Singing
is the answer
6- The old wound burns,
isn’t it?
«Sul
serio? Cioè, tu vorresti dirmi che non solo sei stata in giro con quello
stronzo, ma sei pure finita mezza nuda in bagno con lui?»
Detta così, sembrava davvero una cosa equivoca, ma Raon
non ci aveva dato peso più di tanto. D’accordo, la faccenda era precipitata ma
si era conclusa in maniera tranquilla.
«E poi cos’è successo? Siete andati a casa sua e ci sei andata a letto?»
«Aya!»
«Sembrerebbe ovvio, visto quello che mi hai detto.»
«Beh, hai decisamente sbagliato strada. Non è accaduto nulla, non ci sono
finita a letto e sai che mi sta sul cazzo quel ragazzo.»
«Allora spiegami perché sei sempre con lui.»
Una deduzione acuta e fraintendibile sotto ogni punto di vista; la telefonata
stava prendendo una piega imbarazzante e la ragazza si stava spazientendo
davanti ai riferimenti dubbi dell’amica. Doveva darci un taglio prima di
perdere completamente le staffe e spedirla in un posto preciso, non molto
lontano, decisamente affollato. «Senti, vai a fare in culo.» Non aveva
resistito.
«Se non imparerai ad essere più femminile e tranquilla difficilmente riuscirai
a colpirlo ed attirare la sua attenzione.»
«La fai finita? Sei fuori strada! Quel tizio non mi piace, non mi è mai
piaciuto e non mi piacerà mai, chiaro?»
Le note di una risata cristallina si levarono ben al di là del microfono dello
smartphone. Non era divertente, per Raon non lo era
affatto e si sentiva continuamente presa in giro da chi solitamente si mostrava
pacata e tranquilla. Solitamente.
«Come è andata a finire davvero?»
«Aya scusami ma devo andare. Han mi ha appena
chiamata di sotto, sai che si arrabbia se non sono puntuale.» Riattaccò dopo un
saluto frettoloso; il fratello non l’aveva richiamata ma aveva bisogno di una
scusa repentina per tagliare corto e riprendere un attimo fiato. L’altra aveva
la tendenza a non saper farsi i fatti propri, soprattutto quando si trattava
dell’altro sesso. Naturalmente la giovane era di tutt’altro pensiero riguardo
all’argomento, per nulla interessata o quasi.
S’era stesa sul letto lasciando da parte il cellulare silenziato, l’avambraccio
a coprire gli occhi e la strana sensazione del nodo in gola che ancora non
l’aveva abbandonata nel ripensare al tocco di quelle dita affusolate sulla
pelle della schiena. Sospirò rendendosi conto solo in quel momento di stare
indossando ancora la maglietta che Åsli le aveva
prestato. Un tessuto che le accarezzava il seno libero da costrizioni con
delicatezza, morbido e scuro, dal profumo strano per nulla sgradevole. Si
ritrovò ad arrossire violentemente, levandosi immediatamente quel capo non
appartenente al proprio armadio e lanciandolo sullo schienale della sedia
accanto alla scrivania. Recuperò veloce una cosa qualsiasi da infilarsi e si
precipitò al piano di sotto sperando di deviare l’attenzione dei pensieri verso
altro.
Han stava cucinando e il gustoso odore speziato della pentola s’era diffuso in
tutto il salone; Raon godeva dell’avvolgente aroma
del mix orientale di aromi, catapultata per un attimo nei lontani ricordi
dell’infanzia. Si rabbuiò per un attimo per poi azionare distrattamente la
macchinetta del caffè. Il ragazzo la guardò dubbioso, osando chiederle
l’accaduto solo dopo qualche minuto di forzato silenzio.
«Cosa c’è che non va?»
Sbottò infastidita da quelle continue intromissioni: «possibile che tutti non
facciate altro che chiedere cosa succede? Non ho assolutamente nulla che non
va, è tutto a posto.»
«Non direi proprio.»
«Farsi i cazzi vostri mai? Non ne siete proprio capaci.»
«Non ho idea di chi tu stia parlando, cercavo solo di essere gentile.»
Sbuffò sonoramente, con il puro intento di palesare il proprio dissenso.
«Senti, non devi per forza prendere il posto della mamma solo perché non c’è.»
