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Autore: Lost In Donbass    31/05/2019    1 recensioni
Questa è la storia di Oliver. Oliver, che è depresso, che si taglia, che non sa come fare a salvarsi da sè stesso, che piange ma che prova a non arrendersi.
E' la storia di Denis, troppo bello per il suo stesso bene, che ama con tutta la forza del suo passionale cuore ucraino.
E' la storia di due ragazzi che si incontrano nella triste Liverpool, due anime perse che hanno smesso di credere e di sperare. E' la storia del loro amore tormentato, forse patetico, forse ridicolo, forse volgare.
Ma è anche la storia di Jenna, di Kellin, di James e di tutti i loro strani amici.
E' la storia di come Denis tenterà di salvare Oliver da sè stesso e di come Oliver darà del filo da torcere a tutti.
E' la storia dell'estate prima del college.
E' la storia di un gruppo di ragazzi disperati che non credono nel lieto fine.
E' una storia banale, è una storia d'amore.
E' la storia di Denis e Oliver, che si amano come solo due adolescenti possono amarsi.
E' la storia di questo amore che sarà la loro fine.
Genere: Angst, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Scolastico, Universitario
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CAPITOLO CINQUE: THE BODY LIVES, THE MIND DIES

Let me photograph you in this light,
In case it is the last time
That we might be exactly like we were before we realized
 [Andy Black & Juliet Simms – When We Were Young]
 
Quando Denis uscì dalla sala da the, col chiodo su una spalla e i capelli spettinati, vide Oliver impalato sulla porta che lo aspettava e non poté nascondere un sorriso luminoso come il cielo ucraino d’estate. Oliver. Gli piaceva così tanto quel ragazzo distrutto.
-Oli! Che bella sorpresa!- trillò, e lo abbracciò di slancio.
Oliver rimase rigido come un bastone, arrossendo selvaggiamente. Non si sarebbe aspettato un colpo di affetto così esagerato. Barcollò appena, ricambiando timidamente l’abbraccio. Non che non fosse contento di quella manifestazione d’amicizia, ma quel profumo di fumo e colonia, quegli occhi luccicanti erano troppo per lui. Troppo per i suoi ormoni impazziti. Troppo per il povero ragazzo depresso al quale non gliene andava mai dritta una.
-Che cosa carina venirmi a prendere.- continuò Denis, passandosi una mano tra i capelli arruffati ad arte.
-Ah, sì, io, beh, sì.- balbettò Oliver, e prese un profondo respiro. Aveva prestato fede alla promessa fatta a James, non si era imbottito di ansiolitici. Anche se, secondo lui, in quel momento ne avrebbe avuto tanto bisogno – Mi chiedevo … ecco … se … volessi fare un giro.
Denis non lo lasciò nemmeno finire di parlare che già stava strillando “sicuro!” e Oliver si chiese se, forse, qualcosa stesse finalmente prendendo la giusta direzione nella sua vita scombinata. Fondamentalmente, lui era sempre stato quello solo. Denigrato. Preso in giro. Odiato per qualche motivo non ben specificato. Ma adesso era arrivato quel ragazzo ucraino con gli occhi d’ambra che lo cercava, che lo voleva, che lo abbracciava e gli sorrideva e a Oliver sembrava che improvvisamente un timido raggio di sole stesse fendendo la sua storica depressione. Un appiglio? Forse. Un aiuto divino? Magari. Non che ci volesse davvero credere, nella sua misantropia cosmica, ma non poteva fare a meno di sentire un angolo di cuore sorridere e dio solo sapeva quando il ragazzo avrebbe avuto bisogno di un vero sorriso.
-E’ arrivato il giorno delle foto?- chiese dolcemente Denis.
Ad Oliver brillarono gli occhi e strinse la vecchia macchina fotografica
-Se sei disposto, assolutamente.
Perché, in fondo, Oliver viveva per le sue foto. Per la sua Canon. Per catturare quei momenti che considerava irripetibili. Per provare a tenere duro in un mondo che lo voleva morto a tutti i costi.
