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Autore: Adele Emmeti    31/05/2019    1 recensioni
In un mondo apocalittico, dove gli umani sopravvissuti all'avvento dei sanguinari Succhiatori cercano di armarsi per reagire all'assalto, la piccola Carey viene ritrovata allo stremo delle forze, sfatta e affamata, ancora sconvolta dallo straziante omicidio del padre.
In grembo all'umana che la soccorre, la bambina non può immaginare che da lì a breve diventerà una delle combattenti più temute e che proprio tra coloro che odia e che caccia con violenza, si nasconde quel qualcuno che ha sempre cercato, fin dalla nascita...
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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frammento2

Approfittando dell'abbaglio provocatogli, Carey abbassò la lama e gli assestò un calcio nel ventre, che lo spinse a terra. Poi avanzò accanto al suo corpo disteso, arrivò all'altezza del cuore e afferrò la spada a mo' di pugnale. La sollevò e si apprestò a piantargliela nel petto, quando quello sussurrò:«come uscirai da qui?»

«Che vuoi dire?» Gli chiese, fermando la mano.

«Qui sotto è un labirinto. È pieno di cunicoli e corridoi che si intersecano senza criterio. Ci metterai giorni a uscire.»

«E tu cosa ne sai?»

«Perché l'abbiamo perlustrato una settimana fa. Eravamo in dieci, muniti di torce, eppure ci sono volute sei ore per tornare fuori.»

«Non preoccuparti, troverò l'uscita senza problemi.» Affermò la giovane e risollevò la lama per piantargliela nella carne.

Il Succhiatore rise. «È possibile. Ma quando ci riuscirai i tuoi amici saranno già morti e seppelliti sotto metri di terra.»

Carey si bloccò nuovamente e digrignò i denti adirata.

«Ascoltami: allontana la lama e ti condurrò fuori.»

«Non ho bisogno del tuo aiuto!» Gli sbraitò con voce alterata dalla collera e dalla consapevolezza che avesse ragione. Permanere in quei cunicoli a lungo le avrebbe tolto, definitivamente, ogni possibilità di soccorrere il capitano.

«...va bene, usiamo le maniere forti...». Il giovane Succhiatore le diede un calcio nel basso ventre e la spinse indietro. Si sollevò con un balzo e le si avventò addosso. Immobilizzò la mano brandente la lama da un lato, e le ficcò il gomito dell'altro braccio sotto il mento.

«Adesso mi ascolti, amico... io so dov'è l'uscita, ma non riesco a orientarmi senza luce. Per cui tu mi farai da torcia e io ti guiderò verso l'esterno nel minor tempo possibile. Una volta fuori pareggeremo i conti.»

Carey sentì tutti i dolori dei colpi della lotta precedente acuirsi. Indolenzita e debole com'era, non sarebbe riuscita ad atterrarlo nemmeno volendo. Inoltre se un Succhiatore le stava chiedendo di scendere a patti, senza sembrare troppo riluttante, poteva voler dire che trovare l'uscita fosse davvero un'impresa ardua. Si limitò ad annuire con la testa.

Il Succhiatore allentò la presa e si scostò lentamente. Fissandola con sguardo severo le fece segno con la mano di avanzare.

«E non capisco perché mai dobbiate portare questi ridicoli passamontagna. Sembrate un raduno di rapinatori falliti.» Carey camminava illuminando il tunnel con le mani sollevate. Il fastidio che il Succhiatore le provocava era quasi superiore ai dolori del corpo provato.

«Sempre meglio che sembrare dei fighetti senza palle». Gli rispose, e il Succhiatore sogghignò.

«Gira a destra. Non lì, a destra!» Le suggerì, stampandole sul sedere l'impronta dell'anfibio di pelle.

«Ora sali lungo quel cunicolo stretto. Aspetta... illumina lì. No, ho sbagliato, torna indietro.» L'afferrò per il cappuccio della felpa e la tirò verso il basso.

Carey perse l'equilibrio ma rimase in piedi. Sbuffò e strinse le labbra per trattenere un insulto.

«Cos'hai amico? Stai tremando? Hai perso la pazienza?» Il Succhiatore trovava estremamente piacevole burlarsi della sua fretta di uscire per correre dai suoi compagni.

«Taci. Non parlare. Limitati a darmi indicazioni.» Gli intimò.

