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Autore: Enchalott    27/05/2019    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Promesse

Le mani di Anthos si serrarono sul bordo ligneo e scheggiato dello spiraglio cui era affacciato fino a divenire bianche. Nei suoi occhi color ambra si leggeva un’ira incontenibile, a stento trattenuta nell’animo in tempesta.
Espirò lentamente e richiamò a sé l’energia in emissione.
Una nuvola impalpabile velò per un istante il sole dell’alba e poi si dissolse.
Qualcuno aveva nuovamente intralciato i suoi piani e non era ormai più verosimile immaginare che si trattasse di uno stregone da strapazzo, fanatico della Profezia.
La forza magica che aveva guidato i lupi nella foresta di Karya era quasi pari al suo potere e l’autore dell’incantesimo non aveva mostrato alcuna remora nel lasciarsi interpretare, ormai apertamente, come suo acerrimo nemico.
Il reggente del Nord era un uomo riflessivo e intelligente. Lasciò che il suo cuore smettesse di abbandonarsi alla collera e iniziò a filtrare il ventaglio delle possibilità.
Strinse tra le dita il medaglione con le tre Pietre affrontate.
Era fondamentale comprendere sia l’autore sia la finalità dell’atto ostativo: conoscere uno dei due aspetti, avrebbe gettato luce anche sul secondo.
Le certezze erano indubbiamente minime. L’arte occulta che aveva percepito, mentre le si opponeva da lontano, era innegabilmente oscura, pertanto era da escludere l’intervento di una forza positiva o di una qualsiasi divinità di un certo rilievo.
Non poteva essere stata Amathira: la dea del Cielo non si sarebbe mai abbassata a incantare degli animali e non era sua caratteristica perdere l’atarassia che la contraddistingueva da sempre. Solo Irkalla era riuscito a scatenare il suo personalissimo risentimento, unico caso in tutta la creazione dalla notte dei tempi. Inoltre, lei era sparita da secoli e non c’era ragione dialettica per considerare la sua ricomparsa proprio in quel frangente.
Manawydan era da escludere categoricamente, soprattutto dopo il loro incontro di qualche giorno prima, alla fine del quale gli aveva stranamente concesso una sorta di carta bianca. Decisione certo eccentrica ma non oppositiva. Anzi, gli aveva garantito che si sarebbe messo nei guai da solo, dunque andava depennato dalla lista dei possibili artefici.
Almaktti, l’eccelso sovrano degli dei, non si interessava affatto alle vicende dei mortali e, come lui, sua moglie Threna. Elkira, il dio del buio, non sarebbe stato così stupido e poi avrebbe ottenuto più vantaggio a non immischiarsi affatto nelle vicende in corso. In qualche modo, il buio sarebbe sempre sopraggiunto. Così come la luce. Tutti gli altri esseri superiori non erano in grado di stargli alla pari, sebbene fosse un semplice uomo. Eppure…
Come nelle precedenti occasioni, era sicuro di aver già incontrato quel potere in passato, ma era come se il suo flusso avesse compiuto innumerevoli deviazioni per non consentire l’identificazione della sorgente. Era come un ago nascosto in mezzo a tanti altri aghi. Perciò, doveva trattarsi di una creatura molto scaltra, prudente e decisamente ambiziosa.
Non riusciva ancora a decidere se il suo scopo ultimo fosse quello di far sì che la Profezia si compisse o se, al contrario, stesse cercando di piegarla alla sua volontà, così come lui stesso stava progettando.
Ma in quel caso… perché la principessa Adara era così rilevante per il suo avversario? Se la ragazzina fosse giunta a Jarlath, sarebbe stata prigioniera per sempre e gli antichi scritti si sarebbero compiuti diversamente da come erano stati interpretati; se non avesse mai raggiunto il Nord, invece, la Profezia avrebbe preso un corso altrettanto ignoto… oppure sarebbe andata pienamente a buon fine, cosa che nessuno aveva scoperto tranne lui. O così aveva creduto.
