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Autore: Enchalott    14/05/2019    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Impalpabile traccia.

Eudiya spalancò le porte degli appartamenti privati del figlio e una lama vivida di luce esterna saettò nella penombra della stanza, oscurata dai pesanti tendaggi damascati che sfioravano il lucido pavimento.
Il pulviscolo dorato e impalpabile che si era depositato a terra fluttuò nell’aria, scintillando attraverso il taglio di sole che aveva fatto irruzione nella sala.
Era insolito trovarsi in un ambiente così buio all’interno del palazzo reale, che possedeva ampie finestre polifore, comunemente schermate da leggeri drappi di velo, atti solo a impedire il passaggio della sottile sabbia del deserto.
La regina si avvicinò agli scuri di legno intarsiato e li aprì con un certo sforzo, segno che non era un’operazione che veniva compiuta usualmente dal proprietario degli alloggi.
Il giorno rovente inondò la stanza, restituendo identità ai particolari.
Dionissa avanzò con cautela, sollevando la lunga veste, temendo di cancellare le possibili tracce utili a capire dove fosse sparito suo fratello.
Gli uomini inviati alla sua ricerca erano ormai rientrati da giorni, amareggiati e scoraggiati per non aver trovato neppure il più piccolo indizio sulla scomparsa del loro principe. L’unica speranza ancora accesa era quella di rinvenire qualcosa di significativo nel luogo in cui lui si ritirava abitualmente.
La principessa pensò che l’atmosfera riflettesse a gran voce il carattere di Shion: riservato e schivo, incerto e difficile da interpretare.
Come avevano già constatato, il Diadema con le tre Pietre non si trovava neppure lì, fatto che avvalorava l’ipotesi del rapimento. A meno che il giovane non lo avesse occultato in qualche sportello segreto per celarlo ad eventuali nemici. Ma un comportamento del genere sarebbe stato piuttosto bizzarro, poiché il posto in cui l’oggetto sacro veniva custodito era il più sicuro dell’intera capitale. Magari, non aveva fatto in tempo a riporlo lì.
Tutto lasciava pensare che Shion fosse stato prelevato con il manufatto addosso, ma a ben vedere non c’erano segni evidenti di lotta e regnava un ordine perfetto.
Forse, troppo perfetto.
La veggente comprese che la madre stava ponderando le stesse riflessioni quando la donna si avvicinò al letto, esaminando attentamente l’assetto del corredo.
“Ho fatto sigillare la stanza appena abbiamo capito che Shion mancava dalla reggia” affermò “Pertanto o non ha dormito qui la notte precedente alla sua scomparsa o si è sistemato da solo le coperte… e su questo avrei dei dubbi”.
“Sei certa che nessuna cameriera particolarmente zelante sia entrata a rassettare in questi giorni?”
“Assolutamente sì” replicò Eudiya “Ho sequestrato personalmente la chiave e me la sono tenuta al collo per non perderla. Che io sappia, non ne esistono copie”.
“Allora il mistero si infittisce” sospirò Dionissa.
“Tu non hai percepito nulla di inconsueto?”
“Al momento no, mi dispiace”.
“Non preoccuparti di questo. Sono certa che se ci fosse qualcosa di strano e minaccioso, il tuo Kalah ti metterebbe in guardia”.
“Mi piace pensare che sia ancora così…” mormorò mestamente la ragazza.
La regina ebbe una stretta al cuore. La figlia era ogni giorno più debole e diafana: i segni della malattia erano profondi ed evidenti sul suo corpo di giovane donna, che però rifiutava di rassegnarsi. E poi la sua visione si era ulteriormente offuscata ed era palese, ormai, che la causa di quella che comprendeva essere per lei una vera e propria menomazione non poteva essere unicamente il male che la stava prosciugando. C’era un nemico a cui non era stato sufficiente attendere la morte naturale della ragazza, che aveva ordito il suo omicidio e continuava a interferire con il suo potere di chiaroveggenza e interpretazione. Probabilmente, era anche colpevole della sua mancata guarigione. Dionissa si opponeva strenuamente, forte nell’anima quanto non poteva esserlo nel fisico, ma era giunta al limite dell’umana resistenza.
