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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    02/06/2019    2 recensioni
[LongFic][MacDalton][Season 3 canon divergence]
“Ehi, Mac. Dormi?”
“No… Non si dorme davanti a Die Hard, no?”
“Bugiardo, ti eri appisolato, confessa.”
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fandom: MacGyver (2016)

Rating: Giallo

Personaggi/Pairing: Team Phoenix, MacDalton

Tipologia: Long-fic

Genere: Drammatico, hurt/comfort, romantico

Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono.

Note: Dedicata a Mairasophia.

UNDERNEATH

CAPITOLO 2

WHEN EVERYTHING’S NOT FINE AND I’M NOT OKAY

 

These are the things
That I need to pray
‘Cuz I can’t find peace any other way
I’m a mess underneath
And I’m just too scared to show it…

 

When I’m with you – Citizen Way

 

 

Il giorno del funerale pioveva.

 

Era una vera e propria tempesta, di quelle che spesso flagellavano le coste della California, ma ciò non aveva fermato la processione che, uscita in ordine dall'edificio principale della Fondazione, aveva guidato fino al cimitero privato della stessa – nel cuore verde della città – e aveva preso sulle proprie spalle la bara bianca che spiccava vivida nel mare di vesti nere e ombrelli del medesimo colore.

 

In fila, ciascuno accanto a un collega, a un amico, il gruppo percorse in silenzio i viali silenziosi e pieni di fiori, silenzio rotto di quando in quando da qualche singhiozzo impossibile da trattenere.

 

Quelle persone lì riunite non avevano perso soltanto una persona cara, avevano perso un fratello, un compagno stretto, un amico.

 

L'amore della propria vita.

 

Dietro al feretro – che veniva portato a spalla dalla Prima Squadra Tattica, con Anderson in testa, - camminava la Direttrice Webber e, accanto a lei, i suoi agenti migliori: lei stessa, teneva con forza la mano di Jack Dalton e lo guidava – quasi fosse stato un bambino – in quell'ultima, struggente marcia per dare addio ad Angus MacGyver.

 

Accanto a lei, l'ex Delta camminava come un automa, pallido in viso e con l'espressione vuota di chi non aveva più niente per cui vivere.

Dopotutto, lui aveva smesso di vivere la settimana prima, quando Mac gli era morto praticamente tra le braccia.

 

"MAC!"

 

"Agente Dalton, si sposti! Prendete il defibrillatore!"

 

"LASCIATEMI PASSARE!"

 

"No, agente Dalton, ora non può an-"

 

"STIAMO PARLANDO DEL MIO PARTNER! PENSA CHE IO POSSA RESTARE QUI SENZA FAR NIENTE?!"

 

"So che è sconvolto ma-"

 

"Mi lasci passare!"

 

Jack spintonò via l'infermiera e si precipitò attraverso le porte a vetri, ignorando le grida di Riley alle sue spalle, prima di gettarsi sul lettino dove Mac era abbandonato, immobile e pallido: con infinita delicatezza, mentre le lacrime gli affollavano gli occhi e una supplica gli saliva alle labbra, lo strinse forte a sé come se, così facendo, la vita potesse restare ancorata a lui.

 

"Combatti, piccolo, ti prego…" sussurrò con voce strozzata Jack mentre gli accarezzava i capelli.

 

Un suono penetrante e continuo riempiva la stanza del triage mentre la dottoressa Castillo si affannava attorno alla barella su cui era disteso e osservava con gli occhi sgranati l'ECG piatto: "Non riusciamo a rianimarlo, portatemi quell'epinefrina, SUBITO!"

 

Con le orecchie piene del rumore del macchinario, Jack non realizzò subito che la voce tremante della dottoressa si stava rivolgendo a lui e non voleva neppure realizzare cosa significasse quello sguardo addolorato.

 

Non voleva…

 

Non poteva.

 

"Ora del decesso, 19:45."

