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Autore: Emmastory    25/05/2019    5 recensioni
Dopo essersi unita al suo Christopher nel sacro vincolo del matrimonio, Kaleia è felice. La cerimonia è stata per lei un vero sogno, e ancora incredula, è ancora in viaggio verso un nuovo bosco. Lascia indietro la vecchia vita, per uscire nuovamente dalla propria crisalide ed evolvere, abituandosi lentamente a quella nuova. Memore delle tempeste che ha affrontato, sa che le ci vorrà tempo, e mentre il suo legame con l'amato protettore complica le cose, forse una speranza è nascosta nell'accogliente Giardino di Eltaria. Se avrà fortuna, la pace l'accompagnerà ancora, ma in ogni caso, seguitela nell'avventura che la condurrà alla libertà.
(Seguito di: Luce e ombra: Essere o non essere)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Luce-e-ombra-III-mod
 
 
Capitolo IX

Paura di un nuovo mondo

Già alto, il sole stamattina è un bimbo dispettoso, e se quella di oggi è un’ennesima bella giornata, io davvero non me la sento di alzarmi. Sono ancora a Primedia, al mio bosco di nascita assieme alla mia famiglia, addormentata in quella che era la mia vecchia stanza. Le coperte leggere ma calde mi proteggono dalla fresca brezza che spira appena fuori dalla finestra, e così anche Christopher. Perso in un sonno più profondo del mio, respira lentamente e in modo regolare, e sdraiata al suo fianco, sento il battito del suo cuore rimbombarmi nelle orecchie. Adesso è calmo, e con una mano distrattamente posata sul suo petto, sorrido. Non vorrei svegliarlo, ma la risatina che mi lascio sfuggire senza volerlo tradisce la mia presenza. “Già sveglia, vero, Kia?” chiede, ridestandosi lentamente dal suo torpore e aprendo gli occhi con non poca fatica. “Sì, tesoro. So che è presto, perdonami.” Rispondo, diventando all’istante pallida come un cencio e abbassando lo sguardo in segno di vergogna. “Cosa? No, amore, guardami.” Mi prega in risposta, sorridendo leggermente e afferrandomi il mento con due dita, così che i nostri sguardi possano incrociarsi. Muta, non faccio che obbedire, e di lì a poco, il silenzio ci avvolge entrambi. “Mi dispiace, davvero.” Provai a dire, biascicando ogni parola e sentendo di avere la lingua impastata. Fermo e inerme, Christopher si limitò a guardarmi, e in un attimo, un abbraccio ci unì l’uno all’altra. “Sta tranquilla, d’accordo? Non hai colpe, sul serio.” Continua poi, rassicurandomi e accarezzandomi la schiena. Lasciandolo fare, mi scopro senza parole, e ancora sdraiata al suo fianco, stavolta non esito nel baciarlo, felice di averlo accanto in ogni momento della mia vita. Eravamo tornati a Primedia nella tranquillità  più assoluta, ma dati i nostri trascorsi, ero quasi sicura che la quiete non sarebbe durata molto, ragion per cui approfittavo di ogni nostro istante insieme. Felice, Christopher si abbandonò a quel bacio, e chiedendo con la lingua l’accesso alla mia bocca, sperò di approfondirlo. Innamorata, non mi sottrassi al suo affetto, e quando ci staccammo per respirare, mi ritrovai persa nei suoi occhi. “Cielo, Chris, è stato…” commentai, faticando ad esprimermi e sentendo quella frase morirmi in gola. Sorridendo debolmente, Christopher si astenne dal farlo, e poco dopo, una sola frase abbandonò le sue labbra. “A volte dimentico quanto voi piccole naturali siate attive fin dal mattino, sai?” scherzò, smorzando la situazione con quel solito pizzico di ironia che tanto mi irritava ma che avevo ormai imparato ad amare. “Capisco perfettamente, amore mio.” Risposi soltanto, stando al suo gioco e avvicinandomi quanto bastava per stabilire un nuovo, dolce contatto. Sorpreso dalla mia lieve irruenza, Christopher raggelò per un istante, ma poi sentendosi amato e al sicuro, riuscì a ricomporsi. “Sai