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Autore: Amy W Gildeary    29/05/2019    1 recensioni
Il conte Girolamo Riario una volta disse: «Quando si deve trasmettere un messaggio, preferisco servirmi di mezzi che gli altri non userebbero».
Una donna, ad esempio.
E se papa Sisto IV non avesse avuto un figlio, ma una figlia?
E se il bellicoso Santo Padre avesse deciso di sfruttarla come arma per i suoi subdoli piani, approfittando dell'effetto sorpresa?
Cosa sarebbe successo se avesse avuto lei il compito di attaccare Firenze e di ottenere i servigi del geniale artista Leonardo da Vinci?
-
«Sapete chi sono?», domandò la giovane donna, chinando di poco la testa di lato; la voce morbida e vellutata, senza alcuna traccia di turbamento. «Sono Gemma Riario. Contessa di Imola, guida della Santa Romana Chiesa e nipote di Sua Santità, papa Sisto IV».
[...]
«Sì, lo so», commentò la contessa, con un sospiro annoiato. «Rimangono tutti sempre molto sorpresi di vedere una donna», continuò, con una naturalezza e una tranquillità a dir poco disarmanti, ben poco appropriati al contesto. «Volevano un figlio maschio. Lo avrebbero chiamato Girolamo. Ma poi sono arrivata io».
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leonardo da Vinci, Nico, Nuovo personaggio, Zoroastro
Note: What if? | Avvertimenti: Gender Bender
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Il Gioiello del Vaticano
Capitolo 19 - L’Angelo

 

 

 

Anche conosciuta come “Il Giudizio”, la carta dell’Angelo rappresenta la libertà da legami corporei e la consapevolezza nella spiritualità. Indica la rinascita alla vita spirituale, la comunicazione con lo spirito divino. Significa anche chiaroveggenza spirituale, è un richiamo dal passato, perciò un’evocazione. Indica ristabilimento anche nella persona fisica, ma soprattutto morale e spirituale; è predicazione, spirito missionario.
Al negativo, però, indica nervosismo profondo, esaltazione, reputazione negativa, giudizio degli altri verso di noi, mancanza di temperanza.

L’Angelo è una carta di rinnovamento, evidentemente una situazione va mutando. La situazione muta poiché si è arrivati al momento della resa dei conti. Non si può più tergiversare, posticipare, ma si deve affrontare la resa dei conti e le relative conseguenze. Nodi che vengono al pettine, chiusura di una situazione, giudizio finale.

 

 

 

Seduta su una delle sedie di legno nella sagrestia Vecchia, Gemma torturava incessantemente l’anello d’oro che portava al dito, nella vana speranza di sfogare la sua angoscia.

La messa di Pasqua era cominciata, e il momento della comunione si stava avvicinando pericolosamente. Sarebbero bastati pochi minuti, una volta consumata l’ostia, perché tutto quell’inferno di odio e astio avesse fine. La dinastia de’ Medici sarebbe crollata, i Pazzi avrebbero assunto il controllo della città, e il suo compito come spia del Vaticano si sarebbe concluso.

Sarebbe rientrata a Roma, al servizio del papa, o nel migliore dei casi avrebbe ricevuto l’ordine di tornare a Imola, per occuparsi di politica e della sua città. Nel peggiore dei casi… non voleva nemmeno pensarci.

Istintivamente fece per mordersi il labbro, in un gesto dettato dal nervosismo, ma una fitta di dolore le ricordò quanto successo solo una settimana prima.

Nulla avevano potuto le guardie che avevano fatto irruzione negli Archivi Segreti: da Vinci aveva trovato un’altra via di fuga ed era riuscito a scappare. E con lui, stretta saldamente nella sua mano, la seconda chiave per aprire la Volta Celeste.

Né erano riuscite, quelle stesse guardie, a mitigare la rabbia di Sua Santità, quando l’uomo si era trovato di fronte a sua nipote. Non ci era riuscito il suo aspetto, né gli abiti strappati, che per tutti erano stati chiari indizi di un’aggressione da parte dell’artista. Non ci era riuscita la sua espressione, per la prima volta dopo tanto tempo umile, mortificata, dilaniata dai sensi di colpa.

