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Autore: Duvrangrgata    27/05/2019    2 recensioni
Enea lavora come tatuatore a Milano, ma il suo cuore apparterrà sempre a Firenze, la città dove è nato e cresciuto e da cui è scappato a soli diciotto anni, lasciandosi alle spalle l’unica famiglia che conoscesse.
Una telefonata inaspettata lo metterà davanti a una scelta: restare a Milano a vivere la nuova vita che si è faticosamente costruito oppure tornare a casa, dove i fantasmi del suo passato non hanno mai smesso di aspettare il suo ritorno.
VERSIONE REVISIONATA E ALLUNGATA DI "CERTI TATUAGGI FANNO MALE ANNI DOPO CHE LI HAI FATTI, MA PER QUELLO CHE RICORDANO", pubblicata su EFP nel 2013.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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III
 
I nostri corpi celesti i nostri arrivederci scritti sui vetri rotti
le periferie lunari i nostri compromessi storici per non ferirci
e ti ricordi che i nostri sogni sfioravano i soffitti
e le trasformazioni le nostre New York interiori
e i mazzi di fiori ai bordi delle strade provinciali
e poi le ali le ali le ali che ti escono dalla schiena
e le polveri sottili dei nostri cuori neri
 
I nostri corpi celesti – Le luci della centrale elettrica
 
 
 
Non era stato difficile trovarlo. Se ne stava in piedi, davanti a una lapide di marmo bianco che fissava quasi come se non la vedesse. Gli occhi azzurri erano circondati da occhiaie violacee, il viso era pallido e affilato, le labbra sottili erano spaccate in diversi punti e piccole gocce di sangue brillavano alla luce del sole. Sembrava terribilmente stanco, come se portasse sulle spalle tutto il peso del mondo e quel peso stesse per schiacciarlo.
Enea aveva deciso di non andare al funerale. Avrebbe voluto poter dire che era stata una scelta sofferta, ma sarebbe stata una bugia. Qualsiasi rapporto che c'era stato — o che avrebbe potuto esserci — tra lui e sua madre era stato distrutto molto tempo prima, ed Enea non era riuscito a trovare nessuna ragione per cui valesse la pena di sopportare la tortura che andare alla cerimonia avrebbe comportato. Non sapeva cosa amici e conoscenti di sua madre sapessero o pensassero di lui e neanche gli importava, ma l'ipocrisia di accettare le loro condoglianze per qualcuno che aveva perso ben prima di quel momento e in maniera anche più definitiva andava oltre le sue capacità. Fingersi triste per qualcosa che non era, ma che avrebbe potuto essere se solo fosse stato una persona diversa? No, grazie. C'erano altre battaglie che valeva la pena di combattere, altre battaglie che avevano molte più possibilità di essere vinte.
«Sei sicuro che non vuoi che venga con te?», gli aveva chiesto Yelena, ferma insieme a lui davanti all'entrata. Le parole avevano lottato per restargli incastrate in gola, ma le aveva sputate fuori lo stesso, sapendo che era la cosa giusta da fare.
«Sicuro.»
La ragazza aveva sospirato, «bugiardo», aveva ribattuto, e lui aveva sorriso, stringendole la mano.
«Devo farlo da solo.»
«Lo so.»
Si era sporta per baciarlo sulla guancia e poi era sparita, lasciandolo da solo con i suoi fantasmi. Aveva camminato tra le lapidi, cercando di resistere alla voglia di spaccarle a mani nude, leggendone i nomi, ancora e ancora, appigliandosi a lettere vuote per impedirsi di scappare.
 
