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Autore: Nana_13    19/05/2019    0 recensioni
"...Fa male. Un dolore lancinante mi attraversa tutto il corpo e mi sento quasi morire. Però devo resistere. Non posso permettere che lui mi scopra. Non ancora almeno. Devo dare il tempo agli altri di fuggire o il mio sacrificio non sarà servito a niente…"
Come promesso ecco il secondo capitolo della saga Bloody Castle. Claire, Juliet e Rachel hanno dovuto affrontare di tutto per salvarsi la vita. Una vita che ormai, è evidente, non è più quella di tre semplici liceali. Riusciranno a cavarsela anche questa volta? Non dovete fare altro che leggere per scoprirlo ;)
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2 - La terra dove sorge il sole (Parte 1)

 
 
Come promesso, la mattina dopo Laurenne tornò con altro cibo, ma con nessuna nuova. Disse che ci voleva tempo prima che gli anziani raggiungessero un accordo e che dovevano avere pazienza. Cosa non facile, visto che in quel tugurio il tempo sembrava non passare mai e la pazienza non era certo una delle qualità di Rachel. Assurdo come non avessero fatto del male a nessuno, anzi, fossero loro le uniche perseguitate, eppure in pochi giorni fossero passate da una prigione all’altra.
Prima Bran, ora lì. Certo, non avrebbe mai potuto paragonare la situazione attuale con quella di allora. Almeno adesso, grazie a Laurenne, avevano qualche chance di tornare in libertà. In cuor suo pregava con tutte le forze che, una volta fuori, Jamaal le ascoltasse, perché non poteva sopportare il pensiero di Mark prigioniero di quei mostri. Non avere idea di cosa gli fosse successo la terrorizzava e restare in quelle quattro mura senza poter far niente era davvero frustrante. Se non si decidevano a farle uscire, sarebbe impazzita.
Claire, invece, non sembrava particolarmente in ansia. Chiacchierava con Cordelia, cercando di scoprire di più su di lei e le sue sorelle. Rachel non capiva come riuscisse a non preoccuparsi per Cedric e questo la infastidiva, anche se a pensarci meglio sapeva benissimo quanto fosse abile a nascondere le proprie emozioni. Probabilmente quello era solo un modo per distrarsi.

“Prova a fare uno sforzo. Come puoi essere qui, se sei morta secoli fa? Perché ti ricordi di essere morta, vero?” le domandò Claire nel tono più gentile che riuscì a tirare fuori.

Cordelia esitò, evidentemente frastornata dalla domanda. “Sì, è vero…” mormorò con lo sguardo perso nel vuoto. D’istinto si strinse una mano all’altezza del cuore, come se stesse rivivendo quel momento. Poi tornò di nuovo a guardarle. “È vero, sono morta. Ma non ho idea del perché io sia qui adesso.”

Claire sospirò delusa. Avrebbe gradito che ricordasse qualcosa in più, ma evidentemente ci sarebbe voluto parecchio tempo per rimettere insieme i pezzi. L’espressione afflitta di Cordelia le fece capire quanto fosse dispiaciuta di non poterle aiutare e provò tenerezza nei suoi confronti. “Dai, vedrai che ne verremo a capo.” cercò di rassicurarla.

Gli occhi verdi di Juliet si posarono su di lei e la guardarono intensamente. “Quindi è proprio vero.” constatò malinconica. “Tu non sei Elizabeth.”

“Mi dispiace.” Claire scosse la testa. “Però so chi è, o meglio chi era. Ho fatto dei sogni su di lei…su di voi.” Si corresse.

“Parli sul serio?”

“Credo di essere collegata a Elizabeth, in qualche modo.” le rispose. “Mi rivedo spesso in lei nei miei sogni.”

“Non stento a crederlo. Siete identiche.” osservò Cordelia.

Claire annuì. Era proprio quello il punto. “Per caso, ricordi se avesse avuto dei figli? Magari sono una sua discendente.”

“Santo cielo, no!” ribatté lei, lasciandosi sfuggire una risatina. “Non era nemmeno sposata. Sarebbe stato uno scandalo.”

Dentro di sé Claire imprecò. Quella era stata la prima spiegazione che si era data riguardo al suo legame con Elizabeth e fino a quel momento l’unica plausibile.

“Aveva un corteggiatore.” continuò Cordelia pensierosa. “Beh, un amante più che altro. Se solo riuscissi a ricordare di più…”

Claire immaginò che stesse parlando di Nickolaij, ma preferì tenerselo per sé. Non voleva causarle ulteriori traumi, ricordandole cosa aveva fatto quel mostro a lei e alla sua famiglia. “Tranquilla, non importa. Forse ti verrà in mente più avanti.”