 

Al loro fianco, Riley e Wilt dividevano un ombrello e si tenevano per mano come a voler cercare conforto nella presenza l'uno dell'altro: fratelli nati al fiorire dell'infanzia, amici fraterni che avevano condiviso tutto, Riley sapeva che la morte di Mac – se aveva avuto un tale effetto su Jack da farlo collassare – doveva essere stata altrettanto dolorosa per Bozer, che lei cercava di sorreggere come una brava sorella avrebbe fatto.

 

Anche lei era distrutta, ma sentiva di dover essere forte.

 

Almeno lei doveva esserlo.

 

Ricordava fin troppo bene la telefonata che Wilt aveva fatto a casa, poche ore dopo l'annuncio della morte di Mac: era stata la telefonata di un figlio che chiamava i genitori per avvertirli della morte del proprio fratello.

 

Con la mano di Riley che stringeva la sua, Bozer emise un singulto strozzato nel sentire la voce della madre che lo salutava con calore: "Wilt, amore, come stai?"

 

La ragazza al suo fianco scandì senza voce, soltanto con le labbra, un "va tutto bene", spingendolo a continuare: "C-Ciao mamma…" salutò il ragazzo con una voce talmente piccola e dimessa che la donna dall'altro capo della linea si allarmò all'istante, "Wilt, che è successo?" chiese lei con tono affrettato, "Stai bene?"

 

Incapace di mantenere oltre la facciata, il ragazzo scoppiò in lacrime, i suoi singhiozzi risuonavano in tutta la stanza operativa mentre Riley si mordeva il labbro inferiore per non urlare: "M-Mamma… M-Mac… M-Mac non c'è più…

 

Non le sarebbe servita una cimice per sentire la risposta della signora Bozer: il grido di una madre addolorata era inconfondibile.

 

Quando arrivarono al palchetto che era stato approntato per l'occasione, Matilda fece passare la mano di Riley in quella del padre adottivo e si avviò, tra due ali di folla silenziosa, verso di esso mentre la squadra di Anderson posava la bara nella piccola buca già scavata per l'occasione.

 

"È davvero un addio?" si chiese Jack con la testa ottenebrata dal dolore: era davvero la fine? Non avrebbe più visto il sorriso che Mac riservava soltanto a lui? Non avrebbero più dormito assieme, uno sopra l'altro, per il desiderio di stare vicini e recuperare il tempo prezioso che avevano perso prima di fare il grande passo e scoprirsi innamorati?

 

"È davvero la fine, Mac?" mormorò Dalton con il cuore pesante mentre l'anello che aveva regalato all'altra metà della sua anima gli pesava nella tasca della giacca come un macigno: "Volevo sposarti davvero, Angus MacGyver, volevo renderti felice… Perché non me l'hai permesso?"

 

Non ebbe alcuna risposta, soltanto un tuono furioso in lontananza.

 

§§§

 

Buio.

 

Mac sentiva la coscienza riempire nuovamente il suo corpo e la sua mente ma la testa pulsava troppo per potersi concentrare e capire dove si trovasse, la bocca era riarsa e sentiva che gli mancava l'ossigeno, come se non ce ne fosse abbastanza.

 

Tentò di parlare, Mac, ma la sua lingua era troppo gonfia e i muscoli, di qualunque tipo fossero, erano paralizzati, perfino muovere le dita dei piedi gli risultava difficoltoso; ciononostante, cercò di esaminare ciò che lo circondava con l'ausilio dei sensi che ancora gli rispondevano, nella speranza di sentire un qualunque suono o percepire qualsiasi cosa che gli facesse capire dove si trovasse e, soprattutto, con chi avesse a che fare.

 

Debole come un bambino appena nato, riuscì a malapena a toccare con le mani il cuscino di raso su cui era disteso, tastò la presenza del legno e poteva sentirne l'odore anche sopra di sé: per un istante, il cuore gli schizzò in gola mentre un'ondata di adrenalina gli percorreva il corpo, l'aveva già sentito quell'odore, tanti anni prima, quando sua madre era morta.

 

Era l'odore di una bara.

 

Era l'odore dei fiori che venivano deposti attorno al corpo del defunto.

 

Era l'odore di un funerale, nella fattispecie del suo funerale.

