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Autore: Nana_13    27/05/2019    0 recensioni
"...Fa male. Un dolore lancinante mi attraversa tutto il corpo e mi sento quasi morire. Però devo resistere. Non posso permettere che lui mi scopra. Non ancora almeno. Devo dare il tempo agli altri di fuggire o il mio sacrificio non sarà servito a niente…"
Come promesso ecco il secondo capitolo della saga Bloody Castle. Claire, Juliet e Rachel hanno dovuto affrontare di tutto per salvarsi la vita. Una vita che ormai, è evidente, non è più quella di tre semplici liceali. Riusciranno a cavarsela anche questa volta? Non dovete fare altro che leggere per scoprirlo ;)
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3 - Primo incontro


Rosemary era piegata in due, le palpebre serrate e i denti stretti per il dolore lancinante che le attanagliava la spalla. Da quella posizione riusciva a malapena a vedere il manico del pugnale, il suo pugnale, che quella maledetta ragazzina aveva osato usare contro di lei.
Poco distante, sentì la sua amichetta gridare “Forza, andiamo!” Stavano andando al portale e lo avrebbero attraversato, perché si era fatta fregare come un’idiota. Rabbia e frustrazione si accesero come lava che fuoriesce da un vulcano attivo. Avrebbe potuto fermarle, perfino ucciderle, se il dolore non fosse stato così intenso da impedirle qualsiasi movimento.

“Mia signora…”

Con le sole energie rimanenti, ebbe la forza di girare gli occhi e vide uno dei suoi venirle incontro.

“Finalmente…” mormorò. Dietro di lui ce n’erano altri due, che se ne stavano lì fermi a fissarla con aria spaesata. “Che diavolo state aspettando, idioti? Andate a prenderle!” urlò con tutto il fiato che aveva, indicando il pozzo.

I due non se lo fecero ripetere due volte e si tuffarono nel portale, mentre l’altro la aiutava a rimettersi in piedi.
Avrebbe voluto resistere, ma alla fine il veleno ebbe la meglio, le intorpidì i sensi e svenne...
 


Si risvegliò nella sua stanza quando il dolore alla spalla era ormai quasi del tutto scomparso. Tuttavia, si sentiva ancora indebolita a causa del veleno. L’aveva concepito apposta per paralizzare progressivamente ogni parte del corpo, fino ad arrivare al cuore, ma non avrebbe mai immaginato che potesse essere così forte da mettere fuori gioco perfino un vampiro. Doveva complimentarsi con se stessa. Il pensiero della piccola puttanella di Dean, in quel momento agonizzante da qualche parte, non poté che farle piacere.
Si alzò a fatica dal letto, massaggiandosi il punto in cui era stata colpita e, guardandosi allo specchio, scoprì che della ferita non era rimasta traccia. La cosa la consolò, perché non avrebbe gradito se le fosse rimasta la cicatrice.
Sentiva il bisogno di bere, forse un effetto dovuto all’assunzione del veleno, e se lo annotò mentalmente. Avrebbe provveduto più tardi, ora aveva ben altro a cui pensare. Non aveva idea di quanto fosse rimasta incosciente, ma immaginava che qualcuno ormai dovesse aver informato Nickolaij dell’accaduto. Un brivido le corse lungo la schiena. Era evidente quanto quelle ragazze fossero importanti per lui e il pensiero di un suo fallimento la fece tremare di rabbia. Si sentiva una fallita e un’idiota che si era fatta fregare dai sentimenti. Per la frustrazione diede un pungo alla parete, provocando un piccolo foro e la caduta di un frammento di intonaco.
Mentre si massaggiava la mano, provò a tornare lucida e a ragionare sul da farsi. In quella foresta si era lasciata influenzare dalla rabbia e dalla gelosia, debolezze imperdonabili, ma ora non sarebbe stata una vigliacca, così afferrò il mantello e uscì, decisa ad affrontare Nickolaij.

Quasi non fece in tempo a chiudere la porta che si ritrovò faccia a faccia con un vampiro, che la stava aspettando fuori. “Mia Signora.” Chinò il capo in segno di rispetto.

“Che diavolo vuoi? Sono di fretta.” Ribatté scocciata e per niente incline alle cerimonie.

Quello che era poco più di un ragazzo trasalì, visibilmente impaurito, ma poi si ricompose. “Perdonate il disturbo Milady, ma il nostro Signore ha richiesto la vostra presenza.”

In quel momento, il cuore di Mary perse un battito. E lei che aveva creduto di batterlo sul tempo. “Dove si trova adesso?” chiese, più calma.

“Nella sala del trono. Posso accompagnarv…”

“No, non serve. Va a farti un giro.” lo interruppe, mandandolo al diavolo con un gesto della mano mentre si incamminava.