Niente aveva trattenuto la mano di Sisto. E una settimana dopo, i segni erano ancora ben visibili: sulle labbra, sullo zigomo, attorno all’occhio, sulla tempia…

Aveva fallito, e se era ancora viva il merito era solamente dell’imminente congiura contro Firenze. Era ancora lei al comando della rivolta, e quel compito doveva essere portato a termine, prima di poter prendere una qualsiasi altra decisione.

Ancora una volta, la sua sopravvivenza si era ridotta ad una scelta: la sua vita, o quella di altri.

Eppure, tutto quello a cui riusciva a pensare era l’espressione sul volto di Leonardo, resosi conto che la seconda chiave era sempre stata nelle sue mani. La delusione, l’amarezza, il dolore che aveva potuto scorgere nei suoi occhi, come se tutto quello che avevano passato si fosse distrutto in un istante.

            «Contessa Riario», la chiamò una delle sue guardie, destandola dai suoi pensieri.

            «Sì?», mormorò lei, alzando appena lo sguardo.

            «È il momento», rispose lui sottovoce, e Gemma capì che le ostie avvelenate stavano per essere servite.

            «Bene», affermò la giovane donna con un filo di voce, e mai nulla di più falso aveva lasciato le sue labbra. «Tenetevi pronti», aggiunse, volgendo lo sguardo al resto delle guardie svizzere lì presenti, e ricevendo immediatamente un cenno di assenso.

Gemma si rialzò lentamente in piedi, con tutta l’intenzione di allontanarsi il più possibile dalla porta che conduceva nel duomo, quando un tonfo sordo giunse alle sue orecchie: era senza alcun dubbio il suono delle porte d’ingresso della cattedrale che venivano aperte. Immediatamente tornò vigile e attenta, e schioccò le dita, zittendo ogni brusio proveniente dalle guardie lì con lei.

            «Che cosa vi è successo, Eccellenza?», domandò qualcuno in chiesa, e quelle parole furono più che sufficienti per capire: Giuliano de’ Medici era tornato a Firenze.

            «Santo Iddio…», mormorò la contessa, chiudendo gli occhi: sembrava davvero che quell’inferno non avesse fine. «Preparate le armi», aggiunse poi, rivolta ai suoi scagnozzi.

            «I Pazzi cospirano contro di noi, la mia famiglia!», urlò Giuliano, dall’altra parte della porta. «Sono in combutta con Roma, e tradiscono tutta Firenze».

            «No…», gemette Gemma, con la voce così flebile che a malapena riuscì a udirsi da sola.

            «Popolo e libertà…», si intromise Francesco Pazzi, e la giovane serrò gli occhi. «A morte i Medici!».

Un istante dopo, non si udì altro che colpi di spada, urla di terrore e il caos.

Le guardie svizzere si voltarono immediatamente verso la contessa Riario, in attesa di ordini, ma Gemma ebbe bisogno di alcuni istanti prima di poter proferire parola.

            «Andate», mormorò semplicemente, senza nemmeno guardarli. 

            «Contessa…», tentò il capitano Grunwald, avvicinandosi a lei.

Quando però la giovane donna rialzò lo sguardo, l’uomo non vi scorse più quella scintilla di forza e determinazione, quel fuoco che l’aveva sempre contraddistinta, ma vide solo il vuoto, qualcosa di estraneo alla sua natura. Non era più lei, e lo sapevano entrambi.

            «Non doveva andare così», mormorò Gemma, volgendo lo sguardo alla porta. «Non avrà mai fine…», aggiunse, con un filo di voce.

            «Cosa volete che faccia?», domandò il capitano, con la mano già pronta sulla spada.

Ma per qualche altro secondo, ci fu solo il silenzio in risposta, e mai prima di allora era successo: Gemma era una guerriera straordinaria, terribilmente brava a mantenere ogni cosa sotto controllo, anche quando un imprevisto mandava in pezzi i suoi piani.

            «Voglio alcuni uomini a controllare gli altri ingressi del Duomo», disse finalmente, incrociando le braccia al petto. «E voglio sapere ogni cosa su chiunque fosse a parte di questo piano», proseguì, rialzando lo sguardo su di lui. «Ogni membro di quella cerchia di congiurati. Chi sopravvivrà a questo… io lo voglio qui, davanti ai miei occhi».