A ciò andava, inoltre, sovrapponendosi l’assenza di Aska Rei. Eudiya sospettava che tra i due ci fosse qualcosa di molto più profondo dell’amicizia, ma aveva rispettato la privacy della figlia, evitando di porle domande scomode ed attendendo che fosse lei ad entrare in argomento. La cosa certa era che il valoroso comandante della Guardia doveva mancarle terribilmente… o non avrebbe portato il ciondolo di lui sempre con sé come qualcosa di estremamente caro.
La veggente passò le dita sullo scrittoio di legno chiaro, accarezzandone la superficie liscia e sgombra. Una pila di carta da lettere color avorio, fregiata con il logo reale, troneggiava in un angolo, mentre la lunga penna ornata di vetro trasparente era abbandonata con noncuranza sul primo foglio e scintillava alla luce.
Dionissa ebbe un sussulto e le sue sopracciglia sottili si corrugarono in un’espressione di stupito dubbio.
Si chinò verso la risma per osservare meglio la stranezza che aveva colto: la carta era intonsa, ma la zona su cui poggiava lo stilo pareva vergata di inchiostro semi trasparente. Spostò l’oggetto e la labile traccia svanì.
“Mamma…” chiamò concitata.
Eudiya abbandonò l’ispezione in corso e si diresse al tavolo, osservando la figlia che reggeva la penna con premura.
Con un gesto calibrato, Dionissa la appoggiò dov’era prima e il sole la attraversò, proiettando un cono di luce più intensa e nitida sulla pagina bianca, ma parimenti producendo delle piccole ombre simili a lettere là dove essa era più acuta.
“Ma che…?”
La regina ragionò con velocità e aprì sbrigativa uno dei cassetti, cercando frettolosamente ciò di cui aveva bisogno: ne trasse un pezzetto di materiale scuro e poroso, simile a una radice essiccata.
Kafri?” mormorò la principessa, osservando la madre che sfregava con forza la sostanza su una piccola grattugia metallica.
La polvere bruna cadde lieve sul foglio, sparpagliandosi.
“Sì, si usa per annerire l’inchiostro” rispose Eudiya, terminando l’operazione “Ora guarda…”
Passò delicatamente il polpastrello dell’indice sulla carta, che assunse un colore fumoso: tuttavia, le zone che erano state percorse dallo stilo ed erano state segnate dalla pressione del pennino rimasero prive di colore, iniziando a delineare uno scritto.
“Oh!” fece Dionissa stupefatta “Dove hai imparato un trucco del genere?”
“Sono stata adolescente anch’io!” rise la donna “E tuo nonno Zheule era incredibilmente severo! Mi controllava sempre, così usavo questo sistema per comunicare con le amiche e, soprattutto, con tuo padre. Non mi andava che altri ficcasse il naso nei miei affari privati”.
“Con papà? Che idea romantica!” esclamò la ragazza, illuminandosi.
Eudiya annuì, sorridendo alla dolcezza del ricordo.
“Utile e necessario più che altro” rispose, pensando alla sostanza degli eventi intercorsi tra lei e Stelio.
“E’ la calligrafia di Shion!” enfatizzò la veggente con sicurezza, tornando ad analizzare la carta.
Le piccole lettere vergate sulla pagina sembravano costituire degli appunti rapidi che il principe aveva ricopiato da qualche testo o documento.
Le due donne avvicinarono lo scritto alla finestra, tentando di raccapezzarsi, con l’aspettativa incollata ai cuori.
“… dal Nord verrà la Distruzione e avrà tre occhi di freddo ghiaccio e l’animo divorato dall’atro buio partorito dal rancore…” lesse Dionissa sconcertata.
… camminerà imprimendo orme di morte verso il confine del Mondo, il suo esercito sarà dolore e vendetta…” continuò Eudiya con l’angoscia nella voce.
“Mamma…”
Le iridi verdi della veggente erano due pozzi di terrore e incredulità. Il foglio le sfuggì dalla mano tremante e volteggiò al suolo in una piroetta di disfatta.
