Anime & Manga > Saint Seiya
Segui la storia  |       
Autore: PrincessOfSpades    29/05/2019    0 recensioni
[Storia ispirata a un ipotetico post-Hades]
Un male ignoto sta nuovamente minacciando la Terra. Athena, la dea incaricata a combatterlo, ne viene al corrente tramite dei sogni oscuri.
Riportare in vita i suoi migliori cavalieri è il primo passo per preparare il mondo all'insorgere del male.
Ma esso si diffonde in fretta, sottoforma di anomale malattie.
Athena è costretta a chiedere aiuto al dio Asclepio, che sarebbe ben disposto a concederlo, se non fosse che la dea Giunone, intenzionata ad ostacolarli per problemi ben altro che nobili, non voglia dare loro ausilio.
Ma quando le speranze sembrano morire, ecco che l'aiuto inaspettato di un dio può risultare decisivo, e che la storia di una figlia della guerra non possa che risplendere di luce propria in tutta questa triste faccenda.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo V
 

“Perché quella smorfia, Euridice? Tornerò subito”.
“E’ perché hai smesso di suonare. Ti stavo ascoltando; mi piace quando suoni”.
Si lascia andare a una risata cristallina, udita quell’innocente confessione.
“A fra poco” le dice, mentre coglie allora un fiore bluastro e glielo porge.
Un fiore, alla sua bellissima sposa.

 
 