Grunwald annuì in silenzio, e si spostò verso un piccolo gruppo di guardie svizzere rimaste nella sagrestia, indicando loro quali ordini avessero. Al contrario, lui e un altro paio di uomini rimasero lì, come scorta per la contessa.

D’altro canto, Gemma si allontanò in un angolo con una mano premuta sulla fronte, cercando di recuperare tutto il suo autocontrollo e di calmarsi. Eppure, tutto quello a cui riusciva a pensare era che non doveva andare in quel modo. Se tutto fosse andato come da piano, in quel momento i Medici sarebbero caduti a terra avvelenati e si sarebbe vista la parola Fine a quella che ormai Gemma sentiva di poter paragonare a una tortura.

Il suo ultimo barlume di speranza, l’unica cosa a cui riusciva a pensare senza sentire la gola chiudersi per il panico, era il destino di Leonardo: l’artista doveva imbarcarsi sul Basilisco e partire alla volta del Nuovo Mondo. In tutto quell’inferno di spade, odio e tradimenti, almeno lui sarebbe rimasto al sicuro e neppure lei, assieme a tutti i suoi uomini, sarebbe stata in grado di trovarlo in tempo per catturarlo.

Nel groviglio dei suoi pensieri, nemmeno si accorse dello scorrere del tempo, fino a quando una voce a lei familiare non la ridestò.

            «Contessa», la chiamò Lucrezia Donati, con il respiro affannoso e la paura ben marcata nella voce.

Gemma però si prese un secondo per un profondo respiro, e rimase voltata di spalle. Doveva essere passato molto più tempo di quanto non pensasse, se le sue guardie erano già riuscite a trovare i congiurati di cui aveva chiesto notizie, ma non era ancora il momento. Non era ancora pronta a ritornare alla realtà e a fare quello che doveva essere fatto.

            «Non adesso, Madonna», rispose freddamente la nipote del papa, con lo sguardo verso un punto indefinito.

            «Contessa», ripeté l’altra di nuovo, con più decisione.

            «Ho detto: non adesso», ribatté bruscamente la Riario, la rabbia che iniziava a crescerle dentro.

            «Gemma!», urlò Lucrezia, con la voce ormai ben lontana dalla calma, ma impregnata di panico e angoscia. «Lui è qui».

E fu come se il tempo si fosse fermato.

La giovane donna si sentì gelare il sangue nelle vene, mentre lentamente rialzava il capo e si voltava verso Lucrezia, la sua espressione che pregava di aver capito male. Ma quando le due donne si guardarono l’un l’altra negli occhi, per Gemma non ci furono più dubbi. E fu peggio di uno schiaffo in faccia.

Il capitano Grunwald teneva saldamente la nobildonna fiorentina ferma dov’era, stringendo le mani sulle sue spalle. Rialzando lo sguardo, Gemma capì subito che la guardia la stava studiando, perché era chiaro a lui come era chiaro a tutti: la contessa Riario non avrebbe mai reagito in quel modo senza un’ottima ragione. Ma lei era troppo occupata a non farsi prendere dal panico per curarsene.

Salvare da Vinci, sempre ammesso di riuscirci, significava tradire il Vaticano, e a quel punto niente e nessuno sarebbe stato in grado di garantirle più di un paio di giorni di vita. Ma mantenere il suo ruolo avrebbe condannato l’artista a morte certa.

Ancora una volta, la sua sopravvivenza si era ridotta ad una scelta: la sua vita, o quella di altri. Ma l’altra non era più la vita di uno sconosciuto o di un nemico. Era quella di Leonardo.

Gemma non disse nulla, nemmeno una parola, mentre superava a passo svelto le guardie lì presenti ed usciva dalla sagrestia Vecchia. A malapena si rese conto di quale carneficina stesse avendo luogo nel mezzo del Duomo; il suo sguardo guizzava da una parte all’altra per trovare, in un groviglio di volti estranei, quello che ormai aveva imparato a conoscere.