Dall’angolo in cui era seduta, Rachel le ascoltava con scarso interesse, presa com’era dai suoi voli pindarici su Mark prigioniero a Bran. Quando la mattina del terzo giorno un paio di uomini vennero a prenderle, aveva perso quasi completamente la cognizione del tempo.
Insieme alle altre si lasciò portare fuori senza protestare. Sentire per la prima volta l’aria sul viso, anche se calda, dopo tre giorni passati in quella cella puzzolente fu un vero sollievo. Si sentiva sporca e sudaticcia, ma sperare che le portassero in un posto decente dove lavarsi e rifocillarsi era a dir poco impensabile. Provò a chiedere dove fossero diretti, ma si rese subito conto che quei due non parlavano una parola della sua lingua. Erano semplici esecutori.
Vennero trascinate a forza lungo la strada che percorreva il villaggio e durante tutto il percorso le persone non facevano che bisbigliare e indicarle, finché non raggiunsero lo stesso tendone in cui le avevano condotte poco dopo il loro arrivo.
Dentro trovarono Jamaal con a fianco Laurenne e fortunatamente niente Tareq. Forse senza lui presente avrebbero avuto maggiori possibilità di cavarsela.

Senza perdere tempo, Jamaal venne subito al sodo. “Dunque. Laurenne mi ha raccontato quello che le avete detto e io ho parlato della vostra storia agli anziani.” le informò, mantenendo un’aria seria e formale. “Dopo lunga riflessione, abbiamo raggiunto un accordo.”

Fece una pausa, in cui sia Rachel che Claire rimasero a fissarlo piene di ansia. Pendevano dalle sue labbra e non vedevano l’ora che si decidesse a parlare.

“La duchessa può restare. Laurenne si occuperà di lei e proverà a capire cosa le è successo. Quanto a voi, i miei uomini vi scorteranno di nuovo a casa vostra.” sentenziò.

Il cuore di Rachel perse un battito e sentì Claire accanto a lei reagire nello stesso modo. Quindi era così che doveva finire? Loro due a casa, mentre Juliet sarebbe rimasta lì? No, non lo avrebbe permesso. Stava per dire la sua, ma Claire la batté sul tempo.

“Puoi scordartelo!” si oppose infervorata, senza preoccuparsi delle conseguenze. “Non ce la lascio qui da sola, non esiste! Potete anche tenerci rinchiuse a vita, ma noi restiamo qui.”

Di fronte a lei, Jamaal la fissò perplesso e visibilmente sorpreso dalla sua reazione. Ma si riprese quasi subito. “Ormai la decisione è presa. Non sono ammesse repliche.”

“Allora ci state condannando a morte.” replicò Rachel in tutta calma.

“Che vuoi dire?” le chiese incuriosito.

Soltanto Claire riuscì ad accorgersi del leggerissimo ghigno di trionfo che si era dipinto sul volto dell’amica, prima che si spiegasse meglio. “Noi veniamo dal Montana e stiamo scappando dai vampiri da quando hanno invaso la nostra città. A quest’ora gli abitanti saranno stati già tutti trasformati, se non peggio. Mandarci laggiù equivarrebbe all’omicidio.”

In quei giorni aveva avuto modo di pensare a molte cose, tra cui quella. Visto che Laurenne non aveva saputo dir loro granché sul destino che le avrebbero riservato, il suo cervello si era messo in moto per cercare qualcosa da giocare come ultima carta. Sperava solo che quell’argomento potesse essere abbastanza convincente.
Dal canto suo, Claire era colpita. Come al solito, Rachel si era dimostrata molto furba e aveva tirato fuori un asso nella manica che forse avrebbe potuto convincerli a farle restare. Se non fosse stato fuori luogo, l’avrebbe abbracciata.
Dall’espressione concentrata di Jamaal, era evidente quanto stesse seriamente riflettendo sulle sue parole.

“Questo potrebbe essere un problema.” Ammise, appoggiandosi al grosso tavolo al centro della tenda. Poi si coprì il viso con la mano, smettendo per un momento di guardarle.

“Affidale a me.” proruppe Laurenne d’un tratto, attirando nuovamente la sua attenzione. “Saranno sotto la mia protezione, me ne assumo la piena responsabilità.” continuò, sicura di sé.

Per qualche istante il silenzio scese sui presenti. Jamaal spostò lo sguardo da lei alle ragazze, studiando il da farsi. Era evidente quanto poco l’idea lo entusiasmasse e sia Rachel che Claire si facevano ben poche illusioni sul fatto che accettasse di lasciarle con Laurenne. Infine, si staccò dal tavolo e la raggiunse. Il volto serio come non mai. “Se succede qualcosa, qualunque cosa, sarà tua la colpa. Intesi?” le mormorò praticamente all’orecchio, anche se erano così vicine da riuscire a sentirlo. Non suonava come una minaccia, ma bastava a far capire loro che dovevano stare attente.