Creta, altopiano Lasithi, 1998 d.C

Sembrava che delle ninfe stessero giocando a nascondino attorno alla loro casa; in quella moltitudine di fruscii, che si alternavano fra gli arbusti davanti la radura.
Il loro maestro pizzicava le corde dello strumento e pareva non badarci. A volte, sorrideva enigmaticamente, mentre le note, audaci, s’inerpicavano lungo i fusti degli allori ed arrivavano alle chiome, muovendole e facendole danzare, come vento carico di malizioso brio.
Un cervo si affacciò da un cespuglio per vedere chi fosse il suonatore; allora si affacciarono un istrice e uno scoiattolo, e poi un’allodola e poi un topo. Come preda di un incantesimo osservavano, radunatisi attorno, il musicante.
E non fu il fatto che Orpheo attirasse animali, come il Pifferaio Magico, col canto della sua lira; o che gli alberi cominciassero a ondeggiare all’unisono, ognuno con le proprie foglie, percependo il ritmo della musica: non fu certo questo a stupire Astarte, piuttosto fu la schiera di satiri che apparve dal nulla e cominciò a danzare balzando di qua e di là, accompagnata a sua volta da flauti fatti di canne di bambù accostate fra loro e tenute ferme da un laccio di cuoio.
Astarte cominciò a ridere, all’improvviso desiderosa di unirsi alle danze. Si voltò verso il ragazzo in piedi alle sue spalle, cercando nel suo sguardo un appoggio. Ma Fa’el la trattenne per la spalla, anche se questa si apprestava a lasciarsi dietro la soglia di casa per congiungersi ai satiri.
Le fece cenno di sedersi sul gradino e di aspettare.
Quando la musica finì, le creature dei boschi si dissolsero; come se non ci fossero mai state, gli animali fuggirono.
“Queste note, la lira, la vostra abilità nel suonarla; è divina, maestro” si lasciò sfuggire entusiasta la giovane, come risvegliatasi da un incantesimo.
“Non ho niente di divino, ragazza mia. O almeno da pareggiare con gli dei; come Marsia non voglio certo finire”.
E detto ciò Orpheo si rivolse anche a Fa’el.
“Siete dunque pronti per l’addestramento di oggi? Sedetevi pure qui davanti a me”
Quindi i due ragazzi presero posto davanti al maestro.
“Non esiste solo l’allenamento di potenza, ma anche di sviluppo e accrescimento. Pensate a una scatola e all’interno uno sciame di api. Più di un certo numero, la scatola non ne può contenere, allora potremmo pensare di allargare la scatola; così faremo con i nostri cosmi: creeremo lo spazio necessario per poter permettere loro di manifestarsi al massimo”. Così aveva detto loro mesi e mesi prima, e parte del loro addestramento era stato speso in meditazioni. Era ciò che Orpheo chiamava ‘Lavoro di qualità’; il dettaglio che fa il capolavoro.
“Adesso concentratevi come nelle lezioni precedenti. Prendete il tempo che vi serve.”
Astarte annuì, consapevole che si riferisse in particolar modo a lei. Non era facile trovare il punto dove il cosmo bruciava perenne. Fa’el aveva un’indicazione; lui al suo contrario, sapeva quale fosse la sua stella.
“Ognuno di noi possiede la potenza di una costellazione e la protezione di una stella guida, che risiede in noi. Solo pochi, però, sono in grado di scovarla, ed essenzialmente, di sprigionare la loro potenza di combustione.”
“Maestro, io non so quale sia la mia stella, è come se attingessi la forza non da qualcosa di preciso ma … da qualcosa di confuso”
“In verità Astarte, vi sono diversi modi in cui una stella può sprigionare il proprio potere; vi è quello per induzione, impiegato dai maestri con i propri allievi, in cui la forza viene convogliata e poi fatta esplodere tramite l’intenzione, volontaria, di liberarla; e poi vi è quello naturale, che si manifesta solo attraverso determinate circostanze. Vi sono tanti tipi di chiavi e di altrettante serrature per aprire una porta; così il cosmo. Io, sprigiono il mio potere al massimo suonando. Senza, sarei come tutti gli altri. Il vantaggio dello sprigionamento naturale è che la forza è pura, poiché la fonte della sua combustione è stata trovata ed è infinita. Quando trovi una sorgente, puoi cambiare il corso del fiume, e che ci crediate o meno, la fonte è, infine, uguale per tutti; ma come vi ho detto prima, esistono vari tipi di serrature”
“… E quando siete pronti, cominciate a spandere il vostro cosmo, piano piano. All’inizio vicino alla vostra pelle, poi circondate ogni lembo della vostra carne” Così dicendo Orpheo si concentrò per osservare le aure dei suoi allievi intensificarsi.
“Bene, continuate” commentò davanti all’aura biancastra ed evanescente di Fa’el e a quella di un giallo un po’ sbiadito di Astarte.
“Adesso sentite le foglie. Fatele muovere e sollevare da terra, al cospetto del vostro cosmo; risalite le cortecce degli alberi, arrivate alle fronde e percepite il vento e l’aria intorno a voi” disse, mentre le aure si agitavano come fiamme dai corpi immobili dei due allievi, facendo vorticare le foglie al suolo.
“E ora penetrate nei rami e nelle radici degli alberi, nutrite il terreno.”
A poco a poco tutto si calmò e queste ultime, apparentemente, si dissiparono.
“Adesso lo sentite, sentite l’intero universo in voi e con voi?”. “Riportate il cosmo dentro di voi, e quando siete pronti, aprite nuovamente gli occhi” aggiunse con pacatezza.
Quando Astarte e Fa’el ebbero riaperto gli occhi il maestrò seguitò a parlare.