Come un fulmine imboccò la scala che portava al piano di sotto, scendendo i gradini a due a due. L’istinto le diceva che si stava mettendo male. Nickolaij voleva vederla e solo questo bastava a metterle ansia. Anche se un attimo prima aveva deciso di prendere lei l’iniziativa, ora che la cosa stava per accadere non si sentiva più tanto sicura di sé, e per reazione il suo cervello cominciò a lavorare all’impazzata per trovare le scuse più disparate, nonostante fosse consapevole che per lo più si sarebbero dimostrate inutili.
Il salone era poco illuminato quando arrivò, segno che fosse pomeriggio inoltrato, ma lei riuscì comunque a scorgere il profilo di Nickolaij, seduto sul trono nella penombra. La tensione era palpabile e la sua rabbia trasudava senza che aprisse bocca, così la prima cosa che fece fu quella di inginocchiarsi per dimostrargli sottomissione. Non disse niente però, attendendo come da rito che fosse lui a parlare per primo.
Tuttavia, ciò non avvenne. Nickolaij continuò in silenzio a tenere lo sguardo fisso su di lei, facendole intuire che stava aspettando una spiegazione da parte sua. Così, preso un respiro profondo, provò a giustificarsi, giurando di aver fatto tutto il possibile per catturare le ragazze e che ora dovevano solo attendere il ritorno dei suoi uomini, ma lui non le permise di continuare.

“I tuoi uomini non torneranno.” puntualizzò in tono solo apparentemente calmo. “È passato troppo tempo e sappiamo bene entrambi cosa è probabile che sia successo laggiù.”

Colta alla sprovvista, Mary imprecò dentro di sé. Il mancato ritorno dei suoi uomini poteva significare ben poche cose e, se davvero avevano fatto una brutta fine, si era giocata anche l’unica possibilità di salvare la faccia. “Mio Signore…” farfugliò ancora.

“Te le sei lasciate scappare.” sibilò lui tra i denti, inchiodandola con uno sguardo raggelante.

Mary avvertì l’ansia percorrerle tutto il corpo e temette il peggio quando la mano di Nickolaij si strinse a pugno sul bracciolo a forma di testa di drago. Il rubino al mignolo risplendette di rosso sangue nella penombra della sala.

Sapeva che usare come giustificazione l’essere stata ferita non sarebbe servito a niente, se non a mettersi ancora più in ridicolo, così non cercò scuse e andò dritta al sodo. Doveva recuperare la sua fiducia in qualunque modo. “Imploro umilmente il vostro perdono, mio Signore. Datemi un’altra possibilità. Andrò io stessa a cercarle…”

Nickolaij sollevò la mano per farla tacere. “Hai avuto la tua occasione. Ora spetterà ad altri questo compito.” sentenziò risoluto.

A quel punto, Mary si arrese e a capo chino accettò la sua decisione.

“Comunque, sarai lieta di sapere che Dean e i suoi amici umani sono stati catturati.” La informò poi, prendendo a osservare interessato il bagliore del suo anello.

Dal canto suo, Mary non se ne sorprese. In fondo, dopo che lo aveva colpito alla testa era quasi scontato cosa sarebbe successo in seguito. Per quanto fosse ancora furiosa con lui, in un remoto angolo della sua testa non poté fare a meno di preoccuparsi della sorte che gli sarebbe toccata. Di sicuro non tra le più rosee.

Come spesso accadeva, Nickolaij intuì i suoi pensieri, quasi fosse in grado di leggerle nella mente. “Per sua fortuna, ritengo che abbia ancora una qualche utilità. Dunque per il momento gli concederò di vivere, almeno finché non mi avrà rivelato dove sono finite le ragazze.”

“Dove?” ripeté Mary confusa. “Credevo fossimo a conoscenza della destinazione di quel portale.”

Nickolaij scosse la testa spazientito. “Certo, sciocca. Il punto è che se i due uomini che hai mandato non sono tornati, non occorre molta immaginazione per capire chi deve averle trovate e tu sai cosa questo significhi per noi.”

Mary annuì, abbassando lo sguardo. In secoli di guerra con i cacciatori non erano mai riusciti a scoprire il luogo in cui si nascondevano i loro vertici e, visto l’accaduto, era evidente che Dean avesse programmato la loro fuga proprio allo scopo di raggiungerlo. Quindi Nickolaij lo avrebbe spremuto come un limone per farsi rivelare i dettagli del piano. A quel punto, la paura che prima aveva relegato in un angolo si fece protagonista dei suoi pensieri.

“Mio Signore, lasciate che mi occupi di Dean. Lo costringerò a parlare.” Si propose, prendendo coraggio. -In fondo – pensò – meglio io che qualcun altro.-

Nickolaij però non volle sentire ragioni. “No, non posso fare affidamento su di te quando c’è lui di mezzo. Piuttosto, ti suggerisco di tornare nelle tue stanze e di riposare.” Il suo sguardo magnetico si concentrò ancora una volta su di lei. O meglio sulla sua spalla. “Non ti sei ancora rimessa del tutto.”

