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Autore: AleeraRedwoods    29/05/2019    1 recensioni
Dal testo:
“Tu sei nata per una ragione e il tuo cammino non può cambiare.
Ma un destino scritto è anche una maledizione.
Il tuo compito è salvare la Terra di Mezzo,
riunirai i Popoli Liberi e scenderai in battaglia.
Una prova ti attende e dovrai affrontarla per vincere il Male.
Perché la Stella dei Valar si è svegliata.
La Stella dei Valar porterà la pace.
A caro prezzo.”
(Revisionata e corretta)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Aragorn, Nuovo personaggio, Thranduil
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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-Un prezzo da pagare-

 


    Quando giunsero in prossimità del Palazzo di Thranduil, la ragazza sgranò gli occhi, assumendo una buffa espressione sorpresa. Il Re elfico, senza commentare, lasciò che ella si sporgesse dalla loro cavalcatura per ammirare il maestoso paesaggio che le si presentava dinnanzi.
    Superarono un ponte ricurvo, che sovrastava le acque turbinose di un fiume,[1] i cui piccoli affluenti si disperdevano nella valle rendendo rigogliosa la vegetazione circostante.
    Le radici di due enormi alberi dalle fronde rosse creavano un passaggio di archi naturali e i loro rami si avvolgevano attorno al portone d’ingresso come un’elegante cornice.
    Thranduil smontò dal cervo con un movimento fluido e rapido e uno degli elfi si sporse a sorreggere la giovane, lasciata a sé stessa. Questa si aggrappò alle sue braccia, tentando il più possibile di camminare da sola, seguendo il Re oltre i cancelli.
    Lo spettacolo era incredibile.
    Invece che apparire buie, le Sale sotto le colline erano illuminate a giorno da innumerevoli lampadari, larghi anche più di dieci piedi, che pendevano dai soffitti irregolari.
    Il palazzo intero era un saliscendi di corridoi, ponti e scale di pietra, che si affacciavano nelle immense sale gremite di elfi.
    Il gruppo si avviò velocemente lungo i corridoi e, ignorando le innumerevoli volte in cui inciampò, la ragazza stette sulle sue gambe per tutto il tragitto, sorretta solo dal braccio gentile dell’elfo al suo fianco.
    Cercò di non perdere un solo dettaglio di quei luoghi, imprimendoli nella sua memoria tanto da poterne ridisegnare la mappa ad occhi chiusi.
    Sbucarono poi in una sala ancora più maestosa, con grosse colonne simili ad alberi che sostenevano il soffitto altissimo. Un tronco nodoso ed imponente ne dominava il centro, così grande che nemmeno dieci uomini sarebbero riusciti ad abbracciarne la circonferenza. In esso era stata ricavata una scala, che giungeva serpeggiando laddove i rami si dividevano, dando vita ad uno spazio rialzato adorno di lampade ed eleganti archi intarsiati.
    Lì, il Trono di Thranduil si ergeva maestoso e raffinato, ricoperto da stoffe preziose, e decorato con motivi d’argento, sovrastato poi da un enorme palco di corna appartenute a chissà quale enorme ungulato dei tempi remoti.
    Invece che dirigersi verso le scale, il gruppo superò anche quella sala e la ragazza iniziò a chiedersi per quanto ancora si sarebbero inoltrati nelle viscere della terra.
    Come se le avesse letto nel pensiero, il Re si fermò e, ad un suo gesto, tutti gli elfi si dileguarono. Solo l’elfo gentile che sorreggeva la giovane rimase immobile e Thranduil si rivolse a lui, con tono imperioso: –Portala nell’ala est, nelle Sale d’Opale. Rimarrà confinata lì fino al nuovo ordine. Coordina tu i turni delle guardie.- Spostò lo sguardo su di lei, serio e socchiuse gli occhi:
-Non devono essere meno di sei.-
    Era un numero spropositato per come la giovane appariva ma il Re non era uno sprovveduto e non avrebbe sottovalutato la situazione. Lei era stata trovata viva dove la stella era caduta, la stessa stella che aveva fatto tremare la terra e persino le fondamenta del Palazzo, precipitando al suolo.
    Non prima di averle rivolto un’ultima occhiata, Thranduil si voltò e tornò sui suoi passi.
    Lei non avrebbe voluto separarsi dal Re elfico così in fretta, tutt’altro. Aveva così tante domande da porgergli che cominciava a maledire sé stessa per il fatto di non riuscire a formularne nemmeno una.
    Eppure, una parte di lei fu felice di allontanarsi da Thranduil dato che, in breve tempo, la testa smise di dolerle.

