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Autore: Napee    02/06/2019    1 recensioni
[KageHina] [Tengu!AU]
***
Hai mai rinunciato a tutto per amore?
Hai mai rinunciato al tuo sogno per la persona che ami?
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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•2            Assenza




Distorsione articolare era stata la diagnosi definitiva.
Niente di grave, niente di particolarmente doloroso, niente che non potesse sopportare. La cura prescritta era stato tanto riposo e un antinfiammatorio preso ogni mattino.
Il polso fasciato gli sembrava strano, sbagliato. Continuava a guardarlo con diffidenza e rabbia, mentre il suo cervello proiettava in continuazione la loro caduta e quell’idiota di Hinata che gli cadeva proprio sul polso.
Al sol pensarci già sentiva la rabbia montargli di nuovo.
Quel cretino avrebbe dovuto pensare a schiacciare e basta!
Lui, l’alzatore, l’aveva chiamata! Aveva una strategia in mente e quel piccoletto aveva mandato tutto a monte!
La sveglia suonò fastidiosa e Kageyama la spense subito con la mano non senza sentire una piccola fitta di dolore al polso.
Fantastico. Aveva passato la notte in bianco.
Si trascinò fino a scuola pigramente, strusciando i piedi sul marciapiede con svogliatezza.
Persino la colazione con sua madre era stata uno strazio e, ovviamente, non aveva perso tempo a fargli notare la pessima cera che aveva.
Fanculo. Come se si fosse mai preoccupato dell’aspetto che avesse!
I libri ciottolavano nella tracolla, quel giorno non aveva la tuta per gli allenamenti del club dopo scuola.
E per un bel po’ non li avrebbe avuti dato che il “riposo assoluto” era stato considerato uno dei fattori determinanti per la sua guarigione.
Al sol pensarci gli ribolliva il sangue nelle vene.
Sarebbe stato fermo. Lontano dalla palestra, lontano dal campo.
La squadra avrebbe fatto progressi, sarebbero andati avanti senza di lui, non sarebbe risultato un elemento poi così determinante e sarebbe stato bypassato.
L’unica sua consolazione era l’assenza di partite in quel periodo fra le Regionali.
Almeno non avrebbe perso partite di campionato, ma solo qualche amichevole che il professor Takeda avrebbe organizzato per loro. 
Grugnì qualche impropero scontroso. Erano comunque occasioni perse per migliorarsi e crescere e per far imparare a schiacciare qualche alzata nuova a Hinata.
Fanculo Hinata.
Era per colpa sua e della sua mania di voler essere sempre da per tutto in ogni momento, se ora si ritrovava così.
Raggiunse la scuola avvolto da uno strano silenzio e, così preso dalla stanchezza e dalla rabbia, neppure aveva fatto caso alla mancanza della causa di tutti i suoi problemi.
Si cambiò le scarpe senza salutare nessuno. E nessuno lo salutò, forse a causa della pessima faccia che andava rivolgendo a chiunque avesse la sfortuna di capitargli davanti quella mattina.
Entrò in classe, si lasciò cadere sulla sedia stancamente e prese a guardare fuori dalla finestra.
Le nuvole erano particolarmente interessanti quel giorno.
Evidentemente più di qualsiasi insegnante che aveva avuto lo sventurato incarico di provare ad insegnargli qualcosa.
Il dolore al polso non lo aveva molestato troppo quella mattina. La fasciatura era ben fatta e gli limitava i movimento evitando provvidenzialmente che si facesse male.
L’ora di pranzo arrivò in un baleno. Tobio tirò fuori il suo bento, mangiucchiò svogliatamente quello che sua madre gli aveva preparato ed uscì dalla classe per andare a prendersi il solito cartoncino di latte.
Solitamente Hinata lo raggiungeva subito. Anzi, veniva proprio a cercarlo in classe per convincerlo ad uscire e mangiare insieme fuori al sole.
Mentre beveva, con lo sguardo rivolto all’orizzonte, non riusciva a non sentirsi strano in quel momento. Come se gli stesse mancando qualcosa di essenziale per potersi godere a pieno la pausa pranzo.
Avrebbe preferito dare la colpa all’assenza dei tamagoyaki nel bento di quel giorno, ma doveva guardare in faccia la realtà dei fatti e riconoscere che quel cretino tutto pepe gli mancava da matti.
Fanculo, non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce. Già faticava ad ammetterlo con sé stesso in verità…
Succhiò avidamente il latte e gettò via il cartone con rabbia.
Girovagò nel cortile senza una reale meta finché non giunse davanti alla palestra. La porta era stata lasciata aperta e la tentazione di andare dentro, prendere un pallone e fare due passaggi era forte.
Ma il riposo assoluto era un’imposizione alla quale non poteva ribellarsi, quindi girò i tacchi e tornò dritto in classe.
Che poi, a dirla tutta, con chi mai avrebbe potuto palleggiare?
Ogni giorno approfittava della pausa pranzo per allenarsi un pochino con Hinata, per testare il suo controllo della palla nelle difese e anche per svagarsi un po’ perché le lezioni erano di una noia mortale.
Ma adesso, senza quel fastidioso nanerottolo fra i piedi, si sentiva completamente perso. Fuori posto.
Senza neppure la pallavolo, quasi non sapeva più chi fosse realmente. Dopotutto, quando mai aveva passato un po’ di tempo con sé stesso senza una palla in mano?
La fine delle lezioni arrivò con estrema lentezza.
Le lezioni pomeridiane erano un vero supplizio. Interminabili. Erano l’unica cosa che lo separava dagli allenamenti e dal campo.
Quel giorno però, Kageyama si sforzò di non guardare nella tracolla, altrimenti i libri e quello spazio vuoto gli avrebbero ricordato che per lui la pallavolo era vietata.
Momentaneamente vietata, certo, ma era comunque una tortura per lui.
Inforcò la porta e andò dritto a cambiarsi le scarpe.
I senpai lo salutarono affettuosamente mentre si dirigevano in palestra. Tsukishima gli rivolse qualche frase dal tono saccente quasi offensivo che Kageyama detestava. Yamaguchi lo seguì a ruota rivolgendogli però un sorriso gentile di scuse.
Ripose le scarpe nell’armadietto ed uscì dalla scuola.
Il sole era ancora alto, il giorno non era ancora finito.
Non era abituato a tornare a casa così presto. Sentiva di avere un sacco di tempo libero, ma non aveva idea di come poterlo impiegare. O forse non aveva semplicemente voglia di passare il resto della giornata in totale solitudine a far niente.
Senza porsi altre domande, inforcò la strada opposta rispetto a casa sua.
Non sapeva di preciso dove abitasse Hinata, ma ricordava vagamente di averlo sentito parlare di casa sua, che fosse abbastanza lontano verso le campagne.
Tirò fuori il telefono e controllò l’ora. Era dannatamente presto. Avrebbe avuto anche il tempo di perdersi e ritrovare la strada.

  
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