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Autore: Emmastory    15/05/2019    6 recensioni
Dopo essersi unita al suo Christopher nel sacro vincolo del matrimonio, Kaleia è felice. La cerimonia è stata per lei un vero sogno, e ancora incredula, è ancora in viaggio verso un nuovo bosco. Lascia indietro la vecchia vita, per uscire nuovamente dalla propria crisalide ed evolvere, abituandosi lentamente a quella nuova. Memore delle tempeste che ha affrontato, sa che le ci vorrà tempo, e mentre il suo legame con l'amato protettore complica le cose, forse una speranza è nascosta nell'accogliente Giardino di Eltaria. Se avrà fortuna, la pace l'accompagnerà ancora, ma in ogni caso, seguitela nell'avventura che la condurrà alla libertà.
(Seguito di: Luce e ombra: Essere o non essere)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Luce-e-ombra-III-mod
 
 
Capitolo VII

La vecchia selva

Ancora una volta, si levava il giorno, e cordiale come sempre, il sole mi salutava solleticandomi il viso. Già sveglia, non gli davo alcun peso, e stropicciandomi gli occhi ancora cisposi e assonnati, trattenni uno sbadiglio. Quella che stavo per vivere era una giornata nuova, e per qualche strana e a me ancora ignota ragione, ero convinta che nulla avrebbe potuto rovinarla. Fuori dalla mia finestra c’erano aria pulita e uccellini che cinguettavano dedicandosi l’un l’altro canzoni d’amore, e sdraiata nella morbida trappola rappresentata dalle leggere coperte, riflettevo ancora una volta su quel sentimento. Cos’era davvero. Soltanto il luccichio negli occhi del mio amato o la delicatezza del suo tocco quando mi sfiorava? Il battito del mio cuore che accelerava ogni volta che i nostri sguardi si incrociavano dentro e fuori casa? O forse la sensazione di calma, protezione e serenità che riusciva a procurarmi tenendomi stretta fra le sue braccia? Non lo dicevo, e restavo zitta, ma dati i nostri trascorsi e la durezza della legge magica che pendeva su di noi come una sorta di maledizione, quando si trattava di noi diventavo insicura come una bambina. Volendo proteggermi, provavo a negarlo, e così faceva Christopher, ma a volte non riuscivo davvero a smettere di pensarci. Eltaria era il nostro traguardo, e anche ora che l’avevamo raggiunto, continuavo ad avere dei ripensamenti. Di sera, fra una preghiera e l’altra, leggevo e rileggevo la lettera ricevuta da mia madre, e più lo facevo, più mi rendevo conto di quanto avesse ragione. Secondo lei, tutto prima o poi sarebbe andato per il meglio, queste metaforiche acque si sarebbero calmate, e noi avremmo potuto vivere la nostra vita, ma quando? Questa la domanda che assieme a mille altre mi ponevo ormai costantemente, nascondendo calde lacrime fra i cuscini del letto e abbandonando la sicurezza che cercavo sempre di ritrovare, per poi restare a guardare mentre scivolava via da me come sabbia rinchiusa nel vetro di una clessidra. Come ogni volta, quel quesito non trovava una risposta, ma appena sveglia, volevo conservare l’ottimismo, e sperare che almeno il sole odierno sarebbe stato più caldo e diverso. Così, con quel pensiero in mente, scossi la testa per scacciare quelli più brutti, e finalmente pronta, scostai le coperte per potermi alzare. Piano e con cautela, e solo per evitare di svegliare Christopher, ancora placidamente addormentato e con le labbra piegate nel debole sorriso di un bambino. Era strano a dirsi, ma era così che dormiva, e semplicemente guardandolo, arrivavo puntualmente a sciogliermi come neve al sole, sentendo un desiderio e una speranza farsi sempre più largo nel