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Autore: Cromatic Angel    28/05/2019    1 recensioni
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Oggi

 

Bussare nuovamente a quella porta e gettarmi tra le sue braccia sarebbe stato come una di quelle scene da film, quelli che hanno quel lieto fine che ci fa cadere in brodo di giuggiole. Ma non lo feci, mi ritrovai semplicemente a camminare su e giù per il vicoletto, proprio sotto al suo balcone, scalciando di tanto in tanto qualche sassolino che trovavo lungo il mio passaggio, accidentalmente uno di quei sassi urtò la scarpa di qualcuno, subito diventai rossa dalla vergogna e alzai lo sguardo pronta a scusarmi, solo che le parole mi morirono in gola «Martha…» la mia voce fu quasi un sussurro strozzato «Non pensavo saresti tornata» mi disse fredda.

«Le questioni in sospeso devono essere risolte» sputai quelle parole con rabbia.

«Non le definirei questioni, ma solo incomprensioni» puntualizzò come solo lei sa fare, solo in quel momento la misi a fuoco, aveva cambiato pettinatura, il suo casco biondo platino era stato rimpiazzato da un colore più spento, un marrone così scuro che metteva in risalto i suoi occhi verdi e le lentiggini che le decoravano il naso e le gote, la somiglianza con Noah era notevole se solo anche lui fosse comprensivo come lei probabilmente non sarei qui sotto a meditare sul da farsi, ed il mio da farsi  era più un fuggire velocemente verso Londra, ma sicuramente l’indomani mi pentirei della scelta e tornerei a morire nei miei dubbi, non che adesso non lo stessi facendo «Chiamale come vuoi» le risposi mettendomi i capelli dietro le orecchie « Il punto è che non saremo mai d’accordo sulle scelte che l’uno prende nei confronti dell’altro e questo ci continuerà a mettere una gigantesca distanza tra noi…» alzai lo sguardo in direzione del balcone di Noah «…e forse è anche meglio così» ritornai a guardare Martha che si era avvicinata verso me « Io credo, invece, che tu debba lasciarlo parlare» concluse accennando un sorriso.

«È esattamente quello che ho fatto qualche momento fa, ma l’unica cosa che ha fatto è stato rinfacciarmi ogni cosa e trattarmi come fossi una qualunque» ma lui ha sempre fatto così, quando le situazioni gli stavano strette, invece di gestirle o provare a farlo, urlava e aggrediva.

«E ti arrendi così?» posò entrambe le sue mani sulle mie spalle «Dopo tutto quello che avete passato?  Getti la spugna ? » scosse la testa « La mia Bekka non si sarebbe arresa» il suo sguardo ricordava quello di mia madre quando tonai a Londra in lacrime.

E cosa dovrei fare?» scoppiai in lacrime esasperata.

Imparare ad ascoltarmi» la sua voce tuonò alle mie orecchie, mi voltai e lo vidi proprio dietro me. Nel suo volto leggevo la disperazione.
 

 

 

Un anno prima

 

«Devo ammettere che non è stato poi cosi male» sorrisi mordendomi il labbro inferiore, mentre camminavamo verso casa mia dopo la sagra ai laghetti.

«Modestamente» sorrise indicando se stesso e compiendo una giravolta. 

Scoppiammo a ridere all’unisono «Solitamente non vengo mai a queste cose» tornò serio continuando a camminare al mio fianco «Solo che mi sembrava carino farti uscire da quella casa per vivere un pò la realtà di questa cittadina » mi guardò con aria timida e mi sorprese quella reazione, lui che ha sempre avuto la spavalderia di un’eroe che vuole salvare il mondo da terzi «Hai fatto bene e mi sono anche divertita » lo spintonai con il gomito cercando di smorzare quella situazione. 

«Eccoci arrivati» disse piazzandosi davanti al vialetto che conduceva a casa mia.

«Grazie per la serata e per avermi accompagnato» mi sporsi per dargli un bacio su una guancia e mi sorprese abbracciandomi, accorgendosi sicuramente del mio sussultare in risposta a quell’inaspettato gesto «Grazie a te per aver accettato» si staccò da me passandosi una mano tra i capelli, era chiaramente in imbarazzo e ciò mi rendeva a disagio «Allora buonanotte» gli dissi sorridendogli e mi voltai per incamminarmi verso casa, sentivo il suo sguardo addosso, non appena arrivai alla porta l’aprì e mi voltai lo vidi sorridere e mi alzò la mano destra per salutarmi e poi si dileguò tra gli alberi.

 

 

Oggi

 

Non volevo salire nuovamente a casa sua e nemmeno parlare lì per strada, anche se in giro non c’era nessuno, sapevo benissimo che dietro quelle finestre c’era un mucchio di gente curiosa di sapere perché fossi lì e del perché Noah, il ragazzo misterioso che non ha mai sollevato pettegolezzi sul proprio conto, avesse quell’aria tanto dispiaciuta osservandomi. 