“Vedo che siete riusciti a ridurre, drasticamente, il tempo solitamente impiegato. Quel senso di vuoto e contemporaneamente di pienezza che avrete avvertito dovete acquisirlo in massimo pochi secondi. Se imparerete a ramificare il vostro cosmo e a farlo aleggiare all’esterno con debita padronanza, potrete competere con i più valorosi cavalieri senza timore. Ma il nostro obiettivo più grande è, ricordate, arrivare a sprigionare con una combustione indotta l’equivalente di una combustione naturale, la forma più pura e potente di forza. Il controllo assoluto è, da paragone, il passe-partout per ogni porta. E adesso seguitemi”.
Senza nemmeno dar loro il tempo di replicare partì nel suo cammino. Astarte si alzò di scatto e lo raggiunse, al fianco di Fa’el.
“Dove andiamo?” chiese il ragazzo.
“Ad applicare la teoria alla pratica” rispose Orpheo laconico, prima di lanciarsi in una corsa veloce, molto più veloce della bora più fredda.
Così in poco tempo giunsero in una gola non molto profonda dell’altopiano, poco dopo il maestro, che sembrava per niente affaticato dalla corsa appena compiuta.
Fae’l si guardò attorno confuso.
“Ci siamo già stati? Non ricordo”.
“Non lo riconoscete?” chiese loro Orpheo.
Astarte osservò le pareti di roccia, pe poi spalancare gli occhi. “Certo, vi ci scorreva un fiume!”. Il maestro annuì.
“Nei periodi estivi non ci siamo mai venuti, ma l’inverno, quando il fiume vi scorre, ci siamo fermati al di sopra di questa gola” disse loro mentre indicava la cima dell’altra parte.
“Ora ricordo!!” disse Fa’el, scostando con il piede una pietra che sembrava bloccare il flusso malaticcio di un rivolo d’acqua.
“Sareste capaci di deviare il corso di questo fiumiciattolo?” chiese con serietà.
Astarte non rispose; era un compito ridicolo all’apparenza e senz’altro nascondeva qualche grossa difficoltà.
“Sì, maestro!” rispose con forza il suo compagno.
“Bene, allora mostramelo, Fa’el della Lince!” lo incitò Orpheo.
“Come desidera”
Orpheo portò le braccia conserte e chiuse gli occhi, attendendo il giovane.
Fa’el espanse il cosmo e Astarte lo sentì concentrarsi con forza, per poi essere bloccato dal ragazzo in persona, che guardò stralunato il rivolo.
“Non posso deviarlo in questa maniera: ci sono così tante rocce che lo deviano anch’esse per conto loro e formano numerose ramificazioni. Concentrando il cosmo ne devierei al massimo una sola” osservò scoraggiato.
Orpheo non rispose ed Astarte sorrise; vedere Fa’el impegnarsi e le sue espressioni in cerca di una soluzione, le sopracciglia aggrottate, le fecero quest’effetto; comunque, avrebbe dovuto cercare di sprigionare il cosmo come quella mattina prima di dirigersi alla gola.
‘Ad applicare la teoria alla pratica’ le ritornò in mente.
Pensò di sedersi su una roccia e aspettare che venisse il suo momento di provare.
Sempre sorridendo si allontanò; le caddero gli occhi sulle spalle e la capigliatura ramata dell’amico. Grazie a lui e il loro maestro le veniva ricordato ad ogni istante che non era sola.
Fece per sedersi, ma appoggiando il palmo avvertì un materiale viscido e freddo, e girandosi repentinamente vide un aspide pronto a mordere la mano che l’aveva pestata.
Urlò nel contempo che questa le si avventò per morderle il polso e una fitta di dolore le trafisse la carne.
“Astarte” si girò confuso Fa’el, in direzione della ragazza.
Orpheo si volse anch’egli verso di lei, lentamente. Scorse una coda maculata infilarsi, saettando veloce, sotto una roccia vicina alla ragazza, e questa osservarsi il polso, che gocciolava di un liquido rosso scuro, fin troppo conosciuto. Sgranò gli occhi; nella mente si affollarono ricordi, così tanti che si sovrapposero alla vista. Il polso di Astarte divenne una caviglia; il sangue fresco della sua allieva gli parve secco e grottesco.
“Cos’è successo?!” esclamò Fa’el, precipitandosi dalla ragazza.
“Mi ha morso una vipera!” rispose flebilmente, ancora scossa. “Ho appoggiato la mano e l’ho pestata per sbaglio” spiegò. Fa’el le accarezzò il braccio. “Calmati, adesso calmati. Maestro venga qui, la prego!” chiamò con urgenza il giovane. Orpheo non indugiò e li raggiunse.
“Stai calma Astarte, non è niente” tranquillizzarla fu la prima cosa di cui si preoccupò, per non aggravare ulteriormente la situazione.
“Mi serve un laccio, dobbiamo cercare di rallentare la circolazione del sangue” spiegò a Fa’el.
Il giovane si guardò intorno senza trovare nulla che potesse servire a tale scopo, quindi strappò un pezzo della sua veste e lo porse al maestro. Questi, velocemente lo legò con forza al polso della ragazza più e più volte.
“Dobbiamo portarla in ospedale; cerchiamo però di ridurre al massimo la diffusione del veleno, non deve assolutamente muoversi; altrimenti entrerà in circolo più velocemente”.
“Ho capito” Fa’el si chinò sulla ragazza, pronto a raccoglierla, ma Orpheo lo bloccò.
“Fa’el, la porterò io all’ospedale. Tu torna pure a casa, vedrai che non dovrai aspettare molto”.
Il cavaliere della Lince cercò di obiettare, ma Orpheo non si smosse, lo sguardo era deciso e non avrebbe cambiato idea. Aveva uno sguardo che non gli aveva mai visto in volto, prima d’ora.
“Ti salverò Astarte, questa volta ce la farò. Questa volta sono ancora in tempo.”
 