    L’elfo gentile la guidò fino ad un insieme di salette di pietra, che si sovrapponevano e si affiancavano senza alcuna simmetria, scandite da archi slanciati e ponticelli coperti di rampicanti rossi.
In alto, a molti piedi da terra, una serie di aperture lasciava filtrare la luce del sole. L’entrata dell’articolato ambiente era anche l’unica uscita e una fontana adornava il piccolo cortile interno, dove già sei guardie si apprestavano a svolgere il loro compito.
    La ragazza fu condotta nella più alta delle stanze, superando salottini dagli arredi eleganti e studioli silenziosi popolati solo da alcuni elfi femmina, che assunsero espressioni curiose e sorprese al suo passaggio.
    -Hama neva i’naur. (siediti accanto al fuoco)-
    Le ordinò l’elfo con voce pacata, quando raggiunsero la stanza.    Lei non se lo fece ripetere e sprofondò nei tessuti morbidi di una poltroncina. Un camino dalle linee sinuose scaldava l’ambiente, arredato solo da una piccola specchiera, una panca, la poltroncina e un letto dalle tende chiare.
    Non molto tempo dopo, una dolce voce femminile risuonò tra le pareti di pietra della stanza: -‘Quel re. (buon giorno)-
    La giovane si voltò verso l’ingresso e il braccio le scivolò dalla poltrona in una posa sgraziata. A parlare era stato un elfo femmina dai capelli ramati, con un abito verde semplice e senza ornamenti.
    -Lle quena i’lambe tel’ Eldalie? (parli la lingua degli elfi?)-
    La ragazza annuì ma si sforzò di risponderle: -Preferisco parlare così.- L’altra sorrise e fece cenno all’elfo gentile che aveva condotto lì la giovane. Lui s’inchinò leggermente e uscì di fretta, lasciandole sole.
    –Io sono Emlinel e mi occuperò di te finché resterai qui.-
    Era una dama molto bella, dal viso affilato e gli occhi tanto chiari da sembrare trasparenti.
    Senza perdersi in convenevoli, la dama le fu vicino, chiedendole con lo sguardo il permesso di toccarla. La giovane si lasciò prendere per mano e seguì Emlinel senza indugio, rassicurata dal suo fare sicuro.
    Scendendo delle ripide scalette a chiocciola, raggiunsero la stanza più bassa di tutte. Era uno spazio piuttosto ampio, con il soffitto basso sorretto da spesse colonne, e diverse vasche piene d’acqua si aprivano nel suolo di pietra.
    Emlinel si apprestò a togliere il mantello del Re dalle spalle della giovane e lo ripose con cura: -Non mi hanno saputo dire molto di te.- Sorrise. La ragazza si accorse che l’altra evitava di chiederle come si chiamasse, forse perché era già al corrente degli avvenimenti di qualche ora prima e ne fu sollevata: –Non so niente di me.- Ammise, sistemandosi in una delle vasche come Emlinel le diceva di fare e cercando di imitare il suo sorriso.
    -Dove siamo?- Chiese, di getto.
    -Sei nella parte Nord di Eryn Lasgalen. Questo è il Reame Boscoso e ci troviamo nelle Sale di Re Thranduil, figlio di Oropher.- Spiegò l’altra, con voce chiara.
    Come se quei molti nomi avessero un qualche significato, pensò la ragazza.
    Non chiese altro, consapevole che delle semplici spiegazioni non sarebbero bastate a istruirla sulla strana situazione in cui si trovava. Senza continuare la conversazione, la dama le bagnò i capelli e li riempì di un liquido profumato, cantando a bassa voce una lieve melodia. La giovane trovò che il suo nome fosse assolutamente adatto alla sua persona: Emlinel, uccellino.
    Notò poi un particolare, osservando l’operato della sua compagna: il contrasto tra la loro pelle era davvero singolare.
    Era evidente e si sorprese di non averlo notato prima. Come consistenza non erano differenti ma la sua pelle era incredibilmente più scura, di un colore che non riusciva a decifrare. -La mia pelle…- Iniziò, studiandosi le braccia e le gambe, sollevandole sul pelo dell’acqua.
    Emlinel annuì, sorridendo dolcemente per celare la sua stessa confusione: -Un colore che ricorda il miele caramellato, non ti sembra? Alla luce di queste candele è quasi dorata. O forse è dei toni del rame, difficile a dirsi!-
    La giovane non aveva idea di cosa fossero il miele caramellato e il rame ma accettò quell’osservazione senza obbiettare.
    Anche i suoi capelli erano diversi da quelli di Emlinel e li scrutò con cipiglio serio mentre galleggiavano e si appiccicavano al suo petto, neri come le piume dei merli che aveva visto nel bosco.
    Ricordò le proprie, strane orecchie e portò le mani rispettivamente una sulle proprie e una su quelle di Emlinel, tastando curiosamente. La dama sussultò ma non si scompose e lasciò che la giovane le toccasse il viso, osservando come muoveva l’altra mano sul proprio per coglierne le differenze.
    -Sono un elfo?- Domandò questa, speranzosa.
    La dama sentì il cuore perdere un battito nel sostenere lo sguardo di quei grandi occhi luminosi: -Proprio non lo so, cara...-