sempre cosa fare, e mi piace.” Disse, riprendendo la parola e scompigliandomi amorevolmente i capelli. Ridacchiando divertita, mi difesi con uno scoppio di innocente magia, e improvvisamente, un rumore fu lì per distrarci. Ero sicura di averlo già sentito, e alzando gli occhi al cielo, conclusi che doveva essersi trattato di mia sorella. Per quanto ne sapevo, era felice per noi, ma nonostante tutte le volte in cui l’avevo vista sorridere e sentita complimentarsi per la forza della nostra unione, la sua indole bonaria non le impediva certo di giocarci qualcuno dei suoi soliti e divertenti tiri mancini, come bussare alla porta della stanza per spezzare la magia fra di noi, reale o metaforica che fosse. “Abbiamo compagnia.” Azzardò Christopher, ormai abituato al modo di fare di Sky, sempre schietta ma mai senza modi. “Esatto, credo sia meglio muoverci prima che mia madre si metta in testa strane idee.” Replicai, terminando quella frase per entrambi e togliendomi le coperte di dosso, ormai pronta ad alzarmi. In genere preferivo i risvegli lenti e graduali, e malgrado l’intervento di Sky non fosse stato poi così  gradito, capii che aveva ragione. Amavo Christopher, ed era vero, ma c’era altro nel mondo oltre all’amore, e se fosse dipeso da me, avremmo passato il resto della giornata fra le coperte, e la sorpresa che avevo in mente per una giovanissima amica non avrebbe mai visto la luce. Ormai in piedi, mi vestii in fretta, e a lavoro finito, non mi curai neanche di far colazione. Ad essere sincera, non avevo alcuna fame, e date le mie intenzioni, i pasti potevano attendere. “Chris, tesoro, te la senti di far visita a Lucy. Non la vediamo da molto, e vorrei salutarla.” Proposi, per poi scivolare nel silenzio in attesa di una risposta. “Perché no?” mi rispose, con un lieve sorriso a increspargli le labbra. A quelle parole, annuii con decisione, e convinta, gli presi la mano. “Perfetto, allora andiamo.” Dissi poco dopo, lasciando che il volto della mia amica pixie mi tornasse in mente. A sette anni, cresceva sana e forte, e non avendo sue notizie da un tempo che non riuscivo a definire, speravo che fosse ancora la bambina che ricordavo, bella, dolce e spensierata, senza le tipiche ombre e il buio della vita a offuscare i suoi sogni e desideri. Utopici in quanto ancora piccola e ingenua, certo, ma pur sempre tali, e come tutti degni di rispetto. Poco prima di uscire, avvisai mia madre e accarezzai Willow, e non vedendo Sky da nessuna parte, ipotizzai che fosse già uscita, e probabilmente intenta a fissare l’acqua del lago abbracciata al suo Noah. Fra un passo e l’altro, il mio pensiero andò anche alla cara Lune, tenera sorellina di Lucy ormai sempre più vicina ai cinque anni e ancora afflitta da un grave problema di mutismo. Preoccupati, i genitori non sapevano cosa avesse potuto causarlo, né da cosa dipendesse, e nonostante anch’io brancolassi nel buio a riguardo, tenevo le dita incrociate, attendendo di scoprire se e quando sarebbe guarita. Così, minuti interi scomparvero dalle nostre vite, e fermandosi prima di me, Christopher indicò con lo sguardo una casa da noi poco distante. Confusa, aguzzai la vista, e fu allora che la vidi. Quasi ai limiti del bosco come molte altre, la nostra meta, dimora di due adorabili bambine e della loro famiglia. Respirando profondamente, mossi qualche incerto passo in avanti, poi bussai. Ai miei rapidi colpi seguì il silenzio, e in pochi istanti, la porta si aprì con uno scatto. Calma e composta, mi preparai ad essere accolta, e istanti dopo, la rividi. “Kaleia! Non posso crederci, sei tornata!” disse, felice di rivedermi e già pronta a stringermi in un abbraccio. Annuendo, sorrisi e mi avvicinai a lei, lasciando che la distanza fra di noi diventasse minima. “Sì, Isla, è