Mary non si stupì che sapesse del suo ferimento. I vampiri che l’avevano soccorsa dovevano averglielo già riferito e si diede della stupida per aver anche solo pensato di poterglielo nascondere. Senza aggiungere altro, si inchinò e fece per lasciare la sala, con l’intenzione di andare a smaltire la vergogna nel suo laboratorio.

“Rosemary!” la richiamò Nickolaij. La sua voce tonante rimbombò contro le pareti.

Con il cuore in gola, lei si voltò a guardarlo.

“Mi hai molto deluso.” Le disse. “Fallo di nuovo e non sarò così clemente.”

Mary lo sapeva bene. Dopo un errore del genere, era ancora viva solo perché era la sua pupilla. Nickolaij l’aveva praticamente cresciuta e a modo suo nutriva un profondo affetto per lei, ma sapeva di aver perso la sua fiducia e questa consapevolezza la distruggeva.
Dopo essersi assicurata di avere il permesso, girò i tacchi e uscì dalla sala, sperando che almeno i veleni l’avrebbero aiutata a sfogare la sua frustrazione.
Attraversò i corridoi in fretta, riflettendo sulle parole di Nickolaij e, proprio quando credeva che le cose non potessero andarle peggio di così, incrociò Byron lungo il tragitto.
Mary imprecò sottovoce. Tra tutti, lui era proprio quello che aveva sperato di non incontrare.
Si avvicinò a lei con aria boriosa, stringendo tra le mani un grosso tomo che doveva aver preso dalla biblioteca.

“Buonasera, Milady.”

Solo il tono della sua voce, viscido e mellifluo, bastò a farla irritare. “Byron.” ricambiò piatta, facendo per
passare oltre.

“Ho saputo del vostro brutto incidente.” le disse, quando ormai gli aveva già voltato le spalle.

Mary allora smise di camminare e tornò a guardarlo.

“Messa fuori combattimento da un gruppo di ragazzine umane. Deve essere stato umiliante.” continuò in tono di finto rammarico. “Sono addolorato per voi.”

Non si stava neanche sforzando di nascondere la sua falsità e Mary sentì ribollire il sangue fino al cervello. Sapeva benissimo che quella sua finta aria addolorata non era altro che la palese manifestazione del suo godimento. Si stava crogiolando nel piacere e sicuramente avrebbe desiderato esserci quando Nickolaij l’aveva bacchettata per la sua disfatta.

“L’unico errore che ho commesso è stato quello di abbassare la guardia, ma non capiterà più.” rispose secca, trattenendo quanto più possibile la voglia irrefrenabile di dargli un pugno sul naso.

“Naturalmente.” confermò Byron, con un sorrisetto di circostanza.

Per Mary la conversazione era durata anche troppo. “Sarà meglio che vada ora.”

“Sì, avete ragione. Non voglio farvi perdere altro tempo. Dopotutto anch’io sono indaffarato.”

-Ecco bravo, tornatene in biblioteca e infilati uno dei tuoi dannati libri su per il…- pensò Mary in un moto di rabbia repressa.

“Nickolaij mi sta aspettando.” Byron sottolineò le ultime parole con enfasi e la cosa non fece che irritarla ancora di più.

Con un breve cenno del capo si salutarono e ognuno andò per la sua strada.
 
-o-
 
Erano tre giorni ormai che li tenevano chiusi in quella cella. Dopo averli catturati, i vampiri li avevano sbattuti dentro, incatenati alle caviglie per fare in modo che non avessero libertà di movimento, e si facevano vivi giusto una volta al giorno per portare qualcosa da mangiare agli umani, ma senza farsi vedere. Il cibo veniva passato dall’unica feritoia della porta blindata, che neanche lui sarebbe riuscito a forzare dall’interno. Prevedibilmente, Nickolaij non avrebbe rischiato di metterli di nuovo dietro le sbarre, visto com’era andata l’ultima volta. Nonostante ciò, Mark e Cedric non facevano che chiedere delle ragazze, se erano vive, se stavano bene e Dean continuava a ripetere loro che era inutile, perché nessuno avrebbe detto una parola. Era esasperante.
L’unico lato positivo, se mai ce ne fosse stato uno, era che questa volta non si trovavano nei sotterranei umidi e ammuffiti del castello, bensì in cima a una delle torri. L’unica fonte di luce era una finestrella posta in alto, grazie alla quale era stato in grado di tenere il conto dei giorni da quando l’orologio da polso di Mark si era scaricato. Tre interminabili giorni, in cui Dean non aveva smesso un attimo di pensare a Juliet. Dopo lo scontro con Connor, qualcuno doveva averlo colpito alla testa e trascinato di nuovo al castello, quindi non aveva idea di cosa le fosse successo. Nel piano originale aveva dato per scontato che sarebbe stato con lei, ma le cose erano andate diversamente e ora il pensiero che potesse trovarsi in pericolo lo stava logorando.