“Non… non capisco” esalò la regina, allibita, chinandosi a terra e tentando di decifrare le ultime righe rimaste “… condurrà il destino prescritto al suo compimento, ormai privo di scelta, trascinerà con sé i mortali al miserevole nulla… Per tutte le stelle! Se non la conoscessi quasi a memoria sembrerebbe…”.
“La Profezia…” ansimò la principessa, reggendosi al davanzale di marmo, scossa da un tremito irrefrenabile.
“Ma… ma non è possibile! Non c’è scritto nulla del genere sui Libri Sacri, lo sai anche tu! Lo stile è simile, tuttavia…”
“No…” boccheggiò Dionissa, deglutendo saliva e orrore “Io… io credo che questo sia uno stralcio di cui noi non siamo in possesso. Oh, che Amathira ci protegga!”.
La regina trattenne il respiro, intuendo la terribile deduzione della figlia.
“Se fosse come tu sostieni” articolò con fatica estrema “Se davvero tu avessi ragione… vorrebbe dire che si tratta della trascrizione della parte che è custodita a Iomhar! Non ne esistono altre!”.
La veggente annuì, soffocando un singhiozzo.
“Ma è impensabile!?” gridò la donna, in preda all’ansia “Perché questo passo si trova qui? Perché Shion l’avrebbe vergato di suo pugno? Lui non si è mai allontanato da Erinna… e poi non è uno studioso di manoscritti arcaici!”.
Gli occhi della ragazza si velarono di lacrime disperate. Le inghiottì, inalando l’aria che le era venuta a mancare, cercando quella forza d’animo che le era brutalmente necessaria per affermare ciò che il suo ruolo e il suo intelletto le imponevano.
“Non esiste dubbio, mamma. Sono le parole della Profezia o non avrebbero su di me un effetto tanto folgorante. Le riconosco. Le sento scorrere nel sangue, ma a differenza di quelle custodite qui, queste sono come un veleno e mi stanno bruciando le vene con la loro aspra violenza. È la fine di tutto che descrivono con tanta solennità. Se ciò non fosse bastevole, combaciano in modo pressoché perfetto con la nostra parte, che ho controllato e interpretato durante tutta la mia vita”.
Eudiya bevve quelle parole amare e avvertì una crepa lancinante nel petto.
Dionissa si asciugò il viso, rigato di pianto.
“Mamma…” continuò con pena “Se Shion non è in grado di interpretare gli antichi testi e non ha mai viaggiato al Nord…”
“Significa che qualcuno è venuto qui da Jarlath per farglieli avere” completò la regina con uno sguardo annientato.
Dionissa restò in silenzio, incapace di staccarsi da quelle brevi e sciagurate righe, che andavano oltre l’infausto presagio.
La regina si riebbe per prima, infiammandosi come brace al vento.
“Mi rifiuto di credere a un’ipotesi del genere! Perché mai Shion avrebbe dovuto chiedere ad altri o cercare la Profezia serbata dal Nord? E se così fosse, perché non ne ha parlato con noi? Magari Adara non sarebbe stata costretta a partire…”.
La giovane scosse la testa, priva di risposte plausibili che potessero giustificare il comportamento del fratello o la sua scelta di tenere segreta la sua ricerca.
“Io credo…” azzardò timidamente “Che lui sia stato profondamente e sinceramente preoccupato per la sorte dei Due Regni. Che si sia sentito inutile a fronte dell’ineluttabilità che traspare dalla maledizione che Amathira ha posto su Irkalla. Che si sia nutrito della sensazione di solitudine e dell’insicurezza del suo temperamento e che qualcuno ne abbia approfittato. Che abbia avuto un moto d’orgoglio, lo stesso che lo ha portato a non confidarsi con me l’ultima volta in cui ci siamo parlati, e abbia risolto di provvedere a suo modo, forte di un aiuto insperato. Ha cercato di svolgere il suo compito di reggente provvisorio, tentando di trovare da solo una soluzione che potesse esserci d’aiuto. Non possiede il Kalah come me, non è audace come nostra sorella, non ha la tua autorevolezza, ma si è trovato ad essere l’unico uomo di casa. Ha creduto di essere superfluo, di avere fallito… e noi non ce ne siamo accorte…”
“Shion non può aver pensato questo! Non può essersi sottovalutato così!” dichiarò Eudiya, affranta “Perché non ha condiviso con noi le sue sensazioni? Io sono sua madre! Perché si è chiuso in se stesso?”
