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Autore: evil 65    24/05/2019    21 recensioni
La guerra contro Thanos si è conclusa da cinque anni, e la Terra sta ormai uscendo dal difficile periodo antecedente allo schiocco che cancellò metà della vita nell’universo.
Dal profondo dello spazio, tuttavia, sta per giungere una nuova e antica minaccia.
L’uso delle Gemme dell’Infinito ha causato il risveglio di una creatura che dormiva negli abissi del cosmo, e che ora, dopo aver provocato carestie e devastazioni su vari pianeti, si dirige minacciosa verso la Terra.
Una furia immensa e bestiale, una divinità antidiluviana e una maledizione, che il mondo imparerà a temere col nome di King Ghidorah…
( Crossover Avengers x Godzilla )
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carol Danvers/Captain Marvel, Doctor Stephen Strange, Peter Parker/Spider-Man, Thor, Wanda Maximoff/Scarlet Witch
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Avengers Assemble'
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Alcune note che vi invito a considerare, prima di leggere il capitolo. Ogni buona storia che si rispetti ha bisogno di un buon antagonista, certo, ma anche di protagonisti ben delineati. Ragion per cui, questo capitolo e il prossimo saranno incentrati soprattutto sugli Avengers, anche se l’ombra di Ghidorah aleggerà sulla trama come un presagio ineluttabile.
Per la rivelazione del kaiju mi sono molto ispirato al film Lo Squalo. I vari protagonisti, infatti, incapperanno nei numerosi disastri causati dalla creatura, percepiranno la sua minaccia imminente, ma Ghidorah in sé comparirà più tardi.
Inoltre, in questo capitolo comparirà la prima ship della storia. In molti potrebbero sorprendersi dei personaggi coinvolti, ma la coppia è presa direttamente dal fumetto.
Da sempre fan di questo accoppiamento, ho deciso di riadattarlo ai canoni MCU per integrarlo nella fan fiction, anche se sarà solo una trama di contorno.
Questa storia, dopotutto, si concentrerà soprattutto sullo scontro fisico e mentale degli Avengers con King Ghidorah ( sì, sarà un confronto anche psicologico ).
Se volete conoscere la storia dietro a questa coppia, consiglio di leggere le fan fiction prequel ( So Wrong e The Captain, The Spider and the Clown ). Con questo detto, vi auguro una buona lettura !
Oh, ho anche realizzato un trailer per questa fic : https://www.youtube.com/watch?v=hshR4DmJtNA

 

Capitolo 1 

4 anni dopo

Carol Danvers dormiva. E sognava.
La linea di confine rispetto ai suoi pensieri abituali era profonda, ma a lei certe distinzioni non interessavano. Le importava solo che i contenuti del suo sonno fossero appaganti.
Qualcosa le sfiorò le labbra. Un tocco leggero, caldo, una pressione delicata ma sufficiente a riscuoterla.
Riconoscendone l'origine, la curva appena imbronciata delle sue labbra si distese in un sorriso, poi lei aprì gli occhi.
Sospeso su di lei c'era un volto familiare. Carol ormai ne conosceva ogni dettaglio, ogni tratto o cicatrice. Non che queste fossero molte, e comunque erano a mala pena visibili al di sopra della pelle. Col tempo ne sarebbero arrivate altre, e lei lo sapeva. Era il destino comune dei guerrieri, di quelli come lui.
E con ogni probabilità, una buona parte le avrebbe causate lei stessa. Era nella natura delle cose.
E in fondo lei ci sperava. Gli piaceva l'idea di quell'incisione reciproca sul viso.
Il giovane volto di Peter Parker, ventiduenne e noto al grande pubblico come Spiderman, le sorrise di rimando.
<< Buongiorno>> sussurrò << Ho creato una granata web >>.
Era una nuova informazione, ma non certo quella che si aspettava.
Con un verso a metà tra un gemito e una risata, l’eroina conosciuta ai più come Capitan Marvel si nascose sotto il cuscino.
Lui ridacchiò e lo gettò da parte. Carol sbattè le palpebre e i grandi occhi castani della donna gli rivolsero uno sguardo intenerito. Dominavano un volto giovanile eppure serio, con la fronte attraversata da una frangetta di capelli biondi, leggermente sparati verso l’alto.
Aveva l'aria di una donna spesso assorta nei suoi pensieri, cui tuttavia non sfuggiva mai nulla del mondo circostante, temprata dal conflitto.
<< Coraggio, pigrona. Guarda! >>
Strofinando il lato scolorito di un piccolo cubo, Peter proiettò un ologramma che prese forma sotto i loro occhi e restò sospeso a mezz'aria.
Raffigurava la mappatura generica di un filamento di DNA.
Reggendo il cubo sul palmo, il vigilante usò una mano libera per manipolare l'immagine, facendola ruotare e attivando lo zoom per passare ad una prospettiva migliore.
Con un dito sovrascrisse una nota, la ingrandì per renderla più leggibile e poi la eliminò con un gesto.
Una volta individuata la prospettiva che cercava, spostò di lato una colonna di appunti per mostrare l’immagine senza intralci. Il suo entusiasmo era palpabile.
<< Ecco,vedi? Ho creato una sostanza capace di destabilizzare le molecole della tela una volta a contatto con l’aria. In pratica, una tela di piccole dimensioni capace di espandersi e crescere di almeno dodici volte la sua massa originale per intrappolare l’avversario >>.
Con un'espressione rassegnata e divertita, Carol scosse la testa una paio di volte, poi afferrò un cuscino e puntò lo sguardo sul ragazzo.
<< Mi hai svegliato per questo? Ti prego, dimmi di no>>
<< Ho anche preparato il caffè>> rispose lui, in tono contrito << E sta nevicando >>
Lei sospirò, affondò per un momento la faccia nel cuscino, poi si costrinse ad alzarsi. Sarebbe bastato chiedere e lui glie l'avrebbe portato a letto, ma il suo caffè aveva sempre un sapore strano, tanto valeva prepararselo da sola.