Anna Grossi, 22/10/1932 – 21/05/1999
Michele Baldini, 01/07/1945 – 17/12/1980
Arianna Casini, 12/05/1919 – 05/02/1950
 
Si era ritrovato a chiedersi come fossero state le loro vite, se avessero avuto mogli, mariti, figli, nipoti, se avessero amato, odiato, sofferto. Aveva cercato di immaginarle, aiutandosi con le foto sulle lapidi; si era chiesto come fossero morti, se avessero provato dolore, se fossero stati da soli o con qualcuno, se avessero avuto paura.
Malgrado tutto, si era chiesto se lei avesse avuto paura.
E ora se ne stava lì, in piedi, a fissare tutto quello da cui non aveva fatto altro che fuggire da quando aveva diciotto anni.
Elia alzò gli occhi e incontrò i suoi, rimanendo immobile a fissarlo per un tempo che parve interminabile. Enea era come paralizzato, incapace di muovere un solo muscolo – né per fuggire, né per raggiungerlo – ma quando finalmente ebbe il coraggio di ricambiare lo sguardo di suo fratello, fu come tornare a guardarsi allo specchio dopo tanto – troppo – tempo.
 
***
 
And if somebody hurts you, I wanna fight
But my hands been broken, one too many times
So I’ll use my voice, I’ll be so fucking rude
Words they always win, but I know I’ll lose
 
Another Love – Tom Odell
 
 
C'era stato un tempo, molti anni prima, in cui non avevano mai avuto bisogno di parole, perché sapevano sempre leggere i silenzi dell'altro.
Non era più così.
Seduto sulla panchina poco distante dalla tomba di sua madre, Elia era dolorosamente consapevole di non avere alcuna idea di cosa stesse pensando il suo gemello. Enea era così... arrabbiato, non c'erano altre parole per descriverlo. Era come essere di fianco ad un filo elettrico scoperto: la rabbia sembrava emanare dalla sua figura ad ondate soffocanti ed inevitabili. Gli faceva venire voglia di rannicchiarsi in un angolo e aspettare che la tempesta passasse, ma conosceva ancora abbastanza suo fratello da sapere che non sarebbe successo tanto presto.
«Sei venuto.»
Lanciò uno sguardo di sottecchi al profilo ostinatamente rivolto di fronte a sé del fratello, studiando il modo in cui la sua mascella si contraeva al suono della sua voce.
«Non pensavo l'avresti fatto.»
Ti prego, di' qualcosa.
«Sono contento che tua sia qui.»
«Non l'ho fatto per te. O per lei.»
Elia ignorò il dolore che quelle parole, seppur vere, gli procuravano, senza riuscire però a nascondere il sussulto che lo scosse. Enea era sempre stato il più bravo dei due a nascondere le sue emozioni, ma Elia era sempre riuscito a leggerlo, prima.
Ora, era come guardare un estraneo che, per chissà quale crudele scherzo del destino, ha la tua stessa faccia.
«Lo so. Non è per quello che ti ho chiamato.»
Per la prima volta da quando si erano allontanati dalla lapide, Enea fece incontrare i loro occhi, identici e diversi allo stesso tempo. Non c'era niente che Elia avrebbe voluto più di distogliere lo sguardo, la rabbia e il dolore nelle iridi del gemello che lo ferivano come lame, ma si costrinse a non farlo.
È colpa mia se si sente così, il minimo che possa fare è condividerne il peso. Glielo devo.