“È impossibile comprendere a fondo ciò che alberga nel cuore di un essere umano. Shion è sempre stato il più fragile di tutti noi. Io mi rifiuto di considerare il fatto che mio fratello abbia intrapreso questa strada per nuocere alla sua famiglia, pertanto posso solo figurarmi che abbia agito per un nobile fine. Dobbiamo cercare altre tracce, altre prove delle sue buone intenzioni, perché non può… non può aver deliberato con malizia…”
Nella mente della regina l’accusa di tradimento portata alla casata reale dagli Aethalas risuonò con il fragore di un tuono estivo.
“No!” disse perentoria “Non voglio neppure sentire quel termine spregevole!”.
“Sono sicura della sua innocenza, mamma” sospirò Dionissa “Pertanto dobbiamo scoprire a chi si è rivolto, prima di comprendere le sue motivazioni recondite… forse questo ci aiuterà anche a capire che cosa ne è stato di lui”.
La donna approvò con un gesto del capo e si voltò a osservare la folta biblioteca privata del principe, ordinatamente disposta sugli imponenti scaffali di legno.
“Cominceremo da lì” disse “E dovremo agire in fretta”.
“Mamma…” la richiamò la veggente con desolazione “Io credo nella buona fede di Shion. Ma non in quella di chi gli ha fornito questo brano. Sono poche le persone che hanno accesso al testo sacro, anche al Nord… e sono tutte in grado di ingannare un giovane inesperto e desideroso di riscatto, se non con le parole con la magia”.
Eudiya rabbrividì, nonostante il caldo.
“Stai pensando ad Anthos?”.
La veggente scosse il capo, priva di idee scontate.
“E’ quello che temo” ammise.
Poi, strinse forte il braccio della madre, con la sofferenza negli occhi.
“Dimmelo…” sussurrò lei, sapendo che la figlia stava raccogliendo il coraggio per esprimere appieno i pensieri che la stavano attanagliando.
“Il nostro affetto per Shion non dovrà interferire. Sarà penoso, ma il nostro giudizio dovrà essere imparziale, privo di sentimenti. Una prova ardua per entrambe”.
“Lo so”.
“Noi…” sussurrò la ragazza “… quasi certamente incroceremo il cammino di Irkalla”.
La regina sussultò.
“Potrebbe essere stato Irkalla a fare questo?” domandò sconvolta.
Dionissa annuì.
“Non solo. Shion potrebbe essere… Irkalla!”
“No! No! Il dio della Distruzione non può allontanarsi dal Nord! La Profezia parla chiaro! E’ una considerazione infondata!”
“Non fisicamente. Però può prendere possesso di un altro corpo e allungare i suoi artigli letali su Erinna. Il suo potere è immane, non so fin dove possa giungere”.
“Troverà me!” esplose Eudiya “Non avrà mai Elestorya! E neppure mio figlio!”
“Io spero con tutta me stessa che non gli abbia già fatto del male, se di lui si tratta”.
“Muoviamoci, allora!” disse la donna con energia.
Si avvicinarono alla libreria e iniziarono a sfilare i volumi dagli scaffali ad uno ad uno, osservandoli con cura, ricercando con attenzione eventuali collegamenti con le ricerche precedentemente svolte dal principe.
Si sedettero a terra, sfogliando le pagine in modo quasi convulso, perdendo la nozione del tempo e rivolgendosi solo poche parole quando qualcosa attirava particolarmente il loro interesse.
All’improvviso, un bussare frenetico le distolse dal prezioso lavoro.
“Chi osa disturbarci?” borbottò la regina con disappunto, sollevandosi.
Aprì bruscamente il battente e si trovò difronte una guardia, già profondamente inchinata a titolo anticipatorio di scusa.