Anthos era lontano dalla capitale da troppi giorni: a quel punto, sarebbe stato meglio rientrare e dare il via alle indagini nel luogo in cui il suo potere era più pieno. Ma così l’avrebbe data vinta al suo rivale e non avrebbe potuto seguire da vicino il cammino della giovane campionessa di Erinna.
Detestava profondamente le impasse.
Si avvicinò al catino di coccio bianco che occupava un angolo discreto dell’ambiente in cui si trovava e passò la mano sulla superficie dell’acqua che vi era contenuta.
Il liquido trasparente assunse un aspetto lattiginoso ed iniziò a emanare un’opalescenza verdastra intensa.
“Urien” mormorò in tono appena percettibile, mentre i capelli biondi prendevano a ondeggiargli sulle spalle, come esposti al vento.
Trascorse solo qualche istante, prima che l’immagine del tenebroso consigliere si riverberasse, nera, tra le increspature alabastrine del fluido.
“Mio signore…”
La voce dell’essere fosco e ingobbito non lasciava trasparire alcuna emozione. Solo i suoi spietati occhi color borgogna erano visibili nell’oscurità che lo ammantava, ma erano anch’essi privi di qualunque altra espressione.
“Che cos’è successo in mia assenza?” domandò Anthos, come se dovesse evidentemente essere occorso qualche fatto considerevole in quel lasso di tempo.
Urien ebbe un infinitesimale attimo di smarrimento, che tuttavia non sfuggì al reggente, che lo incalzò, spazientito.
“Ebbene?” sibilò.
“Un discreto vantaggio per noi, mio principe…” rispose questi, mellifluo.
Anthos sogghignò a quel “noi”, come se non sapesse che l’alleanza con il suo braccio destro era basata sull’interesse privato e non sulla fiducia reciproca.
“Abbiamo una bella carta da giocare… o da scambiare” continuò lui “Sempre che il ricatto rientri nei vostri progetti, s’intende…”
“Sarebbe?”
Solitamente Urien portava al collo una semisfera di cristallo, per poter rispondere alle richieste del principe anche quando si trovava lontano dalle sue stanze: sollevò il ciondolo magico e spostò la prospettiva da cui stava comunicando, così la pallida immagine del suo viso raggrinzito lasciò il posto a quella di una stanza altrettanto scura.
Prima di partire, Anthos aveva sigillato Leu-Mòr, quindi era probabile che il consigliere si trovasse in qualche parte del palazzo: certamente non sulla torre o nella sua tana privata. A quel proposito, prima o poi ci sarebbe entrato a forza e avrebbe constatato personalmente se mantenere il sodalizio con quell’essere sfuggente o liberarsene per sempre.
Strinse le palpebre, per distinguere meglio la visuale che gli tornava riflessa nel bacile smaltato. Mise a fuoco una persona in quella penombra e spalancò gli occhi.
“Lui?”
“Già” fece eco la voce ruvida dell’interlocutore.
“Che cosa significa, Urien?! I miei ordini erano molto espliciti!”
“Ne sono consapevole, sire” rispose il consigliere con teatrale rammarico, riportando su di sé lo sfondo “Ma è piombato qui poco fa senza preavviso ed io l’ho trattenuto, in attesa delle vostre decisioni. Ho pensato che rispedirlo al mittente fosse poco opportuno e che potesse essere sfruttato a nostro favore. Ma se voi ritenete…”
“L’unica iniziativa che avresti dovuto prendere sarebbe stata quella di contattarmi immediatamente, idiota!” tuonò Anthos “Così agendo, hai tagliato un prezioso e unico contatto con il Sud!”
“Perdonatemi, mio re, ma mi sono permesso di sondare il suo stato mentale e, credetemi, sarebbe stato più rischioso lasciarlo a Elestorya. Ci avrebbe traditi, causandoci ben più danni rispetto ad una momentanea interruzione delle informazioni. A quella possiamo rimediare agevolmente, ma se avesse parlato…”.