Sembrava più una punizione che un gesto altruistico, e nemmeno Elia stesso avrebbe saputo dire dove stesse il confine tra il suo desiderio di espiazione e quello di aiutare suo fratello.
«E allora perché?»
«Avevi il diritto di sapere. È... era comunque tua madre.»
Era la cosa sbagliata da dire. Le labbra di Enea si schiusero in un sorriso ironico e quasi ferino. «Hai detto bene. Era. E non mi riferisco al fatto che ora sia solo un mucchio di carne morta in una bara sepolta sotto metri di terra.»
«Ti voleva bene», protestò, ritraendosi come se l’avesse schiaffeggiato, cercando di sfuggire alla crudezza delle sue parole, un'altra arma che suo fratello non sembrava aver problemi ad usare.
«Se mi avesse davvero voluto bene, mi avrebbe accettato per quello che sono!»
«Lo so, ma...», Elia boccheggiò, cercando le parole, ma invano. Cosa poteva dirgli? Che tutto quello che la madre aveva fatto era stato perché gli voleva bene? Perché voleva salvarlo? Non avrebbe cambiato nulla, Elia lo sapeva. Qualunque fossero le sue ragioni, l'amore della donna lo aveva distrutto. Aveva distrutto entrambi.
Enea scosse la testa e si alzò, dandogli le spalle per lunghi secondi. Elia ne fissò la schiena in silenzio, lottando per trovare qualcosa da dire.
Mi sta sfuggendo tra le dita.
«Non posso farlo», disse Enea dopo quasi un minuto, senza voltarsi.
«Enea...»
«No.»
Fu il modo in cui lo disse che lo bloccò. Non suonava come un rifiuto, ma come una preghiera, una supplica: lasciami andare.
Non ho altra scelta.
«Ti prego», si ritrovò invece a sussurrare, le lacrime contro cui stava combattendo da giorni che gli scorrevano sulle guance, «non ti sto chiedendo di perdonarmi, solo...»
Non sapeva neanche lui cosa volesse. O meglio, lo sapeva, ma sapeva anche che non poteva chiederglielo. Nonostante l'altro cercasse di nasconderlo, Elia riusciva a vedere quanto gli costasse essere lì. Era come un animale in gabbia: i muscoli contratti, gli occhi che saettavano da una parte all'altra, il respiro affannoso.
Resta.
Questo avrebbe voluto chiedergli, ma sapeva di non poterlo fare. Non solo perché Enea non sarebbe mai rimasto — nemmeno lui l'avrebbe fatto al suo posto — ma perché non sarebbe stato giusto. Non aveva mai voluto ferire suo fratello, eppure ogni decisione che aveva preso negli ultimi sei anni aveva avuto quel risultato, non importava quali fossero le sue intenzioni. Amava Enea più di ogni altra persona al mondo e ogni secondo che passavano separati era una tortura. Anche se la sua rabbia lo feriva, vederlo di nuovo era come riprendere a respirare dopo anni di apnea, come se quella parte mancante del suo cuore fosse finalmente dove doveva essere, dove apparteneva. La sola idea di vederlo andare via di nuovo era insopportabile, ma la verità era che Elia non era abbastanza egoista da chiedergli di restare, non quando sapeva che il prezzo da pagare sarebbe stato troppo alto.
Per entrambi.
Chiuse gli occhi, abbandonandosi contro la panchina.
«Mi dispiace», sussurrò.
«Lo so.»
Quando riaprì gli occhi, Enea era sparito.

