesse davvero dimenticare tutto ciò che se ne stava al di là delle terre del Clan del Nord, di quel momento esatto, della porta di quell'anonimo hotel. In un'altra vita, forse, avrebbe potuto illudersi che il suo futuro, il loro, sarebbe stato così: riempiendo l'un l'altro i vuoti che non avevano mai avuto un nome o una forma – peccato che all'orizzonte vi fosse ben altro in arrivo. Già, perché i Menalcan stavano per mettere piede in Croazia, o forse erano già lì, in attesa di un suo comando che avrebbe messo fine alla farsa in cui aveva recitato per mesi, affezionandosi al ruolo che aveva interpretato.

Una stretta prese a torcergli lo stomaco e d'un tratto si rese conto di quanto fosse sbagliato trovarsi a desiderare la presenza di lei; perché le loro vite erano state create per non essere mai unite.

«Perché sei qui, Aralyn?» le chiese, sentendo in bocca il sapore più amaro che avesse mai saggiato. Senza rendersene conto aveva persino preso a stringere i pugni, impedendosi così di farsi sopraffare dalla frustrazione.

La ragazza di fronte a lui parve sussultare, venir stupita dalla domanda. Visibilmente imbarazzata cercò di tendere un sorriso: «Volevo far due chiacchiere, distrarmi un po'» rispose, lasciandosi cadere sul letto. Seduta sul bordo del materasso, con quell'espressione innocente, parve una sorta di bambina. 
Tra tutti aveva cercato lui, nonostante per quasi un mese, dal momento del loro primo bacio, avesse tentato di allontanarlo in tutti i modi. Cosa era cambiato?

«E io sarei la tua distrazione?»

Aralyn arrossì maggiormente, iniziando a mordersi il labbro e sviare lo sguardo di lui: «Sei anche uno dei tanti problemi» sibilò poi, incupendosi un poco; e con quella confessione, Joseph si sentì stringere maggiormente il nodo allo stomaco. Se per lei il "freno" era il suo ruolo nel clan, per lui avrebbe dovuto essere l'appartenenza elitaria al branco opposto - eppure, come aveva appena detto lei, erano entrambi sia il problema, sia la soluzione.

Joseph si chinò sulle ginocchia, in modo da mettersi più o meno alla stessa altezza di lei e osservarla in viso – quel conglomerato di tratti duri addolcito da mille espressioni dolci.
Rimase fermo alcuni istanti a fissarla, valutando quanto qualsiasi cosa potesse succedere, o lui fare, avrebbe poi fatto soffrire tutti e due; perché appunto, prima di tutto, erano male reciproco.

Se lei si trovava lì, però, voleva dire che a sua volta stava provando qualcosa, quindi perché non cogliere quell'occasione? Perché non conoscerla meglio? Perché non fingere per un'ultima volta?

«E ti andrebbe di distrarci davanti a qualcosa di caldo?» e quasi senza doverci pensare, un sorriso gli tese le labbra. Si sentì un mostro e al contempo l'uomo più contento di quell'angolo di terra nel farlo, conscio di starla conducendo nel tradimento peggiore che si potesse fare alla ragazza per cui si provava qualcosa.

La giovane si protese in avanti, quasi certamente cercando di scrutare nello sguardo di Joseph un qualsiasi motivo per rifiutare: «È pericoloso» gli ricordò, continuando a torturarsi il labbro.

«Ci sono io a prendermi cura del Pugnale» ribatté con fare malizioso, consapevole di non poterle promettere di salvare anche lei, nonostante lo volesse con tutto se stesso.

Vide Aralyn restare sorpresa dall'affermazione, forse venir addirittura sopraffatta da una sorta di delusione e ciò, purtroppo, gli ricordò quanto tutto fosse, e sarebbe sempre restato, un frangente labile delle loro vite. Però... però ci doveva essere un modo per evitare che i suoi confratelli l'aggredissero, ferissero o altro!

«Okay, allora andiamo» la sentì soffiare, per poi vederla alzare e dirigere verso la porta.

Armandosi della giacca, Joseph le corse dietro e, per i dieci minuti successivi, non fece altro che seguirla lungo i corridoi del loro alloggio, dopodiché per le strade ventilate della prima serata croata. Le stette accanto come un'ombra, senza però permettersi di dire nulla. Sapeva d'aver fatto una mossa sbagliata con quel commento, eppure mentirle alle volte diventava faticoso, quindi piuttosto che costringersi e rischiare di farsi scoprire, preferiva ovviare.

Così si mossero tra i pochi turisti e i tanti abitanti della città intenti a far ritorno alle proprie case o, come loro, a cercare un luogo in cui saziare gli stomaci vuoti.
Senza nemmeno consultarsi, entrambi cercarono di scovare la zona più tranquilla di Novigrad, sapendo che solo lì avrebbero potuto concedersi qualche ora di totale calma e intimità. Mossero un piede dietro l'altro, finché una piccola insegna dipinta a mano non catturò l'attenzione del Puro che, senza rendersene conto, afferrò Aralyn per il polso, costringendola a seguirlo fino all'ingresso.