vero, anche se non per molto, devo dire.” Risposi appena, sempre sfoggiando quello stesso sorriso anche quando quell’abbraccio si sciolse. “Perché? Anche tu hai cambiato casa?” chiese la donna, confusa e stranita dalle mie parole. “Sì. Tornare alle radici fa bene di tanto in tanto, ma ora che Chris ed io siamo sposati, abbiamo preferito compiere anche questo grande passo. Forse e azzardato, e lo so, ma… aspetta, che significa…” spiegai, restando incredula alle sue ultime parole. In risposta, Isla si spostò dall’uscio di casa, e invitandoci ad entrare, ci mostrò l’assoluto disastro che regnava fra quelle mura. Pareti bianche e spoglie, dettagli fuori posto, e scatole di cartone praticamente ovunque. Sola e annoiata, Sunny giocava con quelle vuote nascondendosi al loro interno, e pur divertita da quella scena, non reagii. “Verrete anche voi ad Eltaria? Avete già comprato una casa?” chiesi, spinta da una genuina curiosità. “Esatto. Inizialmente ero io a non volerlo, ma dobbiamo pensare al futuro delle bambine. Entrambe imparano quello che possono da me o dalle fate più anziane, ma nessuna di loro riesce a risolvere il problema di Lune, e forse cambiare aria le farà bene. Cosa ne dici?” rispose poco dopo, descrivendo in dettaglio la situazione familiare e attendendo un mio giudizio. “A volte non sembra, ma cambiare, o almeno provarci, a volte è la cosa migliore.” Proruppe Christopher, precedendomi e offrendo una sua opinione e un punto di vista. “Grazie, Christopher, davvero. Potendo partiremmo anche subito, Lucy ne è entusiasta, ma Lune non fa certo i salti di gioia, sapete? È in momenti del genere che vorrei riuscire ad aiutarla.” Continuò, soffrendo per la sua piccola e abbandonandosi a un cupo sospiro. Provando istintivamente pena per lei, compresi di non poter ascoltare oltre, e decisa ad agire, le parlai. “Isla, non dire così, non serve. Sei una madre meravigliosa. Fai tutto il possibile per le tue bambine, so che daresti anche la vita per loro se fosse necessario. Sapresti dirmi dov’è la loro stanza?” indagai, sicura di riuscire a darle una mano. “La trovi in fondo, sulla sinistra. E per favore, non inciampare.” Mi rispose, pregandomi di fare attenzione e indicando il corridoio che avrei dovuto seguire con un gesto della mano. Annuendo, ripassai mentalmente quel percorso, e seguita da Christopher, giunsi a destinazione solo qualche minuto dopo. “Lucy? Lune?” chiamai. “Posso entrare?” da parte loro nessuna risposta, e oltre quel duro legno, soltanto la dolce voce della prima e il pianto della seconda. Frustrata, finii per innervosirmi, e notando la figura di Sunny dall’altro lato del corridoio inghiottito dal buio, mi battei piano una gamba per invitarla ad avvicinarsi. Obbedendo, la coniglietta saltellò fino ad arrivare al mio fianco, e cauta, la presi in braccio. Subito dopo, bussai ancora, e almeno allora, la porta si aprì. “Ciao.” Mi disse appena la stessa Lucy, che ai miei occhi appariva stanca, triste e provata da chissà quale profondo dolore. “Va tutto bene?” provai a chiederle, certa di star ponendo una domanda del tutto retorica. “No. Lunie è ancora triste perché cambieremo casa. Crede che andando via lasceremo qui tutto, inclusi i suoi pupazzi e Sunny.” Replicò la pixie, lasciandomi entrare e sedendosi per terra, sconfitta. Triste come mai l’avevo vista, Lune dava le spalle ad entrambe, restando a guardare con disprezzo la propria immagine riflessa nello specchio appeso al muro, proprio accanto ai lettini di entrambe. “Su, lascia che le parli io.” Sussurrai alla sorella, pregandola di farsi da parte. Annuendo, la bambina non se lo fece ripetere, e in un attimo, io e Christopher le fummo accanto. “Lune?” tentai, incerta. “Via.” Rispose questa, spintonandomi e allontanandosi da me senza