 

Preso dal panico, e ancora confuso dall'accaduto, sentì il cuore battergli forsennatamente nelle orecchie, ma – seppur con difficoltà – richiamò alla mente la voce di Jack che gli imponeva di calmarsi, anche in quel momento il suo pensiero andava al suo partner e, in un certo senso, ciò lo rincuorò: sapeva che Jack doveva essere nei paraggi, se davvero quello era il suo funerale, per qualsivoglia motivo l'avessero ritenuto morto, Jack doveva essere lì, poteva ancora uscirne.

 

Poteva ancora salvarsi.

 

Doveva solo stare calmo.

 

"Piccolo, respira a fondo e ascolta quello che ti circonda."

 

Imponendosi di obbedire al Jack che gli aveva insegnato alcuni trucchi di sopravvivenza dei tempi della Delta Force, Mac calmò il proprio battito cardiaco e si concentrò sui rumori attorno a sé: sentiva delle voci attutite dal legno, il picchettare della pioggia sul coperchio, gli pareva di sentire la voce di Matty, potente e ferma. Quello oppure la sua mente gli stava giocando strani scherzi.

 

Non ricordava assolutamente niente di come fosse arrivato lì ma poco gli importava in quel momento: tenne a bada la paura, Mac, la imbrigliò e ne sfruttò l'energia incanalandola nelle proprie mani, l'unico strumento su cui aveva sempre potuto contare e che, in quel momento, era la sua sola possibilità di salvezza.

 

Iniziò a bussare.

 

"Ti prego, Jack… Trovami…"

 

§§§

 

Toc...

 

Toc...

 

Toc...

 

Jack poteva giurare di sentire un rumore ritmico e costante provenire da qualche parte attorno a sé, non era la pioggia, ne era sicuro, ma il calmante che Matty lo aveva costretto a prendere prima del funerale gli ottenebrava i sensi altrimenti in forma perfetta.

 

Scrollando la testa, optò per concentrare il proprio sguardo sul singolo fiore bianco come la neve che aveva depositato lui stesso sulla bara, depositata nella buca scavata di fresco, che custodiva il corpo della sua anima gemella, del ragazzo che amava più della sua stessa vita.

Di quello che avrebbe voluto che fosse suo marito.

 

Nel tentativo di trattenere le lacrime, si morse il labbro inferiore ma il rumore continuava e sembrava farsi sempre più insistente, al punto che quasi copriva il sermone di Matty, in piedi accanto ad Anderson sul palchetto.

 

Toc...

 

Toc...

 

Toc...

 

Ancora quel suono.

 

Non del tutto convinto che fosse soltanto nella sua testa, Jack distolse lo sguardo e cominciò a guardarsi attorno con circospezione, per capire chi stesse disturbando un momento così solenne e importante e prenderlo a calci nel culo, con la disperazione che provava e che gli riempiva la gola di acido.

 

Me nessuno attorno a lui si muoveva, tutti erano attenti al discorso della Direttrice e, per un attimo, con il vento nelle orecchie, Dalton si chiese se non stesse impazzendo.

 

"Cosa c'è, Jack?"

 

La mano di Riley si posò sulla sua con fare affettuoso e la ragazza la strinse con forza, come a voler trarne energia e determinazione.

 

Ma Jack non riusciva a calmarsi mentre un pensiero ansiogeno si faceva sempre più strada nella sua mente: che fosse...?

 

Il rumore continuava ma sembrava che solo lui potesse sentirlo, come se qualcuno gli stesse sussurrando all'orecchio una richiesta di soccorso proveniente dal mondo dei morti.

 

Una richiesta che solo lui sentiva e che soltanto lui poteva esaudire.

 

Con il cuore che gli rimbombava nelle orecchie, l'ex Delta sciolse la presa della mano di Riley e tese maggiormente l'orecchio, tagliò fuori tutti gli altri rumori e si concentrò solo su quello.

 

Finalmente identificò da dove provenisse e sentì il cuore fermarsi nel petto quando si accorse che proveniva dalla buca che rapidamente si stava riempiendo di acqua e fango sotto l'acquazzone torrenziale.

 

Dalla bara.