 
 
“Euridice, Euridice!”. La sta chiamando in continuazione; la cerca da tempo nel bosco che costeggia la loro dimora. “Euridice!”.
Infine la vede, appoggiata a un albero. È pallida, ha gli occhi sbarrati. E poi scorge una macchia colarle lungo la caviglia diafana. È secco, ed è sangue.
“Euridice!” la chiama nuovamente, e con più forza.
Euridice non lo guarda. Lui corre al suo capezzale, la stringe forte.
Le bacia la fronte: è fredda quasi quanto la morte.
Euridice non risponde, ha lasciato completamente il peso nelle braccia di lui, esausta si affloscia. Il respiro diventa lieve quanto una brezza in giornate torride. Lui si accascia a terra; lei non pesa molto, ma la gravità sembra farsi invincibile.
Lui continua a stringerla e a baciarla, fino a che espira per sempre l’ultimo dolcissimo sospiro.
Allora lui le abbassa le palpebre, con la mano tremante.
I suoi occhi bellissimi; lei li ha chiusi per sempre.”

 
 
 
“Vado a controllare” disse all’improvviso il suo allievo, alzandosi con uno scatto.
Era da tempo che Orpheo percepiva il suo cosmo protendersi con apprensione, per poi ritrarsi placato, dal tormento; come una marea. Non disse nulla e lo lasciò andare.
Se avesse potuto sarebbe già stato al capezzale di Euridice da un pezzo. Ma non era andata così.
‘Questa volta sono riuscito ad agire per tempo, Euridice’ pensò. E nel mentre pensava al passato doloroso, ritornato a galla con una crudele analogia, si accorse che la sua lira lo stava chiamando, come se lo stesse invitando a suonare; con le corde tese, pronte ad essere pizzicate. Orpheo la guardava rigirandola fra le mani, poi si bloccò, vinto da un pensiero. Da quant’era che non suonava di lei, della sua sposa? Tanto, da quando aveva messo piede per la prima volta nell’Ade.
“Perché stai suonando melodie così tristi?” gli aveva domandato un signore, passando dalle parti dove lui stava suonando distrutto, appena qualche giorno dopo la morte ingiusta della sua amata. Non gli aveva risposto, a quel tempo, e adesso lui sapeva bene la risposta.
‘Prima suonavo perché il mio dolore arrivasse a lei. Avrei fatto qualsiasi cosa per riaverla al mio fianco. Sono giunto alle porte dell’Inferno. Ero disposto anche a morire, pur di ricongiungermi ad Euridice. E a lei ho suonato melodie che non mi soddisfacevano. Ogni nota appariva bella alle sue orecchie; ma la realtà, è che erano una pugnalata al cuore, sia per me che per lei. Se adesso suono, è per cantare la vita, come facevo da bambino.’
Orpheo si voltò verso la luna, ispirato per una nostalgica melodia.
‘ … E la vita è anche dolore e rimembranza.’
 