«Pensi davvero di poter salvare ancora qualcuno? Credi che i Livellatori ti stiano aspettando per pareggiare i conti? A quest'ora avranno già brindato con le teste dei tuoi amici.»

«Dopo aver finito con la testa dei tuoi.»

«Ma la vostra carne è più tenera. Vi sfaldate come agnellini da latte. Sei stata furba a nasconderti qui sotto e lasciare gli altri a crepare.»

Carey si fermò di colpo. Si voltò e gli assestò un pugno vigoroso sulla faccia, tanto da farlo sbattere contro il muro. Poi gli andò incontro e lo prese per i baveri della sua giacca pesante.

«Io non mi sono nascosta come hai fatto tu. Qui sotto ci sono finita per sbaglio!»

Poi gli diede una ginocchiata nel basso ventre e quando quello si accartocciò per il male, lo spinse a terra e iniziò a calciarlo, caricando i colpi con foga.

«Hai capito, bastardo?»

Il Succhiatore rotolò su stesso e puntò le mani a terra. Si mise in piedi giusto in tempo per bloccare un altro pugno. La spinse in avanti e sputò a terra il sangue uscitogli dal labbro spaccato. «Siete tutti delle gran teste di cazzo. Facciamo bene a sterminarvi... » affermò con voce cupa.

Dalla feritoia del passamontagna, Carey gli rivolse uno sguardo carico d'odio. Batté le mani e smorzò la luce che queste emanavano. Rimasero al buio. La giovane sfoderò la sua lama e lo caricò con l'intenzione vivida di ammazzarlo. Il Succhiatore schivò i suoi colpi più volte ma incassò diversi fendenti alle braccia e al petto. Si ritirò, allora, in un angolo, e vi rimase in silenzio assoluto. Carey continuò a colpire l'aria, fino a quando non si rese conto che il nemico si era defilato e temette, per un istante, che fosse corso via. Si arrestò e cercò di trattenere il fiato per ascoltare il silenzio e carpire un suo gemito. Entrambi rimasero in una nuvola di inconsistenza, con i cuori palpitanti e un affanno incontenibile. Poi l'immagine del capitano morente le apparve nitida davanti agli occhi e si arrese all'amara consapevolezza che non avrebbe potuto fare più nulla per lui.

Immaginò la sua testa staccata di netto dal corpo, rotolare lungo la collina di macerie. Le salì un moto di pianto e trattenne lo sgomento con la mano sulla bocca. Ansimante e sconvolta, abbassò la lama e inclinò le spalle in segno di arrendevolezza.

Fu proprio in quell'istante che il Succhiatore le apparve da dietro e la immobilizzò stringendole le spalle con un braccio. Con l'altra mano le sfilò la lama e gliela avvicinò al collo.

«Batti quelle fottute mani o ti sgozzo.»

Carey socchiuse gli occhi e sollevò lentamente le braccia. Batté le mani e il cunicolo tornò a illuminarsi di bianco. L'individuo l'avrebbe tenuta bloccata per tutto il tragitto, con la spada puntata alla gola, e una volta fuori l'avrebbe ammazzata e lasciata all'uscita. Camminarono dunque per alcuni metri, fino a quando un forte rimbombo non li inchiodò sul posto. Egli si voltò indietro, continuando a tenerla ferma, e cercò di scrutare il fondo del tunnel.

«Rivolgi una mano da quella parte.»

La ragazza obbedì e rischiarò una tubatura fuoriuscente dal muro. Immaginarono entrambi che quel rumore fosse stato provocato da un topo o qualcosa di simile. Ma Carey finse di trasalire e il Succhiatore indietreggiò di due passi.

«Cos'hai visto?» Ricordava bene che uno dei giochetti preferiti dei Livellatori era quello di inseguire la preda silenziosamente, per poi sbucare all'improvviso e farne scempio.

Nello scostarsi da lei, allentò anche la presa e distanziò la lama dal suo collo. La ragazza, dunque, gli morse le dita e gli fece cadere la spada, che batté a terra risuonando. Poi cercò di divincolarsi, e quello allungò la mano per tirarla nuovamente a sé, ma afferrò giusto il passamontagna dalla punta. Lei continuò a tirare e il Succhiatore finì per sfilarglielo dalla testa.