Si avviarono verso il breve fiordo di mare che fendeva Liverpool, e Oliver era impegnato ad osservare il naso schiacciato di Denis, i suoi occhi lucenti, l’andatura arrogante e sicura di sé. Gli piaceva da morire quel ragazzo ucraino, gli piaceva come parlava, come sorrideva, come lo facesse stare così bene con sé stesso.
Gli scattò una fotografia, così, a freddo, mentre camminavano e Denis rise
-Ma non mi ero nemmeno messo in posa!
-A volte le foto più belle sono quelle fatte a caso.- rispose Oliver, e fece un breve sorriso.
-Mi faresti vedere i tuoi scatti, un giorno? Sono curioso.- Denis si passò una mano tra i capelli e gli diede una spinta leggera – Sono sicuro che sei un grande fotografo.
Oliver si ritrovò ad arrossire selvaggiamente e tossì per prendere tempo
-Oh, no, non sono niente di speciale. Comunque sì, se ti fa piacere ti porto l’album.
Non aveva mai fatto vedere le sue foto a nessuno che non fossero Kellin, James e Jenna. Non aveva mai osato aprire quegli album in presenza di alcuno. Ma era arrivato Denis l’Ucraino, e tutte le difese di Oliver sembravano star cadendo miseramente a pezzi. Era arrivato un sorriso nuovo, un accento russo, un paio di occhi d’ambra e lui non si era mai sentito così a suo agio con qualcuno come con Denis. Non aveva senso, per la sua mente malata e stanca, ma finchè era così … beh, andava bene. Aveva voglia di sentire il suo parere sulle foto, era curioso di sapere cosa avrebbero detto i suoi occhi quando avrebbero visto quelle immagini di corvi, di cimiteri, di lune nebulose, ma anche di ragazzi qualunque, di insegne storiche e di pub abbandonati a loro stessi. Erano le foto che raccontavano e seguivano passo passo la depressione di Oliver. Devastanti, abbattute, dolorose come il loro fotografo, raffiguravano tutto quello che lui riconduceva a sé stesso, tutti i posti e le persone che urlavano disperate come lui. Non voleva essere solo, e quelle foto gli tenevano quotidianamente compagnia, gli ricordavano che in qualche modo era sopravvissuto, gli dicevano “bravo, Oli”. Ma poi c’erano quelle oscure, quelle che nemmeno i suoi amici avevano mai visto. La foto dei tagli sanguinanti che si scattava ogni volta che la lama premeva selvaggia. La foto della finestra della scuola da dove aveva tentato di buttarsi giù, salvato da James appena in tempo. La foto del cappio che una volta aveva appeso al soffitto, pronto a usarlo, se non fosse stato per un ultimo, disperato, urlo alla vita. Erano le foto segrete che Oliver non era pronto a mostrare al mondo, era quello che lo aveva più segnato nel profondo.
Voleva davvero farle vedere a Denis? Beh, quelle normali senz’altro. Quelle altre … avrebbe accuratamente aspettato di vedere come sarebbero andate le cose tra loro. Magari un giorno o l’altro le avrebbero guardate insieme e lui lo avrebbe abbracciato, dicendogli “ti amo, Oli, non lasciarmi andare”. Avrebbe ricambiato l’abbraccio e forse avrebbe pianto un pochino.
Oliver aspettava solamente che qualcuno arrivasse a salvarlo da sé stesso, non chiedeva molto di più.
-Ecco, questo potrebbe essere un buon posto per una foto.- disse, quando arrivarono sul lungo fiordo.
Era nuvoloso, quel giorno, e le nuvole grigie si riflettevano nel canale. Oliver adorava quel tipo di giornate meste come il suo animo, gli piaceva fissare il mare di perla che scorreva lento sotto di loro e sentire l’odore di sale portato dai venti del nord.