“Ciò non toglie il fatto che tu non mi abbia avvertito seduta stante!”
“Ci ho provato, mio signore, ma eravate irraggiungibile per la mia magia…”.
“Tsk!” sbuffò il principe, tutt’altro che convinto da quella patetica giustificazione.
Prese a ragionare alacremente, in cerca della soluzione per lui più congeniale.
“Sei sicuro che non sia stato smascherato?” domandò secco.
“Assolutamente sì. Non sapeva più che pesci prendere quando ha abbandonato Erinna, ma non ha avvisato nessuno, forse per timore delle ritorsioni”.
“Razza di pusillanime…” commentò Anthos tra i denti “Almeno è riuscito a scoprire qualcosa di utile sull’attentato alla principessa Dionissa?”.
“Dice che il veleno viene quasi sicuramente dal deserto”.
“Aethalas?”
“E’ l’opzione più papabile”.
“Mmh” brontolò il reggente, senza riuscire ad allacciare tra loro gli ultimi eventi e poco propenso a guardare tra le dune di sabbia “Fai in modo che nessuno intuisca che lui si trova a Jarlath. Ce ne serviremo a breve”.
“Ai vostri comandi. Devo rimpiazzarlo?”.
“Non serve. Piuttosto, c’è altro che dovrei sapere, prima di scoprirlo da solo e vedermi costretto a punire la tua intollerabile pochezza?”
Urien lo mise rapidamente al corrente delle questioni più urgenti trattate durante le udienze, ma nessuna destò l’interesse del reggente.
“Infine… ehm, si tratta più di un’indiscrezione invero…”
“Ti pare che mi interessino i tuoi stupidi pettegolezzi!?” ringhiò Anthos.
“No, certo che no, ma…” balbettò il consigliere, mirando ad evitare la possibile rappresaglia promessa dal principe, il cui sguardo glaciale non prometteva sconti.
“Quindi?”
“Il demone delle carceri ha chiesto licenza di matrimonio”.
Il giovane inarcò un sopracciglio, leggermente sorpreso, poi incrociò le braccia sul petto, sghignazzando divertito.
“Tu sì che sai mettermi di buon umore, Urien!” esclamò “Quasi quasi ti perdono il vergognoso fallo di prima! Neanche le sguattere sono così informate sulla vita mondana del mio regno!”
“G-grazie, maestà” farfugliò il consigliere, interdetto.
“E così neppure il disumano Haffgan gradisce la solitudine delle prigioni, eh?” continuò Anthos sprezzante “Suppongo che la fortunata sia la ragazzina di Odhran che gli ho consegnato in dono…”
“E’ così…”
“Bene!” proseguì lui ridendo “Lascia che si svaghi per qualche giorno e poi comunicagli che ho bisogno che la mocciosa lavori a palazzo. Ovviamente, sarà ricompensata, vedrai che il guardiano accetterà di buon grado qualche aergid in più”.
“N-non vi seguo, scusatemi…”
Il reggente del Nord divenne serio tutto d’un tratto e lo fissò, implacabile.
La creatura si rattrappì ancor più nell’ombra del riflesso mobile dell’acqua.
“Anche se la veggente ha perso le sue facoltà divinatorie e c’è Haffgan a stringerla al guinzaglio, preferisco tenerla d’occhio, perciò l’opzione migliore è che abbia un compito giornaliero che la porti alla reggia. Quella donna resta un simbolo pericoloso, anche priva di poteri: non posso correre il rischio che qualcun altro si ribelli come è avvenuto per Odhran o prenda in qualche modo il suo posto!”.
“Comprendo e condivido il vostro pensiero” fece Urien, visibilmente sollevato “Qual è l’incarico che devo assegnarle?”
“Le farai rassettare tutta Leu-Mòr”.
“C-cos…?” si fece scappare di bocca l’essere oscuro, completamente spiazzato.
“Hai sentito benissimo. Comincerà al mio rientro”.
“Quando prevedete di tornare dunque, mio principe?”