    Poco dopo, la giovane fu asciugata e vestita con un semplice abito bianco, che cadeva dritto senza alcuna decorazione, come quello di Emlinel. Fu delusa dal fatto che la sensazione sulla pelle fosse ben diversa da quella provata con il mantello del Re elfico. Quella stoffa non profumava come il bosco e non era altrettanto calda.
    Tornate nella camera da letto, Emlinel sospinse la ragazza verso la specchiera, gentilmente: -Ti mostro una cosa, vieni qui vicino a me.- Posò le mani sulle sue spalle: -Questo è uno specchio. Riflette le nostre immagini, così possiamo vedere come appariamo.-
    L’altra osservò la bocca di Emlinel muoversi su quella superfice sorprendente e spalancò gli occhi, cosa che la sua immagine riprodusse all’istante.
    Così quello era il suo aspetto.
    Era più bassa della compagna di quasi una testa, le ciglia nerissime che le contornavano gli occhi grandi. Le sue orecchie erano piccole e, seppur appuntite, non somigliavano poi tanto a quelle di un elfo. Si concentrò sulle iridi azzurre di Emlinel, poi sulle sue, di un viola intenso, come la curiosa pietra della sua collana. Passò una mano tra i capelli nerissimi, lisciandone le onde annodate e scomposte fino alla vita, assorta in quell’incredibile scoperta.
    La dama guardò il viso della giovane con tenerezza: chissà quanta confusione regnava nella mente di quella povera fanciulla senza nome.