Preso com’era da quei pensieri, si stupì di sentire di nuovo la voce di Mark, visto che sia lui che Cedric non parlavano da ore. “Secondo te che ne sarà di noi?” gli chiese amareggiato. Era chiaro come il sole che aveva paura e sarebbe stato strano il contrario.

“Già…” mormorò Cedric subito dopo. “Se vogliono ucciderci, non capisco che aspettano.”

Dean li guardò, abbandonandosi a un sospiro rassegnato. “A questo punto è evidente che per Nickolaij siamo di qualche utilità, altrimenti non saremmo ancora qui a discuterne.” rispose pratico.

Ci aveva riflettuto molto in quei giorni e le spiegazioni plausibili erano ben poche. Conosceva il modo di pensare di Nickolaij. Perché sprecare sangue fresco? Avrebbe lasciato che Mark e Cedric vivessero fino alla prossima cerimonia del plenilunio, ma questo non lo disse a voce alta. Nel suo caso, invece, la questione era più controversa. Dopo il suo tradimento, il fatto che gli servisse a qualcosa poteva essere l’unico motivo per cui era ancora in vita, ma sospettava che presto lo avrebbe scoperto a sue spese.  
Poco dopo, infatti, sembrò che qualcuno gli avesse letto nel pensiero, perché avvertirono dei passi e un movimento di chiavi all’esterno. Un vampiro aprì la porta e poi si fece da parte, per consentire a Nickolaij di entrare.
Il suo sguardo magnetico si posò all’istante su Dean, che lo sostenne senza lasciarsi intimidire. Accanto a sé poteva avvertire la paura che la sua comparsa aveva suscitato in Mark e Cedric, e sapeva bene che anche lui la sentiva. Nickolaij era in grado di captare ogni emozione, catturarla e amplificarla a dismisura.

Restando impassibile, si rivolse direttamente a lui, ignorando completamente gli altri. “Allora…” esordì, facendo una pausa subito dopo. Anche questo faceva parte del suo modo unico di incutere terrore. Finché non riprendeva a parlare, ti sentivi appeso a un filo con il respiro interrotto. “Ti sei dato tanto da fare, eppure sei di nuovo qui.” osservò, mentre la sua voce lasciava trapelare una quasi impercettibile nota di soddisfazione.

Dean non replicò, ma questo non impedì a Nickolaij di continuare. “A quanto pare, il tuo piano aveva qualche falla, visto che non sei riuscito a portare in salvo tutti i tuoi amici.”

Tutti? Quella era la conferma che cercava. Le ragazze ce l’avevano fatta. Un barlume di speranza si riaccese in lui, pur sapendo che non era venuto ancora il momento di esultare.

Ovviamente Nickolaij se ne accorse. “Sì, per ora ci sono sfuggite.” ammise. “Tuttavia, sai bene quanto me che non riuscirebbero mai a sopravvivere da sole in un luogo così inospitale. Dunque mi ha lasciato alquanto perplesso la tua idea di mandarle laggiù, a meno che tu non avessi previsto l’aiuto di qualcun altro.” insinuò, certo che Dean avrebbe capito di chi stava parlando.

Mark e Cedric puntarono le loro espressioni scioccate su di lui, che però si guardò bene dal ricambiarli e si sforzò quanto più poteva di restare impassibile di fronte a Nickolaij. All’improvviso, fu assalito dalla consapevolezza di aver rischiato troppo e faceva fatica a nasconderlo.

Visibilmente soddisfatto della tensione creata, Nickolaij si chinò verso di lui, diminuendo la distanza tra i loro sguardi. “Pensavi che non avrei scoperto le tue intenzioni, vero? Sei più sciocco di quanto credessi e me ne dispiaccio. Ti ritenevo un così valido elemento...” mormorò, fingendosi deluso; poi si alzò. “Ad ogni modo, sono convinto che ti dimostrerai collaborativo dicendomi dove si trovano.”

Dean intuì subito in quale modo intendesse renderlo collaborativo, ma stava dando per scontato che lui sapesse dove si trovavano le ragazze e non era così, o almeno non del tutto. Comunque, qualunque tipo di tortura Nickolaij avesse in mente, se si aspettava che lo avrebbe indotto a parlare si sbagliava.

“Tu sei malato!” proruppe Cedric all’improvviso, rivolgendosi furioso a Nickolaij. “Sei un cazzo di psicopatico!”

-Sta zitto, idiota! – pensò Dean dentro di sé, temendo già le conseguenze. Tuttavia, era inutile sperare che Cedric tacesse.