Fuori nevicava davvero.
Grossi fiocchi si depositavano sui cornicioni e sui tetti dei palazzi,addolcendo la desolazione del panorama urbano. La metropoli era stanca, scoraggiata, visibilmente allo stremo. Qualche raro passante affrontava a fatica le strade innevate, ciascuno per conto suo, senza alzare lo sguardo o rivolgere la parola agli altri. Tutti irradiavano una cupezza identica a quella degli edifici che li sovrastavano. La neve, la vita e il futuro non erano fonte di gioia per nessuno, per le vie di New York.
Preparato il caffè, Carol prese la tazza e tornò a letto. Peter le aveva rubato il posto e ora se ne stava sdraiato ad armeggiare con l’ologramma.
<< Diverrà la punta di diamante del mio arsenale >> disse con tono soddisfatto, prima di corrugare la fronte. << Ripensandoci, forse dovrei ridurre la tensione, altrimenti potrebbe impiegare giorni a dissolversi. È difficile da dire. La resistenza della tela è importante, ma non devo trascurare l'effetto estetico >>
Carol bevve un sorso di caffè e restò a guardarlo in silenzio.
Avrebbe potuto commentare, esprimere un'opinione, se non altro per fargli capire che lo stava ascoltando e che lei aveva la sua attenzione, ma non gli andava d'interromperlo. Voltandosi, tornò a sbirciare il paesaggio invernale oltre la finestra.
Ricordava ancora il giorno in cui incontrò Peter per la prima volta. Un ragazzino forte e coraggioso di appena diciassette anni, costretto a crescere troppo in fretta e a combattere in una guerra per il destino dell’universo.
Lo aveva visto affrontare orde di nemici in solitaria, con il solo scopo di proteggere una flebile speranza. Già all’epoca era rimasta non poco impressionata dalle sue abilità e dalla sua dedizione ad un'unica e semplice causa : usare i suoi poteri per proteggere i deboli e gli oppressi. Una causa nobile che non molti adolescenti avrebbero deciso d’intraprendere, se data l’occasione.
Negli anni successivi, l’entrata di Carol nei Vendicatori aveva permesso ai due di lavorare assieme più volte. E più il tempo passava, più l’affetto che provava per Peter era cresciuto, così come Peter stesso. Da semplice ragazzino con un grande cuore si era trasformato in un giovane uomo temprato dalla battaglia e dall’esperienza, un vero pilastro della comunità supereroistica.
Avevano affrontato così tante sfide, fin dal giorno in cui il vigilante si era assunto la responsabilità di dichiarare i sentimenti che aveva cominciato a sviluppare per lei. Eppure, se un qualsiasi osservatore esterno avesse chiesto loro quale fosse la natura della loro relazione...beh, nessuno dei due sarebbe stato in grado di rispondere.
<< Dovresti pensare meno a queste cose e più ai tuoi voti universitari >> disse dopo qualche minuto di silenzio, attirando l’attenzione del ragazzo. << Ho saputo che nell’ultimo esame sei a mala pena riuscito a passare con una D3 >>
Al sentire tali parole, il vigilante trasalì d’istinto.
<< Chi te lo ha detto? >> chiese con voce leggermente umiliata.
Carol sorrise divertita, appoggiandosi alla parete della stanza.
<< Pepper >> rivelò con tono malizioso, mentre Peter si accasciava con un tonfo.
Bevendo gli ultimi sorsi di caffè, la donna si avvicinò all’arrampica-muri e cominciò ad armeggiare con i suoi capelli spettinati.
<< Allora, vuoi dirmi cosa ti frulla in quella testa? >> domandò con voce calma e rassicurante.
Peter alzò gli occhi, incontrando lo sguardo della bionda.
<< Ho solo avuto molte cose a cui pensare. Pattugliare la città richiede tempo, e i miei doveri di vendicatore… >>
<< Sai che non dovresti metterli davanti allo studio, Peter >> lo rimproverò lei. << Sei all’ultimo anno di college, e hai finalmente l’occasione di guadagnarti una buona laurea >>
Quasi si aspettava una scusa. Invece, con sua grande sorpresa, il ragazzo rimase fermo e immobile, apparentemente perso nei suoi pensieri.
A quel punto, una rivelazione cominciò a farsi strada nella mente di Carol. Quasi si era dimenticata che giorno fosse oggi.
<< È a causa dell’anniversario, non è vero? >> sussurrò con ton comprensivo, accarezzando il volto del compagno.
Peter le rivolse un sorriso triste, confermando i suoi sospetti.
<< Mi manca >>
<< Lo so, piccolo >> disse lei, posandogli un casto bacio sulla fronte. << Ma so anche che lui non vorrebbe farti perdere la possibilità di ottenere una buona vita >>
<< La mia vita è buona. Dopotutto…ho te >> ribattè il vigilante, facendola ridacchiare.
<< Sai cosa intendo >> sbuffò lei, colpendolo scherzosamente sulla spalla.
Il sorriso sul volto di Peter si fece molto più luminoso, e Carol lo considerò come una vittoria. Sì alzò dal letto e afferrò un telecomando posto sull’unica tv presente nell’appartamento.
<< Hai qualcosa da mangiare? >> chiese senza guardare Peter, mentre questi entrava in cucina.
Il ragazzo aprì il frigo…e si blocco.
All’interno del congelatore, infatti, vi era una rana. Sembrava morta.
Come diavolo ci era finita lì? Forse era risalita dal lavandino…u
Ugh, era proprio per motivi come questo che non voleva portare Carol nel suo appartamento.
<< Ehm…hai qualche discendenza francese? >> domandò il vigilante, mentre la bionda in questione gli lanciava un’occhiata stranita.
<< Ehm…No >>
<< Allora non c'è nulla di commestibile qui >> disse con una scrollata di spalle.