-E’ tutto così diverso da Kharkiv, o da Naberezhne.- commentò Denis, appoggiandosi alla balaustra – La senti la malinconia nell’aria, Oli?
Oliver avrebbe voluto dirgli che sì, eccome se la sentiva. Quella malinconia era quella che l’aveva trascinato all’inferno, era quella che non lo lasciava respirare, era quella città maledetta che lo stava lentamente uccidendo ma si limitò a stringersi nelle spalle ossute.
-A volte non puoi fare a meno di essere triste.- commentò, abbassando lo sguardo.
Già, a volte non puoi fare a meno di soffrire di depressione e cercare una via di fuga nel modo più crudele possibile, pensò.
-Ma a volte puoi anche sperare che le cose cambino.- soggiunse Denis, prendendolo per un braccio e posandogli la testa sulla spalla, con un sorriso meraviglioso rivolto al cielo – Ti porterò in Ucraina con me, un giorno. Vedrai i suoi colori, sentirai la mia lingua, conoscerai la mia gente. Ti porterò a Kharkiv, nella mia periferia a fare graffiti sui muri, e poi a Naberezhne, da mia nonna, a mangiare babke calde la mattina. Ci divertiremo un mondo, Oli. L’Ucraina è meravigliosa.
Se è meravigliosa almeno un quarto di quanto sei meraviglioso tu, allora direi che possiamo partire anche subito, pensò Oliver, ma era troppo imbarazzato per dirlo.
-Mi piacerebbe moltissimo, sì.- mormorò invece, scostandosi il ciuffone dagli occhi.
Denis rise e lo abbracciò di nuovo, spettinandogli i capelli scuri. Era così fisico. Così passionale. Così affettuoso. Così diverso da tutto quello che Oliver aveva mai conosciuto nei suoi diciotto anni di vita.
-Allora, me la fai una foto? Bella sensuale, però.- rise Denis, appoggiandosi con aria lasciva alla balaustra, il labbro tra i denti e i capelli opportunamente spettinati.
Oliver l’avrebbe fatto molto volentieri. Gli avrebbe detto spogliati. Gli avrebbe fatto aprire le gambe. Gli avrebbe slacciato personalmente la camicia. Tutto quello se, come al solito, la sua ansia sociale non stesse cercando di intervenire per rovinargli la vita. Arrossì, per l’ennesima volta, cercando di calmarsi. Non ci voleva niente a dirgli sì, a ridere, a provarci. Lo facevano tutti. Ma lui non era tutti, lui era Oliver Griffiths, il ragazzo emo che non riusciva a fare niente che non fosse piangersi addosso.
-Ah, eh, io, no, cioè, tu … - iniziò a balbettare. Perché aveva dato retta a James e aveva lasciato a casa lo Xanax?
-Oli, tranquillo. Scusami, non volevo suonare sgarbato.- Denis spalancò gli occhioni e lo prese delicatamente per mano – Lo dicevo per ridere, non intendevo …
-Va bene.- Oliver prese un profondo respiro – Va benissimo. Slacciati i primi bottoni della camicia. Labbro tra i denti. Spettinati i capelli. Indossa il chiodo. Testa piegata da un lato.
Non sapeva nemmeno lui da dove gli fosse uscita tutta quella improvvisa sicurezza. Spalancò gli occhi in modo vagamente maniacale e sperò che Denis non lo prendesse per pazzo. Cosa che evidentemente non successe perché il ragazzo rise ancora e si mise in posa come gli era stato richiesto. Fosse stato per lui, avrebbe volentieri chiesto ad Oliver di slacciargli i bottoni della camicia, ovviamente, ma … beh, forse non sarebbe stata la mossa più adatta. Sembrava già abbastanza in crisi così, mentre armeggiava con la macchina fotografica, stupendo e devastato.
Denis si chiese quali demoni lo perseguitassero, quali incubi stesse vivendo sulla pelle tatuata, quali orrori avesse sperimentato per essere così. Si ripromise che l’avrebbe scoperto, un giorno o l’altro, che avrebbe scavato dietro a quegli occhi grigi, a quegli skinny jeans e a quelle felpe oversize di band metal.
