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Autore: gold_pebble    23/05/2019    2 recensioni
Chiedo umilmente pietà ai lettori, e vi è poco d’altro che possa fare.
Chiedo umilmente pietà ai lettori, affinché schiudano i loro cuori e attingano alla più profonda bontà che alberga in essi, perché ciò possa portarli a comprendere le azioni e tribolazioni cui la fanciulla protagonista del racconto va incontro.


Nell'estate 1845, Ottilie Barret fa la conoscenza di Frederick Wrentmore, gentiluomo tanto più anziano di lei da essere sposato da più anni di quanti lei ne abbia avuto l'occasione di viverne.
Frederick possiede il fascino del gentiluomo inglese, le conoscenze del viaggiatore che ha camminato sulle terre oltreoceano, l'assennatezza del saggio che ha imparato a superare ogni ostacolo con il solo uso della parola.
Agli occhi di Ottilie, Frederick è un sogno divenuto realtà tramite il mortale mezzo della carne; lui non la tratta come una sciocca ragazzina, e non ritiene che le sue emozioni siano causate da pochezza morale.
Tuttavia, l'uomo è ben lontano dalla creatura senza macchia e peccato che Ottilie figura nella sua mente, e la ragazza dovrà presto iniziare a crescere, se vuole abbandonare le sue grinfie.
[Si aggiorna un sabato sì, e l'altro si spera.]
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Età vittoriana/Inghilterra
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Questa storia mi tormenta da ormai quasi un anno, e sebbene continui a riscriverne l'introduzione, ho trovato che sarebbe stato molto più facile per me deciderne la strada una volta l'avessi pubblicata e altre persone l'avessero letta (e, spero, pure recensita).
Tuttavia, vi è una cosa che ritengo essere quasi di vitale importanza, che devo dire prima di potervi lasciare alla lettura: l'idea di fondo non è mia.
O, per meglio dire, la più superficiale dinamica della coppia principale non è mia, in quanto si basa su un romanzo pubblicato da Mondadori nel 2007 talmente tremendo che non è più acquistabile nemmeno sul sito della casa editrice, e che anche su Amazon ed Ebay è introvabile. Ne posseggo una copia personale, questo è vero, ma solamente perché l'ho comprata dalla biblioteca locale, che suppongo fosse l'unica in tutta la Lombardia che non avesse già mandato tutte le copie al macero. Il titolo lo svelerò solamente al termine della storia, così che la lettura non venga eccessivamente influenzata dal terribile materiale d'origine.
Ci tengo inoltre a dire che, seppure la storia paia concentrarsi solamente sui personaggi e sulle relazioni che vivono, il racconto è di genere storico, e vuole mostrare un lato della vita in epoca Vittoriana che viene spesso dimenticato: la vita domestica delle donne, che venivano cresciute per essere madri e mogli, ma mai perché fossero esseri umani con personalità proprie, interessi propri, identità proprie.
Purtroppo il primo capitolo non è tanto lungo, ma i prossimi lo saranno.

Le informazioni di carattere storico sono state estrapolate da: Inside the Victorian Home - A portrait of Domestic Life in Victorian England di Judith Flanders (W. W. Norton & Company, edito 2004), Il Linguaggio dei Fiori di Charlotte de Latour (Leo S. Olschki, edito 2011, pubblicato per la prima  volta nel 1819), e Kings & Queens - A Chronicle of History's most Interesting Monarchies di Brenda Ralph Lewis (Amber Books, edito 2005).

Cercherò di aggiornare almeno ogni due settimane il sabato sera, che potrà essere letto da voi la domenica mattina (vivo in Pennsylvania, quindi sono sei ore indietro rispetto agli orologi italiani).



Prologo
☞  L'Introduzione

 
Chiedo umilmente pietà ai lettori, e vi è poco d’altro che possa fare.
Chiedo umilmente pietà ai lettori, affinché schiudano i loro cuori e attingano alla più profonda bontà che alberga in essi, perché ciò possa portarli a comprendere le azioni e tribolazioni cui la fanciulla protagonista del racconto va incontro.
Chiedo umilmente pietà ai lettori, ché avranno tra le mani le numerose carte che riguardano i miei anni adolescenziali, in quanto sono io stessa la fanciulla protagonista del racconto che si apre dinanzi a voi, e che ha vissuto sulla propria pelle le vicende qui narrate.
Abbiate pietà, e non giudicate troppo aspramente colei che ora non è che un ricordo sepolto nel cuore di una donna adulta e resasi conto dei propri errori, che tempo addietro è giunta all’altare ed è stata benedetta nuovamente da Dio, tanto buono e gentile, che l’ha benedetta con la nascita di figli sani e forti.
Non v’è intenzione di portar vergogna sui miei carissimi genitori, né sui miei amatissimi fratelli e sorelle, i loro mariti e mogli, o i figlioli che hanno allietato le giornate nelle loro case: porto con me le intenzioni più pure, e gli avvertimenti di chi, in gioventù, è andata incontro a ciò che molti temono.
Ho affidato al mio caro marito tutte le confidenze che riguardano il tempo da me vissuto, mostrandogli le lettere ricevute e le pagine di diario scritte, e da lui, così come dal gentil dio, ho ricevuto null’altro che perdono, bontà, e comprensione.
Infatti, seppure questa introduzione sia stata scritta dal mio pugno, che trema un po’ per l’emozioni femminili che mi attraversano la mente, la rimanente storia è frutto del genio dell’uomo che ha acconsentito a sposarmi nonostante tutti i segreti che celavo, in quanto il suo talento è ben più vasto del mio, e non v’era situazione che egli non sapesse descrivere meglio di quanto avrei mai potuto fare io stessa.
Nonostante questo racconto sia un avvertimento e, al contempo, una memoria, v’è l’avvertimento che nessuno dei nomi nei quali vi imbatterete nelle prossime pagine appartiene a una reale persone, e se ciò dovesse accadere, è perché il caso l’ha voluto, e persino il nome dell’autore non è che fittizio.
Abbiate pietà.
O. W.
14 settembre, 1855
   
 
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