Di certo in quell’anno che passai lì le storie su di me stavano per diventare quasi leggende, che persino giunsero alle orecchie di mio padre che divertito ci stese su una canzone da cantare con il suo gruppo. Io, invece, pensavo solo che odiavo essere al centro dell’attenzione, che che avevo meticolosamente evitato per tutta la vita. Adesso, invece, sono qui in questa piccola città dove tutti sanno di me ed io invece inizio a non riconoscermi più.

Seduti intorno al tavolo di casa mia fisso le mie mani intrecciate aspettando che Noah mi parli, perché dopo la turbolenta conversazione avuta qualche momento prima, non sono di certo in vena di iniziare io, soprattutto perché potrei dire qualcosa di molto cattivo vista la mia rabbia nei suoi confronti.

«Quando mi sono svegliato e non ti ho trovato accanto a me, avevo già intuito, ancor prima di leggere il biglietto che avevi lasciato, che eri andata via. Sapevo che la conversazione avuta la sera prima non era stata cancellata del tutto» mi parlava guardando anche lui le mie mani, ed era strano. Lui che aveva sempre voluto che io lo guardassi negli occhi quando parlavamo, adesso non riuscivo a farlo « Non sapevo cosa fare» continuò e ogni parola che diceva era sofferta e sentivo che lo spezzava «Così tornai a Liverpool» sussultai « Sei tornato a casa?» alzò la mano per tacermi «Per favore» proferì «Lasciami finire» mi guardò ed io annuì. « Quando mia madre mi vide scoppiò in lacrime pensando che avessi accettato tutta quella situazione, però poi quando le raccontai di te e di tutto quello che stava accadendo, si rabbuiò e non mi parlò per due giorni. Pensai che comunque dovesse sapere la verità. » fece una pausa ed io rimasi in silenzio, sapevo che stava cercando di dirmi qualcosa che lo feriva e attesi che continuasse « Stavo per ritornare qui a Riffer, ma lei prima che entrassi in auto mi fermò e mi parlò. Ora» prese una delle mie mani e la tenne stretta tra le sue « Se non ti è troppo difficile potresti accompagnarmi a Liverpool? Lei vorrebbe conoscerti» i suoi profondi occhi s’immersero nei miei impauriti «Liverpool?» più che una domanda, venne fuori un tono nauseato «Per sentirmi dire che devo lasciarti stare e che tu sei destinato ad altro?» sibilai non credendo che me lo stesse chiedendo davvero «Frena Reb!» si alzò e si inginocchiò davanti a me non mollando la mia mano «Non essere sempre prevenuta, vuole solo conoscerti ciò che ne verrà non possiamo saperlo».

Lo guardai ancora, non sapevo cosa fare. Andare lì a conoscere sua madre, la donna che lo aveva compromesso per tutta la sua vita, la donna da cui era scappato. Ero nel pallone ed avevo bisogno di pensare senza che lui fosse lì con me «Dammi del tempo, non so» tolsi la mia mano dalle sue e mi alzai dandogli le spalle.

 «L’aereo decolla domani pomeriggio da Heathrow, se verrai ti aspetterò alla stazione dei pullman alle 10 del mattino, se non verrai capirò» non mi girai, sentì solo la porta di casa chiudersi. Mi voltai e lui era andato via, presa dall’ansia tirai fuori il telefono dalla tasca posteriore dei jeans e chiamai Lily, avevo bisogno di sapere cosa fare.

 

 

Un anno prima

 

Il mattino seguente mi alzai di buon umore, non avevo stranamente voglia di andare a correre e me la presi con comodo. 

Feci colazione fantasticando sulla sera prima, ero stata davvero bene con Noah. Pur non avendo mai avuto una relazione seria, quel rapporto che si stava creando era diverso da quelli avuti con quei ragazzi che avevo conosciuto a Londra. Lily mi diceva sempre che avrei dovuto mettere la testa a posto e trovarmi un bravo ragazzo, altrimenti prima o poi avrei fatto la fine di sua zia Rose, incinta di un figlio che aveva almeno dieci padri diversi. Il caffè quasi mi andò di traverso per soffocare una risata al pensiero di quella conversazione avuta anni prima. 

Di certo non era quella la vita che avrei voluto, non mi sarei trasformata in zia Rose e nemmeno mi sarei gettata tra le braccia di qualche bravo ragazzo incontrato a qualche festa. Volevo vivere la mia vita scandita dal mio orologio privato senza frivolezze o gesti affrettati. E quel ragazzo stava entrando nella mia vita scombussolando tutti i miei principi ed io lo lasciavo fare. 