-Ci sono. Stai pronto che scatto.
Click.
Prima foto, e Oliver sentì dentro di sé una scarica di eccitazione. Stava veramente fotografando quel ragazzo meraviglioso, stava davvero aggiungendo ai suoi album le sue immagini. Per un secondo si illuse che qualcosa nella sua vita sarebbe finalmente andato per il verso giusto, come faceva ogni volta che trovava il soggetto perfetto per una fotografia.
Click.
Un’altra foto, e un mezzo sorriso sul viso affilato.
Click.
La terza, e una luce quasi felice negli occhi più grigi del metallo.
Click.
La quarta e un sorriso vero.
Denis si stiracchiò un po’ e si riallacciò la camicia, lanciando un’occhiata malinconica al mare grigio del breve fiordo. Pensò al Mar Nero e al suo azzurro cristallino. Pensò che forse gli mancava casa più di quanto volesse ammettere.
-Oli, hai voglia di venire a casa mia?- disse, tutt’a un tratto.
Oliver deglutì rumorosamente.
Sì, aveva voglia di andare a casa sua. Aveva voglia di toccarlo. Aveva voglia di sentirlo parlare con quel ridicolo accento russo. Aveva voglia di conoscerlo meglio. Ma. C’era sempre un ma per il ragazzo. Come avrebbe fatto se fosse andato in crisi? Se si fosse agitato? O se, peggio ancora, avesse avuto una delle sue crisi depressive, dove piangeva e singhiozzava senza motivo? Cosa avrebbe pensato Denis di lui?
Si morse il labbro quasi a sangue. Non voleva perdere un’occasione simile, non voleva abbandonare quel ragazzo così speciale ma aveva così tanta paura di quello che sarebbe potuto succedere, aveva paura di sé stesso e delle sue abnormi reazioni a qualunque cosa. Non voleva essere così, non aveva chiesto lui di essere malato, ma non poteva fare a meno di soffrire. Per lui la depressione rappresentava quello: un corpo che vive in una mente che vuole morire. Le sue paure, le sue insicurezze, le sue crisi, non era in grado di gestirle. Aspettava sempre che fossero i suoi amici a salvarlo, non era in grado di farlo da solo. Si chiese pigramente se prima o poi anche Denis si sarebbe aggiunto alla lista di persone che lo salvavano da sé stesso. Segretamente, sperava di sì.
-Ah, io, sì, ma, forse.- si impappinò, le mani tremanti. Oli, datti una cazzo di calmata. Digli sì, cazzo, digli sì. – Va bene, vengo … vengo volentieri.
Cercò di sorridere timidamente, fiero di essere riuscito a dire sì, in barba alle conseguenze, e Denis lo abbracciò di nuovo di slancio, facendogli perdere l’equilibrio. Perse per un attimo l’equilibrio e si appoggiò alla balaustra per non cadere. Per non cadere, sì.
-Cosa ti sei fatto al braccio?
Oliver raggelò e constatò con orrore che gli si era tirata su la manica della felpa.
E loro erano lì, rossi, precisi, dolorosi, luccicanti.
Stai calmo. Va tutto bene. Stai calmo. Respira.
-E’ stato il gatto di mia zia.- mentì, come mentiva sempre ai suoi amici. – Gli ho schiacciato la coda per sbaglio e si è innervosito.
Denis annuì, lentamente. Eppure, Oliver lo aveva capito immediatamente, non era convinto. Fanculo, Oli, perché sei un disastro umano?
-Okay.- si limitò a dire Denis, annuendo ancora. Poi, di scatto, lo prese per mano e intrecciò le loro dita – Okay.
Oliver impallidì, e fece quasi per togliere la mano ma Denis aumentò la stretta ancora di più e lo trascinò verso l’attraversamento.
Oliver sperò che non avesse capito.
Sperò molto ardentemente che non avesse capito.
  
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