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Autore: _aivy_demi_    02/06/2019    51 recensioni
Una ragazza sbadata, disordinata e senza alcun pelo sulla lingua.
Un ragazzo famoso, allontanatosi dalla propria città in cerca di qualcosa.
Si incontrano, si detestano fin da subito.
Una simpatica commedia romantica het piena di malintesi, incontri fortuiti (e non), umorismo e una punta di ironia che non guasta mai.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Singing

is the answer

 

6- The old wound burns, isn’t it?





«Sul serio? Cioè, tu vorresti dirmi che non solo sei stata in giro con quello stronzo, ma sei pure finita mezza nuda in bagno con lui?»
Detta così, sembrava davvero una cosa equivoca, ma Raon non ci aveva dato peso più di tanto. D’accordo, la faccenda era precipitata ma si era conclusa in maniera tranquilla.
«E poi cos’è successo? Siete andati a casa sua e ci sei andata a letto?»
«Aya
«Sembrerebbe ovvio, visto quello che mi hai detto.»
«Beh, hai decisamente sbagliato strada. Non è accaduto nulla, non ci sono finita a letto e sai che mi sta sul cazzo quel ragazzo.»
«Allora spiegami perché sei sempre con lui.»
Una deduzione acuta e fraintendibile sotto ogni punto di vista; la telefonata stava prendendo una piega imbarazzante e la ragazza si stava spazientendo davanti ai riferimenti dubbi dell’amica. Doveva darci un taglio prima di perdere completamente le staffe e spedirla in un posto preciso, non molto lontano, decisamente affollato. «Senti, vai a fare in culo.» Non aveva resistito.
«Se non imparerai ad essere più femminile e tranquilla difficilmente riuscirai a colpirlo ed attirare la sua attenzione.»
«La fai finita? Sei fuori strada! Quel tizio non mi piace, non mi è mai piaciuto e non mi piacerà mai, chiaro?»
Le note di una risata cristallina si levarono ben al di là del microfono dello smartphone. Non era divertente, per Raon non lo era affatto e si sentiva continuamente presa in giro da chi solitamente si mostrava pacata e tranquilla. Solitamente.
«Come è andata a finire davvero?»
«Aya scusami ma devo andare. Han mi ha appena chiamata di sotto, sai che si arrabbia se non sono puntuale.» Riattaccò dopo un saluto frettoloso; il fratello non l’aveva richiamata ma aveva bisogno di una scusa repentina per tagliare corto e riprendere un attimo fiato. L’altra aveva la tendenza a non saper farsi i fatti propri, soprattutto quando si trattava dell’altro sesso. Naturalmente la giovane era di tutt’altro pensiero riguardo all’argomento, per nulla interessata o quasi.
S’era stesa sul letto lasciando da parte il cellulare silenziato, l’avambraccio a coprire gli occhi e la strana sensazione del nodo in gola che ancora non l’aveva abbandonata nel ripensare al tocco di quelle dita affusolate sulla pelle della schiena. Sospirò rendendosi conto solo in quel momento di stare indossando ancora la maglietta che Åsli le aveva prestato. Un tessuto che le accarezzava il seno libero da costrizioni con delicatezza, morbido e scuro, dal profumo strano per nulla sgradevole. Si ritrovò ad arrossire violentemente, levandosi immediatamente quel capo non appartenente al proprio armadio e lanciandolo sullo schienale della sedia accanto alla scrivania. Recuperò veloce una cosa qualsiasi da infilarsi e si precipitò al piano di sotto sperando di deviare l’attenzione dei pensieri verso altro.
Han stava cucinando e il gustoso odore speziato della pentola s’era diffuso in tutto il salone; Raon godeva dell’avvolgente aroma del mix orientale di aromi, catapultata per un attimo nei lontani ricordi dell’infanzia. Si rabbuiò per un attimo per poi azionare distrattamente la macchinetta del caffè. Il ragazzo la guardò dubbioso, osando chiederle l’accaduto solo dopo qualche minuto di forzato silenzio.
«Cosa c’è che non va?»
Sbottò infastidita da quelle continue intromissioni: «possibile che tutti non facciate altro che chiedere cosa succede? Non ho assolutamente nulla che non va, è tutto a posto.»
«Non direi proprio.»
«Farsi i cazzi vostri mai? Non ne siete proprio capaci.»
«Non ho idea di chi tu stia parlando, cercavo solo di essere gentile.»
Sbuffò sonoramente, con il puro intento di palesare il proprio dissenso. «Senti, non devi per forza prendere il posto della mamma solo perché non c’è.»
Han si sentì colpito tristemente più che offeso: il suo intento non coincideva affatto con l’idea errata della sorella, semplicemente si stava sforzando di reggere una di quelle solite crisi di rabbia che facevano parte di quel carattere spesso ingestibile.
«Non sto cercando di sostituirla però tieni a mente che domani passerà a trovarci, quindi fatti trovare pronta, levati quella faccia da incazzata di dosso e ricordati d-»
«Di fare finta che mi importi? No, grazie. Adesso devo uscire, a dopo.» Ingoiò tutto d’un fiato il caffè scaraventando malamente la tazzina nel lavello, seguito da un sonoro crack di ceramica rotta. Corse per le scale raggiungendo la propria stanza e recuperò il telefono infilandoselo in tasca, non dando importanza ai messaggi ricevuti su WA.