mio cuore. Eravamo ancora giovani, marito e moglie solo da poco tempo, eppure c’era qualcosa dentro di me che mi spingeva a desiderarlo, e un giorno, chi lo sapeva, avere anche una famiglia con lui. Intenerita da quei prospetti per un futuro speranzosamente non lontano, sorrisi a me stessa, e con il cuore in tumulto, sfiorai la coperta che lo avvolgeva. “Chris, amore? Sei sveglio?” chiamai, sdraiandomi nuovamente e scivolando nel silenzio in attesa di una risposta. Seppur lenta, questa non si fece attendere, e attimi dopo, ebbi il piacere e la fortuna di ascoltare la sua voce. “Come te, fatina mia.” Disse soltanto, allargando il sorriso che già aveva in volto e sfilando un braccio da sotto il cuscino per stringermi a sé. Innamorata, lo lasciai fare godendomi il suo calore senza proteste, e osando, lo scossi dal torpore con un bacio. Veloce, certo, ma sempre dolce e delicato, come d’abitudine per entrambi. “Che c’è, hai qualche piano in particolare, stamattina?” chiese poi in tono calmo, parlando mentre mi accarezzava i capelli. Sulle prime, non risposi, e imbarazzo o meno, dopo istanti che parvero eterni, mi decisi a parlargli. “Sai, stavo pensando, e volevo far visita a mia madre.” Confessai, sentendo quel peso svanirmi dalle spalle e dal cuore. Tutt’altro che sorpreso, Christopher sorrise, e facendosi più vicino, coronò quel momento posandomi un lieve bacio sulla fronte. “Nostalgia delle vecchie radici, vero, Kia? Tranquilla, posso dire lo stesso.” Commentò, ridendo di gusto e non dimenticando di esprimere il proprio parere. Sollevata, rilasciai un sospiro di sollievo, e staccandomi da lui quasi di malavoglia, scelsi una veste pulita dall’armadio, poi sparii nel bagno di casa. Sicura di essere da sola, non chiusi a chiave la porta, e solo attimi più tardi, lasciai che l’acqua calda mi scivolasse sulla pelle, mondandomi ancora una volta dei miei dubbi e delle mie sciocche insicurezze. Poteva sembrare strano, e lo sapevo bene, ma nei momenti di tensione, quello era soltanto uno dei gesti quotidiani capaci di riportarmi alla calma. Ad esso seguivano la lettura di un libro, le fusa della gatta di casa, o anche solo del tempo trascorso a osservare un tramonto o il panorama fra le braccia di Christopher. Una sorta di abitudine presa quando non eravamo che fidanzati, e mai abbandonata, come invece era accaduto a quella di lanciar sassi nel lago. Non lo facevamo da molto, e ormai non contavamo di rifarlo, ben sapendo che riempire di rocce uno specchio d’acqua servisse a poco o nulla. Cos’eravamo, bambini. Assolutamente no, o almeno, non più. Persa come al solito fra fantasie e ricordi, non mi accorsi dello scorrere dei minuti, e dopo un tempo che mi parve indefinibile, fui pronta per vestirmi, ritrovandomi avvolta da nebbia e umido vapore. Finalmente pronta, lasciai il bagno, e in attesa di Christopher, mi sedetti in salotto. Sveglia ma ad occhi chiusi, Willow era accucciata sul divano, e con le zampe sotto al corpo, sembrava più comoda che mai. Alla mia vista, azzardò un debole miagolio, misto poi ad uno sbadiglio che la sua pigrizia le impedì di trattenere. Limitandomi a guardarla, non dissi nulla, e con movimenti lenti, iniziai ad accarezzarla. Altri secondi scomparvero così dalla mia vita, e con dando gli occhi alla finestra, li vidi. Gli stessi uccellini che avevo sentito cantare, appollaiati sullo stesso ramo e intenti a pulirsi le piume a vicenda. Un gesto tenero, che mi ricordava le carinerie degli innamorati come me e Christopher. Sorridendo, mi sedetti più comodamente sul divano, e spostando lo sguardo su