Laurenne lo ascoltò impassibile, prima di annuire con decisione e, ormai sicure di poter restare, Rachel e Claire si strinsero sollevate in un abbraccio.

“Grazie.” disse Claire a Jamaal, rivolgendogli un sorriso di gratitudine. “Davvero.”

Lui rispose con un breve cenno della testa. Poi, finalmente libere, uscirono dalla tenda accompagnate da Laurenne.

“Non so come ringraziarti.” le disse Rachel riconoscente. “È tutto merito tuo se siamo ancora insieme.”

Lei sorrise. “È stato un piacere. Ora però sarà il caso che vi facciate un bagno. Avete un aspetto orribile.”

“Oh, sia benedetto il cielo, sì!” esultò Cordelia, entusiasta all’idea.

“Vi porterò in un posto dove potrete lavarvi, ma prima sarà meglio comprare dei vestiti puliti.”

Durante il tragitto, passarono in mezzo a un viavai di persone che si affaccendavano presso le botteghe e le case del villaggio, in un gran vociare misto alle grida divertite di alcuni bambini che giocavano inseguendo un pallone.
Laurenne non faceva altro che salutare chiunque incontrassero, scambiando qualche parola e il più delle volte annuendo con un sorriso.

Mentre la osservava, Claire arricciò le labbra pensierosa. “Però…Sembra che qui tutti ti portino rispetto. Sei una persona importante.”

Lei annuì. “Sono la gran sacerdotessa di Shamash, il dio Sole. In più mi occupo della sicurezza del villaggio e della salute di questa gente.” spiegò, interrompendosi un momento per salutare una donna e fare una carezza sulla testa al bambino che l’accompagnava. “Eppure sono io ad aver bisogno di loro, più di quanto loro lo abbiano di me.”

Poco dopo si ritrovarono alla bottega dei tessuti, che vendeva anche abiti della tradizione araba e altre cose che avevano visto indosso a molte persone. Laurenne chiese loro di restare fuori ad aspettarla, visto che avrebbero potuto macchiare qualcosa, e nel frattempo ne approfittarono per dare un’occhiata in giro. Preferirono non allontanarsi, ma già da lì potevano osservare la vita del villaggio. La gente non sembrava interessarsi a loro, presa com’era dai suoi scambi di merci e dai suoi acquisti, e per la prima volta non si sentirono gli occhi di tutti puntati addosso. Era una sensazione piacevole, sembrava quasi di essere in un posto familiare.
D’un tratto, un gruppo di bambini si avvicinò correndo e uno di loro diede un calcio un po’ troppo forte al pallone, che finì ai piedi di Claire. D’istinto, lei lo bloccò con il piede, per poi sollevarlo con destrezza, prendendo a palleggiare. I bambini rimasero fermi a osservarla incuriositi e anche un po’ ammirati, finché Claire, con un ultima abile mossa, non afferrò il pallone con le mani, porgendolo poi a uno dei suoi piccoli fan. Lui si avvicinò, anche se guardingo, e allungò le braccia per prenderlo, ma proprio in quel momento comparve dal nulla una signora anziana dal viso rugoso che gli gridò qualcosa in arabo, probabilmente un rimprovero. Allora il bambino si riprese in fretta la palla e scappò insieme ai suoi amici, lasciando Claire ancora con le braccia sollevate.

“A quanto pare ci vuole ben altro che restituire la palla a un bambino per conquistare la fiducia di questa gente.” osservò Rachel, dando dei leggeri colpetti sulla spalla a Claire.

Quando Laurenne uscì di lì a poco con un fagotto sotto braccio, si diressero all’oasi, nei pressi della quale era costruito il villaggio. La sciamana spiegò che, pur trovandosi ormai nel ventunesimo secolo, il popolo era rimasto attaccato alle vecchie tradizioni, vivendo ancora in condizioni molto umili. La grande oasi, circondata da palme e verde, era l’unica fonte d’acqua disponibile nel raggio di chilometri, e da essa si riforniva ogni singolo abitante. Il prezioso liquido veniva incanalato sottoterra, fino a dei pozzi disposti in punti strategici del villaggio, così che ogni abitazione potesse trovarsi abbastanza vicina per raggiungerli a piedi ogni mattina. Parlò loro anche della popolazione Jurhaysh, composta da tante tribù sparse nei principali continenti. Ognuna di esse aveva un esercito con a capo un generale, che a sua volta era sotto il comando di Jamaal.
Visto che era in vena di spiegazioni, Rachel ne approfittò per chiederle dove fossero finite con esattezza.