Quello pareva essere il posto perfetto per stare insieme: piccole finestre avrebbero dato loro modo di osservare l'esterno senza però essere visti da occhi troppo indiscreti e lo spazio ridotto che sembrava contenere il locale gli avrebbe permesso d'avere la giusta intimità.

«Mangiamo pesce, ti va?» le disse una volta raggiunta la soglia, riprendendo a sorriderle. La lupa, dapprima confusa a causa dello slancio, si lasciò poi convincere senza grande fatica e, seppur visibilmente agitata, si fece condurre all'interno dell'edificio - una sola e ultima sera per dimenticare i doveri, ecco cosa si sarebbero concessi.
 

Nel momento in cui la presa di lui si era allentata e poi allontanata dalle sue mani, Aralyn aveva sentito dentro di sé crearsi una sorta di vuoto. Era stato un frangente e forse nemmeno se ne era accorta, ma aveva provato eccitazione per quel contatto.

Josh si occupò sia di scegliere il tavolo, un piccolo cerchio di legno nell'angolo più appartato, sia di ordinare per entrambi, azzardando persino due calici di vino che, visto il contesto in cui si trovavano, non era esattamente la cosa migliore da bere. I sensi non dovevano essere compromessi in alcun modo.

Prima ancora che uno di loro potesse intraprendere un qualsiasi tipo di discorso, il cellulare le vibrò in tasca e, svelta, lo estrasse dalla tasca della felpa per capire di cosa si trattasse, anche se quasi certamente doveva essere un messaggio di Arwen. Ancora non aveva ricevuto notizie da Vince, Sybille e Ichigo, quindi pregò con tutta se stessa che suo fratello avesse ottenuto più informazioni di quante ne avesse lei.

A onor del vero quando lo schermo fu sbloccato, nella chat comparve un aggiornamento riguardante quei tre. Per un attimo la lupa credette di poter finalmente tirare un sospiro di sollievo, ma quando arrivò alla fine delle poche e concise frasi non riuscì a trattenere uno sbuffo.

Gli emissari del Duca sarebbero arrivati a Novigrad l'indomani, e tutto a causa di una gomma bucata in un'area isolata.

Come previsto, quella missione stava cercando di ucciderla; non solo grazie ai nemici, ma anche all'ansia che la stava logorando sempre più.

«Qualcosa non va?» Josh parve accorgersi subito del suo malumore e, quando lei alzò gli occhi dallo smartphone, lo trovò intento a scrutarla con estremo interesse. Il cuore saltò un battito e per un istante Aralyn credette di sentirsi male – nonostante tutto, la luce tenue della candela al centro del loro tavolo metteva in risalto la bellezza del ragazzo, esattamente come faceva la Luna e, sfortunatamente, la cosa riusciva ancora a incantarla e, anzi, al posto di abituarsi aveva finito con il venirne sempre più soggiogata.

Mordendosi le labbra provò a tornare con la mente alla realtà: «No, nulla. O meglio... gli altri arriveranno domani mattina. Saremo bloccati qui per tutta la notte» confessò.
«E temi che ci possano scoprire?»
Lei si lasciò cadere contro lo schienale, conscia che persino sforzandosi non sarebbe riuscita a nascondere la verità: «Tu no?» gli domandò poi, spostando lo sguardo sulle posate. Intorno a loro il chiacchiericcio confuso degli altri commensali pareva far buono scudo alla loro conversazione, quindi non si preoccupò delle proprie parole.
Josh alzò le spalle, scuotendo la testa: «Vorrei non pensarci, se devo essere sincero»
«Hai paura?»

Il ragazzo provò ad abbozzare un sorriso: «Credo» ammise poi, lasciando avvicinare il cameriere con i calici e aspettando che se ne andasse per riprendere il discorso. Aralyn fece altrettanto, ma i secondi d'attesa le misero addosso una strana agitazione; la mente aveva preso a rimuginare su ciò a cui sarebbero potuti andare incontro e, del tutto contraria all'idea di rovinarsi quel momento speciale, provò a scacciare i pensieri con un altro argomento.

«Da quanto sei...» per la prima volta si trovò a non saper che termine usare, come definirsi. In fin dei conti non aveva mai affrontato un discorso del genere in pubblico, perché bene o male, con chiunque avesse instaurato un legame all'interno del Clan, c'era stato poi modo di parlare del passato negli spazi comuni della Tana, ma con lui invece no. Aveva cercato tanto di tenere le distanze che, alla fine, si era ritrovata a non saper quasi nulla sul suo conto.