Willow, mi accorsi che aveva cambiato posizione, acciambellandosi e facendo vibrare il pelo in basse fusa. Dandole i suoi spazi, decisi di allontanarmi, approfittando del suo sonno per dare un’occhiata ai libri sullo scaffale in legno. Sempre gli stessi, i tre che già avevo letto, e che chissà per quale motivo continuavano ad attirarmi come una luce farebbe con una falena. Indecisa, feci scivolare le dita sul frontespizio del candido tomo appartenuto alla famiglia di Christopher, e forse reagendo al mio tocco, o a quello dei raggi del sole, il lucchetto che lo teneva chiuso brillò di una tenue luce dorata, e spostando la mano, non mi azzardai a toccarlo ancora. Non sapevo perché, ma ero come spaventata, e distraendomi come potevo, ripensai ad una delle frasi che quel libro portava al suo interno. “Un protettore è sempre tenuto ad assicurarsi del benessere della fata che ha a cuore.” Ad essere sincera, non so come accadde, ma quello fu la prima a tornarmi in mente, e solo allora compresi ogni cosa. Perché dovevo essere così dannatamente insicura? Perché continuavo a dubitare quando sapevo di riuscire a fidarmi. Non ne ero sicura, e una parte di me non lo era di nulla, ma sforzandomi per restare positiva, finalmente rividi Christopher. “Sei pronta ad andare? E soprattutto sicura?” mi chiese, serio come mai l’avevo visto. Decisa, annuii, e poco prima che potessimo uscire, un ricordo si fece spazio nella mia mente. Il viaggio sarebbe stato lungo, non saremmo tornati indietro almeno per qualche giorno, e a fermarmi c’era un solo ostacolo. Willow. Era una gatta, e sapevo che i felini come lei erano rinomati per la loro indipendenza, ma nonostante tale consapevolezza mi fosse di conforto, allo stesso tempo non me la sentivo di lasciarla da sola. Voltandomi a guardarla, la scoprii ancora persa nel sonno, e in un attimo, ricordai. Nel nostro armadio, assieme ai vestiti, tenevamo anche il suo trasportino. Una sorta di piccola scatola con un cuscino e una porticina, perfetto per portarla con noi se mai avessimo voluto affrontare viaggi del genere. Con un gesto della mano, pregai Christopher di aspettarmi, e sparendo dalla sua vista, tornai indietro solo pochi istanti dopo, con quella casetta fra le braccia e un’idea nella mente. Willow non era certo un cane, né possedeva la stessa inclinazione all’obbedienza di Red, ragion per cui, dovetti trovare un modo per raggirarla, e convincerla, anche se con l’inganno, a sdraiarsi in quel giaciglio. Andai quindi alla ricerca dei suoi croccantini, ed estraendone una manciata dal sacco, li posai nella sua piccola ma accogliente tana, e in silenzio, attesi. “Che stai facendo?” mi chiese Christopher, confuso. “La convinco a venire con noi, non vedi? Non possiamo lasciarla qui, e sai che odia le costrizioni.” Risposi, con la voce bassa e i denti stretti, sperando che il nostro discutere non la distraesse né le facesse mangiare la foglia. Affamata com’era dopo il pisolino, la gatta non si fece pregare, e dopo attimi per me carichi di tensione, annusò il suo frugale pasto per poi mangiare tranquillamente, restando nel mentre ignara di tutto. “Si può sapere come hai fatto? Come facevi a…” non potei evitare di chiedere lo stesso Christopher, sorpreso. “Non ci vuole molto se ami gli animali e sei una fata della natura, sai?” gli feci notare, sussurrando ogni parola e avvicinandomi alle sue labbra pur senza toccarle, volutamente giocosa. “Hai ragione. Sono sbadato, e lo dimentico sempre.” Rispose subito lui, stando al mio gioco e prendendomi delicatamente il mento con due dita, così da costringere