“Mi dispiace, ma non posso rivelare a delle estranee la nostra posizione.” si scusò lei. “Sappiate solo che tra tutti i villaggi Jurhaysh questo è il più grande ed è il centro di comando. Nella nostra lingua lo chiamiamo Mashriq, che significa ‘terra dove sorge il sole’.” spiegò; poi le osservò con la coda dell’occhio e parve come intuire i loro pensieri. “Devo avvertirvi che il perimetro del villaggio è nascosto dal potere delle rune. Quindi se state pensando di andarvene, non riuscireste a tornare indietro, ammesso che sopravviviate al deserto.”

Nessuna di loro replicò, limitandosi a riflettere sulle sue parole. Compresa Rachel, a cui in effetti era balenata in testa l’idea di togliere il disturbo. A mente lucida, però, doveva convenire con Laurenne che non sarebbe stata una buona idea per loro avventurarsi da sole nel deserto, senza avere la più pallida idea di dove dirigersi. Sarebbero morte stecchite entro pochissimo tempo. Quindi, almeno per il momento, era il caso di restarsene buone e cercare con tutti i mezzi di convincere i loro ospiti ad aiutarle.
Prese com’erano ognuna dai propri pensieri, quasi non si accorsero di essere arrivate in una sorta di edificio termale dall’aria antica. Fuori aveva il classico aspetto arabeggiante, con la stessa cupola appuntita che avevano visto sopra i tetti di alcune case, anche se più grande. Una volta entrate, si trovarono di fronte a una serie di lunghe vasche, in cui la gente era immersa fino alle spalle e da cui usciva del vapore. I loro sguardi inquisitori si posarono sulle ragazze, come se già sapessero chi fossero e da dove provenissero. Nessuno però disse niente, né protestò con Laurenne o le chiese spiegazioni, quindi ignorarono la cosa e la seguirono lungo il corridoio centrale che separava le due file di vasche. Raggiunta l’ultima, le invitò a togliersi i vestiti per potersi fare il bagno, ignorando completamente il fatto che fossero sotto gli occhi di tutti.

“Che cosa?” replicò Cordelia scandalizzata. “Dovrei denudarmi davanti a degli estranei? È indecoroso, non ci penso nemmeno.”

Anche Rachel e Claire si dimostrarono piuttosto restie, così alla fine le portò in un luogo più appartato, dove c’era un’altra vasca, ma nascosta da un telone di lana pesante.

“Scusatemi, non avevo pensato che qui abbiamo un senso del pudore un po’ diverso rispetto a voi occidentali.” disse Laurenne, mentre si spogliavano. “Per fortuna, siamo attrezzati anche per questa evenienza.”

Loro però non la stavano già più ascoltando, ormai immerse nell’acqua tiepida, dove un’improvvisa sensazione di benessere le aveva colte. Erano parecchi giorni che non si facevano un bagno completo. L’ultima volta in effetti era stata a casa dei Weaver.
Claire prese una specie di saponetta profumata dalle mani di Laurenne e iniziò a strofinarsela sulle mani, per poi lavarsi i capelli. Non riusciva a smettere di pensare alle parole di Rachel nella tenda di Jamaal, quelle che lo avevano convinto a farle restare, e all’inizio non ci aveva riflettuto bene, ma in effetti poteva essere tutto vero.
Senza che se ne accorgesse, i pensieri si trasformarono in fiato. “Pensi davvero quello che hai detto?” chiese a Rachel, che la guardò con aria interrogativa. “Che a quest’ora a Greenwood siano tutti vampiri, intendo.”

Lei scosse la testa. “Non posso esserne sicura. Però, pensaci. Sono passate diverse settimane da quando siamo partiti e non penso che nel frattempo Nickolaij e i suoi se ne siano stati con le mani in mano.”

Il peso di quella riflessione cadde su Claire all’improvviso. “Quindi…” mormorò incerta. “Anche le nostre famiglie. Mia sorella…” La sola idea che potessero aver fatto del male a Megan era inconcepibile. D’altronde era solo una bambina e dubitava che potesse essere loro utile in qualche modo. Pensare al seguito fu facile, ma si sforzò di scacciare quei pensieri, senza molti risultati. Gli occhi si colmarono di lacrime e lei si voltò per nasconderle.
Rachel però se n’era accorta e avrebbe voluto poterle dire qualcosa per rincuorarla, ma sapeva che ogni sua parola sarebbe suonata vuota e inutile, così rinunciò. Del resto, anche lei sperava che non fosse successo niente a suo padre, che fosse riuscito a fuggire o che non si trovasse proprio in città. Un miracolo qualsiasi insomma... Per fortuna Cordelia spuntò all’improvviso, chiedendole di lavarle la schiena, e la distrasse da quei pensieri.
Finito il bagno, Laurenne uscì per prima dalla vasca, asciugandosi poi con dei panni di lana che trovarono a disposizione.