“Lo capirai dal vento” replicò Anthos, interrompendo il contatto.
 
 
“Sarà per l’emozione…”
“Oppure è già incinta!”
“Secondo me, ha semplicemente paura di te, Haffgan…”
“Questa ragazza era la profetessa di Odhran, possibile che abbia ancora il potere?”
Intorno a lei le parole si sovrapponevano e sparivano, per poi tornare in un’eco confusa di suoni spezzati.
Màrsali iniziò a riaversi e percepì numerosi sguardi su di sé. Qualcuno la teneva sollevata rudemente da terra e rispondeva alle domande con un borbottio infastidito.
La visione c’era stata davvero. Aveva il terrore di aprire gli occhi e scoprire che qualcuno dei presenti aveva compreso l’accaduto. Forse era anche già corso ad avvisare il torvo braccio destro del reggente e tutto era perduto per sempre. La possibilità di salvare i due Regni, la strada che aveva scorto e… suo marito.
Già, perché ora Kesthar era la metà della sua anima: nonostante la cerimonia fasulla negli intenti, il rito aveva valore effettivo.
“Guardate, si sta riprendendo! Lasciatela respirare, che diavolo!!”
La veggente riconobbe la voce materna di Ide e si sentì confortata. Se la cuoca era lì a dettare legge, allora, con probabilità nessuno si era particolarmente insospettito.
Schiuse le palpebre e scorse i visi degli astanti, che la fissavano incuriositi.
“Oh, tesoro!” esclamò il donnone “Mi hai fatto prendere un colpo! Sei più bianca della neve là fuori! Tieni, bevi un po’ di questo!”
Màrsali vide che Haffgan la reggeva per le spalle, con un’espressione granitica, ma avvertiva chiaramente il tremito delle sue mani posate dietro la schiena.
“Scusatemi…” sussurrò “Questa mattina non ho mangiato nulla e…”
“Ma cara, non ti devi giustificare!” enfatizzò la cuoca “E’ normale che una sposina si faccia afferrare dalla strizza! Ecco, prendi!”.
La ragazza trangugiò il liquido tiepido dal bicchiere di metallo che Ide le stava porgendo: era acqua tiepida con miele e bjorr. Non era abituata a bere alcolici, perciò tossì più volte, suscitando l’ilarità dei presenti, che smisero di pensare al motivo del suo improvviso mancamento.
“Va meglio, vero?” fece la cuoca trionfante “E voi, che ne direste di brindare alla salute di questa coppia, anziché stare a spiare come vecchi strik selvatici?”
Gli astanti sghignazzarono e si diressero ad un bancone poco discosto, riempiendosi a vicenda i boccali e sollevandoli rumorosamente in aria.
Kesthar la rimise in piedi in una sola mossa, con l’aria di chi non sopporta tutta l’attenzione su di sé e non vede l’ora di eclissarsi.
“Direi che possiamo ritirarci” affermò secco “Ide, grazie per il tuo aiuto. Ti farò riavere il tuo abito nuziale domani”.
“Ma come?” obiettò la donna, portandosi le mani sui fianchi “Te ne vuoi già andare? Non mangi neppure un boccone con noi? Scommetto che tua moglie ha fame!”
“Mangerà a casa” ribatté lui con un gesto asciutto “Quello che dovevo fare, l’ho fatto. Il resto avverrà in privato”.
Dal fondo della sala arrivarono alcuni commenti piccanti, ma il demone delle carceri non reagì. Sollevò rudemente la sposa tra le possenti braccia e, con un laconico congedo, prese la via della porta.
“Sei il solito orso, Haffgan!” protestò Ide alle sue spalle “Non sai goderti neppure il giorno del tuo matrimonio!”
“Divertiti tu per me” replicò il guardiano tra i denti.
“Ehi!” lo richiamò un uomo con indosso una casacca verde petrolio.
Era lo stesso che gli aveva fatto da testimone durante la cerimonia.