Nel mentre, la donna cominciò ad armeggiare con i canali della tv, fermandosi solo quando ne trovò uno che trasmetteva il notiziario del mattino.
L’immagine raffigurava un uomo di almeno trentacinque anni, dai corti capelli neri, la barba ben curata e vestito con un elegante completo grigio. Indossava un paio di occhiali dalle lenti rosse e portava nella mano destra un bastone bianco, come quelli usati dalle persone cieche. Affianco a lui vi era un uomo leggermente più paffuto, dai lunghi capelli rossi tirati all’indietro.
A completare il tutto vi era la figura del Commissario di New York, George Stacy, un individuo alto e tarchiato dai corti capelli argentati e gli occhi blu elettrico, apparentemente sulla cinquantina.
<< Signor Nelson, signor Murdoch, è vero che state entrambi indagando sul caso del Kingpin? >> domandò una voce esterna e femminile, probabilmente la persona che si stava occupando del servizio.
L’espressione dell’uomo cieco, sotto cui comparve la scritta “ Matt Murdoch – Avvocato Distrettuale”, rimase calma e distaccata.
<< "Il Kingpin" si chiama Wilson Fisk. È solo un uomo, come tutti. Ma si pone al di sopra della legge >> dichiarò con tono impassibile.
<< Questo non significa che lo sia >> dichiarò Stacy, ricevendo un’occhiata stizzita da parte dell’uomo dai capelli rossi.
<< Sul serio? Allora vada ad arrestarlo >> commentò questi, mentre Murdoch annuiva d’accordo.
<< Tutti sanno su cosa si basa la fortuna della famiglia Fisk. Gioco, racket, droga. Il solo pensiero che la città continui a fare affari con lui mi ripugna>>
<< Sta lanciando delle accuse abbastanza pesanti contro Wilson Fisk >> rispose freddamente il Commissario. << L’uomo è stato scagionato da ogni accusa, e ora è solo un importatore di scarpe italiane. Me ne sono perfino comperato un paio! E sono straordinariamente comode >>
Detto questo, volse alla telecamera un sorriso accomodante.
<< E poi, a questa città possono fare molto comodo i proventi delle importazioni Fisk >>
<< Denaro sporco >> si intromise Murdoch, alzando leggermente la voce. << E vuole ripulirlo qui. Non permetteremo che questo accada…non più >>
A quel punto, l’immagine della trasmissione cambiò di colpo, mostrando un uomo alto e dalla corporatura massiccia, calvo e vestito con un elegante giacca bianca. Costui non era altri che Wilson Fisk, conosciuto dalla criminalità organizzata di New York con il soprannome di Kingpin.
<< È lui il tipo che ti da problemi? >> domandò Carol, indicando il televisore.
Dietro di lei, Peter incrociò le braccia e si appoggiò al muro del salotto.
<< Da quando è uscito di prigione, il livello di criminalità di New York è salito parecchio >> commentò seccamente, fissando il boss del crimine con disgusto a mala pena celato.
Carol girò la testa verso di lui.
<< Sai…potrei andare nel suo ufficio proprio ora. Fargli fare un giro sulla stella nana più vicina e risolvere il problema >> disse con un ghigno malizioso, facendo ridacchiare il compagno.
<< Apprezzo l’offerta, ma posso gestirlo da solo >> disse questi, con una scrollata di spalle. << E poi, l’ultima cosa che voglio è che quel pelatone accusi la mia ragazza di sequestro e tentato omicidio >>
<< Oh…Quindi ora sono la tua ragazza? >>
Peter si bloccò di colpo. Alzò gli occhi in direzione di Carol…e noto che l’espressione sul volto della donna era diventata molto più seria e custodita.
Inconsapevolmente, si ritrovò a deglutire.
<< Non lo sei? >> chiese con tono apparentemente disinvolto, cercando di apparire fiducioso nonostante l’argomento trattato.
A quel punto, Carol si alzò dal letto e si voltò completamente verso di lui, incrociando ambe le braccia davanti a sé.
<< Vuoi che lo sia? >>
E, nonostante quella fosse una domanda apparentemente innocente, Peter riuscì a percepirvi un sottofondo di inquisizione. A volte dimenticava che quella donna aveva un passato militare alle spalle.
<< Io…sono abbastanza sicuro che questa sia una domanda trabocchetto >> azzardò con esitazione.
Per qualche minuto lei rimase a guardarlo senza parlare. A mano a mano che il silenzio si prolungava, lo sfarfallio che lui sentiva allo stomaco si trasformò in un battito d'ali, e non poté fare a meno di pensare di aver fatto qualcosa di sbagliato. 
Invece di rispondere, Carol fece un passo verso di lui, e poi accadde tutto troppo in fretta per capirci qualcosa. Un attimo prima era a un metro da lui, e quello dopo gli aveva posato la mano su un fianco e le stava abbracciando. Poi, chinò la testa e lo baciò.
Le sue labbra erano morbide. Forse fu per il fatto che l'aveva colto di sorpresa, ma ricambiò il bacio e si rese conto che era esattamente ciò che aveva desiderato facesse.
Dopo circa un paio di minuti, Carol fu la prima a staccarsi e fissò il ragazzo dritto negli occhi.
<< Peter, lo sai che mi piace passare il tempo con te. Sei carino, divertente, intelligente…e sei bravo a letto >> aggiunse con una lieve punta di ironia, facendolo ridacchiare.
Poi, l’espressione sul volto della giovane donna si fece improvvisamente seria.
<< Ma non credo che una relazione fissa potrebbe funzionare tra noi >> disse con tono di fatto, sorprendendo il compagno.
Questi prese a scrutarla con un cipiglio.
<< Sai bene cosa provo per te >>
<< Peter...>>
<< E so che anche tu provi lo stesso per me >> continuò questi, suscitando un sospiro da parte di Carol.