I capelli di Carey si espansero in aria e le crollarono sulle spalle e sul viso sudato, arrossato e pulsante per l'affanno. Sotto di essi, gli occhi neri e iracondi lo puntavano in attesa della mossa successiva. Il Succhiatore rimase immobile a fissarla, con il panno di lana tra le mani, ansimante e stanco quanto lei.

«Siamo ricoperti di sangue... appena fuori di qui, i Livellatori sentiranno il nostro odore e ci individueranno.» Affermò con tono serioso.

«Sentiranno te. Io non ho perso sangue.»

L'individuo le indicò le ferite che aveva riportato durante lo scontro con il Livellatore nella tenuta, delle quali non aveva ancora sentito il bruciore.

«Procediamo...» si limitò a proferire. Raccolse la lama da terra e le fece segno di andare avanti.

Carey accettò e si rimisero in cammino.

«Quanto è lungo questo casolare?» Gli chiese dopo diversi minuti di silenzio.

«Non siamo più sotto al casolare, gli schiavi scavarono dei tunnel che dalle cantine conducevano direttamente alla spiaggia.»

«È alla spiaggia che stiamo andando?».

«Sì. Proprio lì.»

«E ti sei rintanato da solo? Non ti sei portato alcun compagno dietro? Quanto avrai combattuto con i tuoi fratelli? Due... tre minuti? Sei corso nel rifugio appena sono apparsi i Livellatori, giusto?»

Il Succhiatore non rispose.

«Come si fa a dire che non siete peggio delle bestie? Come si fa a dire che non siete altro che luridi assatanati, senza alcun codice morale?»

Finalmente, in lontananza, dei versi di gabbiano echeggiarono per gli ultimi dieci metri di oscurità. Corsero, allora, con maggior lena, e intravidero uno scorcio di luce calda e dolce. Sbucarono, infine, su una distesa di sabbia bianca e brillante, dove le onde bonarie salivano e scendevano, con pacata costanza.

Si appoggiarono alle ginocchia sfiniti.

Carey si voltò nella sua direzione e si guardarono alla luce del giorno, per la prima volta. Il Succhiatore si sfilò la giacca, accaldato, e alzò la testa verso il cielo. Carey continuò a fissarlo, irritata dalla noncuranza che palesava nei confronti del suo più acerrimo nemico.

«Non può finire così, lo sai?»

«Che avresti intenzione di fare?»

«Non posso lasciarti andare, è la nostra regola. Un Succhiatore imbattuto deve diventare un Succhiatore morto.»

«...Vorresti uccidermi?» Sogghignò. «...non ti reggi in piedi.»

Carey prese fiato e gli si avvicinò a grandi passi. Il Succhiatore sollevò la spada nella sua direzione ed ella si fermò a poco meno di un centimetro dalla sua punta.

«Dì un po', paladina dei pezzenti, te la sei scelta tu?»

«Cosa?»

«La stirpe dei Rubini, te la sei scelta tu? O ti hanno scelti loro?»

«Loro mi hanno salvata dalla morte. Mi hanno raccolta dalla miseria e da una fine scontata... ad ogni modo li avrei scelti lo stesso, se è questo che vuoi sapere.»

Il Succhiatore continuò a fissarla, lasciando defluire l'affanno dalle narici dilatate. Aveva gli occhi di un grigio metallico, argentato. La barbetta chiara e folta, come i capelli, e gli zigomi alti lasciavano intuire una sicura discendenza dai popoli nordici. Attraverso gli strappi della maglietta borchiata, si intravedeva una croce celtica sul petto, tatuata sul lato destro, dalla base del collo fin quasi all'ombelico.