“Dimentichi questo!” dichiarò, avvicinandosi e porgendogli un pugnale a lama curva.
“Non ne ho bisogno” rispose lui.
“Ma come!? Porta male non rispettare le tradizioni!” ammonì questi.
Kesthar posò Màrsali a terra, spazientito, e afferrò il coltello, liberandolo dalla guaina. Dopodiché lo lanciò dalla parte opposta della sala, sotto gli sguardi attoniti degli invitati. L’arma si conficcò nella parete di pietra con un suono vibrante.
“La mia tradizione coglierà chiunque non avrà il buon gusto di lasciarmi in pace!” disse, aggrottando minacciosamente la fronte.
Poi, si caricò nuovamente la veggente in spalla e uscì. Nessuno osò più questionare.
 
Kesthar si fiondò letteralmente attraverso i bui corridoi che gli erano familiari, raggiungendo il più rapidamente possibile il suo appartamento e chiudendosi altrettanto velocemente l’uscio alle spalle.
Solo allora smise di stringere a sé la moglie, dandole modo di reggersi in piedi autonomamente. Accese la lampada ad olio e sprofondò su una sedia.
Màrsali lo osservò: ansimava, non certo a causa della corsa attraverso il dedalo umido delle carceri. I suoi occhi esprimevano una immensa preoccupazione. Si passò la mano tra i capelli bruni e ricambiò il suo sguardo.
 “Mi… mi dispiace…” sussurrò lei, affranta “Non riesco ancora a controllare bene il mio potere. Siavon mi stava istruendo in merito, prima che…”
“Non è colpa tua” rispose lui pacato “Ma per un attimo ho temuto il peggio”.
“Lo so. Anch’io” ammise lei con un sospiro.
“Non puoi dirmi che cosa hai visto, vero?” mormorò cupo.
“Il tuo anello” riprese la ragazza, indicando il gioiello all’anulare del marito “E’ stato lui a provocare la visione. Appena l’ho toccato, ne ho avvertito il sopraggiungere”.
“Questo?” domandò lui sorpreso “Non vale nulla, era di mio padre ed è l’unico ricordo del mio passato che ho conservato, dopo che la mia casa è stata bruciata. Mi è stato raccontato che il mio bisnonno lo ha forgiato personalmente, anche se a me sembra più antico in realtà. Il buon vecchio era molto abile con le minuterie, a quanto pare. Io non potrei mai fare un lavoro del genere con queste”.
Sollevò le manone e Màrsali si avvicinò, prendendole tra le sue. Erano calde e sicure.
“C’è una lettera incisa al suo interno, dietro l’incastonatura della pietra” continuò Kesthar, sfilandosi il pesante cerchio metallico e porgendoglielo “E’ l’unica particolarità che presenta”.
“Mi sembra una N”.
“Sì, so che il bisnonno si chiamava Niaal”.
Lei annuì e gli sorrise. La pietra sembrava nera all’apparenza, ma ad osservarla bene risultava di un blu scurissimo. Quasi lo stesso colore degli occhi di lui.
“Ho visto anche Leu-Mòr” proseguì la fanciulla.
L’uomo trasalì.
“Ma non era così buia e terribile, mancava il bagliore verdastro e maligno che talvolta avvolge la sua sommità. La torre era nitida, non c’erano le nuvole a circondarne la punta. Splendeva nella notte come una stella lontana e benevola”.
“Non c’è nulla di positivo in quel luogo” commentò Kesthar, scuotendo la testa “Non è altro che il perno del male che ci fa da sovrano”.
“Eppure, sono certa che sia molto importante per la salvezza dei Regni”.
“Cercherò di carpire qualche informazione, allora. La taverna è sempre piena di veterani inoccupati, che non vedono l’ora di tormentare qualcuno con le loro leggende. Basterà far cadere il discorso sulla cosiddetta Dimora della Luna e vedrai che qualcosa salterà fuori. Temo solo dicerie e superstizioni, in realtà”.
“E’ l’unica Luna che viene nominata qui” osservò la veggente.