<< Non è così semplice >>
<< Perché no?>> disse il vigilante, implacabile, stringendo ambe le palpebre degli occhi.
Il volto della bionda fu attraversato da una miriade di emozioni. Era evidente che stava cercando di trovare le parole giuste per rispondere ad una simile domanda senza ferirlo.
<< Siamo supereroi >> affermò dopo un attimo di silenzio, spingendo l’arrampica-muri ad inarcare un sopracciglio.
<< E allora? Questo è solo una delle tante cose che abbiamo in comune >>
<< Non possiamo preoccuparci l'uno per l'altra mentre combattiamo i criminali >> continuò caldamente l’altra, con uno sguardo d’ammonimento.
Peter si limitò a scrollare le spalle.
<< Troppo tardi per questo. Qualcos'altro?>> disse con tono impertinente, mentre la giovane donna rilasciava un gemito e si portava una mano alla fonte.
<< Ugh... è una follia. Voglio dire, guardaci. Sul serio... guardaci! >> disse indicando le loro rispettive figure.
Peter sembrò leggermente ferito da quell’invito, e il cuore di Carol mancò un battito. Quegli occhi da cucciolo riuscivano sempre a farle fare marcia indietro.
<< È a causa della differenza di età? >> domandò il ragazzo, abbassando leggermente la testa.
La supereroina si affrettò a rassicurarlo, alzandogli il mento e costringendolo a guadarla in faccia.
<< Ne abbiamo già parlato, sai bene che invecchio molto più lentamente di qualsiasi essere umano. Biologicamente parlando abbiamo solo 6 anni di differenza >> sussurrò con tono serio, prima di arricciare le labbra in un sorriso malizioso.<< E non sarei certo la prima donna ad uscire con qualcuno di più giovane. Detto questo, sai anche che il mio tempo sulla Terra è limitato. Ho un’intera galassia da pattugliare…doveri che non posso ignorare, lontano da qui. Riusciamo a vederci sì e no a mala pena tre mesi all’anno! >>
<< Potresti restare qui >> sbottò il vigilante, senza rendersi conto di quanto quell’idea suonasse ipocrita anche alle sue stesse orecchie.
Carol gli posò nuovamente una mano sulla guancia, scrutandolo con occhi caldi e amorevoli.
<< Vorrei tanto poterlo fare >> mormorò a bassa voce.
Poi, si chinò ancora una volta verso di lui, baciandolo teneramente, prima sulla guancia e poi sulle labbra.
Peter ripose con gioia alla dimostrazione di affetto e, anche se solo per un momento, dimenticò l’angoscia che aveva provato fino a pochi secondi prima.
Quando la guardò negli occhi, lei rivide il ragazzo allegro e spensierato che aveva amato durante questi ultimi mesi e il giovane che amava ancora.
<< Ci prendiamo il resto della giornata libera? >> sussurrò lui, sopra le sue labbra.
Carol roteò gli occhi, apparentemente divertita.
<< Non posso, ho un appuntamento con Fury tra mezz’ora >> disse con voce stanca, suscitando un gemito scontento da parte del compagno.
<< Ugh, non puoi lasciarmi in questo modo. Hai idea di cosa significhi passare il resto della giornata con un erezione? >> mormorò con un broncio che Carol non potè fare a meno di considerare “ adorabile”.
<< Vuoi un po’ di sollievo? >> chiese lei, posandogli un dito sul labbro inferiore. << Portami una bella A di Chimica avanzata >>
Al sentire tali parole, Peter la fissò con uno sguardo incredulo misto a divertimento.
<< Mi offri sesso in cambio di un buon voto? >>
<< Cerco solo di riportarti sul giusto binario >> ribattè l’altra, con una scrollata di spalle.
Fatto questo, si allontano da lui con un balzo, premendo un braccialetto che portava al polso. Nel giro di pochi secondi, la vestaglia che la donna indossava cadde a terra, venendo prontamente sostituita dall’uniforme rossa e blu ci Capitan Marvel.
Ormai consapevole che la supereroina non stesse affatto scherzando, Peter le lanciò un’espressione indignata.
<< È impossibile che io passi da una D ad una A in meno di una settimana! >> esclamò con una punta di panico, mentre Carol gli inviava un sorriso impertinente.
<< Allora non mi sarà possibile alleviare le tue pene >> disse lei, prima di aprire la finestra dell’appartamento. Nel mentre, la figura della bionda cominciò a illuminarsi di un accecante bagliore dorato.
<< Incredibile cosa può fare un piccolo incentivo >> aggiunse con un occhiolino malizioso.
E, detto questo, si lanciò oltre la vetrata, prendendo il volo e lasciandosi dietro un Peter Park visibilmente stizzito.
L’adolescente rilasciò un sonoro sospiro e si preparo per cambiarsi. Dopotutto, New York non si sarebbe certo salvata da sola…e in più, ora doveva occuparsi anche della questione riguardante lo studio.
Ebbe appena il tempo di compiere un passo.
Come dal nulla, sentì una forza invisibile e sconosciuta atterrargli sulla schiena con la stessa intensità di un treno in corsa. Il cuore cominciò a battergli a mille, mentre i peli sul corpo si drizzarono e una sensazione di nausea e malessere si fece strada dentro ci lui.
Peter dilatò le pupille e cominciò a respirare a fatica. Si sentiva come…un uccello nelle grinfie di un gatto, fu la prima analogia che gli venne in mente.
Era il suo senso di ragno…e stava impazzendo. Non era mai stato così spaventato in vita sua. L’ultima volta che aveva provato qualcosa di simile era stato durante l’ultima battaglia con Tha…
Poco prima che potesse terminare quel pensiero, tutto si fermo di colpo.
Il vigilante si drizzò di scatto e cominciò a guardarsi attorno con aria frenetica. Niente sembrava fuori posto.
Saltò alla finestra e spese almeno un minuto buono a scrutare il cielo. Niente. Nessun’astronave, nessun’invasione…niente.