    Il sole era ormai tramontato quando la giovane si decise a distogliere lo sguardo dallo specchio.
    Emlinel, dopo averle portato del cibo, l’aveva lasciata sola per qualche ora, perché mangiasse e si riposasse a dovere.
    Certo, come se fosse possibile rilassarsi in una situazione tanto assurda.
    In principio, la giovane non aveva degnato di uno sguardo il vassoio che la dama le aveva consegnato, poi la curiosità, o forse la noia, avevano preso il sopravvento.
    Fu interessante assaggiare quelle strane pietanze elfiche.
    Anche se non erano proprio di suo gusto, si ritrovò a pensare lei, storcendo il naso davanti all’ennesima pianta scondita.
    Non aveva fame, non aveva nemmeno sete, però pensò fosse meglio nutrirsi per mantenersi in forze: quel bisogno era istintivo e lasciò che la guidasse.
    Nella camera, inoltre, aveva trovato diversi libri, accatastati in un angolo. In particolare, era stato quello intitolato “Dizionario” ad incuriosirla.
    Il fatto che l’avesse letto e riletto ormai tre volte era la riprova di quanto si stesse annoiando, lì da sola.
    Senz’altro da fare, la prigioniera uscì dalla stanza e andò a sedersi sul bordo freddo della fontana, nel piccolo cortile del comprensorio.
    Le candele erano ancora spente e il fuoco zampillava nel camino solo in quella saletta dove sarebbe dovuta rimanere, lasciando il complesso immerso nella penombra della sera.
    Un timido raggio di luna crescente fece capolino dai lucernai sull’alto soffitto, giocando a riflettersi sull’acqua zampillante della fontanella e, subito, la pietra del caseggiato si riempì di scintillii variopinti.
    La ragazza saltò in piedi, meravigliata, perdendosi nelle luci che la pietra creava come se in sé contenesse decine e decine di minuscoli frammenti di vetro. 
    Opale, ecco il perché di quel nome.
    La pietra conteneva schegge di quel prezioso minerale e ora l’intera sala risplendeva come una notte stellata.
    La giovane provò un’intensa sensazione di familiarità, come se fosse già stata circondata da luci simili.
    Le sue gambe avevano da poco cominciato a seguire i suoi comandi e azzardò un saltello per sfiorare i riflessi di quella luce dai mille colori: per una frazione di secondo, la sua mano divenne altrettanto colorata. Rise ma si fermò un attimo dopo, portandosi una mano alle labbra.
    Che strana sensazione.
    Ma le piaceva il suono che proveniva dal suo petto mentre compiva quel gesto tanto naturale. Rise di nuovo e saltellò ancora.
    –Allora eri qui!- Esclamò Emlinel con voce divertita, raggiungendola. –Disturberai le altre dame con questo chiasso.- La ammonì, dolcemente.
    La giovane, che non voleva perdersi un secondo di quello spettacolo, le afferrò la mano: -Guarda quanta luce Emlinel, non trovi che sia splendida?- L’altra la fissò a bocca aperta e la fanciulla si fermò automaticamente, senza comprendere la sua reazione. -Cosa succede?- Si avvicinò alla dama, sfiorandole un braccio con la mano come per riscuoterla.
    –Le parole escono dalle tue labbra limpide e ordinate, mentre prima a stento riuscivi a pronunciarle.- Esclamò lei, sorpresa.
    La ragazza inclinò la testa e fece spallucce: -C’era un dizionario in camera.- Si giustificò, come fosse una spiegazione del tutto ovvia.
    -E tu sai leggere?-
    In effetti, non era poi così scontato che ne fosse capace, pensò la giovane, stupendosi a sua volta.
    Dopotutto, a malapena sapeva camminare.
    Doveva esserci una spiegazione.
    Forse non era sempre stata incapace di farlo e, per qualche strana ragione, doveva solo ricordare meglio. Magari ricordare chi fosse, tanto per cominciare.
    Sfregò malamente la tempia di nuovo dolorante ma non ebbe il tempo di dire altro che Emlinel si portò una mano alle labbra, trasalendo: -È tardi! Adesso dobbiamo andare. Il Re vuole vederti.-
    La ragazza sussultò a quelle parole, presa in contropiede.
    E così, la prigioniera era attesa, pensò con stizza.
    Giusto, stizza. “Viva irritazione, per lo più momentanea, provocata da un senso di fastidio o di molestia”, appuntò mentalmente la giovane, ricordando senza sforzo la definizione riportata nel vocabolario.
    Inspirò profondamente, lanciando un ultimo sguardo alla sala dalle luci opalescenti, e seguì Emlinel verso le sei guardie pronte a scortarle.