“Avevo comandato di non importunare né me né mia figlia per nessun motivo!”
“Domando venia, mia signora” balbettò il soldato con pesante imbarazzo “Ma avete ordinato di essere immediatamente avvertita quando mastro Omiron avrebbe completato l’analisi sulla scheggia di vetro rinvenuta nella stanza della principessa”.
“Allora la ragione è valida” ammise lei con più calma “Fallo venire con urgenza!”.
“È qui fuori, altezza”.
Il corpulento erudito non si fece attendere e si precipitò nel vestibolo, soffiando come un mantice a causa della rapida corsa su per le scalinate dell’ala riservata.
Non prese neppure fiato e mostrò gesticolando il piccolo frammento blu, contenuto in uno scatolino trasparente; l’altra mano stringeva un fascio di fogli arrotolati.
“Viene dal Nord!” ansimò con aria di trionfo “Ho verificato la componente del vetro e non ci sono dubbi. Non solo il pigmento azzurro della pasta, ma anche gli elementi chimici che compongono la boccetta non sono nostrani!”
“Questo non significa nulla” obiettò Eudiya un po’ crucciata “L’assassino avrebbe potuto benissimo acquistare l’ampolla in uno dei mercati di Iomhar e portarla qui”.
“È vero, ma la sostanza velenosa che ha lasciato queste macchie scure costituisce un’altra prova importante” continuò lui con un pizzico d’orgoglio.
Dionissa fissò il residuo con impazienza e con una spiacevole sensazione nel petto.
“Si tratta di rath. È un’essenza estremamente tossica che si ricava distillando la corteccia di un arbusto che cresce alle basse temperature. Non se ne trova uno in tutto il Sud, non resisterebbe neppure un’ora nella nostra terra”.
“Anche questo potrebbe essere stato importato” ribatté la regina, poco convinta.
“Sarebbe così se l’alchimista lo avesse mescolato con del labhair, che serve per impedire il deterioramento dell’ingrediente mortale del veleno. Invece è assente, il rath è stato usato puro. Perciò l’omicida l’ha adoperato poco dopo averlo distillato, altrimenti non avrebbe avuto l’effetto rapido e fatale cui purtroppo abbiamo assistito”.
La regina osservò con apprensione l’ormai innocuo pezzetto blu.
“Ecco…” continuò l’ometto un po’ sulle spine “L’unica cosa che non riesco a spiegarmi è come una sostanza del genere sia potuta arrivare ancora attiva qui a Erinna. Certamente non può essere stata recata da uno strik e neppure da un latore umano in così breve tempo”.
Dionissa invece lo sapeva perfettamente.
Il suo cuore prese a battere furiosamente e non si rilassò neppure quando la madre congedò l’abile studioso, pregandolo di non farne parola con nessuno per ragioni di sicurezza e ringraziandolo per l’alacrità dimostrata.
Quando la regina chiuse con un colpo la porta alle loro spalle, tornando nella camera del principe, la veggente la guardò con grave consapevolezza.
“Magia, vero?” sospirò Eudiya, ormai rassegnata alla verità dei fatti.
“Oppure…” aggiunse lei con tetro abbandono “Il mago in persona”.
La donna si portò dolorosamente le dita alle tempie, senza più essere in grado di trattenere l’angoscia che l’abbrancava.
“Questo dimostra indubbiamente che il Nord ci è nemico e che…” le parole le si bloccarono in gola.
“Adara…” gemette la veggente “Se dovessimo rinvenire qui altri brandelli della Profezia di Jarlath, significherebbe che qualcuno ha raggiunto il nostro palazzo, li ha passati a Shion con chissà quale scusa e poi li ha occultati per avere un vantaggio su di noi. Per fare in modo che Adara partisse”.
Eudiya si accasciò pesantemente sul morbido divano, prendendosi la testa tra le mani, in un moto di disperazione.
“Mamma!” gridò Dionissa, stringendole le spalle con preoccupazione.
“Dobbiamo avvisare tua sorella! Ora! Ti prego, tesoro, cerca di concentrarti. So di chiederti molto, ma non c’è altra possibilità per salvarle la vita!”