 
Intanto Fa’el entrò nella dimora di legno.
Per qualche ragione si era convinto che dovesse appurare di come stesse la ragazza.
Aveva acconsentito a tornare a casa, quando Orpheo gli aveva detto di aspettarlo, mentre lui l’avrebbe portata all’ospedale di Agios Nikolaos, oltre il villaggio di Kritsa. E quando questi era tornato, era ormai sera.
“Sta bene, deve solo riposarsi” gli aveva detto, ma lui doveva vederla; quel poco per acquietare il fastidioso senso di angoscia che si era fatto spazio con prepotenza.
Trovò la porta della camera di Astarte socchiusa. Indugiò un attimo, ma poi vi si affacciò. Ebbe un moto di sorpresa e per un attimo si chiese se avesse sbagliato stanza.
Si avvicinò un poco, vinto dalla curiosità. Gli si mozzò il respiro.
Nel letto vi era una ragazza addormentata; i capelli castani sparsi sul cuscino. Non l’aveva mai vista prima d’ora senza maschera; non avrebbe mai potuto immaginare che sotto si potesse celare una ragazza dalle labbra così piene e innocenti, o delle ciglia così lunghe. Non sembrava una guerriera, chiunque fosse. Semmai una principessa, e forse bisognosa di essere vegliata nel suo sonno. Sul comodino accanto, una maschera grigia fissava triste il soffitto, impaziente di ricongiungersi alla sua padrona.
Chi era quella fanciulla? Fa’el se lo domandò. Non poteva essere Astarte; non riusciva a convincersi di ciò. Guardò quel viso per un ultimo istante, prima di chiudere la porta; sicuro che a chiunque appartenesse, non l’avrebbe mai più dimenticato.
 