“Non ci avevo pensato, in effetti. Ma è logico, questa landa ghiacciata rappresenta la maledizione di Amathira ed è stata destinata a Irkalla. Non è strano che il simbolo della dea sia stato bandito da qui, per non irritare ulteriormente il Distruttore”.
“Sì. Ma io ritengo che Leu-Mòr sia rilevante. O non l’avrei scorta durante lo stato di trance. Mi piacerebbe davvero entrarci, anche se mi terrorizza!”
“Questo è impensabile!” esclamò Haffgan, stringendole le mani come a proteggerla preventivamente “Solo Anthos riesce ad accedervi, talvolta si porta dietro Urien per non si sa quale pessimo affare… nessuno osa avvicinarsi!”.
“Lo so” ammise la ragazza “Proverò a sondarla con il mio potere e già così sarà molto rischioso, perché potrei essere individuata. Ma devo, è mio compito”.
Lui annuì, ma i suoi occhi non smisero di riflettere il suo stato d’animo.
“C’è poi un’altra cosa che sento di dover tentare ad ogni costo…”.
Il guardiano la scrutò con agitazione crescente, pur sapendo che non avevano altra scelta per essere d’aiuto alla loro terra.
“Che cosa?” chiese.
“Interpellare la principessa Dionissa”.
“La veggente di Erinna? Dicono che sia in fin di vita, purtroppo, e che il suo Kalah… credo si chiami così al Sud… sia ormai perduto”.
“Per questo ci devo riuscire, prima che sia troppo tardi. È l’unica rimasta, oltre a me, ad avere un potere così forte. Lei lo sa usare, mentre io sono solo alle prime armi, come hai potuto constatare oggi. Conosce la Profezia per averla interpretata, mentre io non l’ho mai letta direttamente. Può darsi che lei sappia qualcosa che a noi sfugge e potrebbe essere un valido alleato, potremmo confrontarci”.
“Dammi la tua parola” mormorò lui serio “Promettimi che non correrai inutili rischi. Che saprai aspettare l’occasione giusta, senza metterti in pericolo”.
“Te lo devo, Kesthar. La mia vita è tua, lo sai”.
L’uomo la contemplò ancora per un istante, poi abbassò lo sguardo.
“A proposito…” borbottò imbarazzato “Grazie per quello che hai dichiarato oggi, sono riuscito a leggere le tue labbra…”.
“Ho solo detto ciò che sento. Anche se il nostro matrimonio è un falso, desideravo che almeno ci fosse qualcosa di vero nella mia promessa”.
Il guardiano si alzò e si diresse al focolare, attizzando la fiamma che andava languendo; forse per combattere il freddo dell’ambiente, forse per celare il rossore che gli era salito al volto.
“Beh…” biascicò, dandole le spalle “Finto o no, tu sei bellissima con quel vestito…”.
Gli occhi azzurri di Màrsali si illuminarono di gioia.
“Temo che tu mi debba aiutare” disse, sfilandosi i cristalli dai lunghi capelli color miele “Ide ha stretto i legacci posteriori con tutte le sue forze e da sola non riuscirei mai ad allentarli…”.
Haffgan avvampò ulteriormente.
 
 
 
La ferita di Dare Yoon era grave, così come Narsas aveva constatato ad un primo, sommario esame. Era profonda e presentava già un principio di infezione ai margini del morso che aveva lacerato e inciso la carne fino all’osso.
Il soldato dormiva profondamente, dopo aver ingerito suo malgrado il potente narcotico di bacche nere del deserto; il suo volto era cereo e un velo di sudore freddo lo rendeva lucido e sofferente, contrastando con il leggero filo di barba incolta che gli era cresciuta e che non aveva avuto modo di radere in quei giorni convulsi.
L’arciere lasciò cadere nell’acqua pulita alcune gocce di un liquido color ruggine e ripulì nuovamente la lesione, che continuava a sanguinare copiosamente.