“Tenete.” Li passò una per una. “Quando avete finito, portateli con voi. Li riporteremo una volta lavati.”

La lana grezza era ruvida a contatto con la pelle, ma cercarono di adeguarsi. Dopodiché indossarono i vestiti nuovi che aveva comprato Laurenne. Si sentivano un po’ a disagio con quella roba, insolita per il loro modo di vestirsi normalmente. Cordelia non sapeva nemmeno riconoscere il verso dei pantaloni, così dovettero aiutarla.

“Cosa volete? Avevo la domestica io.” ribatté offesa, notando le loro facce perplesse. Poi si guardò addosso, allargando le braccia e storcendo il naso. “Questo abito non mi dona affatto. Mi fa sembrare grassa.”

Rachel e Claire decisero di ignorare quel commento e seguirono Laurenne all’uscita. Le avvisò che sarebbero dovute passare al mercato, prima di andare a casa, anche se l’idea non le allettava granché. Altri sguardi sospettosi puntati addosso.
Per fortuna, il giro fu breve. Il tempo di comprare qualcosa da mangiare per tutti ed erano già sulla strada di casa.

“Uh, buoni quelli!” squittì Cordelia, esaltata alla vista di un grappolo di datteri che fuoriusciva per metà dalla sacca che Laurenne portava a tracolla. “Che cosa sono?”

Hallawi, nella nostra lingua. Non conosco la parola inglese…”

“Datteri.” rispose Rachel prontamente. “Credo siano datteri.”

La traduzione sembrò convincere sia Laurenne che Cordelia, che da quel momento non parlò più, presa com’era a guardarsi intorno e a studiare ogni dettaglio del villaggio.
Erano quasi arrivate, quando videro un folto gruppo di persone che si accalcavano, lanciando grida di giubilo e scambiandosi pacche sulle spalle.

“Cosa festeggiano?” chiese Cordelia incuriosita.

Laurenne non rispose subito. Sul suo volto era dipinta un’espressione orgogliosa. “I nostri guerrieri sono appena tornati da una missione importante. Vittoriosi, a giudicare dal morale.”

Claire alzò un sopracciglio. “Che missione?”

“Quella che portiamo avanti da secoli.” rispose. “Il nostro compito è sempre stato quello di combattere i vampiri, tenerli a bada e se possibile evitare che facciano vittime. Sono i nostri nemici giurati.”

Rivolgendosi istintivamente verso l’amica, Claire avrebbe potuto giurare che ci fosse un barlume di speranza negli occhi di Rachel. Di sicuro, ora che era a conoscenza delle attività della tribù non si sarebbe lasciata scappare quell’occasione per salvare i ragazzi.
Mentre passeggiavano, un giovane guerriero dalla pelle stranamente più chiara rispetto alla norma si staccò dal gruppo e salutò Laurenne calorosamente, sventolando la mano. Venne loro in contro con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia e la sciamana ne approfittò per presentargli le ragazze.

“Piacere di conoscervi!” rispose lui con entusiasmo, stringendo loro la mano una ad una. “È bello sentire di nuovo la propria lingua, ogni tanto.”

“Evan viene dall’Australia. È qui per imparare le nostre usanze.” spiegò Laurenne, chiaramente divertita dal suo modo di fare.

Rachel annuì, ricambiando il sorriso e stringendogli la mano. In effetti, ogni cosa nel suo aspetto ricordava un classico surfista australiano. Biondo, occhi azzurri, sorriso smagliante… “Mi sembrava che avessi un accento diverso.”

“Scusate, ma adesso devo tornare dagli altri, o mi perdo tutto il divertimento. Stasera ci sarete, vero? Abbiamo fatto il culo ai succhiasangue e dobbiamo festeggiare.”

“Non dubitarne.” confermò Laurenne.

Le labbra del ragazzo si piegarono in un ultimo, raggiante sorriso, prima che si voltasse. “Okay, allora a più tardi!” Le salutò con la mano, per poi riunirsi al suo gruppo.

“Un tipo… esuberante.” Commentò Claire, cercando la parola giusta per definirlo.

“Era ora che incontrassimo una persona socievole, esclusa te Laurenne.” osservò Cordelia, mentre lo guardava allontanarsi con aria interessata. “Ed è anche molto carino.”

Laurenne sghignazzò e riprese a camminare. Le ragazze la seguirono, lasciandosi alle spalle il gruppetto festante.