Aya uscì di corsa dall’aula stringendo con desolata rassegnazione i volumi inerenti la lezione appena conclusa: geografia. Si stava ripetendo una volta ancora quanto le sarebbe potuto servire nella vita studiare le divergenze politiche mondiali inerenti lo sfruttamento delle risorse idriche nelle regioni asiatiche. A nulla, decisamente a nulla. Avrebbe dovuto preparare un esame su quell’argomento, sicura di approfittare dell’appello successivo; beccare l’insegnante in un giorno “no” avrebbe sicuramente portato a qualche punto in meno all’orale, cosa di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Una materia difficile da mandar giù ma confidava in una soluzione congeniale; si chiese divertita se disegnare la cartina geopolitica del continente europeo sulla carrozzeria dell’auto della professoressa, rigorosamente con una grossa chiave da cancello in ferro battuto, rientrasse tra i piani di risoluzione. Scansò la succosa ipotesi ridendoci sopra, ma svoltato l’angolo in direzione della macchinetta del caffè mancò per miracolo un ragazzo che stava parlando contrariato al telefono.
“Maleducato. Se solo non fosse così carino…” Spinta da un’innata curiosità selezionò con finta noncuranza una delle opzioni date dal distributore automatico per poi avvicinarsi allo scorbutico sconosciuto che stava visibilmente litigando con l’interlocutore. Forse non avrebbe dovuto intromettersi eppure la situazione era sfiziosa.
«Sul serio, tu credi che Kisha mollerà la presa così facilmente? No, te l’ho detto che non… no, aspetta… ok, facciamo così, in questi giorni passerò a trovarti e ne parleremo. Ora stacco, devo andare.»
Un litigio per telefono? Aya stava sorseggiando il proprio bicchiere avida di ulteriori informazioni, quando il ragazzo si voltò improvvisamente osservandola con sufficienza. «Origliare non è bene.»
«Nemmeno gridare al telefono in sala comune.»
«Stai cercando di cavartela? Sei stata beccata in pieno, fatti un favore ed evita di fare altre figure di merda.»
La simpatia non era certo di casa.
«Quello che ha fatto la figura di merda sei tu.»
«Che linguaccia ti ritrovi.»
Non era lì certo per litigare, ma la situazione stava degenerando.
«Sul serio, non volevo farmi i cavoli tuoi, però gridi invece di parlare. Ti avrei sentito persino di sopra. Non credo comunque di averti mai visto qui, quale facoltà frequenti?»
Il giovane selezionò scocciato una delle bibite al distributore refrigerato infilandosi in tasca il cellulare; suonò un paio di volte, ma venne ignorato alla scoperta del mittente. «Io? Non studio, lavoro. Non mi chiuderei mai tra quattro mura sepolto dai libri per tutto il giorno. Che palle, avrà capito che non ho intenzione di parlare con lei sì o no?!»
Aya rise senza neppure premurarsi di nasconderlo: lo sguardo si fissò su quelle iridi chiare limpide e languide, mentre si concentrava sulla barba curata, i capelli cerati ben pettinati e quella montatura d’occhiali elegante e ricercata.
«Io adesso devo andare, mi aspettano in azienda.»
«Aspetta, non so nemmeno come ti chiami.»
«Josh Miles. Ora scusami, sono già in ritardo. Allora ci si vede in giro, signorina maleducata.»
La ragazza gonfiò le guance corrugando la fronte: un atteggiamento altezzoso e molto sicuro dunque, non sarebbe stato facile avere a che fare con una personalità simile.
«Aya, mi chiamo Aya Grady
«Bene Aya, la settimana prossima sarò di nuovo qui per dei contratti con dei clienti. Ci si vede per un caffè?»
Gli occhi le si illuminarono. «Certo, allora a presto.»
La salutò con un cenno della mano ed un sorriso assolutamente perfetto. Lei rimase lì in piedi, il bicchierino di plastica ancora stretto tra le mani tremanti. “Calma, stai calma, non è un invito ad uscire. È solo un odioso fighetto maledettamente carino.”



