PIRATI DI CARTA E INCHIOSTRO
È
seduto davanti al foglio bianco da ore, ormai, lo fissa con occhi da triglia
bollita senza avere la minima idea di cosa farne, con la matita in mano che
ciondola da tutte le parti. Ah, se fosse sulla mia nave, punirei questa sua indecisione
con un paio di giri di chiglia: tanto per rinfrescargli le idee, niente di più,
quel tanto che basta per fargli capire ciò che è meglio che disegni, ovvero la
mia bellissima “Ondina” e quell’accozzaglia di ratti di sentina che rispondono
ai miei comandi, magari mentre siamo intenti ad abbordare uno dei tanti legni
spagnoli carichi d’oro. Però non siamo sul mio vascello, piuttosto nel suo
studio e devo ammettere che è frustrante non avere voce in capitolo: tanto più
che, in questo momento, non sono da solo… E se quel marmocchio dai capelli
biondi non la pianta di gridare e saltare peggio di una scimmia tropicale,
giuro che lo appendo al primo albero maestro che mi capita a tiro!
Sì!
Sì! Sono io il più indicato per essere ritratto! Se decidesse di concentrarsi
su di me, sicuramente il suo disegno riceverebbe il primo premio! Ah, che sogno
sarebbe! Il mio bellissimo “Nembocumulo” che fende
l’aria con le sue ali grigie e s’alza verso il sole, per poi scendere in
picchiata verso le ignare navi che solcano i mari e ripulirle, per la gioia del
mio capitano. Noi pirati dell’aria siamo senza dubbio i più indicati a
rappresentare tutti i pirati, deve scegliere me! Ho tantissime imprese da
raccontare, e riuscirebbe sicuramente a trovare l’ispirazione più adeguata
senza neppure troppa fatica: l’oceano è troppo piccolo mentre il cielo non ha
limiti! Magari potrebbe disegnarmi alla guida di uno di quei dirigibili che il
comandante ha promesso di farmi guidare, un giorno: l’idea mi piace talmente
tanto che non sento neppure i borbottii del nonnetto alle mie spalle! E dire
che sarebbe il più anziano tra noi…
Nel
nostro correre tra le galassie abbiamo attaccato con successo tante astronavi,
ci siamo scontrati con eserciti di centinaia di razze aliene. Perché limitarsi
a descrivere ciò che esiste su questa terra anziché spaziare tra le stelle? Le
avventure che io ed il mio equipaggio possiamo narrare farebbero impallidire il
bambino e quel vecchio lupo di mare puzzolente di salsedine: il nostro amico
qui, poi, dagli occhi sbarrati e dalla mente più vuota dello spazio profondo,
verrebbe letteralmente abbagliato dai fasci dei laser che illuminano le nostre
giornate, mentre le insegne di noi pirati spaziali lo stimolerebbero senza
dubbio a creare qualcosa di adatto. Ho da dedicargli tutto il tempo che vuole:
dopotutto, dove mai potrebbe trovare una piratessa
degna di apparire in un disegno come lo sono io? La mia “Antares”,
poi, sarebbe così bella riprodotta dalla sua mano: dopotutto, quando era
bambino, è stato lui a crearla.
La
confusione che questi tre stanno facendo è qualcosa di estremamente fastidioso
e molesto per me, abituato al silenzio e al fruscio basso della ventola del mio
computer in sottofondo: ma devo ammettere che anche a me farebbe piacere essere
scelto. Cioè, insomma, cos’hanno, loro tre, in più rispetto a un pirata
informatico come me? Ormai le avventure non sono più sul mare, nei cieli o
nello spazio, ma si muovono attraverso la Rete, sulle tastiere e attraverso i
processori, le nuove armi sono i virus e le stringhe di ricerca… Forse questo
tipo di avventure non sono poi così entusiasmanti come le loro, eppure anche
questa è una realtà. E poi, non deve scordarsi che, per un po’, anche lui lo è
stato e sa qual è il brivido di intrufolarsi dovunque, l’adrenalina del
distruggere i muri virtuali che ti separano dal tuo obiettivo e anche la
stanchezza dopo una notte trascorsa in piedi, a navigare. Che differenza c’è
tra noi? Nessuna, siamo pur sempre pirati, orgogliosamente.