A malapena notò il corpo senza vita di Giuliano, accanto a una delle panche di legno della navata centrale, né il Magnifico a terra con una mano premuta sul collo, pallido in volto e con il terrore negli occhi. Quando vide l’artista, il suo corpo agì di vita propria, e corse nella sua direzione.

Gemma ebbe appena il tempo di avvicinarsi di qualche passo, quando una violenta esplosione si frappose tra Leonardo e i congiurati, assicurandogli qualche istante di vantaggio. La contessa scattò fulminea ed evitò le fiamme, mentre la famiglia Pazzi indietreggiava e tentava di proteggersi dal fuoco.

Con molta fatica, da Vinci trascinò sé stesso e Lorenzo verso la sagrestia delle Messe e si lanciò contro le porte con tutte le sue forze, spalancandole sotto il suo perso. Spinse il Magnifico all’interno della stanza, e si rialzò velocemente in piedi per tornare indietro e chiudere l’ingresso.

Fu allora che si videro.

Il tempo di scambiarsi uno sguardo, ma lo capirono entrambi.

Capirono che era giunto il momento da cui avevano tentato di scappare. Capirono che non c’erano più vie di fuga o sotterfugi: erano l’uno contro l’altra, ma solo una delle loro vite poteva salvarsi. Capirono che era la fine. E non c’era niente che potessero fare.

Gemma lo vide, vide quale dolore lo stesse colpendo a quella consapevolezza, quanto quei sentimenti tanto a lungo combattuti gli stessero straziando il cuore. Ma per la prima volta da quando si erano conosciuti, anche Leonardo intravide lo stesso dolore negli occhi della giovane donna. Lo scorse nel suo volto, in uno sguardo che non era il suo, ma quello di una persona imprigionata in una maschera di dolore, costrizioni e manipolazioni.

Quello non era lo sguardo della Gemma che aveva conosciuto e per la quale avrebbe dato ogni cosa, pur di salvarla e di riportarla alla vita. Qualcosa in lei si era spezzato. E quando vide, un istante prima che le porte della sagrestia si chiudessero, i lividi e le ferite sul suo volto, fu come ricevere una pugnalata al cuore.

Il tempo di scambiarsi uno sguardo, e le porte si chiusero.

Da Vinci abbassò gli occhi sulle sue mani e si accorse che stavano tremando violentemente, così come il suo respiro che sembrava essersi bloccato in gola. Tentò di calmarsi, di concentrarsi su qualcos’altro, e corse da Lorenzo per provare a medicare il profondo taglio che aveva sul collo. Ma i suoi gesti erano poco più che movimenti vuoti ed automatici, il suo corpo stava agendo da solo; la sua mente invece era ben lontana da lì, devastata da quanto aveva visto.

Dall’altra parte della porta, Gemma non si stava nemmeno sforzando per recuperare il fiato in gola. Non si era neppure accorta di aver smesso di respirare, fino a quando una voce alle sue spalle non la riportò violentemente alla realtà.

            «Contessa», sibilò il capitano, e a lei non sarebbe servito a nulla voltarsi e vederlo in faccia: il suo tono era in tutto e per tutto una minaccia.

Grunwald aveva visto l’intera scena, e come lui altri testimoni, e ogni secondo a cui avevano assistito era soltanto una prova in più ad avvalorare i loro sospetti. E se Gemma non avesse fatto qualcosa per smentirli, non sarebbe uscita viva dal Duomo.

            «Capitano…», mormorò lei, e si costrinse a respirare prima di proseguire. «Abbattete le porte», aggiunse, la voce miracolosamente più ferma di prima.

Lo sentì allontanarsi a passi pesanti alle sue spalle, e fece tesoro di quel breve momento da sola per indossare di nuovo la sua maschera. E per pregare che, in un modo o nell’altro, Leonardo trovasse il modo di salvarsi.

Poco dopo alcune guardie svizzere e la famiglia Pazzi la superarono a grandi passi, impugnando qualsiasi oggetto che potesse essere un’arma, e iniziarono a colpire l’ingresso della sagrestia. Ma Gemma non era un’ingenua, le era bastato un solo sguardo a quel possente portone di legno per capire che non avrebbe ceduto tanto facilmente.

Prese un ultimo profondo respiro, prima di rinunciare per sempre a sé stessa, e fare ciò che andava fatto.