Con un sorriso da ebete mi vestì e andai al suo negozio, senza esitare entrai «Posso esserle utile?» un giovane ragazzo magrolino accennò un sorriso guardandomi da dietro quegli enormi e tondi occhiali da vista «Uh, ecco cercavo Noah» dissi sottovoce imbarazzata, non sapevo avesse commessi, strano per un negozio così piccolo perennemente vuoto, o forse andavo io negli orari sbagliati «Non è qui» spinse con un dito gli occhiali che ricadevano lungo il naso «sai dove posso trovarlo?» chiesi esitante.

«Mi dispiace, ma non so dove sia. Mi ha detto che sarebbe tornato tra un pò, però può lasciarmi un suo recapito e non appena torna gli dirò che lo cercava» lo vidi rovistare in uno dei cassetti del banco di legno, prese carta e penna e mi fissò aspettando che gli lasciassi il mio numero di telefono.

«Scrivi solo che lo ha cercato Rebekka» il ragazzo sollevò di scatto la testa e mi fissò sgranando gli occhi «Rebekka?» chiese deglutendo rumorosamente ed io annuì «Oh, beh allora le cose cambiano» sorrise timido toccandosi ancora gli occhiali, fece il giro del bancone e mi fece segno di seguirlo, attraversammo tutto il negozio e mi aprì una porta che dava in un giardino «Lo trovi lì dentro» mi indicò una serra al centro del giardino, lo sorrisi e m incamminai. 

Arrivata davanti la porta della serra non sapevo se bussare o entrare, scelsi la seconda. 

Vi erano rose di ogni tipo, un profumo così delicato «Quindi questo è il tuo laboratorio» gli dissi mentre mi dava le spalle chinato sul banco da lavoro, ma lui non sussultò, come se avesse percepito la mia presenza nonostante fossi certa di non aver fatto alcun rumore  «Inizi a conoscere fin troppo segreti» si voltò sorridendo e guardandomi come se fosse la prima volta che mi vedeva «Mi seppellirai qui dentro?» indicai la sera fingendo paura «No, se non me ne darai motivo» sorrise e mi tese la mano, la presi e mi tirò a se. I nostri petti si scontrarono e sussultai continuando a fissarlo dritto negli occhi, avevo il cuore in gola e lui continuava a sorridermi dolcemente mentre mi scostava i capelli dal viso « Voglio mostrarti il mio mondo» mi sussurrò dolcemente «Ma solo se tu farai lo stesso con il tuo» mi leccai istintivamente le labbra « Quindi?» mi chiese mentre mi cingeva i fianchi con le sue lunghe braccia, e non so cosa mi prese ma lo baciai, lo feci così dolcemente da abbandonarmi a quel momento. 

Quando mi scostai vidi che mi sorrideva malizioso «Mi sembra un bel modo per iniziare a conoscerci» commentò ed io gli sorrisi, e avvicinò nuovamente le sua labbra sulle mie.

 

 

Oggi

 

Giusto o non giusto era quella la mia scelta.

Fissavo la strada dal finestrino e la segnaletica indicava che tra trenta chilometri saremmo arrivati a Londra. Mi scoppiava la testa, pensavo che Lily mi avrebbe aiutata ed invece anche lei iniziò a dirmi che ero la solita stupida, che allontano tutto ciò che di buono può esserci nella mia vita, solo perché devo fare la ribelle, ricordandomi che andavo incontro al quarto di secolo e che ormai i tempi delle bambinate erano finite. Il suo monologo durò all’incirca due ore, lasciandomi frastornata e sempre più confusa, non le dissi nulla. Incassai i colpi e riagganciai senza nemmeno salutarla. Scoprì che nemmeno la mia migliore amica era dalla mia parte e non avevo di certo voglia di chiamare i miei genitori per sentirmi dire quasi le stesse cose di Lily, era come se Noah avesse fatto qualche sortilegio a tutte le persone che conoscevo. Ma in cuor mio sapevo che forse ero io quella che pretendeva di farsi ragione a tutti i costi senza mai lasciare agli altri l’opportunità di potersi spiegare, ma in quella stramba situazione non ero l’unica ad aver commesso errori.

I miei pensieri furono bloccati dall’arrivo del bus a destinazione, scesi con un nodo alla gola, avrei voluto piangere ed urlare davanti a tutte quelle persone. Ma decisi di crollare dentro senza buttare fuori tutto l’astio che custodivo. Presi in spalla il mio zaino e cercai di trovare un senso a tutto quello che stava accadendo «Vuoi che lo porti io?» una voce alle mie spalle mi riportò alla realtà «Non è pesante » non mi voltai, lo sentì avvicinarsi a me e prendermi per mano «Grazie» mi disse e sollevai il viso per guardarlo, i suoi occhi così sinceri e disperati mi rendevano ancora più triste. 

« Lo sto facendo per me, devo mettere una pietra a questa situazione » mollai la sua mano e mi feci strada tra la folla dell’aeroporto. Di certo non era così che avrei voluto visitare Liverpool per la prima volta.

  
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