Ma
è mai possibile che ancora non abbia deciso!? Il tempo scorre, la marea sale e
scende, il vento smette di soffiare e arriva la bonaccia! Non si può navigare
così! L’indecisione porta guai e sventure agli equipaggi che sono comandati da
mollaccioni e femminucce! Questo dovrebbe essergli chiaro da tanto! Diamine!
L’ho visto crescere, era un soldo di cacio grosso quanto un forziere quando
l’ho conosciuto, col naso immerso nel libro e gli occhioni che ci fissavano
mentre eravamo intenti a riempire di buche l’ennesima isola, a caccia del suo
tesoro. Ne rimasi folgorato, devo ammetterlo, in tutta la mia vita non avevo
mai visto un tale entusiasmo negli occhi di un bambino nel vederci all’opera:
solitamente, tutti scappano. Ma lui invece, oh… Aveva la stoffa del corsaro
quel moccioso con il naso colante e la bocca ancora sporca di latte! Non può
lasciarsi abbattere proprio ora! Non glielo permetto.
Quando
mi librai per la prima volta in aria, ero come lui è adesso in questo momento,
incerto e spaventato, ma avevo dalla mia anche una buona dose di sogni e
desideri a mandarmi avanti, a spingermi continuamente ad affrontare le correnti
ascensionali, a planare sul pelo dell’acqua, con il sorriso più splendente
dell’Oceano nelle giornate di sole, balzare sulle navi passeggeri, raccattare
soldi e gioielli e poi VIA! Sfrecciare via in una nube di fumo bianco per
sfuggire alle pattuglie aeree che hanno sempre tentato di metterci il sale
sulla coda come coniglietti qualunque. Tsk, sono una
recluta, ma sono pur sempre un pirata dell’aria, è difficile mettermi nel
sacco! E anche lui è come noi, il suo grande desiderio di dare vita ai sogni
della gente è il carburante più adatto per il suo biplano! Parola di Frèdrerick e di Nembocumulo!
Quindi, prendi quella matita e comincia a disegnare! Subito!
Ho
detto al mio secondo di portarmi una tazza di sakè spaziale mentre cerco di far
entrare nella testa di questo disgraziato l’importanza del suo lavoro, e della
nostra esistenza: in fondo, se noi siamo qui, a vivere le nostre avventure, è
anche e soprattutto merito suo. Almeno, per me è così, visto che nacqui
all’improvviso, in mezzo a una furiosa battaglia, al comando della mia Antares, mentre attorno a me c’era il caos, e la nostra
gloriosa bandiera col teschio veniva sforacchiata senza pietà dai laser.
Eravamo completi per metà, molti di noi ancora mancavano del colore e della
china, ma era la vista più bella della mia vita: mentre il sangue scorreva più
veloce nelle vene assieme all’adrenalina io, Shiro-chan,
piratessa e mercenaria dello spazio profondo, diedi
il comando di attaccare i nemici, di rispondere al fuoco! Da quel momento,
l’eccitazione della battaglia, la sete di avventura, non mi ha più abbandonato,
e se sono così, devo ringraziare lui. Non posso permettere che si faccia
condizionare in questo modo da un foglio bianco!
Per
quanto non abbia mai approvato il suo aver abbandonato la VR per tornare nel
noioso e spento mondo reale, non ho mai smesso di cavalcare le tastiere anche
per lui, in virtù della nostra vecchia unione. In fondo, è stata la Rete a
metterci in contatto, e a farci vivere l’uno nel pc dell’altro. Letteralmente.
Io ero solo un avatar senza padrone, un loner anche
tra gli avatar, non ero in grado neppure di rendere presentabile un mio pixel,
figuriamoci aggregarmi a un utente e stare con lui, esserne l’altra faccia
della medaglia. Quando però lui mi scelse, esclamando a gran voce il mio nome,
era come me, un n00b. Ma aveva un gran cervello, un cervello fino, e grazie
alla sua presenza ho cambiato volto, sono diventato quello che avevo sempre
sognato di essere, vedendo i flussi di dati, gli altri avatar. Un hacker.
Assieme, abbiamo abbattuto tanti muri, ci siamo spinti lontano, e malgrado io
poi sia rimasto da solo… Beh, non l’ho mai dimenticato, come non ho dimenticato
la nostra euforia in quelle notti. Deve concludere il suo disegno anche per me!
