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Autore: Abby_da_Edoras    15/05/2019    6 recensioni
Con questa long fic vado a infastidire anche la prima stagione della serie TV "I Medici", ma per un buon motivo: come sempre, salvare la vita ai personaggi che mi sono piaciuti e, anche in questo caso, uso la tecnica della leggerezza, della parodia, e inserisco un personaggio originale, Giovanni Uberti, il cui prestavolto è l'attore che interpreta Jeremy Gilbert in The Vampire Diaries (non c'entra niente, ma mi piaceva!). Dunque, Giovanni arriva a Firenze per motivi tutti suoi, personali e familiari, e si troverà suo malgrado proprio nel bel mezzo delle lotte intestine tra Medici e Albizzi. Nonostante all'inizio non voglia assolutamente farsi coinvolgere, poi si troverà fin troppo coinvolto! E sarà lieto fine per tutti, perché io scrivo per questo.
Voglio mettere in chiaro che in questa storia mi ispiro esclusivamente alla serie TV e che non voglio minimamente arrecare offesa a qualunque personaggio storico venga nominato. Per le parti relative agli Uberti e alla loro storia, mi ispiro al romanzo "Il Cavaliere del giglio" di Carla Maria Russo.
Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni appartengono a autori, registi e produttori della serie TV "I
Genere: Angst, Commedia, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Medici Abby's Version'
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Capitolo secondo
 
Non ho l’arroganza di piacere a tutti i costi
Ma non far di me il bersaglio dei tuoi fallimenti
Ho una madre e un padre
A cui devo davvero tanto
La mia scala di valori parte dal rispetto
Scegli tu se preferisci
Starne fuori o dentro.
Sotto effetto degli affetti mi difenderò da te
E da tutte le tue cattiverie
Sotto effetto degli affetti io mi sento a casa
Mentre la vostra brucia…

(“Malelingue” – Emma)
 
Giovanni si trovava a Palazzo Medici da circa tre settimane e, se la situazione a Firenze si faceva sempre più fosca, con la guerra e le tasse che impoverivano sempre di più il popolo, la presenza di quel ragazzo pareva aver rasserenato i rapporti che, solitamente, erano piuttosto tesi. Lorenzo, il fratello di Cosimo, aveva preso Giovanni in particolare simpatia, considerandolo in un certo senso il figlio che non aveva avuto; Piero e Lucrezia, che aspettavano il loro primo figlio, erano diventati buoni amici del giovane e si sentivano sollevati di avere finalmente in casa un ragazzo più o meno della loro età col quale ridere e scherzare. L’atmosfera di Palazzo Medici era sempre così ansiogena e tetra e, almeno, Giovanni stemperava i vari conflitti che esistevano tra i familiari: Cosimo che non aveva abbastanza fiducia in Piero, Contessina che si sentiva continuamente respinta da Cosimo, Piccarda, l’anziana madre dei due Medici, che sembrava avercela con tutto e con tutti… insomma, cose così.
Tanto per alleggerire le cose, Cosimo aveva deciso di usare le decime destinate al Papa per costruire, finalmente, la famosa cupola della Cattedrale e questa sua scelta, sulle prime, aveva innervosito parecchio il resto della famiglia, poi, però, le cose erano andate migliorando.
“Avete ragione, padre” aveva detto Piero con entusiasmo, ricevendo un’occhiata di approvazione da Cosimo. “Questo permetterà di creare lavoro per la popolazione e risolleverà le sorti di Firenze!”
“Sembrerebbe pazzesco, ma credo proprio che tu abbia ragione” aveva approvato anche Lorenzo. “La gente di Firenze ti sarà grata per aver dato loro un’occupazione e non lo dimenticherà.”
Così, il giorno seguente, mentre Cosimo si trovava nella Cattedrale con il figlio Piero e con Brunelleschi, che esponeva con molta enfasi le sue idee sulla realizzazione della cupola, Lorenzo e Giovanni accoglievano tutte le persone che desideravano lavorare a quell’opera, dividendole secondo le mansioni e offrendo loro qualcosa da mangiare per ristorarsi.
Proprio sul più bello, tanto per rompere le uova nel paniere e forse anche qualcos’altro, giunse a cavallo, direttamente dal fronte di Lucca, Rinaldo degli Albizzi con il figlio Ormanno e squadrò con un’espressione di sincero schifo la scena che gli si parava dinnanzi.
“Cosa state facendo con questa gente, Medici?” domandò, ovviamente senza nemmeno degnarsi di salutare, caso mai gli avesse fatto male alla salute.
“Cosimo ha deciso di iniziare i lavori per la costruzione della cupola” rispose Lorenzo, con un gran sorriso a presa in giro.