La veggente impallidì, ma chiuse gli occhi e iniziò a respirare con regolarità.
Richiamò la visione e la realtà cominciò a vibrare, a dissolversi come il vapore di una sauna, a cambiare gradualmente colore. Cercò la percezione di sua sorella, la sua essenza, il suo mondo interiore, ma un’ombra calò sul suo sguardo divinatorio e bloccò il suo Kalah con forza soverchiante. Era come un’ustione lacerante sulla pelle, come l’impossibilità di correre quando si desidera fuggire.
Provò a spezzare la coercizione, ma fu respinta da una minaccia, da qualcosa di oscuro e malvagio, che a sua volta reagì per raggiungerla.
Dionissa dovette rinunciare e spalancò le palpebre, annaspando in cerca d’aria e sudando copiosamente. Realizzò di essere sdraiata sul sofà e che la madre la stava chiamando con apprensione, stringendole la mano.
“Mi… mi dispiace…” tossì penosamente, con le labbra che tremavano per lo sforzo e per l’umiliazione.
“Non avrei dovuto chiedertelo, perdonami” mormorò Eudiya “Ma è stato l’unico modo che ho trovato per…”
“Lo è, mamma…” la interruppe la giovane, altrettanto avvilita “Sono desolata per la mia impotenza. E la cosa peggiore è che non so come fare!”.
La regina la strinse forte a sé, impedendo alla commozione di prendere il sopravvento.
In quel momento, un’enorme ombra alata attraversò il cortile del palazzo, passando armoniosamente davanti alla finestra spalancata. Un frullare di piume, preceduto da un lungo richiamo stridente, annunciò lo strik che si posò sul davanzale.
“Azhulio!” esclamò Eudiya con una nuova luce nello sguardo.
 
 
Màrsali percorse il lungo corridoio di pietra, sporadicamente illuminato dalle fiaccole infilate negli anelli di ferro del muro: aveva l’aspetto di una scacchiera a due colori. Bianco e nero, così avrebbe descritto anche le sue sensazioni nell’affrontare quel cammino.
Era felice nel suo abito candido, per infinite ragioni, ma anche terribilmente preoccupata che qualcosa potesse andare storto, che qualcuno particolarmente acuto smascherasse la farsa o che una magia oscura rivelasse a tutti che lei era ancora in pieno possesso dei suoi poteri.
Aveva paura per sé e soprattutto per Kesthar.
Il passaggio terminò in una stanza di medie dimensioni e la luce più intensa, cui non era abituata, le fece strizzare le palpebre, riportandola al presente.
“Siamo arrivate” flautò Ide al suo fianco.
La ragazza mise a fuoco l’ambiente, decorato in modo spartano, che presentava una doppia fila di pesanti panche di legno allineate l’una davanti all’altra. Erano quasi tutte vuote e le poche persone presenti occupavano parzialmente le prime file.
Al centro, su un’ara di forma allungata, bruciavano tre voluminose candele che riproducevano i colori dello stemma di Iomhar: blu, azzurro e argento.
Un uomo altro e segaligno, con una folta barba bianca e vestito con i paramenti sacri a tutti gli dei, la fissò con un guizzo di comprensione negli occhi azzurri, ma non proferì parola. Era il celebrante, il fehart che avrebbe officiato le nozze. La ragazza notò che sugli indumenti rituali dell’anziano mancava la luna, simbolo di Amathira. Non si stupì.
La cuoca del palazzo la fece arrestare sulla soglia.
Il cuore di Màrsali iniziò a pulsare all’impazzata, quando vide Kesthar fare il suo ingresso nella stanza a un cenno del sacerdote.
Per l’occasione il guardiano della prigione aveva raccolto i capelli arruffati in una coda ordinata e l’ispida barba bruna appariva invece curata. Le fiamme che rischiaravano la sala si riflettevano sulla lunga cicatrice che gli segnava il viso e gli conferiva un aspetto disumano.
Non indossava un abito da cerimonia, ma i suoi vestiti in pelle e cuoio erano puliti, la fibbia argentata che chiudeva la cintura era lucida e un pesante mantello nero era legato alla sua spalla sinistra da un fermaglio metallico.