Emise un sospiro di sollievo e si accasciò al muro dell’appartamento.
Cosa diavolo era stato?
 
                                                                                                                                                      * * * 
 
C'era un tempo prima degli uomini, un tempo ancor prima che il mondo esistesse, quando il cosmo era solo il nero vuoto dell'abisso di Ginnunga.
Le distese ghiacciate di Niflheim si estendevano dall'estremo Nord, e le terre delle luminose e scintillanti fornaci del gigante Muspell, chiamate Muspellsheim, all'estremo Sud.
Nel grande abisso di Ginnunga, i freddi venti settentrionali incontrarono le calde brezze che soffiavano da sud e il turbinio di neve e frandine si sciolse e gocciolò nel nulla per formare Ymir, padre di tutti i giganti del ghiaccio.
 I giganti lo chiamarono Aurgelmir, colui che fa bollire il fango. Da questo gocciolio di brina si formò pure la prima mucca, Audhumla, che con il suo latte alimentò Ymir e con la lingua leccò un blocco di sale, dando luce al primo degli dei, Buri. In tempi successivi, Bor, il figlio di Buri, ebbe tre figli dalla gigantessa Bestla, Odino, Vili e Ve, e furono loro a uccidere il grande Ymir e a portare il suo corpo nel freddo centro dell'abisso di Ginnunga. Con il suo sangue crearono i laghi, i fiumi e i mari e con le sue ossa scolpirono le montagne. Con i denti massicci formarono le pietre e la ghiaia. Con il cervello le nuvole e con il cranio costruirono il cielo e lo stesero in alto sopra la terra. Fu così che i figli di Buri costruirono il mondo che sarebbe diventato la casa dei figli degli uomini.
O almeno questo era ciò che la madre di Thor, Frigga, era solita narrare al figlio e a suo fratello Loki durante la sera, prima che andassero a letto.
Con il volto chiuso in un piccolo sorriso, Thor ricordò quelle storie con affetto.
Secondo la mitologia asgardiana, al centro dell’universo si ergeva il frassino Yggdrasil, il più grande e il migliore di tutti gli alberi, e sotto le radici di Yggdrasil dimorano le tre vergini, le norne, che non smettevano mai di lavorare, impegnate ai loro telai, filando e forgiando le vite di ogni uomo e di ogni donna, tessendo ciò che doveva fuoriuscire dal caos e dalle infinite possibilità.
Gli stessi dei di Asgard erano solo fili del manufatto delle norne, e neppure loro, come gli uomini mortali e i giganti, potevano dare una sbirciata ai fili delle loro esistenze o conoscere il giudizio di quelle dita agili e instancabili.
Solo le tre vergini conoscono la lunghezza di ogni filo, là sotto le radici del frassino del Mondo. 
Era così anche per Thor, che aveva cercato la gloria e la morte valorosa inseguita da coloro che desiderano entrare nel palazzo di Odino e combattere con gli altri dei nella battaglia decisiva all'avvento del Ragnarök…giorno in cui aveva perso tutto. La sua casa…il suo popolo…suo fratello. Tutto era ormai svanito nell’oscurità dello spazio.
Attualmente, il dio del tuono sedeva con gli occhi chiusi e le gambe incrociate sul pavimento della Milano, una navetta classe M la cui velocità e destrezza non erano seconde a nessuno, meditando sulla propria esistenza.
A pochi metri di distanza spiccava Il martello di Thor, noto come Mjollnir.
I nani Brokk ed Eitri lo avevano fabbricato per lui migliaia di anni prima, direttamente dal cuore di una stella morente.
Era uno dei tesori degli dèi. Quando Thor scagliava il martello contro un bersaglio, l'arma volava precisa nella direzione indicatagli e sempre faceva ritorno fra le forti mani del suo possessore . C’era perfino un tempo in cui poteva rimpicciolirlo e nasconderlo nella tunica, per poi ingrandirlo di nuovo. Era un martello perfetto in tutto tranne una cosa: l'impugnatura era leggermente corta, e quindi Thor doveva farlo roteare con una mano sola. 
Il resto della stanza era occupato da un totale di cinque individui dall’aspetto inusuale, almeno per gli standard asgardiani.
Il più “ normale” era un giovane uomo apparentemente sulla trentina, dai corti capelli biondi e la barba ispida, vestito con una giacca in pelle color rosso sangue e pantaloni anfibi di seconda mano.
Era seduto all’unico tavolo presente nell’ala, assieme ad un essere umanoide dalla testa calva, la cui pelle grigia e coriacea era stata incisa da numerosi segni di natura apparentemente tribale.
A pochi metri di distanza, intenta a giocare con un vecchio gameboy terrestre degli anni 90, vi era un’aliena dai lunghi capelli castani, occhi privi di bianco e vestita con un abito verde attillato. Tratto distintivo era sicuramente il paio di antenne che le ornavano la testa, caratterizzate da punte luminose.
A completare il tutto erano un procione dalla struttura fisica vagamente simile a quella di un bambino e un albero umanoide alto circa un paio di metri.
Costoro erano, rispettivamente, Peter Quill, Drax il distruttore, Mantis, Rocket e Groot, una squadra di eroi disadattati conosciuta con molti nomi in tutto l’universo, anche se il più comune tra i loro appellativi rimaneva sicuramente quello che si erano scelti circa una decina di anni orsono :  “ I Guardiani della Galassia”.
<< Quindi, ricapitolando… >> disse Rocket, mentre era intento ad armeggiare con un fucile a protoni. << Odino ora vive nel Valhalla. Ed è l’unico dio che vive in un grande palazzo?>>
<< No. Ci sono molti palazzi >> rispose Thor, mantenendo gli occhi chiusi e una posizione rilassata. << Una volta che sarò morto, io vivrò a Thrudheim >>
Il procione annuì contemplativo.