«Io no. Non li ho mai scelti. Mi trovarono in una fattoria a est del confine, mentre mi nascondevo con alcuni superstiti. Li uccisero tutti, uno dopo l'altro, nutrendosi del loro sangue e persino del midollo. Sentii distintamente il rumore delle loro ossa spezzarsi. Avevo afferrato un cacciavite nella fuga e mi ero preparato a ficcarmelo nel petto, se mi avessero scovato. Quando pensai che finalmente se ne fossero andati, uscii dalla stalla lentamente, e senza fare il minimo rumore, mi avvicinai alla casa, ma uno di loro apparve all'improvviso e mi sfilò il cacciavite dalla mano. Altri tre comparvero da retro di un pick-up e ci raggiunsero. Convinto che mi avrebbero ammazzato, decisi di tentare la fuga e iniziai a correre. Dopo una manciata di secondi mi furono addosso e mi atterrarono. Provai a divincolarli e mi dimenai tra le loro mani, lasciandomi strappare la camicia che portavo. Il più grosso dei tre intravide il mio tatuaggio e rimase a fissarmi. Quando gli altri mi immobilizzarono e gli chiesero, con lo sguardo, il consenso di nutrirsi col mio corpo, quello li fermò. Mi prese il mento tra le mani e mi guardò bene, come si fa con un pezzo di carne dal macellaio. Si morse il labbro e disse qualcosa in una lingua a me sconosciuta. Da quel preciso istante sarei diventato... il suo giocattolino

«Perché mi racconti questo? Cosa vuoi che mi interessi?».

«E aveva detto bene: divenni il suo giocattolo. Mi trasformò e mi prese con sé, nel suo bellissimo appartamento, mi ricoprì di abiti e di lusso. Mi viziò».

«Smettila... la tua storia mi disgusta.»

«E mi violentò più e più volte. Ero diventato il suo schiavo... »

«Smettila!» Urlò la ragazza e scostò la lama, colpendola con il dorso della mano.

«Vuoi sapere come è finita?» Le ripuntò la spada alla gola e iniziò a procedere nella sua direzione, costringendola a indietreggiare nella sabbia soffice.

«Che un giorno ci trovammo in una situazione come questa. Eravamo intrappolati in una vecchia fabbrica di scarpe. C'erano dei Livellatori in giro e io ne vidi uno acquattarsi in silenzio in uno sgabuzzino. Andai dal mio padrone... e gli sussurrai che in quella stanzetta c'era una finestra che dava su una scala esterna. Quello vi si fiondò di corsa, impaurito come un maiale, e quando entrò... »

Carey sentiva l'impazienza esploderle nel petto. Avrebbe voluto afferrare la lama con la mano e riprendersela. Tagliargli la testa e correre via.

«Chiusi la porta e mi misi ad ascoltare le sue urla e il fragore che il suo corpo dilaniato emetteva...»

Gli occhi del Succhiatore vibrarono di orgogliosa vendetta.

«Me ne ero liberato, finalmente.»

Carey si abbassò di scatto e si lanciò in avanti, per assestargli una testata nello stomaco. Il succhiatore la schivò, le diede un calcio sulla schiena e la spinse a terra, costringendola ad affondare il viso nella sabbia. Poi si abbassò e la bloccò a terra con un ginocchio.

«E con questo ti ho risposto alla domanda: “non ti sei portato alcun compagno dietro?” A me non interessa degli altri. Non mi interessa di nessuno, né di voi, né di loro. Ho a cuore soltanto la mia sopravvivenza.»

«E questo è il motivo per cui vi estinguerete per mano nostra. Sappilo.» Biascicò lei fissandolo da una fenditura tra i capelli riversi sul volto.

Il Succhiatore accennò un riso di beffa.

«Invidio la tua stupida fedeltà a una stupida causa.» Si mise in piedi e fece roteare la spada. Poi si fece da parte, prese la sua giacca da terra e iniziò a scendere lungo la duna, verso la riva del mare.

«Grazie del regalo.» Le urlò mentre, allontanandosi, sollevava l'acqua salata con la mano e si puliva le ferite dal sangue.

Carey era rimasta riversa a terra come quindici anni prima, sul pavimento della sua casa in città.

Il sole iniziava a nascondersi dietro le montagne lontane, tinteggiando il cielo di un arancio-amaranto. Immaginò che i suoi compagni fossero tornati a Newborn con i superstiti; che l'avessero già data per dispersa e che magari qualcuno di loro si fosse già proposto per tornare a cercarla. Pensò al capitano e un brivido le percorse la schiena. Si mise in piedi e si scrollò la sabbia di dosso. Doveva tornare in base prima che sopraggiungesse la notte. Doveva affrontare l'idea che Duncan fosse morto e che Newborn si sarebbe ritrovata senza il suo angelo migliore.

Si guardò intorno con il cuore appesantito e scelse la direzione che, a istinto, l'avrebbe ricondotta indietro.

   
 
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