“Ho notato che Evan non è l’unico straniero nel villaggio. Vista la difficoltà ad accettare la nostra presenza, mi stupisco che abbiate altre nazionalità tra i guerrieri.” disse Rachel rivolta a Laurenne.

“È tradizione che i figli dei generali trascorrano del tempo in un’altra tribù, per imparare le sue usanze e il modo di combattere.” Spiegò lei. “Inoltre questa è la tribù principale, tutti vogliono allenarsi qui, ma solo i migliori ce la fanno.” concluse quando finalmente giunsero davanti la sua casa.

Era un po’ più grande rispetto a quelle che avevano visto lungo la strada, aveva due piani e un piccolo cortiletto all’entrata, dove al momento stavano pascolando due capre.
Quando Laurenne aprì il cancelletto le vennero in contro belando. Lei le accarezzò e diede loro un po’ di paglia per farle stare buone.
Fece segno alle ragazze di seguirla e finalmente entrarono. La prima cosa che Claire avvertì fu la differenza di temperatura. Rispetto al caldo soffocante che si avvertiva fuori, dentro l’ambiente era fresco e piacevole. Si ritrovarono in una specie di atrio, molto rustico; al centro c’era un basso tavolo di legno contornato da cuscini multicolori, come da tradizione. A terra tappeti ricamati e tende colorate alle finestre, oltre a una serie di strani arnesi e gingilli sparsi un po’ ovunque nella casa. Nell’aria si respirava un dolce aroma di cannella.
Laurenne le invitò a sedersi, mentre portava la spesa nella cucina, che scoprirono trovarsi dietro una bellissima tenda dai drappi ricamati. Rimaste sole, non poterono fare a meno di guardarsi intorno, incuriosite e meravigliate al tempo stesso da quel posto singolare. Non passò molto che la sciamana tornò, portando con sé un vassoio con del cibo, delle tazze di terracotta e una teiera piena di tè freddo.

“Finalmente un po’ di civiltà.” Ringraziò Cordelia altezzosa, prendendo la tazza che Laurenne le offriva.

Claire la guardò perplessa. “Non credevo che i vampiri bevessero tè.”

“Ai vampiri è consentito bere e mangiare qualsiasi cosa. Possiamo degustare pietanze deliziose o vini pregiati, ma questi non ci daranno mai il sostentamento necessario per vivere. Dal canto mio, ho sempre adorato il sapore e il retrogusto del tè.” Spiegò con tono compito. “È la mia bevanda preferita dopo il sangue. Dovresti saperlo Beth.” Si lasciò sfuggire poi. Claire le lanciò un’occhiata eloquente e lei si accorse subito della gaffe.
“Scusa.” Mormorò poi.

Laurenne notò la sua aria afflitta e provò a rassicurarla. “Non preoccuparti cara, vedrai che scopriremo quello che ti è successo. Le cose non capitano mai senza una ragione.” disse con un sorriso benevolo.

Cordelia ne abbozzò uno di rimando prima di assaggiare un po’ di formaggio.

“Peccato che mentre noi siamo qui a chiacchierare chissà cosa staranno facendo ai ragazzi.” Sbuffò Rachel in tono acido, senza alzare lo sguardo dalla sua tazza.

“Datti una calmata, Ray.” Mormorò Claire a denti stretti.

“Non c’è problema.” Laurenne le fece segno di lasciar correre. “Capisco la sua impazienza, ma per potervi aiutare ho bisogno di sapere cosa è successo a Bran.”

Per dare un senso a tutto quello che gli era accaduto, dovettero cominciare la loro storia da molto prima di Bran. Iniziarono parlando del ballo, di quello che avevano visto, della fuga e della decisione di seguire Dean per i boschi per sfuggire a quella che allora consideravano una setta di psicopatici. Tralasciarono tutte le disavventure tra le montagne e arrivarono direttamente al punto in cui Juliet era stata rapita e Dean aveva rivelato loro l’esistenza dei vampiri, di come le aveva ingannate e portate a Bran, cosa che si era rivelata l’ennesimo doppiogioco, visto che poi li aveva aiutati a fuggire.

“Alla fine noi tre siamo riuscite a raggiungere il portale e, dopo aver affrontato quella pazza lanciatrice di coltelli, abbiamo preso coraggio e ci siamo tuffate nel pozzo, che invece che a casa ci ha scaraventate qui.” concluse Claire, spiluccando un po’ d’uva.

Laurenne era rimasta in silenzio tutto il tempo mentre lei e Rachel raccontavano e ora se ne stava tutta pensierosa a fissare la sua tazza di tè, ormai vuota.