“Cosa? Adesso? E non aveva un qualsiasi altro momento per mettere in atto questa idea assurda?”
“Voi portate la guerra e la distruzione, Messer Albizzi, i Medici portano lavoro e ricostruzione” replicò tranquillo Lorenzo.
“Ah, beh, meglio così” commentò sprezzante l’uomo, rivolgendosi al figlio. “Questa follia li porterà più in fretta alla rovina.”
E, con quella frase a effetto, Albizzi si allontanò insieme al figlio. Eppure, prima di andarsene, fece in tempo a sentire la battuta pungente che Giovanni rivolse a Lorenzo.
“Messer Lorenzo, il signore a cavallo è venuto a risollevarci lo spirito, a quanto pare” disse, con un mezzo sorriso. “Dev’essere uno di quelli che vedono sempre il bicchiere mezzo vuoto!”
Lorenzo scoppiò in una gran risata.
“Più che altro, Rinaldo Albizzi si fa un punto d’onore di mettersi sempre contro la nostra famiglia, qualunque cosa diciamo o facciamo” spiegò.
“Ah, ecco, le cose non sono cambiate poi tanto rispetto ai tempi dei miei antenati” mormorò Giovanni, deluso. Ricordava fin troppo bene le storie sulla famiglia Donati e tutti gli intrighi che avevano tramato pur di rovinare gli Uberti… questo Albizzi sembrava fatto della stessa pasta, purtroppo.
In parole povere, un gran rompiballe!
Comunque non era destino che la cosa finisse lì.
La guerra contro Lucca si stava rivelando sempre più devastante per il popolo di Firenze e Cosimo decise di aggirare l’ostacolo e rivolgersi direttamente al generale Francesco Sforza, che guidava l’esercito dei milanesi, per trattare la pace. Partì dunque con il figlio Piero, senza che la Signoria e i Priori ne sapessero un bel niente, raggiunse l’accampamento dei milanesi e concluse la pace, promettendo a Sforza una bella somma di denaro (gentilmente offerta dalle corporazioni di Lucca perché… beh, sì, il generale Sforza era comunque ancor sempre un mercenario!).
Tutti felici e contenti, dunque… con buona pace di Albizzi che non aveva idea di che cosa fosse accaduto!
Così, un paio di settimane dopo, ci fu un’importante riunione al Palazzo dei Priori per votare se continuare a finanziare la guerra o cercare la pace (l’avevo detto, io, che nessuno sapeva che Cosimo aveva già concluso la pace a modo suo con Sforza…).
Giovanni, per motivi tutti suoi personali, aveva da tempo un gran desiderio di partecipare ad un Consiglio dei Priori e decise di approfittare di quella memorabile giornata, proprio una a caso… Convinse Piero ad accompagnarlo, insistendo sul fatto che, in fondo, lui meritava di essere presente perché era andato con suo padre all’accampamento di Sforza e aveva partecipato agli accordi di pace in prima persona. Non era mica giusto che Cosimo lo avesse escluso dalla riunione dopo quanto aveva fatto, no? No?
Quando entrò nel Palazzo dei Priori, per lunghi istanti Giovanni rimase muto, immobile a fissare quel grande salone pieno di gente e aveva di nuovo quella strana luce negli occhi (capirete dopo il perché!). Solo dopo un po’ si accorse che Albizzi stava pontificando come suo solito in mezzo al salone, incoraggiando i Priori a votare in favore del proseguimento della guerra.
“La vittoria è a portata di mano, una vittoria che darà lustro a tutta Firenze, ma soltanto se continueremo a combattere. Dobbiamo continuare a mostrare a Milano la nostra forza, solo così vinceremo! Questa è la nostra città, questa è la nostra Repubblica!” esclamava, bello convinto, mentre gli ascoltatori parevano, in effetti, conquistati dalla sua innegabile oratoria.
Così tutti si stupirono enormemente quando Giovanni, che era un illustre sconosciuto per quasi tutti i presenti, si fece largo tra la folla degli uditori e si diresse deciso verso i Priori e verso Albizzi, che rimase a metà della sua trascinante arringa e si mostrò piuttosto scocciato per essere stato interrotto. Gli si piazzò davanti e, senza tanti complimenti, disse la sua.
“Avete ragione, Messere, tutti noi vogliamo che Firenze si mostri forte, ma un saggio governante sa anche quando è arrivato il momento di trattare” replicò. “Questa guerra sta logorando Firenze, la gente non ha cibo, non ha lavoro e, mi dispiace tanto deludere le vostre aspettative, ma in realtà il nostro esercito non sta vincendo affatto!”