alzarsi, quasi strisciando sul tappeto della stanza. “Per favore, voglio solo parlarti.” Insistetti, parlandole con dolcezza e tenendo lo sguardo fisso sulla sua schiena, ora rivolta a me come al resto del mondo. “No, via.” Replicò la piccola, testarda e amareggiata, mentre alzandosi in piedi, si dirigeva verso il baule dei propri giocattoli e ne estraeva alcuni peluche, stringendoseli al petto uno per uno. Mosso a compassione, anche Christopher decise di fare un tentativo, e avvicinandosi quanto bastava, si abbassò fisicamente al suo livello. “Ti vedo triste, piccola. Dai, vuoi dirmi cos’è che ti turba? Se non vuoi non devi, ma poi non potrò aiutarti, e neanche Kia.” Disse, spiegandosi in termini comprensibili a una pixie della sua età e azzardando nel pronunciare quello che per lei era il mio nome, nel tempo divenuto anche un nomignolo d’affetto. “Casa.” Disse soltanto la bambina, continuando ad accarezzare il pelo di ognuno di quei pupazzi con le piccole mani che si ritrovava. In silenzio, osservavo, e pur non parlando, notavo tutto. Le lacrime che fino a poco tempo prima le avevano solcato le guance, il visetto contratto in una smorfia di dolore, le piccole ali ritratte, e il corpicino scosso dai tremiti del pianto. Soffrendo per lei, tentai di avvicinarmi, ma Christopher mi fermò. “Penso io a lei, tesoro.” Sembrò voler dire, sollevando una mano e chiudendo gli occhi, calmo come il mare in una giornata priva di vento. “Casa, hai detto? Mamma Isla dice che vi trasferirete, sbaglio?” le chiese, parlandole in tono gentile, per poi tacere e restare in attesa. “No.” Quella fu l’unica risposta della pixie, di nuovo arrabbiata e chiusa in quello che era sempre stato il suo problema. “Resto.” Aggiunse poi, decisa e al sicuro sul suo lettino, circondato da peluche di ogni forma e dimensione. Stando ai racconti di Lucy, doveva averne centinaia, ma in quel momento, riconobbi i sei che aveva preso dal baule, e che ora stringeva di nuovo al petto. Un cane, un gatto, un coniglio, una volpe, un procione e un uccellino. Tutti giocattoli che mi ricordarono i miei amici animali, fra cui Bucky, Red e Midnight, e che per lei dovevano avere un gran significato, oltre che un valore affettivo. Ad essere sincera, la capivo, e ricordando i miei andati tempi di bambina accanto ad Eliza, mi lasciai prendere la mano dalle emozioni, e triste a mia volta, non arrestai la corsa sul mio viso di alcune lacrime. “Piccola…” sussurrai appena, con voce spezzata. Sentendo la mia voce, la bambina alzò lo sguardo, e fissandoci, riuscimmo in qualche modo a comunicare, scoprendo l’una i segreti dell’altra. Ero ancora giovane, e anche se la mia fanciullezza era ormai andata, io e lei eravamo incredibilmente simili. Anch’io avevo pianto, tremato, provato l’impulso di nascondermi e gridare, proprio come lei in quel momento. A quanto sembrava, il piano di Christopher aveva funzionato, e sorridendo per ridarle sicurezza, mi avvicinai. “Andrà tutto bene, pixie. Tutto bene. Vecchia o nuova, una casa è sempre una casa, e nessuno viene mai lasciato indietro.” Le spiegai, tenendola stretta fra le braccia e sussurrando ogni parola, con la folle paura di spaventarla e di farle del male. “Famiglia?” rispose lei, incerta. “Sì, famiglia.” Le feci eco io, stringendola con forza ancora maggiore. Lentamente, lei ricambiò l’abbraccio con più decisione rispetto a prima, e quando anche Lucy si unì a noi, e Sunny non restò in disparte, intrufolandosi a sua volta, una tenue luce color dell’oro, offuscata solo da quella del giorno ancora vivo appena fuori dalla finestra della stanzetta, le ricoprì il corpo, indicando subito la gioia che la piccola provava dopo aver sofferto la paura di un nuovo mondo.

 
   
 
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