i nostri sguardi ad incontrarsi. A quella reazione, non mi scomposi, e con il sorriso e gli occhi di chi ama, lo baciai con impeto e passione, immediatamente dimentica di tutto ciò che ci accadeva intorno. Sapevo che scherzava, lo faceva per vedermi felice e tenermi la mente sgombra dai problemi, ed era anche per questo che lo amavo. Concentrata sul bacio e sulla sua presenza al mio fianco, non mi accorsi di nient’altro, e quando mi staccai, in trance e senza fiato, tornai brevemente al mondo reale, notando che Willow aveva completato il lavoro da sola, sfiorando la porticina della gabbia con la coda e richiudendosela alle spalle. “Chris, sei meraviglioso.” Soffiai a fior di labbra, ancora emozionata e con il cuore in tumulto. “E tu bellissima.” Replicò, riuscendo come sempre a sorprendermi e a farmi perdere il respiro. Come sempre, i giorni passavano lenti, e non ce n’era uno che scorresse senza che ringraziassi il cielo per avermi unita a quel ragazzo, nel tempo diventato mio marito. Dalle nostre tanto sospirate nozze era scomparso appena un mese o poco più, e di giorno in giorno, benchè li tacessi, i miei desideri non cambiavano, restando immutati e congelati in un tempo che ero sicura aspettassimo entrambi. Torturandomi le membra, speravo che Christopher capisse di cosa parlavo, poiché farlo mi portava a provare una stranissima sensazione di imbarazzo. Ora attendevo, e un giorno la verità sarebbe venuta a galla, e facendo di nuovo ritorno nel mondo dal quale mi ero momentaneamente assentata, mi avvicinai al trasportino di Willow per sollevarlo, e finalmente pronta, varcai assieme a Christopher l’uscio di casa. Insieme, camminammo fianco a fianco per un tempo che ci parve indefinibile, e sempre nascosta fra la vegetazione come per mimetizzarsi, la nostra amica ninfa non mancò di accorgersi di noi. “Salve ragazzi, chi è la vostra amica? E perché la gabbia, povera creatura?” indagò, preoccupata per la gatta, che intanto si era placidamente addormentata. “Si chiama Willow, Aster. Non potevamo lasciarla da sola ora che partiamo per un viaggio, sarebbe stato crudele.” Spiegai, facendo luce sulle nostre ragioni e appellandomi nel farlo al suo senso di giustizia. “Avete totalmente ragione, ma… viaggio per dove, se posso chiedere?” rispose subito lei, completamente  d’accordo mentre la curiosità la dilaniava. A riprova di ciò, anche i fiori fra i suoi capelli si erano svegliati, e avevano teso i petali come per cercare di sentirci. “Al mio bosco di nascita.” Risposi, tenendo per me il resto delle informazioni e restando indecisa su quando e come rivelarle. Conoscevo Aster da poco, ed era vero, ma nonostante tutto la reputavo un’amica, proprio come Marisa, che ormai non vedevo da un tempo decisamente troppo lungo. “Capisco. Fatemi sapere quando tornerete, e ricordate sempre che Eltaria è un luogo di speranza.” Replicò in fretta lei, per poi abbracciarci entrambi e andare per la sua strada. “Kaleia?” mi chiamò, voltandosi come se avesse appena ricordato chissà cosa. “Sì” titubai, incerta. “Che il tuo ritorno nelle terre di Primedia sia sgombro di pericolo, specialmente dopo ciò che vi è accaduto.” Disse lei, suonando all’improvviso criptica ed enigmatica. Confusa, mi limitai ad annuire, e ringraziarla ancora, e fra un passo e l’altro, mi voltai verso Christopher. “Cosa credi che intendesse? Gli chiesi, brancolando nel buio dei miei stessi dubbi. “Parlava della nostra meta, amore. Forse non lo ricordi perché eri troppo piccola, ma è il nome del luogo in cui sei nata. A quanto sembra, quell’incidente ha davvero