Si voltò alle sue spalle, cercando con lo sguardo il capitano Grunwald, e l’uomo capì immediatamente quale ordine gli fosse stato rivolto. Tornò poco dopo con una pesante spingarda tra le sue mani, ma Gemma nemmeno si voltò verso di lui, perché sapeva che facendolo quella flebile traccia di determinazione in lei sarebbe svanita.

            «Procedete», mormorò la contessa, e sfogò ogni sua esitazione mordendosi violentemente l’interno della guancia.

Sentì dei passi deboli e indecisi alle sue spalle, ben diversi dai pesanti colpi caratteristici delle sue guardie, e capì che Lucrezia le si era avvicinata.

            «Gemma…», la supplicò sommessamente, la voce incrinata e ormai prossima al pianto.

Ma la giovane non l’ascoltò. Non poteva permetterselo, perché stava già morendo dentro al pensiero di quello che stava per compiere.

            «Contessa?», domandò un’ultima volta il capitano Grunwald, al suo fianco.

Lucidi e velati di lacrime, Gemma rialzò gli occhi sull’ingresso della sagrestia, ed annuì.

            «Fuoco», mormorò, con un filo di voce.

L’uomo la superò e prese posizione di fronte al portone, mentre la corda del colpo in canna si stava consumando, divorata dalle fiamme. Ormai prossima allo sparo, Gemma serrò gli occhi, e una lacrima le rigò la guancia mentre voltava il capo dall’altra parte.

La fiamma si spense e il colpo esplose, diretto alla porta della sagrestia.

E con essa, anche il cuore di Gemma andò in pezzi.

 

 

 

Angolo dell’autrice

Sarà un angolo molto grande…

Buonsalve a tutt*!

Che dire… Non ho mai pensato ad un finale roseo, volevo una scena spacca cuore e, spero, qualche lacrima. Se ci sono riuscita, anche solo a metà, sono già felice.

(Vi svelo un segreto: poteva andare peggio. Ipoteticamente, potevano pugnalare Gemma e poteva toccare a Leonardo cercare di salvarle la vita. E, sempre ipoteticamente, il capitolo poteva finire con un La contessa si salverà o non si salverà?)

Avevo rimandato “saluti, ringraziamenti, ed eventuali cosine da comunicare” a questo capitolo, dunque così sia.

I saluti sono d’obbligo in quanto ultimo capitolo, ma c’è anche da dire che questa era la prima stagione su tre, quindi questi possono essere saluti definitivi o in vista di una reunion. Tempo libero permettendo, a me piacerebbe molto proseguire, perché mi sono affezionata al personaggio di Gemma molto più di quanto pensassi e vorrei continuare a raccontare la sua storia. La contessa di Imola ha ancora tante cose da dire. A voi piacerebbe leggere di lei ancora?

Insieme a questi saluti, lascio una piccola richiesta a chi mi ha letto in questi mesi. Vedo le vostre visite e quei numeri mi scaldano sempre il cuore, soprattutto quanto aggiorno e vedo che un’ora dopo siete già passat*. Spero che in occasione di questo finale, vogliate farmi un piccolo (ma per me grandissimo) regalo e lasciarmi un commento, anche di poche righe, con le vostre opinioni sulla storia. Non avete idea di quanto mi fareste felice. In qualsiasi caso, però, vi ringrazio uno per uno per questi mesi insieme e per aver dedicato del tempo a leggere quest’avventura.

“Eventuali cosine da comunicare”? Dopo tante insistenze da parte di una persona di mia conoscenza, ho ceduto e ho aperto un profilo instagram tutto per Gemma e per la sua storia, e se vi va di passare lo trovate qui: https://www.instagram.com/gemma.riario/

Perché solo ora, che è finita la storia? Perché finisce qui su EFP, ma… inizia altrove, su Ao3. Per ora in italiano, ma chissà… Anche lì, mi trovate come AmyWendys (tutto attaccato): https://archiveofourown.org/users/AmyWendys

E direi che può bastare o mi dilungherei troppo.

Che sia un addio o un arrivederci, io vi saluto con un forte abbraccio e vi mando un bacione grandissimo!

Con affetto  

Amy W. Gildeary

 

   
 
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