“Perciò è stata Mary a ferirla…” mormorò tra sé, lasciando chiaramente intendere che la conosceva. “Ecco spiegata la particolarità del veleno…”

Stavano per chiederle spiegazioni, quando qualcuno bussò prepotentemente alla porta, interrompendo il suo ragionamento e facendole trasalire.

“Attendevi ospiti?” domandò Cordelia con il solito tono ingenuo e altezzoso allo stesso tempo, mentre si rassettava gli abiti. Neanche si preparasse a ricevere la regina d’Inghilterra.
Laurenne la ignorò e andò alla porta. Intuirono che stesse chiedendo in arabo chi fosse, ma dall’altra parte non aspettarono la risposta e irruppero in casa.
Due guardie, omaccioni vestiti da guerrieri, entrarono e senza fare troppi convenevoli comunicarono qualcosa a Laurenne. Lei protestò, ma loro la ignorarono, raggiunsero Cordelia al tavolo e la presero per le braccia, tirandola in piedi.

“Che state facendo? Lasciatemi subito!” si ribellò, cercando di impedire a quei due di trascinarla fuori di casa.

Naturalmente senza risultato.

Rachel e Claire erano scioccate. “Che sta succedendo?”, “Dove la portano?” domandarono a Laurenne che, senza rispondere, si affrettò a seguire fuori i due guerrieri. Non potendo fare altrimenti, le ragazze la imitarono, continuando però a tempestarla di domande lungo tutto il tragitto, che non coprì una grossa distanza. I due uomini portarono di peso una Cordelia ormai scalciante e furibonda all’interno di un tendone, davanti al quale Laurenne si bloccò.

“Che ti prende adesso?” le chiese Claire infervorata. “Sono lì dentro, dobbiamo seguirli!”

Laurenne però non le prestò molta attenzione. Piuttosto sembrava concentrata e il suo sguardo determinato lasciava intuire che stesse riflettendo su cosa fare. “No. Resto io con lei, voi andate ad avvertire Jamaal. Dovrebbe essere a casa sua in questo momento.” dispose infine.

“Ma…” Rachel provò a protestare, ma lo sguardo eloquente che la sciamana le lanciò la fece desistere. A quel punto, non poterono fare altro che obbedire e tornarono indietro, verso la casa di Jamaal.

Laurenne gliel’aveva indicata mentre le stava portando alle terme. Non era molto diversa dalle altre, se non fosse stato per le dimensioni leggermente più grandi, perciò ora non erano più tanto sicure di riuscire a trovarla in tempi rapidi. Così cercarono di rifare la strada all’inverso, nella speranza di capitarci di nuovo davanti, finché finalmente non la riconobbero e si affrettarono a raggiungerla. Come forsennate, bussarono alla porta, gridando il nome di Jamaal, incuranti di stare dando spettacolo.
Lui ci mise un po’ ad aprire, ma alla fine tutta quella confusione sembrò dare i suoi frutti, perché la porta si spalancò di botto e Jamaal comparve davanti a loro a torso nudo e con i soli pantaloni addosso. A giudicare dall’umore, doveva essersi appena svegliato.

“Cosa diavolo c’è? Non vi sembra di avermi disturbato abbastanza per oggi?”

Rachel deglutì, riprendendo fiato. “Ci ha mandate Laurenne! È successa una cosa e devi venire con noi!”

Jamaal non sembrava del tutto convinto, come se dubitasse della loro salute mentale, così Claire provò a fargli capire a modo suo che era una questione importante. “Senti, due uomini hanno preso la nostra amica e l’hanno portata in una tenda, Dio solo sa perché. A meno che non si tratti di un tuo ordine, credo che faresti bene a venire con noi.” Il tono che usò era molto determinato e non distolse gli occhi da lui nemmeno per un secondo.

La cosa parve funzionare, perché finalmente Jamaal le prese sul serio e alla fine annuì, facendo loro cenno di aspettare. “Datemi un momento.” disse chiudendosi la porta alle spalle.

Non aspettarono molto che fu di nuovo da loro, completamente vestito stavolta, così gli fecero strada e rapidamente tornarono alla tenda. Lui entrò per primo con le ragazze al seguito.
Appena entrate, la scena che si trovarono di fronte le lasciò sbigottite. Cordelia era per terra, carponi e, mentre tossiva piegata su se stessa, sputava sangue. Già convinte che le avessero fatto del male, Rachel e Claire non esitarono un istante a correrle accanto.  

“Tranquille, sta bene…” iniziò Laurenne, ma la voce di Rachel coprì le sue parole.