<< Giusto, giusto…e a Freyr è stato donato il palazzo d'Alfheim, quando ha perso il suo primo dente…>>
<< Esatto >> confermò l’ex Avenger. << E vicino c'è il Valhalla, vasto e scintillante d'oro, e ogni giorno Odino sceglie gli uomini uccisi che lo raggiungeranno. Loro si armano e combattono nella grande corte, e si ammazzano a vicenda. Ma, notte dopo notte, tornano ad alzarsi e fanno rientro al palazzo per festeggiare. Il tetto è fatto di scudi e le travi sono lance, le panche sono ricoperte di armature. Un lupo sorveglia l'ingresso occidentale e un aquila si libera sopra di esso. Ci sono 540 porte, e quando l’universo giungerà alla sua fine,  800 guerrieri marceranno fuori da ogni porta stando fianco a fianco per combattere il Grande Nemico ancora una volta >>
<<  …e poi la gente dice che siamo noi quelli strani >> commentò l’esperimento genetico, lanciando un’occhiata laterale in direzione di Groot.
In tutta risposta, l’albero si limitò a scrollare le spalle, borbottando un : << Io sono Groot >>
Nel mentre, a pochi metri dal trio, Peter era impegnato in un’accesa discussione a senso unico con un certo guerriero.
<< Te lo dico io, Drax, Nebula sta cercando di sabotarmi! Ogni volta che tento di mettere le cose a posto con Gamora, lei finisce sempre con l’interromperci >> borbottò amaramente.
Di fronte a lui, l’alieno era intento ad estrarre da una scatola quelle che avevano tutta l’aria di essere caramelle gommose di vari colori. Le aveva disposte tutte in fila, scrutandole attentamente con fare metodico, come se stesse cercando qualcosa.
<< Sei ancora arrabbiato con lei per averti preso a calci qualche mese fa?>> chiese Drax, senza nemmeno alzare gli occhi in direzione di Quill.
<< Ha avuto un colpo di fortuna! >> ribattè caldamente l’altro, prima di fermarsi di scatto. << Okay, cinque o sei colpi di fortuna. Comunque, non è questo il punto...>>
<< Lo sapevo, la scatola stava mentendo! >> esclamò all’improvviso l’alieno, facendo sobbalzare il capitano della nave. << Erano trentadue sapori, non trentaquattro!>>
Peter lanciò al compagno di squadra un’occhiata visibilmente irritata, per poi accasciarsi sullo schienale della sedia.
<<  C'è qualcosa che non va qui, Drax, me lo sento >>
<< Di solito sono io quello paranoico, e neanche io vedo nulla>> commentò Rocket, con un roteare degli occhi.
Mantis, che nel frattempo aveva cominciato a prendere nota della conversazione, decise di abbandonare il gioco e intervenire.
<< Perché non vai semplicemente a parlare con Gamora? >> chiese con tono perplesso, ricevendo un’occhiata incredula da parte di Peter.
<< Cosa, io? Parlare con lei? Scordatelo!>>
<< Se hai paura di parlare con lei, lo faccio io per te >> disse Thor, dalla sua posizione sul pavimento.
La reazione fu quasi istantanea. 
<< No! >> esclamò l’ex-ravager, visibilmente allarmato.
Dopotutto, l’ultima cosa di cui aveva bisogno era che l’uomo più affascinante che avesse mai incontrato ( per quanto detestasse ammetterlo ) rimanesse da solo con il suo interesse amoroso. Certe cose non finivano mai bene, e lo sapeva per esperienza personale.
<< Fai davvero tristezza >> borbottò Rocket, scuotendo la testa e ricominciando ad armeggiare con il blaster.
Nel mentre, Groot alzò la mano destra, attirando l’attenzione di Quill.
<< Io sono Groot >> offrì la creatura, con una scrollata di spalle.
L’umano prese a fissarlo con aria perplessa, mentre Rocket annuì d’accordo.
<< Groot ha ragione, potresti non avere un’altra occasione. Nebula è attualmente nella cabina di guida, dovresti approfittarne >> disse con un sorriso malizioso.
Peter sembrò prendere in considerazione le parole del procione parlante, soppesando brevemente lo sguardo su ogni membro della squadra.
<< Sai una cosa? È esattamente quello che ho intenzione di fare >> dichiarò con fiducia ritrovata, prima di fuoriuscire dalla stanza con passo marcato e sicuro.
 
 
La cabina di Gamora, come quella dei suoi colleghi, era stata progettata per occupare il massimo spazio concesso dai limiti strutturali ed economici della navetta. Entro quei parametri, era dotata di ogni comfort. Il letto era addossato a una parete, sotto un oblò esagonale che mostrava una visione multipla del cosmo all’esterno, e la luce era regolabile : più intensa per leggere, soffusa o colorata nel caso di altre attività.
Senza perdere tempo a bussare, Peter entrò con prepotenza all’interno della stanza.
<< Ehi, Gamora! Volevo... Judas Priest!>> esclamò basito, sorpreso dalla visione che prese forma di fronte a lui.
Gamora era esattamente come la ricordava. Corpo esile e femminile, capelli neri e cadenti, pelle verde e occhi lucidi, colmi di determinazione e spirito combattivo. Ciò che aveva sorpreso l’umano, tuttavia…era quello che stava indossando.
<< Problemi?>> chiese l’ex figlia di Thanos, che attualmente vestiva in un elegante abito con spalline, che le arrivava fino alle caviglie.
Quill scosse prontamente la testa.
<< No, no, è solo che, uh... non... Non ti avevo mai vista in un vestito prima d'ora >> balbettò con il volto leggermente arrossato.
La Zen Whoberi si limitò a scrollare le spalle.
<< Sto solo provando qualcosa di nuovo, è stata un’idea di Mantis. Non ti piace? >>
<< È, uh... carino >> fu l’unica cosa che l’uomo riuscì a dire, dopo un momento di esitazione.