***
 
I remember when we dreamt of legacy
Now we only pray we're moving on
I remember when we lived for everything
Looking back now, but it's all gone
 
Broken Pieces — Andy Black
 
 
Una parte di lui avrebbe voluto lasciare la città immediatamente, ma la presa che quelle strade avevano su di lui — anche e soprattutto dopo tutti quegli anni — era troppo forte.
Quando aveva lasciato il cimitero, lottando tra il desiderio di scappare via e quello di voltarsi indietro, la parte logica del suo cervello gli aveva urlato di tornare da Yelena e fare le valigie, ma qualcos'altro — il suo cuore, forse — glielo aveva impedito. Si era ritrovato quindi a girare senza meta, le mani nelle tasche e i piedi che seguivano un percorso tutto loro, fatto di memorie e rimpianti. I profumi di Firenze lo avvolgevano, coprendo le sue ferite come balsamo e sale, confortanti e dolorosi allo stesso tempo.
Non erano sufficienti per scacciare l'immagine di Elia che sembrava esserglisi impressa a fuoco nelle retine.
Suo fratello non era cambiato molto, non fisicamente almeno: avevano ancora la stessa faccia. Qualcosa che un tempo era stato normale e che ora non sapeva più come gestire. I suoi occhi, però, erano diversi, eppure pieni di sentimenti che si agitavano anche dentro Enea, non importava quanto si sforzasse di fingere che non fosse così.
Dolore.
Rimpianto.
Nostalgia.
Erano come benzina sul fuoco della sua rabbia. Come osava? Non aveva alcun diritto di sentirsi così. Non era stato lui a dover scegliere tra sacrificare ciò che era per restare a Firenze o scappare, abbandonando tutto quello che avesse al mondo nella speranza di sopravvivere, e senza mai voltarsi indietro.
Non che fosse partito con l'intenzione di tagliare tutti i ponti con Elia. Non c'era mai stata neanche una volta, prima dei suoi sedici anni, in cui avesse immaginato il suo futuro senza includere il suo gemello. Non importava cosa sognasse di diventare o fare, Elia era l'unica costante, qualsiasi fosse lo scenario. Il destino — o Dio, in base a quello in cui uno credeva — aveva avuto altri piani, però, mettendolo davanti a due scelte impossibili: la sua salute mentale o suo fratello. Dopo tutti quegli anni, una parte di lui ancora si chiedeva se avesse fatto quella giusta.
Lasciò vagare lo sguardo sul paesaggio davanti a lui, l'Arno che si stagliava contro l'orizzonte. Aveva sempre amato Ponte Vecchio, con le sue botteghe artigiane, soprattutto oreficerie, ricavate da antichi portici, il retro costruito a sbalzo sul fiume. Dava l'impressione di un piccolo villaggio arroccato su una montagna. Il chiacchiericcio dei passanti, con il loro accento toscano, familiare come una ninna nanna mai del tutto dimenticata, facevano da sottofondo a quella calda giornata di Marzo.
Odiava essere lì.
Sapeva che era ingiusto da parte sua, ma era la verità. Non importava quanti bei ricordi fossero legati a quella città, a quelle strade, lui non li vedeva. Sapeva che erano lì, sepolti sotto strati e strati di rabbia e dolore e risentimento, ma non poteva raggiungerli, non importava quanto a fondo scavasse. Sinceramente, non era sicuro di volerlo fare. C'erano già abbastanza fantasmi a tenerlo ancorato a quella città, senza doverne aggiungere altri.
Si sentiva come se due diversi Enea stessero esistendo allo stesso tempo. Uno era il ragazzino terrorizzato che odiava se stesso e avrebbe fatto qualsiasi cosa per la donna che lo aveva messo al mondo, la sua roccia, l'altro era l'uomo che aveva scelto se stesso sopra chiunque altro, e ne stava ancora pagando il prezzo.
Logicamente, sapeva di non essere più un ragazzino. Era cambiato e cresciuto — non c'era molto altro che un diciottenne senza lavoro o famiglia potesse fare per sopravvivere. Non aveva avuto scelta. Ovviamente, I due anni in carcere non erano esattamente stati nei suoi piani, ma erano una delle poche cose del suo passato che non rimpiangeva, non più almeno. Dopotutto, gli avevano dato una seconda occasione: un lavoro che amava, amici che lo conoscevano e apprezzavano per quello che era e, soprattutto, lo spazio e il tempo per perdonare se stesso. Suo fratello, però, era tutta un'altra storia.
Lasciò vagare lo sguardo sull'àncora che aveva tatuata sul braccio sinistro. Passò le dita sul disegno, seguendone i contorni. Era solo uno dei tanti tatuaggi che gli coprivano il corpo, ma nessuno degli altri aveva un significato tanto importante. Era stata — e forse ancora era — una promessa silenziosa tra due anime che si appartenevano, sigillata con l'inchiostro sulla pelle di entrambi.
La maggior parte del tempo, sembrava più che altro una cicatrice di cui non riusciva più a liberarsi.
 
 
 
 
 
 
Note dell'autrice
 
Ecco qui il tanto agognato incontro!
Come potete vedere, le cose non sono esattamente andate bene, ma non temete. C'è ancora speranza! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che vogliate lasciarmi una recensione per farmi sapere che ne pensate e segnalarmi eventuali errori.
 
Alla prossima, 
Dru!


 

   
 
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