“E’ un antisettico, nel mio dialetto si chiama limayra, come la radice da cui viene ricavato” disse “Ma se non arrestiamo subito l’emorragia servirà a ben poco”.
Accanto a lui, Adara osservò con interesse i suoi movimenti sicuri.
Fino a quel momento aveva potuto conoscere solo suo il lato di valoroso combattente, mentre non l’aveva mai visto agire in qualità di esperto di medicamenti.
“Tu sei anche un guaritore, Narsas?” domandò con ammirazione.
“Purtroppo no” ammise lui con rammarico “Ho studiato la nostra tradizione, so comporre preparati di vario genere e come usarli, ma non dal punto di vista farmacologico. Mi sento più a mio agio con le frecce in verità”.
La principessa sapeva che molti Aethalas erano esperti di erboristeria e che le loro ricette segrete erano più utilizzate per la caccia e per la difesa. Ma erano anche in grado di ideare cure o veleni potentissimi, come quello che lui aveva usato per tenere indietro i kira la notte precedente.
“Mi dovrai assistere, Adara” continuò lui “Dovrai tenerlo il più possibile fermo. Anche se è addormentato, si agiterà nel sonno quando cauterizzerò la ferita”.
“Ci proverò”.
Narsas sfoderò il pugnale che portava alla cintura e lo inserì di punta tra le fiamme del piccolo falò che avevano acceso per riscaldare il ferito, scosso dai brividi, e per attendere la luce piena del giorno.
“Taglia la stoffa della casacca, devo controllare se l’infezione si è estesa o se invece la perdita di sangue ha almeno agito in suo sfavore”.
La ragazza estrasse a sua volta la lama e aprì per lungo la manica dell’indumento, scendendo poi sul bordo della cucitura laterale, ma non scostò il tessuto dal corpo dell’uomo dormiente.
L’arciere sollevò un sopracciglio con aria interrogativa.
“Così non vedo nulla” disse, stracciando l’ultimo pezzo di pesante cotone “Il braccio sta bene… è gonfio, ma direi che è nella norma, vista la dentatura di quei dannati…”
Poi prese a controllare il solido torace del soldato. Adara distolse lo sguardo, impacciata, strizzando a caso il panno che avevano usato per rinfrescargli la fronte.
“Ora non serve” osservò il giovane, paziente ma stupito “Aiutami a tenerlo leggermente sollevato, così posso appurare l’invasività della lacerazione…”
Lei si portò le mani al viso in fiamme, agitatissima.
“Ma…” borbottò Narsas, sempre più sorpreso dalla strana reazione di lei.
Poi, come folgorato da una repentina illuminazione, comprese la questione effettiva.
“Tu non hai mai visto un uomo senza…” si interruppe, parimenti imbarazzato.
“S-scusami…” balbettò Adara “Ho un fratello più grande e ho anche diviso la tenda con Aska Rei, ma loro non…”.
“Per tutte le stelle, avrei dovuto pensarci!” esclamò lui “Sei la principessa di Elestorya, è ovvio che… beh, per noi genti del deserto è diverso… forse lo sai, tua madre è una Thaisa, ti avrà parlato delle nostre usanze…”
“S-sì certo. So che il concetto di pudore è differente tra le dune… e penso anche che sia più corretto il vostro modo di pensare, vista la figura della stupida che sto facendo, anziché pensare a Dare Yoon, che rischia di perire!”.
Narsas sorrise, girando il coltello tra le fiamme.
“Credimi, io a palazzo avrei fatto di peggio. Comunque, passare da zero a cento nelle esperienze è sempre scomodo” aggiunse divertito “Ti assicuro che gli lasceremo addosso i pantaloni per medicarlo! Allora, te la senti?”
 
Lo sollevarono con estrema delicatezza. Il ferito non reagì. L’arciere tirò un sospiro di sollievo, annunciando che la sepsi non si era ampliata, ma sparse ugualmente sulla pelle abbronzata del soldato un unguento disinfettante a titolo preventivo.