intaccato la tua memoria.” Rispose, serio e fermo mentre mi stringeva la mano. “Già, lo credo anch’io, e parte di me vorrebbe che non fosse mai successo.” Ammisi, abbassando lo sguardo e fissandolo sul terreno, in evidente segno di tristezza. “Lo immagino, ma sappi che per quel che può valere, va bene anche così. Hai Eliza al tuo fianco, senza contare me e Sky. A quelle parole, sorrisi debolmente, e durante la marcia, vecchi e sbiaditi ricordi lottarono per tornare in superficie, e non riuscendo a dominarmi, venni colta dal mal di testa. Stringendo i denti, sopportai il dolore, e di nuovo sveglia, Willow si mosse già all’erta. Veloce, Christopher fu lì per sostenermi, e cingendomi un braccio attorno alle spalle, si fermò per lasciarmi respirare e riprendere fiato. “Va tutto bene?” chiese poi, con la voce rotta e il panico negli occhi. “S-Sì, è stato… è stato un mancamento. Succede, se ci ripenso.” Biascicai appena, senza forze. Nonostante la fatica, lottai con stoicismo, e proprio quando pensai di dover gettare la spugna, un suono in lontananza mi riscosse. Quello che sentivo era un rumore di zoccoli, e per quanto ne sapevo, poteva significare una sola cosa. Xavros stava arrivando. Colpita, non capii come fosse possibile, ma poi guardai il mio ciondolo e il modo in cui brillava. Stando a quanto ricordavo, era già successo quando avevo invocato l’aiuto di Red durante le mie strenue ricerche di Christopher, e la mia improvvisa stanchezza doveva aver attivato un meccanismo simile. Alzando lo sguardo, sussurrai una lode, e tornando ad osservare l’orizzonte, lo vidi. Bianco e maestoso, l’unicorno che ci aveva guidati fino a queste terre, e che ora mi avrebbe aiutata a rimettere piede sul mio suolo natio. Grata, sorrisi nel vederlo arrivare, e avvicinandomi quanto bastava per toccarlo, lo accarezzai. Non perdendo altro tempo, Christopher gli salì in groppa, e io con lui. Dì lì a poco, il viaggio ebbe inizio, e proprio come Aster aveva sperato e predetto, fu privo di rischi. Per ore intere non vedemmo che la strada intenta a scivolare via, e poi, finalmente, i sentieri che per anni avevo calpestato. Ritornata nella mia terra, mi sentii al sicuro, e felice, inspirai a pieni polmoni, lasciando che mille profumi mi riempissero i polmoni. Lentamente, come accadeva ogni volta che annusavo un fiore. Giunti a destinazione, Christopher ed io liberammo il cavallo dal nostro peso, e di fronte alla porta della casa in cui ero cresciuta, bussai. Lasciandomi prendere la mano dalle emozioni, strinsi forte quella del mio amato, e sempre al sicuro nel suo trasportino, Willow ne sfiorò le sbarre con la zampa, tentando invano di uscirne. Fu quindi questione di attimi, e quando quella porta si aprì, non vidi altro che lacrime negli occhi di mia madre. L’abbraccio che seguì quell’istante fu fortissimo, e non appena si sciolse, incrociai lo sguardo di Sky. Felicissima, anche lei mi strinse a sé, e contenta di essere di nuovo con lei, quasi piansi. Lasciandomi fare, lei accettò ogni lacrima che versai, e poco prima che ci dividessimo, lei mi sussurrò una frase all’orecchio. “Bentornata.” Si limitò a dire, concentrando in quella singola parola tutto l’orgoglio che ero sicura provasse per me. Lo stesso valeva per nostra madre, e nel resto di quella meravigliosa giornata, dimenticai qualunque cosa. La negatività, il dolore provato in precedenza, quello stranissimo mal di testa, tutto ciò che non era felicità. Felicità di aver rimesso piede, anche se per poco, nella mia vecchia selva.

 
   
 
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