Nella sala calò un silenzio agghiacciante. Pareva la fine del mondo.
In effetti, quando mai qualcuno si era permesso di interrompere lo show di Albizzi e di rimbeccarlo addirittura davanti a tutti? E poi, chi accidenti era quel ragazzino sbucato fuori dal nulla?
Il Gonfaloniere Guadagni sapeva che avrebbe dovuto bloccare lo sconosciuto ma, in tutta sincerità, provava una certa qual soddisfazione nel vedere qualcuno che, una volta tanto, le cantava in faccia a quell’arrogante di Albizzi ed era anche curioso di vedere come sarebbe andata a finire.
Lorenzo si agitò sul suo scranno e si rivolse a Cosimo.
“Ma cosa ci fa qui Giovanni? Non gli avrai mica dato il permesso di presenziare a un Consiglio dei Priori? Per… per interrompere Albizzi, poi!” disse a bassa voce al fratello.
Cosimo, però, aveva un sorrisetto sul volto.
“Giovanni il permesso se lo è preso da sé e, per quanto riguarda Albizzi, tra poco avrà un’altra sorpresa ben poco gradita” rispose, con l’aria di chi la sa lunga.
Rinaldo Albizzi era rimasto senza parole per lo shock ma, ovviamente, non poteva rimanere ammutolito più di tanto. Ritrovò ben presto la padronanza di sé e la sicumera e reagì con l’indignazione che ci si poteva aspettare.
“Come ti permetti, tu, di presentarti qui e di interrompere me? Non sai niente di Firenze né di questa guerra e non hai nemmeno il permesso di parlare al Consiglio dei Priori” esclamò, fissandolo come se volesse incenerirlo sul posto. “Sei solo un ragazzino che Cosimo ha raccolto dalla strada chissà dove, come quell’altro suo sicario che manda in giro per Firenze, e hai l’impudenza di metterti in mezzo mentre sto parlando? Ma lo sai chi sono io?”
Per nulla impressionato, ancora una volta Giovanni rispose a tono (e qui la parte a cui Albizzi non stava poi tanto simpatico cominciò a ridacchiare piano…).
“No, in effetti non so chi siete voi. So però di avere il pieno diritto di parlare in questa assemblea perché sono sicuramente di una famiglia più antica e illustre della vostra” replicò. E qui si lasciò scappare un sorrisetto e lo sguardo saettò per tutto il salone prima di tornare a posarsi su Albizzi, che non sapeva più nemmeno se credere ai propri occhi e alle proprie orecchie. “Io sono Giovanni degli Uberti, l’ultimo discendente di un uomo che ha fatto grande Firenze e che da essa è stato ingiustamente scacciato e dimenticato: Manente degli Uberti, che probabilmente tutti voi conoscete meglio come Farinata! Sono venuto a Firenze perché voglio che il nome del mio antenato e della mia famiglia sia riabilitato!”
Mormorii di stupore serpeggiarono tra i Priori e coloro che assistevano al dibattito. Il Gonfaloniere si congratulò con se stesso per non aver fatto portar via il ragazzino (che alla fine si era rivelato ben più di quanto sembrava), mentre Albizzi, dopo il primo momento di disorientamento, fu l’unico ad avere la presenza di spirito di rispondere (e ce ne vogliamo stupire?).
“Sei un Uberti, allora” disse, continuando a squadrare Giovanni come a volerselo imparare a memoria e magari era davvero così! “Ma non hai un seggio nella Signoria, quindi non hai nemmeno il permesso di parlare.”
“Prima di essere il vostro Palazzo dei Priori, questa era la dimora della mia famiglia” ribatté Giovanni. “Dopo aver cacciato gli Uberti da Firenze, i nobili fecero radere al suolo le loro proprietà e sulle rovine fecero edificare questo palazzo. Quindi, tecnicamente, io sarei a casa mia e avrei tutti i diritti di parlare!”
Ed ecco spiegato perché Giovanni aveva guardato ben bene tutto il palazzo prima di iniziare a rovinare la giornata a Albizzi!
Rinaldo Albizzi non sapeva se ridere, ammirare tanta sfacciataggine o prenderlo a schiaffoni…
“Molto bene, allora, se sei il discendente di Farinata degli Uberti, saprai anche che era un grande e valoroso comandante” riprese l’uomo, a cui bisogna riconoscere un certo talento nel rigirare la frittata a suo favore. “Credi che, in una situazione come questa, non avrebbe incoraggiato Firenze a continuare a combattere per il prestigio della città?”
“No, non lo avrebbe fatto se avesse visto che la città si indeboliva e si impoveriva a causa di questa guerra” ribatté Giovanni.