E
ADESSO COSA STA FACENDO? Perché s’è alzato con quell’aria di stizza, buttando a
terra matite, colori e tutto quello che c’era sulla scrivania!? Disgraziato!
Noi siamo qui e lui si comporta in questo modo? Mi verrebbe voglia di fargli
due occhielli di spada in pancia! O di fargli fare un giro sulla passerella,
magari con sotto qualche decina di squali affamati! E pensare che mi ero quasi
convinto a chiamare il quartiermastro per offrirgli del buon rhum! Altro che
rhum! Dritto filato su un’isola deserta, e una pallottola nella pistola!
No!
Non può farsi abbattere in questo modo! Non è uno di quei damerini tutti
imbellettati, che si servono dei biplani per fare solamente colpo sulle belle
ragazze, che ci inseguono per qualche miglio, senza neppure spararci addosso, e
ci lasciano andare perché sono dei vigliacchi indegni di stare in cielo tra le
nuvole! Lui potrebbe essere un nostro rivale! Ha tenacia da vendere e gli occhi
pieni di sogni e speranze, tali che neppure il cielo stesso potrebbe
contenerle! Non è così che si comporta un pirata dell’aria degno dell’amicizia
degli Aquilotti!
Il
disegnatore s’alzò dalla sua sedia, con la testa che gli scoppiava e una sorta
di senso di colpa a tormentarlo.
Diamine,
aveva trascorso le ultime notti a cercare un’idea, un qualcosa di adeguato e perfetto
per poter partecipare a quel concorso di cui il suo capo gli aveva fatto vedere
il bando: sapeva di potercela fare, sentiva che era la sua occasione!
Ma
senza un’idea, un’idea qualunque, aveva le mani legate!
Che
avesse perso la capacità di disegnare?
Impossibile,
di questo era fermamente convinto!
Forse,
quello che aveva perso era la capacità di sognare… Da quanto, ormai, non
disegnava paesaggi, sorrisi di bambini, e quei personaggi che, lo sapeva, non
lo avevano mai abbandonato, da quando era bambino? Perché se n’era accorto,
della loro presenza, li aveva sentiti fare tutto quel chiasso alle sue spalle
ma, se da una parte si era sentito felice, dall’altra si era sentito morire.
Diventando
grafico pubblicitario, relegando l’arte e la fantasia in forme geometriche
senza vita, si era svenduto alla vita reale, dimenticando tutto quello che
aveva imparato nella sua infanzia, tutto quello che aveva infuso nella
creazione di Shiro-chan e di Frèderick,
tutto quello che stare fianco a fianco con Loner gli
aveva insegnato… E il primo meraviglioso impatto col mondo della fantasia
grazie all’Ondina del Capitano: le illustrazioni di quel libro che aveva
trovato in biblioteca erano state il punto di partenza.
Forse
doveva solo schiarirsi le idee, uscire un attimo all’aria fresca gli sembrava
la cosa più indicata da fare…
Attraversare
la piccola casa sulla spiaggia, passando un attimo in cucina a versarsi del
caffè, fu un attimo e quando si ritrovò fuori, sulla soglia, col sole in viso e
l’odore di salsedine nei polmoni, con gli occhi sperduti nel blu annegante del
mare e del cielo che si mischiavano nell’orizzonte, si sentì libero, per la
prima volta dopo tanti giorni.
Avrebbe
dovuto farlo prima.
Poco
lontano, a un paio di bracciate dalla lingua di sabbia, il giovane vide due
figurette giocare, scambiandosi giocosi colpi di spada invisibili sopra un
vecchio gozzo: certo che suo fratello era proprio uguale a lui, la passione per
le storie di pirati evidentemente doveva essere una caratteristica di famiglia!
All’improvviso,
forse per un movimento brusco di uno dei due bambini, semplicemente la barca si
ribaltò, buttandoli dritti in acqua con tutti i vestiti
Ma
non sembravano essersi fatti male, anzi, ridevano e sguazzavano, senza per
questo smettere di gridare e giocare, riusciva a sentire le loro voci da lì,
mentre si affrontavano in improbabili duelli con sciabole d’abbordaggio, li
vedeva correre, grondanti d’acqua, fuori sulla riva, con le braccia aperte
nell’imitazione di un aeroplano…
Con
una punta di malinconia, il disegnatore pensò che erano stati proprio quei
giochi infantili a dare in un certo senso vita ai suoi personaggi…
All’improvviso,
il sole gli parve più luminoso e brillante che mai, quasi accecante, mentre gli
cadeva di mano la tazza piena di caffè ormai freddo.