Han si sentì colpito tristemente più che offeso: il suo intento non coincideva
affatto con l’idea errata della sorella, semplicemente si stava sforzando di
reggere una di quelle solite crisi di rabbia che facevano parte di quel
carattere spesso ingestibile.
«Non sto cercando di sostituirla però tieni a mente che domani passerà a trovarci,
quindi fatti trovare pronta, levati quella faccia da incazzata di dosso e
ricordati d-»
«Di fare finta che mi importi? No, grazie. Adesso devo uscire, a dopo.» Ingoiò
tutto d’un fiato il caffè scaraventando malamente la tazzina nel lavello, seguito
da un sonoro crack di ceramica rotta.
Corse per le scale raggiungendo la propria stanza e recuperò il telefono
infilandoselo in tasca, non dando importanza ai messaggi ricevuti su WA.
Aya uscì di corsa dall’aula stringendo con desolata
rassegnazione i volumi inerenti la lezione appena
conclusa: geografia. Si stava ripetendo una volta ancora quanto le sarebbe
potuto servire nella vita studiare le divergenze politiche mondiali inerenti lo sfruttamento delle risorse idriche nelle regioni
asiatiche. A nulla, decisamente a nulla. Avrebbe dovuto preparare un esame su
quell’argomento, sicura di approfittare dell’appello successivo; beccare
l’insegnante in un giorno “no” avrebbe sicuramente portato a qualche punto in
meno all’orale, cosa di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Una materia
difficile da mandar giù ma confidava in una soluzione congeniale; si chiese
divertita se disegnare la cartina geopolitica del continente europeo sulla
carrozzeria dell’auto della professoressa, rigorosamente con una grossa chiave
da cancello in ferro battuto, rientrasse tra i piani di risoluzione. Scansò la
succosa ipotesi ridendoci sopra, ma svoltato l’angolo in direzione della
macchinetta del caffè mancò per miracolo un ragazzo che stava parlando
contrariato al telefono.
“Maleducato. Se solo non fosse così carino…” Spinta da un’innata curiosità selezionò
con finta noncuranza una delle opzioni date dal distributore automatico per poi
avvicinarsi allo scorbutico sconosciuto che stava visibilmente litigando con
l’interlocutore. Forse non avrebbe dovuto intromettersi eppure la situazione era
sfiziosa.
«Sul serio, tu credi che Kisha mollerà la presa così
facilmente? No, te l’ho detto che non… no, aspetta… ok, facciamo così, in
questi giorni passerò a trovarti e ne parleremo. Ora stacco, devo andare.»
Un litigio per telefono? Aya stava sorseggiando il
proprio bicchiere avida di ulteriori informazioni, quando il ragazzo si voltò
improvvisamente osservandola con sufficienza. «Origliare non è bene.»
«Nemmeno gridare al telefono in sala comune.»
«Stai cercando di cavartela? Sei stata beccata in pieno, fatti un favore ed
evita di fare altre figure di merda.»
La simpatia non era certo di casa.
«Quello che ha fatto la figura di merda sei tu.»
«Che linguaccia ti ritrovi.»
Non era lì certo per litigare, ma la situazione stava degenerando.
«Sul serio, non volevo farmi i cavoli tuoi, però gridi invece di parlare. Ti
avrei sentito persino di sopra. Non credo comunque di averti mai visto qui,
quale facoltà frequenti?»
Il giovane selezionò scocciato una delle bibite al distributore refrigerato
infilandosi in tasca il cellulare; suonò un paio di volte, ma venne ignorato
alla scoperta del mittente. «Io? Non studio, lavoro. Non mi chiuderei mai tra
quattro mura sepolto dai libri per tutto il giorno. Che palle, avrà capito che
non ho intenzione di parlare con lei sì o no?!»
Aya rise senza neppure premurarsi di nasconderlo: lo
sguardo si fissò su quelle iridi chiare limpide e languide, mentre si
concentrava sulla barba curata, i capelli cerati ben pettinati e quella
montatura d’occhiali elegante e ricercata.
«Io adesso devo andare, mi aspettano in azienda.»
«Aspetta, non so nemmeno come ti chiami.»
«Josh Miles. Ora scusami, sono già in ritardo. Allora ci si vede in giro,
signorina maleducata.»