“L’ho capito cosa vuoi.” continuò imperterrito, con lo sguardo in fiamme. “Tu vuoi Claire. Sei ossessionato da lei. Ma ti giuro che se le torci un solo capello…”

Dall’altra parte, Nickolaij rimase insensibile alle sue minacce. Non lo toccavano minimamente. Voltò a malapena la testa, giusto per poter squadrare con aria di sufficienza quell’inutile essere che aveva osato rivolgergli la parola e mostrare così quanto lo considerasse meno di niente.
Dean era consapevole che bastasse un solo cenno per porre fine alla vita di Cedric e fu quello che temette quando Nickolaij rivolse un’occhiata eloquente alla guardia.
Il vampiro si avvicinò a Cedric, ma per fortuna si limitò a colpirlo in faccia con violenza, facendolo prima sbattere contro il muro e poi accasciare a terra.

“Ced!” esclamò Mark nel panico, per poi accorrere in suo soccorso.

Sistemato l’umano impudente, Nickolaij si rivolse nuovamente a Dean, che intravide un ghigno appena percepibile sul suo volto. “Tornando a noi. I tuoi nuovi alloggi ti attendono.” disse, mentre nel frattempo altri due vampiri entravano nella cella e la guardia provvedeva a togliergli la catena.

Quando lo fecero alzare afferrandolo per le braccia, Dean non oppose resistenza e si lasciò trascinare fuori.

 
-o-

Elizabeth cavalcava impetuosa nella foresta attorno al castello. Indossava stivali alti e abiti da cavallerizza, così che in lei non ci fosse alcuna traccia della nobildonna che sua sorella avrebbe apprezzato, ma solo lo spirito libero che era, e questo non poteva che farle piacere.
All’improvviso, un serpente strisciò fuori da un cespuglio e fece imbizzarrire il cavallo, che si drizzò sulle zampe posteriori, nitrendo terrorizzato. Elizabeth cercò invano di calmarlo tirando le redini, ma per sua fortuna era un’esperta e riuscì comunque a restare in sella. Il cavallo, però, continuava ad agitarsi e poco dopo prese a correre all’impazzata, incurante del morso che la ragazza continuava a tirare.
Il panico stava iniziando a farsi strada in lei, quando uno sconosciuto a cavallo sbucò dagli alberi che si era lasciata alle spalle e prese a inseguirla.
Colmato il distacco, le si affiancò, sporgendosi per afferrare le redini, che tirò con forza finché non fu riuscito a fermarlo. Dopodiché si affrettò ad accertarsi delle sue condizioni.

“State bene, Milady?” le chiese apprensivo, porgendole la mano per aiutarla.

Elizabeth l’afferrò e scese, tutto sommato ancora padrona di sé, anche se aveva le guance arrossate e l’acconciatura scomposta. Il suo primo pensiero fu il suo cavallo, così si avvicinò al muso e lo accarezzò, sussurrandogli parole rassicuranti. Solo dopo qualche istante sembrò ricordarsi dello sconosciuto.

“Qualcosa deve aver spaventato a morte Percival.” disse allora, cercando di mantenere un tono distaccato, nonostante avesse il fiato corto.


“Nome inglese.” constatò lo sconosciuto.

Elizabeth si voltò a guardarlo e lo squadrò dall’alto in basso, accorgendosi solo allora dei suoi capelli ramati e lo sguardo penetrante. Un uomo di bell’aspetto, non c’era dubbio. Non tanto più grande di lei, a giudicare da una prima occhiata, e probabilmente ignaro di trovarsi di fronte alla nipote del principe. Si guardò bene però dal farglielo presente.

“Vi ringrazio per il vostro aiuto, ma non ce n’era bisogno.” gli disse, prendendo Percival e incamminandosi verso il castello.

Lui però non rimase indietro a lungo. “Ma certo. Era evidente che avevate il pieno controllo della situazione.” ribatté con sottile ma cortese ironia, quando le si affiancò con il suo cavallo.

“Sarei riuscita a calmarlo, se non vi foste intromesso.”

“Non nutro il minimo dubbio nella vostra abilità.”

A quel punto, Elizabeth si fermò e gli rivolse un’occhiata indagatrice. “Vi state forse burlando di me, messere?”

L’uomo alzò le mani in segno di resa. “Non oserei mai. Siete troppo bella.” rispose, senza fare una piega.

Lei rimase alquanto sorpresa dalla sua faccia tosta e riuscì a stento a nasconderlo, così rivolse di nuovo lo sguardo al castello e riprese il cammino. “E voi un maleducato. Non mi avete ancora detto il vostro nome.”

“Avete ragione.” Annuì. “Tuttavia, perdonatemi, ma non rammento che voi mi abbiate detto il vostro.”

Senza alcun aiuto, Elizabeth rimontò a cavallo e, prima di spronarlo ad andare, rivolse allo sconosciuto ancora un’occhiata sdegnosa. “Chi sono non vi riguarda. Ossequi.” lo liquidò in breve, per poi lasciarselo alle spalle.

Si stava togliendo i guanti, dopo aver lasciato Percival alle cure degli stallieri, quando si vide venire in contro una delle cameriere di Margaret.

“Mia Signora.” La riverì con un inchino. “Mi manda vostra sorella. Sua Signoria il principe richiede la vostra presenza nella sala del trono.”