 
Astarte si svegliò.
Dalla finestra penetrava uno spiraglio di luce lunare; doveva essere notte. Gli arti erano appesantiti, le membra stanche.
Con il desiderio di sgranchirsi un po’ si alzò dal letto. Non si dimenticò della maschera, soltanto si voltò verso di essa, ripudiando l’idea di riposarla sul viso, ora che stava nuovamente assaporando l’aria fredda pungerle la pelle degli zigomi e delle labbra.
Uscì dalla stanza con passo silenzioso e attraversò la cucina, diretta verso la porta che si affacciava all’esterno. Questa era aperta, e lasciava trapelare una musica lieve, lontanissima, tanto da farle pensare che se la stesse solo immaginando. Fece un passo in avanti e si sporse.
Fu travolta da un’onda di struggente natura che la fece vacillare. Proveniva da una roccia, vicino a un albero un po’ rinseccolito. Lei, si sentì parte di quelle note. Distruttive, intenzionate a sbriciolare l’ultima parte della sua infanzia, quella che non aveva potuto dimenticare.
Con coraggio trascinò un piede dopo l’altro fuori dall’uscio. Si ritrovò in un praticciolo di Primavera, il sole nel punto di mezzodì nel cielo; un delicato zefiro al seguito. Più avanti vi era una bambina dai capelli lunghi, neri e ricci. Stava provando a intrecciare i capelli in una morbida coda, quando d’un tratto si girò verso di lei. A dirla bene non guardava Astarte, ma oltre, attirata da qualcos’altro. Infatti, da quella stessa direzione fece la sua comparsa un bambino mingherlino. La bambina lo studiava con i suoi occhi azzurri.
La scena cambiò.
Alle spalle di un tramonto, sulle sponde di un laghetto, i due si trovavano accanto, seduti con le gambe lunghe stese sul prato, verso l’acqua. La bambina le dondolava. Sembravano stare in silenzio. 
E poi i due si ritrovavano in piedi, mano nella mano. Lei rideva, indicando un punto distante, e lui pareva non potesse far altro che assecondare la sua incondizionata solarità.
Di nuovo un cambio di scena.
Sotto un albero, stavolta, il bambino era ormai un ragazzino, suonava una lira. Astarte lo riconobbe. Quello era il suo maestro, ne era sicura. E più in alto, su un ramo, era seduta la bambina, anche lei oramai cresciuta. Saltò a terra con agilità. Orpheo aveva appena smesso di suonare e lei fece capolino da dietro il tronco di un albero possente. Gli chiese qualcosa, e dopo, Astarte vide che lui aveva ripreso a suonare; lei, accovacciata accanto a lui, aveva chiuso gli occhi, rapita da quella melodia. Ad Astarte parse che parlasse non tanto di lui, quanto di lei. Quella bambina aveva il sorriso di un angelo. Lui la cantava come una dea, con quelle semplici e commoventi note. Ed Astarte non poté far altro che capire, dalla luce che emanava quella fanciulla, perché egli se ne fosse innamorato.
Poi li vide in un giorno d’autunno. Lui suonava, ormai con le fattezze di un uomo, lei lo ascoltava sdraiata sul ramo di prima, gli occhi chiusi, un braccio penzoloni. E poi la melodia cambiò tono.
Parlò di occhiate fugaci, allusive, promesse velate. Lo vide avvicinarsi a lei, ai piedi di quello stesso albero. Le aveva preso il viso e l’aveva baciata con delicatezza, a fior di labbra. Astarte sentì un nodo al cuore. Promesse, promesse per la vita. Di amore, amicizia, fedeltà; e lui la lasciava su quel prato, donandole un fiore. Era radioso. Ma all’improvviso, la donna fu investita da una folata di vento e da un turbinio di foglie secche. I capelli, se prima erano acconciati in elaborate trecce, adesso erano spettinati, arruffati; un po’ sparsi su per il viso e il collo. La veste era rovinata, stracciata in alcuni punti. Il suo sorriso scomparso, la luce spenta. Sembrava morta.
Astarte sentiva le lacrime sgorgarle dagli occhi, ormai. Ma la melodia infelice, quando tutto sembrava essere finito, riprese vigore, attenuato tuttavia da una dolcezza disarmante.
La donna prese a brillare e a diventare, contemporaneamente, evanescente. I capelli neri adesso sciolti, le arrivavano fino ai fianchi; appoggiati sopra una veste candida. Camminava ora verso la sorgente della musica, verso la pietra alle radici dell’albero secco.
Si fermava, una figura ben saldata a terra era davanti a lei, Orpheo. Sollevava l’angolo della bocca benevolmente, mentre cominciava a svanire sempre più. Lui cercava di trattenerla, senza riuscirvi, piangendo lacrime amare. La donna tendeva allora una mano verso il volto dell’uomo, sfiorandolo, e spariva via, inondando tutto di luce. Una luce forte, generosa, che acquietò il suono della lira. Una luce che attingeva forza dal cosmo di Orpheo. Era esplosa con dolore, e Astarte la percepiva talmente forte da portarla fino quasi a singhiozzare. In quel momento si sentì in dovere di liberare il proprio, così da partecipare con maggior trasporto, per far sapere che lei aveva colto il valore di quella fanciulla, e che compativa l’afflizione del maestro.
Così, seguendo gli accordi della lira, da un grido silente e disperato, nacque un inno alla vita; alla speranza e alla potenza dei sentimenti.
Il sorriso della fanciulla poteva rivivere nelle melodie di Orpheo, così come la sua luce.
Astarte aveva appena assistito alla sua espansione naturale del cosmo.
Il maestro parve non volervi badare e rimase nel buio, all’ascolto dei passi dell’allieva che si avvicinavano.
Astarte si sedette sulla roccia vicino all’albero, dove ai piedi, appoggiato alla corteccia, stava il bambino di poco prima, ora divenuto alto e consapevole del male del mondo. Si sedette e guardò le stelle in cielo, in silenzio, per non rompere l’incanto di quel momento, dove percepiva a tratti la natura respirare -il quale soffio può essere udito in alcune circostanze, se si sa ascoltare.
“Scesi giù nell’Ade per riportarla a casa … non ci riuscì” spezzò il silenzio, ma non la magia, Orpheo.
Astarte non rispose subito. Se doveva aver fatto tutta quella strada per arrivare a lei, doveva amarla molto.
“Doveva avere un bellissimo sorriso, non è vero?” chiese dunque; ammorbidita dal ricordo dei loro volti fanciulleschi e pervasa da un’infinita tenerezza.
Orpheo spostò lo sguardo dallo strumento che aveva in mano a lei, come colpito da un pensiero. Poi annuì chiudendo le palpebre e sorridendo malinconicamente.
“L’ho sentita: lei me l’ha fatta vedere, maestro. È sempre con lei, con le sue note” continuò Astarte, con gli occhi ancora umidi.
“Per tutti è così” spiegò il maestro “Anche per i tuoi fantasmi, Astarte”.
 La ragazza sussultò lievemente. “Come fa a sapere …”.
Orpheo non disse altro e la lasciò lì, mentre rientrava nella casa.
“Comunque, il tuo è stato un ottimo esempio di sprigionamento naturale del cosmo” aggiunse poi, prima che l’espressione pensierosa della fanciulla si rivolgesse alla volta celeste.
 