D'un tratto qualcosa le venne in mente, così si protese un poco verso di lui: «come me

Il licantropo parve stupirsi di quella domanda e, smettendo d'annusare il profumo del proprio Pinot, si mise a riflettere. Sembrò quasi che stesse scavando sotto a strati e strati di ricordi, in modo da scovare il momento esatto in cui era avvenuto il cambiamento, ma senza preavviso, poi, rispose: «Abbastanza da sapermi muovere in questo mondo» le sorrise.

Era una risposta vaga, eppure soddisfacente per le sue orecchie. Aralyn dopotutto sapeva bene che per ogni persona era diverso, ma era anche conscia del fatto che ricordare l'aggressione di un mostro non era poi cosa piacevole.

«Tu invece?»

Colta alla sprovvista spalancò le palpebre, stupendosi. Nessuno glielo aveva mai chiesto, in particolar modo perché bastava conoscere le origini di Arwen per sapere anche le sue, ma Josh non doveva aver mai conversato con suo fratello riguardo a simili sciocchezze.

Un sorriso le tirò le labbra: «Da sempre, non si vede?»

L'espressione di Josh si trasformò in una maschera d'incomprensione. La risposta di Aralyn parve confonderlo più di quanto fosse mai successo con qualcun altro: eppure che c'era di strano? Lei e Arwen erano nati lupi, da sempre avevano vissuto una vita a metà tra quella degli umani e quella di creature sovrannaturali. I loro ricordi si alternavano tra corse folli a quattro zampe per i boschi e giornate di scuola qualunque.

Klaus, loro padre, era diventato un mannaro poco dopo aver conosciuto Veronika, la madre, che invece era figlia di una donna qualsiasi e di un Alpha dell'Est Europa. I fratelli Calhum, quindi, erano venuti al mondo già affetti da licantropia, ma ciò avrebbe continuato a catalogarli come Impuri – la loro non era una discendenza pura.

«Non... non capisco» Josh lasciò perdere il vino, troppo preso dalla confessione.
«Beh, non c'è molto da capire. I miei erano già in queste condizioni quando siamo venuti al mondo»

«Quindi vuoi dirmi che siete sempre stati parte del clan del Duca?»

Aralyn scosse la testa, divertita: «Una cosa non rende scontata l'altra» fece notare, prendendo poi un sorso dal proprio calice. «I miei genitori son morti presto, quindi Arwen ha dovuto fare la scelta migliore per entrambi. Non potevamo stare soli, eravamo troppo piccoli. I servizi sociali ci avrebbero divisi e... e con questa natura non saremmo sopravvissuti per molto tempo, o almeno io» la nostalgia prese ad accarezzarle il cuore, risvegliando in lei i ricordi di un passato per cui, nonostante gli anni, non aveva mai smesso di sentire la mancanza: «Così ha trovato qualcuno che potesse prendersi cura di noi, e quella persona è stata Tristan Moreau, il Duca».

Come già le era capitato di mettere in luce in precedenza, durante la degenza di Josh, lei aveva scelto di combattere per quel Puro solo a causa di Arwen, perché era lui il suo Alpha, e se le chiedeva di appoggiare una causa, Aralyn lo faceva. Ammirava e in parte condivideva le ideologie di quel vecchio lupo, gli era grata per tutto ciò che aveva fatto per loro, ma se non fosse stato per suo fratello non avrebbe mai deciso di lottare a quel modo per lui.

Il cameriere comparve nuovamente, questa volta portando loro le pietanze ordinate. Il profumo di platessa al forno e salmone alla griglia inebriò la ragazza, facendole venire l'acquolina in bocca; nonostante ciò, però, prima di abbuffarsi come il suo stomaco le supplicava di fare, pose una nuova domanda: «Dimmi qualcosa tu, ora. Perché hai lasciato il Clan in cui stavi?»

Josh le sorrise, scrollando ancora una volta le spalle: «Tanti motivi a dire il vero. Volevo dimostrare il mio valore, credo» dopo di ciò prese a tagliare la propria pietanza, facendo sfoggio di maniere a cui Aralyn non sembrava essere avvezza.

«E con la tua famiglia? Sanno dove sei? Cosa... cosa gli hai raccontato?» domandò lei, incuriosita più di prima da lui. Voleva conoscerlo veramente, scoprire ciò che pian piano lo aveva condotto fino alle porte del Clan del Nord.

Il ragazzo prese un primo boccone: «Loro sono una classica famiglia altolocata e megalomane. Hanno una particolare ossessione per il potere e non si fermano davanti a nulla. Alle volte penso che sia stato un bene allontanarmi da loro, ma...» d'un tratto si fermò, visibilmente preso a soppesare le parole che avrebbe dovuto usare: «ma si torna sempre a casa, alla fine».
Lo sguardo di Josh si fece lontano, malinconico e, d'improvviso, Aralyn sentì il cuore stringersi dolorosamente nel petto.

Cosa stava cercando di dirle? Forse che se ne sarebbe andato?

   
 
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