    In fila indiana, i sette elfi e la ragazza salirono le scale dell’immenso tronco, fino in cima.
    Lo sguardo della giovane corse subito verso il trono, posto più in alto rispetto a loro e individuò il Re, in piedi di fronte ad esso.
    Gli occhi gelidi di lui ricambiarono per un istante lo sguardo, spostandosi poi sugli altri ospiti: -Potete andare.- Li congedò, senza attendere oltre.
    Tutti si ritirarono diligentemente, una mano sul cuore. Solo Emlinel si attardò ma Thranduil fu categorico: -Tutti, Emlinel.-
    Lei sgranò gli occhi, guardando la giovane. –Si, mio signore.- Non si aspettava di lasciarla completamente sola con il Re ma non avrebbe di certo potuto ribattere. Così le sorrise, tentando di essere il più rassicurante possibile e se ne andò.
    La ragazza non sembrò capire quello sguardo.
    Doveva avere timore di qualcosa?
    Si voltò verso il Re e lo trovò di nuovo intento a osservarla, con occhi taglienti. Lui la guardò con attenzione, notando particolari cui non aveva dato peso, quella mattina. Certo, se non fosse stata completamente nuda, non avrebbe dovuto concentrarsi solo sul suo viso per tutto il tempo. Adesso, poteva soffermarsi senza fretta sulla pelle ambrata della giovane o sui suoi capelli corvini.
    La ragazza lo lasciò fare, comprendendo il bisogno del Re di studiarla come lei stessa aveva fatto quella mattina ma finì per trarre un sospiro dolorante, quando il mal di testa si ripresentò, lieve ma fastidioso. Si massaggiò una tempia: –Perché mi fa così male la testa?- Chiese, più a sé stessa che al Re.
    Lui sollevò un sopracciglio: -Vedo che ti esprimi in modo meno patetico rispetto a questa mattina.-
    Lei, per tutta risposta, gli lanciò uno sguardo obliquo: -Mi sono informata a dovere con un libro chiamato Dizionario.-
    La piccata risposta tagliò la solenne atmosfera della sala come un’accetta: -Spero, però, di non essere qui solo per mostrarti i miei progressi con la dizione.- Concluse, sollevando il mento.
    Lui rimase spiazzato per un secondo.
    Esterrefatto, anzi, era il termine più calzante.
    Non si sarebbe mai aspettato una risposta simile, soprattutto da quella ragazzina che, fino a poche ore prima, a malapena stava in piedi da sola.
    –Parole sfrontate da rivolgere ad un Re.- Socchiuse gli occhi, più incuriosito che arrabbiato. La giovane non ribatté, catturata dai suoi occhi chiari e incredibilmente espressivi.
    Dopotutto, quell’elfo regale non era poi così impassibile come voleva sembrare, pensò.
    –Tuttavia non posso biasimarti. Sembri non avere familiarità con i bei discorsi. Da dove vieni?- Continuò lui, studiandola.
    La ragazza scrollò la testa: -So di me quanto sapevo questa mattina. Ovvero, niente. I miei ricordi cominciano da quando ho aperto gli occhi nel bosco, poco prima di incontrare voi elfi.-
    Lui sembrò deluso da quella risposta e scese le scale verso di lei, con passi lenti e misurati: -Cosa sai dirmi delle gemme bianche che avevi con te?- I suoi occhi, solo per un momento, furono attraversati di nuovo da quell’ombra che lei non sapeva definire. Lo seguì con lo sguardo mentre lui le girava attorno:
-Erano lì quando mi sono svegliata. Credo di averne avuto alcune addosso ma non so perché.-
    Lui le tornò davanti, questa volta decisamente più vicino: -Sono gemme bianche, di pura luce stellare. Credevo di possedere le uniche esistenti su questa terra ma, a quanto pare, mi sbagliavo.-
Troneggiava su di lei, maestoso e rigido come una dettagliatissima statua. Era talmente alto che la giovane fu costretta a sollevare la testa per guardarlo negli occhi: -Se sapessi qualcosa, qualsiasi cosa, te la direi, Re Thranduil.-