Dare Yoon aveva un tatuaggio tracciato all’altezza del cuore: rappresentava un sole stilizzato a sette raggi, in arancio scuro.
Adara lo osservò, affascinata.
“Significa fedeltà eterna” spiegò Narsas “E’ davvero un tipo tosto. Cocciuto ma determinato, vedrai che ce la farà!”
“Ne sono certa” rispose lei, continuando a premere con energia sulla ferita.
“Ecco, ora dovrai impedirgli di muoversi ad ogni costo” annunciò l’arciere, spostando il pugnale dal fuoco ed immergendolo rapidamente nel liquido sterilizzato, per poi passarlo nuovamente sulla fiamma viva.
La ragazza si puntellò sulle ginocchia, bloccando le braccia dell’uomo con tutto il peso e concentrando le proprie forze in quell’atto costrittivo.
Narsas la guardò, con un cenno affermativo: poi calò il coltello sulla ferita aperta per cauterizzarla.
Dare Yoon gemette violentemente e si inarcò, tentando inconsciamente di sfuggire a quello che doveva essere un dolore atroce.
“Continua a tenerlo giù!” ordinò l’arciere, ripetendo l’operazione con fredda concentrazione.
Un filo di fumo salì dalle carni bruciate dell’uomo, che si divincolò vigorosamente nel sonno. Adara avvertì l’odore nauseante e si fece forza per non cedere. Vide che il sangue aveva smesso di scorrere e che il guerriero del deserto stava ungendo l’ustione con la medesima sostanza già usata in precedenza.
“Non mi resta che bendarlo stretto” disse con soddisfazione “L’olio di pefko è antisettico, inoltre impedirà alla fasciatura di appiccicarsi alla lesione”.
La principessa annuì, tirando un sospiro di sollievo e tergendosi il sudore dalla fronte. Si accorse di avere le mani che tremavano e le girava la testa.
“Stai bene?” domandò Narsas, scorgendo il suo pallore.
“Credo di sì. Anche volendo, non potrei vomitare nulla…”
“Ottimo” rise lui “Ma ora che Dare Yoon è sistemato, in attesa che si ristabilisca e sia in grado di cavalcare, la priorità è cercare qualcosa da mangiare. Non possiamo arrivare al mare già sfiniti dal viaggio e dalla fame. Non ho più frecce, ma gli alberi qui intorno rimpolperanno le mie scorte”.
Coprì il soldato con il mantello e si alzò, porgendo garbatamente una mano alla ragazza, che la accettò. Lo slancio fu tale che lei si ritrovò in piedi tra le sue braccia.
“Sei una valida assistente, Adara” mormorò.
Lei si specchiò in quegli occhi scuri tanto intensi ed enigmatici. La notte dell’attacco le aveva giurato di difenderla dai lupi fino alla morte. Prima di lasciare Elestorya, aveva giurato di uccidere un traditore del suo sangue. Chi era lui veramente? Il primogenito di Varsya, arciere d’alto rango oppure un implacabile guerriero? Era un giovane solitario e introverso o aveva lasciato una donna ad attenderlo alle tende degli Aethalas? Era fuoco devastante o acqua ristoratrice?
“Fedeltà a cosa?” sussurrò, sviando forzatamente la propria attenzione da quella calda vicinanza.
“Come?”
“Il… il tatuaggio di Dare Yoon…”
Il giovane tacque per un istante, pensieroso, poi rispose.
“Alla terra madre, agli dei, al reggente del Sud, alla propria missione, alla donna che ama, alla famiglia, alla spada per difesa. Sette promesse, come i raggi che hai visto”.
“E tu a chi sei fedele, Narsas?”
“A ciò che sono”.
Era un’altra affascinante non risposta. La ragazza non si arrese.
“Ce l’hai anche tu un tatuaggio come lui o come… me?”
Lui le passò le dita tra i lunghi capelli castani e il suo sguardo si fece malinconico.
“E’ sufficiente il tuo, Adara…”
 
   
 
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