«Mezzo negozio. Quella ragazza mi ha svaligiato i reparti, e adesso dove la metto tutta questa roba?» Åsli osservava con pressante irritazione il quantitativo di oggetti da sistemare: sicuramente il piccolo appartamento non sarebbe più parso tanto vuoto dopo aver riposto tutto quanto. Il lavoro pareva eterno e ad ogni nuovo sacchetto sbucava fuori qualche cosa di assurdo o incomprensibile; tutto, tranne quella cornice. Non era ancora riuscito a comprendere il motivo per cui Raon l’avesse comprata.
Il tempo passava rapido, rapendo sempre più minuti alla quotidianità ed ogni cosa con lentezza certosina stava trovando il proprio posto. Un insieme colorato di accessori e utensili diede nuova vita alle stanze spoglie, donandone calore e senso di appartenenza. Non era stato lui a scegliere, ma ad un certo punto non si pentì poi molto d’aver seguito quell’istinto selvatico e incontrollabile appartenente ad una ragazza così assurda.
Ripose il portafoto sulla mensola della sala, indeciso sul da farsi: le avrebbe chiesto spiegazioni alla prossima occasione.
Si preparò una cena rapida con l’intento di gustarla davanti al televisore acceso ma prima di accomodarsi sul sofà il telefonino trillò.

            «
Ho bisogno di parlarti. Per favore rispondi.»
           
Si spazientì una volta di più: Kisha non gli stava dando pace, lo stava contattando fin troppo spesso. “Possibile non capisca?” Digitò rapido un messaggio scostante tinto di disprezzo. La risposta naturalmente non si fece attendere.

            «Ancora con la storia di Erik? Ti ho
            già detto che non c’è stato nulla tra noi.»

Ancora un paio di parole spedite, i polpastrelli rapidi sul total touch screen per ribadire il concetto.

            «Dammi solo la possibilità di spiegare.»

Lasciò il cellulare sul tavolo incurante delle nuove notifiche sull’app di messaggistica. Qualcuno aveva suonato alla porta, e solo tre persone avrebbero potuto presentarsi da lui senza preavviso: l’amico Josh, la cara Luciye e…
All’uscio era apparsa Raon, l’aria afflitta, gli occhi lucidi e un sacchettino di carta in mano.
«Dolcetti?»
La fece accomodare senza richiedere alcuna spiegazione.



 

 



Nota dell’autrice (che adora incasinare la situazione e tirare fuori un bel popò di personaggi ogni volta che può!)
Buongiorno a tutti! :D Qui gli aggiornamenti proseguono decisamente a buon ritmo: poco tempo, capitoli brevi ma idee chiare e sempre più succose in mente mi aiutano a mettere su foglio elettronico tutto quello che serve per mandare avanti questa mia amata long.
Insomma, sembra che Aya abbia incontrato Josh, ma lei non sa che lui è amico di Åsli e lui non immagina nemmeno che la ragazza sia la migliore amica di Raon. Anzi, Raon non sa neppure che faccia abbia. Secondo voi si beccheranno ancora? La figura di Kisha riappare al momento da dietro le quinte, perché per lei non è ancora giunto il tempo di palesarsi, però adesso sbuca fuori un certo Erik. E chi sarebbe? Beh, sarebbe troppo facile se ve lo dicessi ora, giusto?
Ringrazio tutti quanti voi per le bellissime parole, per il tempo dedicato e per il bene che dimostrate a questa storia che amo, come adoro i personaggi che ne fanno parte. Thank you!
-Stefy-

   
 
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