    Ed era totalmente sincera.
    Non avrebbe comunque potuto fare altrimenti, essendo lui l’unica fonte d’informazioni che la giovane potesse sperare di avere in quel luogo.
    Il Re degli Elfi sembrò soppesare a lungo quelle parole, come a volerne saggiare la veridicità fino in fondo e scavò negli occhi viola della strana prigioniera.
    L’unica parola che riusciva a trovare per descriverla era “insolita”. Decisamente insolita.
    Ma niente di più.
    Infine, sembrò prendere una decisione: –Accetto il tuo pagamento e non ti ucciderò.-
    A quelle parole, lei sgranò gli occhi viola, sussultando: -Quale pagamento? E perché volevi uccidermi?-
    Il Re le diede le spalle e andò a sedersi sul suo trono: -Non so chi o cosa sei, quindi non posso ignorare la possibilità che tu divenga un pericolo. Ma ti lascerò vivere. Certo, il disturbo vale tutte le tue gemme bianche. Mi sono preso la libertà di decidere per te.- La guardò dall’alto in basso, altezzoso: -Non che tu possa fare altrimenti.-
    La giovane s’irrigidì di colpo e si stupì delle emozioni che s’impadronirono di lei.
    Era arrabbiata, costernata? Non seppe definirle, questa volta.
    Era certa solo del fatto che l’atteggiamento irriverente che lei stessa assumeva con naturalezza davanti al Re degli Elfi fosse decisamente giustificato.
    Ad un minimo gesto del Re, le sei guardie elfiche la circondarono. –Rinchiudetela di nuovo.- Si limitò a dire lui, quasi annoiato.
    La ragazza si scostò, rivolgendosi al Re con un tono carico di disappunto:  -No, un attimo. Adesso tocca a te rispondere alle mie domande. Non ti aspetterai che io mi faccia segregare ancora in questo modo, vero? Dato che mi fai prigioniera senza una vera motivazione, se non il fatto di ignorare chi sono, me lo devi.-
    Thranduil tornò a guardarla, inaspettatamente incuriosito:
-Non hai mai detto di avere delle domande da pormi.-
    Lei incrociò le braccia al petto, stringendo le labbra: -Non che tu mi abbia dato il tempo, Re degli Elfi.-
    Lui avvertì di nuovo una punta di presunzione in quelle parole ma, cosa per lui assai rara, lasciò correre: -Allora potrai farmi le domande che desideri. Ma tutto ha un prezzo, in questo regno. Soprattutto il mio tempo.-
    La giovane se lo aspettava e sollevò il mento, altezzosa: -Tutto quello che possiedo, lo hai davanti agli occhi.- Disse, alludendo a sé stessa.
    Lui parve quasi divertito da quella risposta e liquidò la faccenda sbrigativamente: -Bene. Vorrà dire che d’ora in poi tu sarai una mia proprietà.-




 
 
[1] Il fiume in questione è chiamato Taurduin e attraversa la parte Nord della Foresta e il cuore delle Sale di Thranduil, per proseguire verso Est. Fu lungo questo corso che i Nani della Compagnia di Thorin fuggirono dal Reame Boscoso, grazie allo stratagemma di Bilbo.



N.D.A

Ciao a tutti! Eccoci anche questa settimana ^-^ Dato che il terzo capitolo è più un passaggio prettamente descrittivo, mi sono sentita in dovere di pubblicare anche il quarto, di seguito!
Mi rendo conto che una panoramica del genere potrebbe risultare poco utile ai fini della trama ma ho adorato immaginare e ricostruire il Reame Boscoso in tutto il suo splendore *-*

Spero che vi piaccia e, come sempre, mi farebbe piacere sentire le vostre opinioni! Buona lettura e grazie a tutti voi che siete arrivati fino a qui :3

Ci rivediamo nei prossimi capitoli,
mille abbracci

Aleera
   
 
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