“No, non sta bene! Che le avete fatto?” urlò rivolta a lei e poi agli uomini lì intorno. Solo in quel momento notò la presenza di Tareq tra loro e di un uomo più anziano che gli somigliava molto. In quel momento stava fissando Cordelia con uno sguardo di puro disgusto.

Che sta succedendo qui?” chiese Jamaal in arabo, in tono fermo e autoritario.

Alquanto sollevata nel vederlo, Laurenne stava per spiegargli, ma l’uomo anziano di fianco a Tareq non gliene diede il tempo.

Dovevamo essere certi che questa ragazza fosse umana.” Rispose in tutta calma, senza avere l’aria di volersi giustificare.

Da solo non hai l’autorità di prendere decisioni del genere, Cassim.” replicò Jamaal, senza lasciarsi intimidire. “Perché non sono stato informato?

Lui e Cassim cominciarono una lunga discussione in arabo e, visto che non riuscivano a capirne una parola, Rachel e Claire chiesero spiegazioni a Laurenne.

“Quello non è il sangue di Cordelia. Cassim l’ha costretta a bere da una boccetta per verificare che non fosse un vampiro e lei lo ha rigettato. Ma sta bene, non preoccupatevi.

Rachel stava riflettendo sulle sue parole ed ebbe quasi un dejà-vu mentre teneva i capelli a Cordelia, che continuava a tossire e ad avere i conati. Da un lato, avrebbe volentieri riempito di schiaffi tutte quelle facce che le scrutavano da capo a piedi, dall’altro sperava che almeno adesso si fossero definitivamente convinti che Cordelia era umana quanto loro e l’avrebbero lasciata in pace.

“Scusa, ferma un secondo. Chi diavolo è Cassim?” domandò Claire, con il suo solito modo di fare schietto.
Laurenne indicò l’uomo che discuteva con Jamaal. “È il padre di Tareq, fa parte del concilio degli anziani.”

Claire osservò l’uomo di sottecchi. Aveva lo sguardo arcigno e la postura molto rigida, affrontava Jamaal a testa alta senza scomporsi, dimostrando tutta la sua autorità. Capì che era il genere di persona che andava presa con i guanti.

“Questo spiega da chi abbia ripreso la simpatia il figlio.” Commentò.

Proprio in quel momento Cassim e Tareq vennero congedati e dopo aver rivolto loro un ultimo sguardo colmo di disprezzo uscirono dalla tenda.
Quando non furono più a portata d’orecchio, Laurenne, che fino ad allora era rimasta in silenzio per rispetto nei confronti dell’autorità di Jamaal, esplose. “Assurdo! Sono venuti in casa mia e l’hanno trascinata fin qui, neanche fosse un animale!” esclamò, mentre faceva avanti e indietro furiosa. “Lo sapevo che non avevano il tuo permesso! Non potevi esserci tu dietro a tutto questo, ne ero convinta. E infatti…”

Lui sospirò, portandosi una mano sugli occhi, visibilmente stressato, ma questo non impedì a Laurenne di dire la sua. Si fermò, rivolgendogli uno sguardo deciso. “Devi fare qualcosa, Jamaal. Prendere provvedimenti. Non può passarla liscia e nemmeno suo figlio!”

“Lo so bene, ma conosci lo stato delle cose. Sai chi è lui e cosa ha fatto per me. Non è così semplice.” ribatté, mantenendo la mano sugli occhi, come se lo stancasse anche il solo parlarne.

A Claire sembrava non stesse bene e a quel punto anche Laurenne se ne accorse e si calmò. Gli si avvicinò apprensiva, mormorandogli qualcosa in arabo.
Sia Claire che Rachel trovarono il cambio repentino del suo comportamento piuttosto strano. Fino a un minuto prima gli urlava contro e ora era tutta premurosa, neanche fosse sua madre. Era anche vero che Laurenne aveva un atteggiamento materno anche con loro che conosceva da due giorni, non era poi così strano che si comportasse così con Jamaal che conosceva da sempre.

Smisero di parlottare in arabo e Jamaal si chinò di fronte a Cordelia, che era ancora a terra e cercava di darsi una ripulita. “Mi dispiace per quello che è successo, ma ti giuro che non succederà più. Hai la mia parola.”

Il suo tono sembrava sincero, così come il suo sguardo. La aiutò ad alzarsi, poi si rivolse a Laurenne. “Pensa tu a lei.”

In qualche modo il suo essere premuroso nei confronti di Cordelia sorprese Claire. Non lo avrebbe creduto capace di tanta gentilezza e sensibilità, verso una sconosciuta poi. Doveva ammettere di averlo rivalutato. In cuor suo, sperò davvero che imponesse a Tareq e a quel simpaticone del padre di lasciarle in pace, ora che avevano tutte le conferme che volevano.

 
   
 
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