E, proprio sul più bello, un altro ospite inatteso si fece largo tra la folla e interruppe quell’interessantissima discussione.
“Messer Albizzi, mi rincresce molto disturbare un dibattito tanto appassionante e confesso che avrei voluto rimanere a vedere come sarebbe andato a finire, purtroppo il tempo è tiranno e io sono venuto a portare un messaggio molto urgente per la città di Firenze” disse l’uomo.
Per la seconda volta in quel giorno, Albizzi rimase del tutto spiazzato, cosa che non era affatto abituale per lui. Avrebbe ricordato quella giornata come un incubo.
“Generale Sforza?” disse.
Esatto, mancava proprio lui e adesso era arrivato. Si capisce adesso perché Cosimo fosse tanto sicuro di sé…
Probabilmente innervosito per tutte quelle interruzioni, Rinaldo Albizzi si rivolse al Gonfaloniere.
“Fate arrestare subito quest’uomo!” esclamò.
“Potete farlo, ma allora arrestereste un amico” replicò Sforza. Eh, no, quella non era proprio giornata, per Albizzi… “Sono venuto qui oggi per annunciarvi una tregua nelle ostilità.”
“Una tregua?” ripeté Albizzi, come se avesse detto una parolaccia.
“L’esercito del Duca Visconti di Milano si sta ritirando da Lucca. La guerra è finita” annunciò Sforza, con un sorriso. Beh, ovviamente non disse di essere stato pagato profumatamente per far ritirare l’esercito, ma quello non era così importante, no?
I Priori e gli altri presenti esultarono a quelle parole. La guerra era finita, non ci sarebbero più state tasse esose per finanziare l’esercito, niente più perdite… insomma, a quanto pareva l’unico che teneva tanto a fare la guerra era Rinaldo Albizzi, che in verità era rimasto parecchio deluso.
Mentre Sforza si dirigeva verso Cosimo per stringergli la mano e tutti gli altri sorridevano, si davano pacche sulle spalle e commentavano quell’indimenticabile giornata al Palazzo dei Priori, l’uomo approfittò della confusione per afferrare Giovanni per un braccio e spingerlo in una rientranza della parete, dove nessuno poteva vederli… e comunque nessuno, in quel momento, avrebbe badato a loro.
Lo immobilizzò contro il muro e gli parlò, a voce bassa, vicinissimo.
“Hai sbagliato portone, ragazzino” gli disse. “Sei andato a chiedere aiuto a Cosimo de’ Medici per riabilitare il nome della tua famiglia, ma da lui non avrai niente. I Medici sanno solo ingannare e colpire le famiglie nobili e di certo non ti aiuteranno.”
“Messer Cosimo è stato molto gentile con me” protestò Giovanni che, a dire il vero, non capiva nemmeno perché Albizzi, per parlare con lui, dovesse stargli tanto appiccicato… Non scappava mica!
“Fatti raccontare da Cosimo che cosa suo padre ha fatto alla mia, di famiglia, e poi magari cambierai idea. Ad ogni modo, lui non ha il potere di riabilitare gli Uberti nemmeno se volesse. Io, invece, potrei aiutarti, potrei perfino farti avere un seggio tra i Priori” continuò Rinaldo Albizzi, che un certo qual potere di persuasione lo aveva pure. “Saresti dovuto venire da me e non metterti contro. Ma non è troppo tardi, sei sempre in tempo per scegliere la parte giusta.”
“Cosa volevate dire? Cosa ha fatto il padre di Cosimo alla vostra famiglia?” insisté Giovanni.
“Chiedilo a lui, vediamo se ha il fegato di dirti la verità. Poi, quando avrai capito con chi hai a che fare, torna a cercarmi” continuò l’uomo. “Io posso fare in modo che il nome della tua famiglia venga riabilitato, posso ridare agli Uberti il posto che spetta loro… se tu appoggerai la mia causa, naturalmente. Riflettici bene, ragazzino impertinente.”
Detto questo, Albizzi si staccò da Giovanni e si allontanò, lasciando il giovane Uberti parecchio ma parecchio confuso.
Cosa aveva voluto dire? Messer Cosimo e i Medici avevano fatto qualcosa di spregevole, così come i Donati tanti anni prima avevano tramato contro gli Uberti?
E poi… cosa significava appoggiare la causa di Albizzi? La guerra era già finita, no? Che altro poteva volere da lui?
Giovanni avrebbe capito solo in seguito che la Firenze in cui si trovava non era per niente diversa da quella di fine Duecento… e lui ci era proprio nel mezzo!
Fine capitolo secondo
 
 
 
   
 
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