Elizabeth annuì con aria annoiata, senza neanche sprecarsi a chiederne il motivo. Tanto lo avrebbe scoperto di lì a poco. “Prima devo cambiarmi d’abito. Facciamo presto.”

Il tempo di tornare nelle sue stanze e l’ambiente cambiò. Ora si trovava nella grande sala delle udienze, dove insolitamente non c’erano draghi. Al loro posto, si mostravano fiere ovunque le aquile dei Danesti.
Il principe di Bran sedeva sul trono, con Margaret e Cordelia già al suo fianco. Per fortuna, qualunque cosa dovesse avvenire, non era ancora iniziata, ma Elizabeth si beccò comunque un’occhiata fulminante dalla sorella maggiore.

“Si può sapere dov’eri finita?” le chiese tra i denti, mentre si posizionava accanto a Cordelia.

L’arrivo provvidenziale degli ospiti attesi la salvò dalla risposta, ma il sollievo venne ben presto sostituito dalla sorpresa quando si accorse che a guidarli era lo stesso sconosciuto incontrato nella foresta.
In testa al gruppo, percorse l’intera lunghezza della sala, fino a inginocchiarsi di fronte a suo zio. Rivolse la fronte al pavimento, aspettando un cenno di benevolenza da parte del principe.
Poco dopo, infatti, lui lo invitò a rialzarsi insieme agli altri e l’uomo sollevò la testa, accorgendosi solo allora della presenza di Elizabeth. Tuttavia, mentre lei non riuscì a nascondere lo stupore nel rivederlo, lo sguardo dello sconosciuto si soffermò solo un istante, prima di rivolgersi di nuovo a suo zio.
“Vostra Signoria, è un onore e un privilegio essere al vostro cospetto.” lo adulò, come era solito fare chiunque avesse bisogno del suo favore.

L’espressione del principe era di chi lo sapeva bene. “Qual è il vostro nome, Sir?” chiese distaccato, ma solenne.

“Con rispetto, Signoria, non sono un cavaliere. Mi chiamo Nickolaij Lazar e non sono che un povero rinnegato in cerca di protezione.” rispose lui, chinando il capo riverente. “Io e i miei compagni veniamo per chiedervi umilmente asilo e rifugio.”
 


Era iniziato un nuovo giorno al villaggio. Le ragazze si erano appena svegliate e stavano preparando la colazione. Una colazione decisamente diversa da quella a cui erano abituate, visto che il caffè, che lì chiamavano qahwa, era più forte e il cibo consisteva in una sorta di focaccine e formaggio alle erbe.
Laurenne si affaccendava ai fornelli, aiutata da Rachel, mentre Claire, Cordelia e Samir aspettavano seduti al tavolo. Rachel le passò un barattolo di terracotta che conteneva delle spezie e la osservò incuriosita mescolarle al caffè. Quando fu pronto, lo versarono e portarono le tazze a tavola. Tazza che con disappunto Rachel dovette poggiare proprio davanti a Cordelia, senza che lei si sforzasse minimamente di prenderla da sola.
Claire fu la prima ad assaggiarne un sorso, per poi allontanare la tazza dalla bocca con aria disgustata.

“Quant’è amaro. Almeno ci hai messo un po’ di zucchero?”

“Sì, scusa. Una o due bustine?” ribatté Rachel sarcastica.

Laurenne rivolse a entrambe un’occhiata perplessa, poi passò a Claire un piattino con sopra quelli che sembravano dei datteri. “Tieni, prova con questi.”

Lei ne prese uno e ne morse un pezzetto esitante. Dopo aver bevuto il caffè, in effetti scoprì che in quel modo andava molto meglio, anzi, la dolcezza del dattero esaltava il sapore speziato della bevanda.
Mentre mangiavano in silenzio, Claire ripensò al sogno che aveva fatto quella notte. Era l’ennesimo in pochi mesi, ma ancora si stupiva di quanto fossero nitidi, quasi reali. Sembrava davvero di essere tornati indietro nel tempo.

Rachel si era accorta che stava rimuginando, così, approfittando del fatto che Laurenne fosse nell’orto e Samir era uscito, diede voce alla curiosità. “Che hai? Ti vedo pensierosa.”

“Stanotte ho sognato Elizabeth.” le confessò, poggiando con un sospiro le guance tra le mani.

Lei strabuzzò gli occhi, visibilmente sorpresa. “Di nuovo?”

Claire annuì. “Sono passate settimane dall’ultima volta e pensavo di essermene liberata, invece…”

“Cosa hai sognato di preciso?”

Dopo aver fatto mente locale per un attimo, fu abbastanza sicura di ricordare. “Ho visto il suo primo incontro con Nickolaij.” spiegò. “Continuo a rivivere momenti del suo passato, anche se ora la osservo da un punto di vista esterno.”