I suoi occhi scuri si posarono su di lei, privi di espressione.
Màrsali abbassò lo sguardo, in piena agitazione.
“Chi conduce la donna promessa a quest’uomo?” domandò il celebrante, dando via al rito millenario dell’unione.
“Io!” rispose Ide con sicurezza, prendendo sotto braccio la veggente e accompagnandola verso l’altare in pietra “Sono anche la sua testimone, se voi mi date il vostro autorevole permesso”.
Il fehart assentì e fece cenno ad uno dei presenti di prendere posto accanto al demone delle carceri. Poi si rivolse agli sposi.
“Davanti a me, Rodhri, sacerdote del santuario minore di Jarlath, e davanti ai convenuti date voce alle vostre libere promesse, sugellandole con il giuramento che vedrà lo spegnersi di una di queste tre fiamme sacre”.
Il granitico Haffgan fece un passo avanti e afferrò la mano della giovane.
“Io, Kesthar di Odhran, assumo il mio voto sulla Gemma sacra del mare, qui rappresentata dalla prima candela. Liberamente mi impegno e giuro di non ingannare la donna che prendo in sposa, promettendole fedeltà”.
Soffiò sulla candela blu, estinguendone la fiamma.
Ide diede un’impercettibile gomitata alla ragazza, che se ne stava col fiato sospeso a fissare il sottile filo di fumo proveniente dallo stoppino annerito, inconsapevole del fatto che fosse giunto il suo turno.
“Io, Màrsali della perduta Odhran…” pronunciò lei con incertezza, riprendendosi con un sussulto “Assumo il mio voto sulla Gemma sacra dei fiumi, qui rappresentata come seconda candela…”
Kesthar le aveva detto di essere in grado di leggere le labbra, da quando era divenuto quasi sordo e lei lo stava guardando dritta negli occhi. Nessuno sarebbe riuscito a comprendere il valore dei suoi attimi di apparente silenzio a quella distanza, nessuno se non lui. Sollevò il viso.
“Liberamente mi impegno…” continuò con ricercato stentare.
Sono libera perché tu sei davvero nel mio cuore
“… e giuro di non ingannare l’uomo che prendo come sposo…”
… perché ti devo la vita e la forza che serbo nell’animo…
“… promettendogli fedeltà”.
… e in qualche modo ricambierò ciò che stai facendo per me.
La candela azzurra si spense al suo alito lieve.
Gli occhi scuri, dall’intensa sfumatura blu notte del demone custode scintillarono di commozione. Strinse più forte la mano che teneva nella sua, ma rimase indifferente sotto lo sguardo curioso dei presenti.
“Che cosa desideri per la tua sposa, Kesthar di Odhran?” proseguì l’officiante.
“Che mi dia presto un figlio” asserì lui freddamente.
“E tu, Màrsali di Odhran, che cosa desideri per il tuo sposo?”.
La veggente inspirò e vagliò la risposta, come se la stesse davvero cercando.
“Che sia felice” replicò timidamente.
I convenuti mormorarono sorpresi dall’inconsueto augurio.
A Ide sfuggì un “ooh” di romantico entusiasmo.
Rodhri la guardò con aperta ammirazione, prima di smorzare il cero color argento, che rappresentava i ghiacci di quella terra maledetta dalla dea del Cielo.
“Così è stabilito, da ora e per sempre” sancì solenne, concludendo il rito.
Kesthar trasse di tasca un cerchietto metallico color rame e lo infilò al dito della moglie. Poi le passò un pesante anello dorato, affinché facesse lo stesso con lui.
Màrsali lo riconobbe. L’aveva intravisto in una visione, tempo prima. Lo mise all’anulare del marito e con profondo sgomento si sentì girare la testa.
No. Non in quel momento. Non davanti a tutti…
Una sorta di nebbia le calò davanti a gli occhi, facendole perdere la percezione della realtà. Cedette e si sentì afferrare da qualcuno, mentre le immagini confuse della visione mistica iniziarono a fluire davanti a lei.
   
 
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