Era
stato uno stupido a dimenticare tutto quello!
Con
la stessa rapidità con cui era uscito, subito si precipitò dentro casa,
piombando nel proprio studiolo e richiudendosi la porta alle spalle: con ansia
febbrile, raccolse tutte le matite, facendo forse più danni che altro nel
tentativo. Quando riuscì a rimettere ogni cosa al suo posto, si sedette, con le
mani che tremavano.
Poteva
farcela.
§§§
Quasi
non mi sembra vero. Quel mollusco ce l’ha fatta alla fine! Certo, ci ha messo
molto, un tempo immenso, ma alla fine ha capito cosa fare. Sono orgoglioso di
lui. Uomini! Stasera festeggeremo col rhum e ci ubriacheremo in suo onore! E
per quanto riguarda il giro di chiglia… Beh, posso anche soprassedere…
Sto
per ritornare dai miei compagni e SONO FELICE! In fondo, in quel disegno, ci
sono anche io. Torno a casa vittorioso! E sono certo che potrò finalmente
salire su uno dei dirigibili, il capo non può più negarmelo! La scommessa era
chiara, se avessi ottenuto il ritratto, l’avrei accompagnato nella prossima
scorribanda sullo Zeppelin!
Il
teletrasporto mi riporterà a casa a minuti. Ormai, il mio compito qui è finito.
E sono soddisfatta che si sia concluso in questo modo: è una soddisfazione
vedere nuovamente l’Antares disegnata da lui, con la
costellazione dello Scorpione sullo sfondo, e orgogliosamente dipinta sulla
nostra bandiera, mentre lo spazio sterminato ci circonda.
Finalmente,
posso dire di riconoscere gli occhi del bambino disegnato sulla tavola, che
fissa il libro con espressione stupita… Sono i suoi, hanno la stessa sfumatura
di curiosità infantile che aveva lui a ogni ostacolo che incontravamo, a ogni
nuova password che ci si palesava davanti. Non voglio più dimenticare
quest’emozione nel rivederci di nuovo assieme in un disegno, e non voglio che
dimentichi neppure lui.
Quando
il disegnatore, finalmente, concluse anche l’ultimo tratto di china sull’ala
del Nembocumulo, si staccò dal foglio, con il
pennello stretto tra le dita tremanti e il fiatone, mentre fuori si spegneva il
Sole, con le prime stelle che facevano capolino.
Aveva
finito.
Quattro
paia di occhi ammiccavano dal foglio davanti a sé, quattro amici che credeva di
aver ormai perso, ma che in realtà non lo avevano mai lasciato si erano
nuovamente palesati davanti a lui.
E
davanti a quel bambino che li guardava rapito, che ne seguiva le avventure,
dipinte in quella variopinta nuvola che, leggera, s’alzava dalle pagine del
volume poggiato sul cuscino…
La
voce del fratellino, che lo cercava dopo un pomeriggio di giochi, lo riscosse
dal suo torpore.
Con
cura, sfiorò la pergamena che aveva disegnato con tanta cura sul bordo del
foglio, saggiando la grana della carta impregnata di acquerello, lasciando al
contempo che un sorriso malinconico s’aprisse sul suo volto: era vero quello
che aveva scritto, se n’era reso conto nel momento in cui aveva poggiato la
punta del pennello sulla carta per tracciare quelle lettere.
Ciò
che ci rende uguali è la capacità di sognare.
E
di vivere attraverso i sogni, come quei pirati di carta e inchiostro, in un
passato non troppo lontano, gli avevano insegnato.
Con
una carezza affettuosa sul volto di ognuno, simile a quella che un padre dà ai
propri figli prima di dormire, s’alzò: non importava, si disse, vincere o
perdere quel concorso.
Era
felice di aver riassaporato, anche solo per un attimo, la sensazione di calore
che lascia il viaggiare con la mente e il cuore, di essere tornato, per una
manciata di secondi, quel bambino stupefatto e abbagliato dai tesori, coi
polmoni pieni di puro ossigeno e gli occhi che riflettevano le nuvole.
Ed
era certo di una cosa.
Quella
notte, sarebbero venuti a trovarlo in sogno e avrebbe vissuto con loro tutte le
avventure che desiderava.