Gamora lo fissò stranamente, facendo sì che Peter si ricordasse il motivo per cui era venuto.
Tuttavia, poco prima che potesse anche solo aprire bocca…
<< Ragazzi, la nave ha rilevato una trasmissione di soccorso lanciata circa mezz’ora fa>> proclamò la voce fredda e distaccata della sorella di Gamora, Nebula, attraverso gli altoparlanti della nave.
Il tempo parve fermarsi. Un silenzio inesorabile sembrò calare all’interno dell’alloggio, mentre un certo capitano prese a fissare il dispositivo con fare incredulo.
Gamora girò la testa verso Quill.
<< Esci, devo cambiarmi >> ordinò con un tono che non ammetteva repliche.
Peter aprì e chiuse la bocca un paio di volte, come se stesse cercando le parole giuste per argomentare. Tuttavia, quando lo sguardo dell’aliena si fece più intenso, l’ex-ravager procedette ad uscire dalla cabina senza protestare.
Una volta fuori, lanciò un’occhiataccia in direzione di uno degli altoparlanti.
<< Lo sapevo! >>
 
                                                                                                                                                      * * *  

L’enorme sagoma dell’astronave incombeva cupa, ostile e inquietante per la sua somiglianza con una parte ben distinta dell’anatomia femminile. I fasci della Providence frugarono il gigantesco squarcio disposto lungo la fiancata del veicolo, in cerca di qualcosa di solido su cui riflettersi.
Scrutando le pareti della nave, Thor non riusciva a capire se fossero fatte di metallo, plastica, vetro o tessuti organici. Quelli che sembravano sostegni ricurvi avrebbero potuto benissimo essere le costole di una bestia gigantesca, e il tunnel che conduceva da entrata le sue viscere. Purtroppo, la tenebra dello spazio era troppo fitta, e il poco che era possibile distinguere appariva uniformemente scuro…e senza vita.
<< Sembra messa davvero male >> commentò Drax, fissando intensamente il relitto.
<< Forse è stata abbordata >> offrì Gamora, soppesando lo sguardo sull’enorme ferita aperta lungo il telaio del veicolo.
Rocket strinse ambe le palpebre degli occhi.
<< Chiunque l’abbia fatto…doveva avere armi davvero belle grosse. E molto potenti >> sussurrò con circospezione.
Thor girò brevemente la testa in direzione di Mantis.
<< Ci sono forme di vita a bordo? >>
<< Alcune, ma sono poche. A giudicare dalle dimensioni della nave, direi che la maggior parte dell’equipaggio è morta >> rispose la donna, leggermente sconsolata.
Peter rilasciò un sospiro rassegnato.
<< Dovremmo combattere, non è vero? >>
<< È altamente probabile >> disse freddamente Nebula, a pochi passi da lui. L’aliena dalla pelle blu aveva già armato il proprio blaster e sembrava pronta ad andare in guerra.
Inconsapevolmente, Thor si ritrovò a sorridere. Erano anni che lavorava con lei, eppure il suo entusiasmo per la lotta non smetteva mai di provocargli un forte senso di nostalgia. Per certi versi gli ricordava Syf, la sua vecchia amica.
Aaaah, quante battaglie avevano combattuto assieme…
Scosse la testa da quei pensieri. Ora non era il momento di rivangare il passato.
Dopo aver preso un respiro profondo,  procedette a camminare fino allo spogliatoio della nave. 
Una volta indossate le tute protettive, il gruppo entrò nel riletto.
Con i loro grossi caschi, il carico di attrezzature e le tute pressurizzate che spiccavano arancioni nel buio dello spazio profondo, avevano l’aspetto di giganteschi scarafaggi monocoli.
Senza esitare, com’era suo compito, Quill si era subito messo in testa alla fila.
Finora la sua torcia non aveva rilevato nulla di mobile. Gli unici suoni percepibili erano il gocciolare costante di qualcosa, e di tanto in tanto un sibilo, probabilmente provocato dai meccanismi interni della nave che cercavano di impedire all’aria di fuoriuscire dall’atmosfera artificiale.
 A volte provenivano dall’esterno, a volte dall’interno. Come un mantice, riflettè l’uomo. O un polmone.
Dentro il relitto della nave spaziale mancava la luce, ma non l’acqua.
Sulle superfici irregolari scorreva una quantità di piccoli rivoli quasi muti. In alcuni punti si raccoglievano in pozze superficiali.
La squadra cercò di evitarne il più possibile, non volendo constatare se si trattassero di coaguli di idrogeno o carburante infiammabile.
Imboccato un altro corridoio, si trovarono davanti ad una serie di oggetti che a prima vista sembravano statue. Avvicinandosi, Gamora si rese conto che erano tute.
Non era possibile indovinarne la funzione, poteva trattarsi di tute spaziali, di sopravvivenza, per la vita quotidiana o per chissà quale attività che sfuggiva alla sua comprensione, ma il dato più interessante erano le dimensioni.
Le forme apparivano umanoidi, bi-simmetriche, e le proporzioni sembravano simili alle sue, anche se progettate per corpi molto più grandi.
Nebula la affiancò e restò in silenzio a scrutare gli involucri, prendendo appunti e rilevamenti con la strumentazione esterna. Non fece commenti e l’altra non ne chiese. Dopotutto, quando la sorella aveva qualcosa di utile da dire…bhe, lo esprimeva senza bisogno di incoraggiamenti.
Facendo correre lo sguardo sull’ambiente cupo e umido, Peter provò un disagio crescente. Infilò una mano in tasca, afferrò saldamente il blaster e cominciò a rigirarselo tra le dita.
La sala successiva era leggermente più grande delle altre. Diversamente dalle precedenti, era sormontata da un altissimo soffitto a volta, e le pareti ricurve che la reggevano non mostravano traccia di giunti o bulloni, saldature o altri sostegni interni. Una rampa appena inclinata conduceva a una gigantesca piattaforma elevata al centro esatto del pavimento.