 
“Tornerò, sai che lo farò” le dice scostandole una ciocca di capelli dagli occhi “Ma devo ritornare. Athena mi chiama, ha bisogno di me. Ed io, dopo tutto questo tempo, ho capito che la vita è un’opportunità che non posso rifiutare”.
“E io ti dico, Orpheo della Lira” lo interrompe lei “Che quello che ti ho portato via, hai il diritto di riprenderlo”.
“Tu non mi hai rubato nulla. Io l’ho voluto, tutto quel tormento. Non ho rimpianti” risponde lui ricordando, come in un sogno lontano, i giorni passati a suonare per lei; e poi sul quel prato infernale, al suo fianco, tristemente immobile.
Lei ha nel volto un’espressione colpevole. “Tu hai fatto così tanto per me …” e gli prende con una mano il viso “Che non ti smetterò mai d’amare. Mai” gli sussurra, a un centimetro dalla bocca.
“Questo non è un addio, Orpheo. Tu lo sai bene. La vita ci ha promesso un’eternità insieme e ci ricorda questa promessa ogni giorno” lo dice con la sua gioviale bellezza, contrapposta, ma in qualche modo concorde, allo sguardo fattosi saggio e anziano.
“Vai Orpheo, te lo sei meritato. E io sono felice” lo saluta, facendo un passo indietro.
“A fra poco, allora” sogghigna lui, preludendo al momento del loro prossimo ricongiungimento.
“Non fare lo stupido” lo rimbecca lei, con una smorfia divertita.

 
 



---------------------------------------------------
A proposito del Capitolo V
Se avete trovato Orfeo un po’ OOC è normale: la storia, ripeto, èambientata post-hades (e fra le altre cose vi chiedeste cosa ci fa Orfeo vivo sappiate che avrete una risposta col passare del tempo, a breve) e ciò ha comportanto un’evoluzione del personaggio.
Mi sono inoltre presa la licenza di rivisitare il personaggio di Euridice, mischiando un po’ il mito con l’anime.
E no, non avete capito male. Orfeo è morto, nella saga di Hades, ma questo capitolo spiega che Athena lo ha richiamato … sarà l’unico?

PrincessOfSpades
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: PrincessOfSpades