La ragazza gonfiò le guance corrugando la fronte: un atteggiamento altezzoso e
molto sicuro dunque, non sarebbe stato facile avere a che fare con una personalità
simile.
«Aya, mi chiamo Aya Grady.»
«Bene Aya, la settimana prossima sarò di nuovo qui
per dei contratti con dei clienti. Ci si vede per un caffè?»
Gli occhi le si illuminarono. «Certo, allora a presto.»
La salutò con un cenno della mano ed un sorriso assolutamente perfetto. Lei
rimase lì in piedi, il bicchierino di plastica ancora stretto tra le mani
tremanti. “Calma, stai calma, non è un invito ad uscire. È solo un odioso fighetto
maledettamente carino.”
«Mezzo negozio. Quella ragazza mi ha svaligiato i reparti, e adesso dove la
metto tutta questa roba?» Åsli osservava con pressante
irritazione il quantitativo di oggetti da sistemare: sicuramente il piccolo appartamento
non sarebbe più parso tanto vuoto dopo aver riposto tutto quanto. Il lavoro pareva
eterno e ad ogni nuovo sacchetto sbucava fuori qualche cosa di assurdo o
incomprensibile; tutto, tranne quella cornice. Non era ancora riuscito a
comprendere il motivo per cui Raon l’avesse comprata.
Il tempo passava rapido, rapendo sempre più minuti alla quotidianità ed ogni
cosa con lentezza certosina stava trovando il proprio posto. Un insieme colorato
di accessori e utensili diede nuova vita alle stanze spoglie, donandone calore
e senso di appartenenza. Non era stato lui a scegliere, ma ad un certo punto
non si pentì poi molto d’aver seguito quell’istinto selvatico e incontrollabile
appartenente ad una ragazza così assurda.
Ripose il portafoto sulla mensola della sala, indeciso sul da farsi: le avrebbe
chiesto spiegazioni alla prossima occasione.
Si preparò una cena rapida con l’intento di gustarla davanti al televisore
acceso ma prima di accomodarsi sul sofà il telefonino trillò.
«Ho bisogno di parlarti.
Per favore rispondi.»
Si spazientì una volta di più: Kisha non gli stava dando
pace, lo stava contattando fin troppo spesso. “Possibile non capisca?” Digitò
rapido un messaggio scostante tinto di disprezzo. La risposta naturalmente non
si fece attendere.
«Ancora con la storia di Erik?
Ti ho
già detto che non c’è stato nulla tra noi.»
Ancora un paio di parole spedite, i polpastrelli rapidi sul total
touch screen per ribadire il concetto.
«Dammi solo la possibilità
di spiegare.»
Lasciò il cellulare sul tavolo incurante delle nuove notifiche sull’app di
messaggistica. Qualcuno aveva suonato alla porta, e solo tre persone avrebbero
potuto presentarsi da lui senza preavviso: l’amico Josh, la cara Luciye e…
All’uscio era apparsa Raon, l’aria afflitta, gli
occhi lucidi e un sacchettino di carta in mano.
«Dolcetti?»
La fece accomodare senza richiedere alcuna spiegazione.
Nota dell’autrice (che adora incasinare la situazione e tirare fuori un
bel popò di personaggi ogni volta che può!)
Buongiorno a tutti! :D
Qui gli aggiornamenti proseguono decisamente a buon ritmo: poco tempo, capitoli
brevi ma idee chiare e sempre più succose in mente mi aiutano a mettere su
foglio elettronico tutto quello che serve per mandare avanti questa mia amata
long.
Insomma, sembra che Aya abbia incontrato Josh, ma lei
non sa che lui è amico di Åsli e lui non immagina
nemmeno che la ragazza sia la migliore amica di Raon.
Anzi, Raon non sa neppure che faccia abbia. Secondo
voi si beccheranno ancora? La figura di Kisha riappare
al momento da dietro le quinte, perché per lei non è ancora giunto il tempo di
palesarsi, però adesso sbuca fuori un certo Erik. E chi sarebbe? Beh, sarebbe
troppo facile se ve lo dicessi ora, giusto?
Ringrazio tutti quanti voi per le bellissime parole, per il tempo dedicato e
per il bene che dimostrate a questa storia che amo, come adoro i personaggi che
ne fanno parte. Thank you!
-Stefy-