Sulla pedana, una consolle curva abbracciava uno strumento ignoto. Era difficile stabilire se si trattasse di un’arma, oppure di un timone.
La rampa mandò un leggero clangore sotto i loro passi.
Arrivati in cima, trovarono un sedile vuoto.
<< Bhe… se non altro sappiamo che il capitano non è qui >> commentò Peter, cercando di sdrammatizzare l’intera situazione.
Nel mentre, Thor cominciò a scrutare l’area circostante.
<< È troppo strano >> brobottò a se stesso, dopo un’attenta analisi della stanza.
La dichiarazione non passò inosservata alle orecchie di Nebula, che si voltò verso di lui.
<< Che cosa ?>>
<< Avete notato cadaveri da quando siamo entrati? >> proseguì il dio del tuono, attirando l’attenzione dei vari guardiani.
<< No, nemmeno uno >> acconsentì Nebula, la cui posizione si era fatta molto più tesa di quanto non fosse fino a pochi secondi prima.
Rocket iniziò ad annusare l’area circostante.
<< Allora…dove sono finiti tutti? >> disse con sospetto. Nessuno fu in grado di rispondergli.
Mentre il procione illuminava con la torcia i vari artefatti, Peter scese dalla rampa e si avvicinò alla console centrale per indagare la strumentazione.
Il pannello non mostrava pulsanti, leve, monitor o altri comandi riconoscibili. Gli unici elementi ad averne l’aspetto erano una quantità di sferette di varie dimensioni incastonate nel pannello. L’ex Ravager era stato ben attento a non toccarle, ma la sua cautela si ritrovò superflua : la tecnologia alla base della console era troppo avanzata per affidarsi ad un sistema rudimentale come il contatto fisico.
La sua mano passò sopra un intarsio smerigliato e…
Nel punto esatto in cui si trovava Drax, un ologramma prese vita. Colto alla sprovvista, l’alieno si scansò di scatto, estraendo un coltello e permettendo all’immagine di rivelarsi appieno.
Per quanto sfocata e indistinta, era evidente che rappresentava uno dei passeggeri della nave.
L’alieno in questione era alto quasi tre metri, dalla testa calva e dalla carnagione pallida.
Il tono della sua voce era distintamente maschile, e accompagnava lo stesso messaggio ripetuto più e più volte : “ Vi prego, aiutateci, siamo stati attaccati, non possiamo sconfiggerlo!”
<< Mala'kak >> disse Rocket all’improvviso, attirando lo sguardo di Peter.
<< Che cosa? >> domandò questi, mentre il procione indicava l’ologramma.
<< È il nome di questa specie. Tipi molto riservati, io e Groot ne abbiamo incontrati alcuni durante una delle nostre precedenti missioni nell’orlo esterno. Però è strano, di solito non si avventurano mai così lontano da casa >> mormorò contrito, mentre analizzava con attenzione il messaggio della creatura.
Mantis non potè fare a meno di cogliere la profonda desolazione che traspariva dalla voce.
<< La sentite? >> mormorò, mentre il messaggio echeggiava nella vasta cassa di risonanza della sala. << Così piena di angoscia…>>
<< Sono io quello angosciato, cazzo >>
Seriamente turbato dall’aura sinistra di quel luogo, Rocket non si era fatto scrupoli a tagliare contro con la retorica dell’aliena. << Mi dispiace per questo povero bastardo, ma cosa diavolo è successo qui? >>
Sollevò il blaster  e continuò dicendo : << Questa situazione non mi piace per niente, ragazzi >>
<< Io sono Groot >> acconsentì Groot, con voce solenne.
Thor, invece, non rispose.
Fissava come ipnotizzato l’ologramma che si muoveva all’interno della sala.
Davanti ai loto occhi, la figura si era voltata per guardarsi alle spalle e rimase come pietrificata. A giudicare dall’espressione sembrava nervosa…e spaventata.
Incapace di trattenere oltre la curiosità, Thor si avvicinò all’ologramma dell’alieno. Questi lo ignorò, fissando impietrito la sagoma che si trovava dietro di lui.
Infine, il dio del tuono cercò di sfiorarlo, e a quel punto l’immagine si ingrandì di botto, avvolgendo l’intera stanza in una luce abbagliante e rivelando ciò che era stato nascosto agli occhi della squadra.
Vi era…una bocca. Irta di denti acuminati, grande quanto la stanza stessa. Ogni dente pareva delle dimensioni di una colonna, bianco e immacolato anche nella penombra della nave.
E anche se l’immagine raffigurata dall’ologramma non aveva il massimo della risoluzione…Thor riuscì comunque a intravedere il volto della creatura a cui appartenevano quelle immense fauci.
<< Non è possibile >> sussurrò, compiendo un passo all’indietro.
Rocket alzò la testa, pronto a commentare le parole dell’asgardiano…e si bloccò.
<< Thor, attento! >>



Dum, dum, duuuuuuuuuuuuum ! 
Yep, sono un infame. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto !
Per chi non lo sapesse, Matt Murdoch e Foggy Nelson sono i protagonisti della serie MCU Daredevil. Matt è proprio Daredevil in persona, mentre Wilson Fisk è il suo acerrimo nemico, noto anche come Kingipn, che potete vedere in azione anche nel film di Spiderman uscito quest'anno ( Spiderman : Un nuovo universo ). Sì, in questa storia inserirò anche i personaggi delle serie tv marvel legate all'MCU, come Jessica Jones, The Punisher, Agent's of Shield ecc...
Inoltre, preciso che la nave trovata dai Guardiani non è la stessa attaccata nel primo capitolo, quella era una nave colonizzatrice di umani, questa appartiene ad una razza aliena completamente diversa. Infattoi, questo cap si svolge 4 anni dopo il prologo ( 5 anni dopo Endgame ).


 
  
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