Rachel stava per chiederle chiarimenti, ma Cordelia sembrò aver sentito solo allora l’argomento della conversazione e si mise in mezzo. “Aspetta. Hai detto di aver visto mia sorella in sogno?” le chiese incredula.

“Ci siete tutte, in realtà. Anche tu e Margaret.” chiarì Claire. “Stavolta eravate nella sala del trono, a Bran. E c’era anche il principe…”

“Nostro zio.” la interruppe mormorante, con lo sguardo perso. Poi parve riaversi. “Com’è possibile che tu abbia dei sogni su di me e la mia famiglia?”

A quel punto, Rachel intervenne. “Allo stesso modo in cui è possibile che tu sia qui al posto di Juliet, credo. Tutta questa storia è un enorme enigma da risolvere, perciò vediamo di fare un passo alla volta.” ragionò, per poi tornare su Claire. “Che altro hai visto?”

“Nickolaij.” rispose lei, stavolta più sicura. “Era venuto per chiedere asilo ai Danesti, ma poi mi sono svegliata e non ho capito il perché…”

Cordelia si alzò di scatto, come se non potesse sopportare di sentire oltre. “Voleva sterminarci, ecco perché. Voleva riprendersi ciò che la mia famiglia aveva sottratto ai suoi avi, indegni di regnare sulla Valacchia.” Nella sua mente sembrarono riaffiorare brutti ricordi e si fece scura in volto. “Un giorno si presentò al castello sotto falso nome, chiedendo aiuto e protezione a mio zio, che nella sua generosità glieli concesse. Ma fu un errore che ci costò molto caro.”

Claire rimuginò sulle sue parole. “Eppure, da quel poco che ho visto, non mi è sembrata una cattiva persona. Almeno all’epoca. Ha salvato Elizabeth da un cavallo imbizzarrito, è stato gentile con lei…”

“Solo perché voleva usarla.” chiarì Cordelia, la voce tremante per la rabbia. “Le ha raccontato tante di quelle menzogne. Che l’amava, che voleva sposarla…E invece, non appena ha potuto, le ha tolto tutto.”

Fu allora che a Claire tornarono in mente le parole che aveva sentito pronunciare dallo stesso Nickolaij in uno dei suoi sogni. “L’amore è una debolezza…” mormorò con lo sguardo fisso, come incantata.

Rachel la guardò con aria stranita. “Cosa?”

“L’ha uccisa perché rappresentava un ostacolo ai suoi piani. Non poteva lasciarsi distrarre dall’amore, perché avrebbe perso di vista il potere. Era quello l’obbiettivo finale.”

Impegnata a realizzare tutto questo, non si accorse subito dell’espressione scioccata che le sue parole avevano fatto nascere sul viso di Cordelia.

“È stato lui…” realizzò, ricadendo a sedere sulla panca. “Beth è morta per mano sua...”

Rachel e Claire allora si resero conto che non doveva esserne al corrente.

“Non lo sapevi?” chiese Claire cauta, sentendosi un po’ in colpa per averglielo rivelato in quel modo.

Cordelia scosse la testa, mentre le lacrime le scendevano sulle guance. “Ero pronta a raggiungere il mio promesso sposo quando l'esercito di Nickolaij stava arrivando per prendere il castello.” raccontò, con la voce rotta dai singhiozzi. “La mia carrozza mi stava aspettando, ma venni raggiunta ancor prima di mettere piede nel cortile e fu la fine per me. Non ho saputo nulla della sorte toccata alle mie sorelle. Speravo che alla fine fossero riuscite a mettersi in salvo…” L’ennesimo singhiozzo le bloccò le parole in gola e nascose il viso tra le mani, cedendo alla disperazione.

Rachel provò una pena immensa per lei, così la avvicinò a sé e la strinse in un abbraccio, mentre Claire poggiava una mano sulla sua, anche se ciò che aveva sofferto andava al di là di ogni loro tentativo di confortarla.

Quando si fu calmata, Rachel diede fiato a quello che stava pensando già da un po’. “Claire, secondo me dovremmo parlare a Laurenne dei tuoi sogni.”

“E pensi che saperlo le potrà essere utile?”

“Non lo so, ma più cose riusciamo a mettere insieme più avremo qualche chance di capirci qualcosa. E magari anche di far tornare Juls.” Subito dopo guardò Cordelia. “Senza offesa.”

Facendole capire con un leggero sorriso che non doveva preoccuparsi, lei si asciugò le lacrime per ritrovare il contegno.
Neanche a farlo apposta, di lì a poco Laurenne ricomparve sulla soglia, di ritorno dal suo orto. Non ci mise molto a capire che nel frattempo era successo qualcosa, anche perché le loro espressioni erano molto eloquenti, così passò in rassegna i loro volti rattristati, cercando di leggervi la risposta. “Ragazze…Va tutto bene?”

 
-o-

Solo, con i polsi stretti da catene che non poteva spezzare, Dean fissava assente il pavimento della cella dove Nickolaij l’aveva fatto rinchiudere dopo la visita alla torre di qualche giorno prima. In realtà, non era sicuro di quanto tempo avesse trascorso là dentro, ma dalle torture subite sembrava addirittura fossero passati anni.
Il metodo usato per farlo parlare era sempre lo stesso. Lo picchiavano a sangue, per poi lasciare che le ferite si rimarginassero, in modo che fosse pronto per ricominciare. Sapeva che non si sarebbero fermati finché non avesse rivelato il punto esatto in cui si trovava il villaggio dei cacciatori. Il problema era che non ne aveva idea. Solo ora, in quelle condizioni, si rendeva conto della pazzia che aveva fatto mandando le ragazze alla deriva nel deserto, senza la minima certezza che qualcuno le avrebbe trovate.
Il senso di colpa lo torturava ancora di più delle percosse e dei morsi della fame. Il plenilunio era ancora lontano, ma la perdita di tutto quel sangue non faceva che aumentare la sua vulnerabilità. Un altro piano di Nickolaij per convincerlo a parlare.
Mentre attendeva, suo malgrado, di guarire, sentì la chiave girare nella serratura arrugginita della cella. –È già ora? – pensò. A quanto pareva, i suoi aguzzini erano impazienti di rimettersi all’opera.
Intuì di sbagliarsi dal diverso suono dei passi sulle pietre scure del pavimento, così sollevò la testa quel poco che la debolezza gli concedeva e la vide, ferma sulla soglia a contemplarlo. Era la prima volta che Rosemary veniva a trovarlo da quando lo avevano catturato.

Le sue labbra si piegarono in un ghigno appena accennato, ma anche quel piccolo movimento gli provocò dolore in tutto il corpo. “Sei qui per goderti lo spettacolo?”

Lei scosse la testa, avvicinandosi di più. “Guarda come sei ridotto.” constatò in tono rammaricato. “Se solo mi avessi dato ascolto…”

Dean non riuscì a trattenere una risatina sommessa, che di lì a poco lasciò spazio a uno sguardo carico d’odio. “Fottiti.” 

Mary però non si lasciò impressionare. “Il solito galante...” disse, senza una punta di ironia.

“Che diavolo vuoi, Mary?” la interruppe, già stanco di sentirla parlare quanto di averla davanti. Oltre alle torture, ora doveva sopportare anche la sua vista.

Lei non rispose e per un momento Dean sperò che si fosse offesa e si decidesse ad andarsene, ma aveva cantato vittoria troppo presto. Poco dopo la vide trafficare nella tasca del mantello e prima che lo trovasse, Dean sapeva già cosa stava cercando. Perciò non si stupì quando tirò fuori la solita boccetta dal contenuto vermiglio.

“Puoi anche tenertela. Non mi serve la tua compassione.”

“Avanti, piantala.” ribatté Mary, sbuffando seccata. “Sai benissimo che in queste condizioni non riusciresti a sopravvivere a lungo.”

“Quale parte del termine ‘vattene’ non ti è chiara?” sibilò Dean tra i denti. Si sarebbe fatto uccidere subito, piuttosto che accettare il suo aiuto.

Questa volta, Rosemary sembrò essersela presa sul serio, perché gli rivolse un’occhiata di fuoco, rimettendosi subito dopo la boccetta in tasca. “Come vuoi. Continua pure a marcire qui dentro per il tempo che ti rimane, che a quanto vedo non è poi molto.” sentenziò glaciale. “Credevo fossi più furbo e tenessi di più alla tua vita, invece non sei altro che un povero stolto.”

I suoi insulti non avevano il minimo effetto su Dean, che continuò a fissarla con volto privo di qualsiasi espressione.

“Un povero stolto che si ostina nel silenzio per proteggere qualcuno già bello che morto.” continuò lei, senza nascondere il piacere che provava nel rivelarglielo.

Il messaggio era forte e chiaro, e Dean non impiegò più di mezzo secondo a recepirlo. Dopo un iniziale smarrimento, ritrovò lucidità e la squadrò con disprezzo. “Sei patetica se pensi che io possa crederci.”

Rosemary fece spallucce. “Libero di non farlo, ma sappi che ho davvero goduto nel vedere il suo sangue.” disse trionfante, mentre un bagliore di rivalsa le illuminava lo sguardo da psicotica. “Prima che se la desse a gambe con le sue amichette, l’ho ferita con uno dei miei pugnali e ormai il veleno dovrebbe aver fatto effetto.”

A quel punto, a Dean fu chiaro che non stava mentendo e avvertì il mondo crollargli addosso. Juliet non c’era più. Tutti i suoi sforzi per salvarla non erano serviti a niente. Quella consapevolezza riuscì dove le torture di Nickolaij avevano fallito, distruggendolo in un attimo.
Mentre Mary gli voltava le spalle, uscendo dalla cella, spese tutte le energie rimanenti in uno straziante urlo di rabbia e dolore.

 
   
 
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