 

Con uno scatto che spaventò tutti i presenti e un grido strozzato nella gola, Jack si lanciò nella voragine e batté più volte i pugni sul legno, chiamando a gran voce il nome di Mac: "Mac! Mac! Sei tu, vero?! Aspettami, sto arrivando, piccolo."

 

Matty, presa di sorpresa, restò senza parole per un attimo ma fu tra i primi a gettarsi sul bordo della buca: "Dalton! Esci subito di lì!" gridò la direttrice mentre, attorno a loro, si scatenava il panico, "Jack, ti prego..." supplicò Riley cadendo in ginocchio, "N-Non è una missione... S-Se n'è davvero andato...".

 

Tuttavia, Dalton non li ascoltò e continuò a battere sul coperchio, gridando tra le lacrime: "No, lo sento! È ancora vivo e mi sta chiamando! Datemi un piede di porco!"

 

Gli altri agenti e operativi della Fondazione parlavano gli uni sopra gli altri mentre la squadra tattica di Jack si organizzava per calarsi nella buca e tirare fuori il loro comandante: non era in sé, dal loro punto di vista, era sconvolto per la morte dell'agente M e dovevano aiutarlo, prima che si facesse del male.

 

"Resisti Mac, sto arrivando. Non vogliono aiutarmi, non importa. Tu tirerò fuori, fosse anche l'ultima cosa che faccio..." mormorò l'uomo, accarezzando il legno della cassa con un tale amore da essere quasi doloroso.

 

Dopo aver posato le mani sui bordi della bara in corrispondenza delle cerniere di chiusura, Dalton iniziò a tirare: con i muscoli che gli dolevano a ogni strattone, le energie che rapidamente si esaurivano, non smetteva un attimo di sussurrare parole di conforto al vento nella speranza che Mac lo sentisse e si tranquillizzasse, stava arrivando e l'avrebbe portato a casa.

 

Dopo qualche minuto, le cerniere iniziarono a cedere, lui sbuffava e ansimava ma non si sarebbe dato per vinto.

 

Avrebbe tirato fuori Mac e l'avrebbe portato al sicuro, una volta di più e questa volta era quella più importante.

 

Quando il coperchio cedette con uno schianto sordo, il team di Jack si stava preparando a scendere ma venne bloccato dagli occhi azzurri come il mare e velati come una giornata di primavera che ricambiavano il loro sguardo.

 

Occhi che, prima della chiusura della bara, erano chiusi.

 

Occhi che si muovevano irregolarmente per focalizzarsi sul viso coperto di lacrime di Jack.

 

Mani che, pallide, si muovevano appena sul cuscino bianco dell'interno.

 

Le mani e gli occhi di chi era ancora innegabilmente vivo.

 

Mentre le persone attorno alla buca erano paralizzate dallo stupore, Jack si chinò sul ragazzo disteso e gli posò un bacio sulla fronte e sulle labbra con tutto l'amore che gli eruttava dal petto prima di chiudere gli occhi e abbandonarsi al pianto che minacciava di strozzarlo.

 

Jack cadde in ginocchio stringendo la mano di Mac come fosse stata la sua ancora e mormorando parole sconnesse, ringraziamenti e promesse.

 

"Ti riporto a casa, piccolo... Questa volta davvero..." sussurrò Dalton mentre si rialzava in piedi, seppur barcollante; passandogli le braccia sotto il corpo magro, Jack lo sollevò e gli fece poggiare la testa sul proprio petto, petto che minacciava di esplodergli per l'emozione e il dolore, mischiati insieme in un mix letale e al contempo catartico.

 

Mac, ancora paralizzato, chiuse gli occhi per un istante, rinfrancato dal calore del corpo del proprio partner e rassicurato dalla sua presenza: voleva parlare, dirgli un sacco di cose, dirgli che lo amava e che non sapeva come ringraziarlo per averlo salvato ma qualunque cosa lo avesse ridotto così gli impediva di emettere il minimo suono.

 

Esausto, si limitò a restare immobile, affidandosi a Jack per sopravvivere.

 

"Matty! Un'ambulanza! E una corda per aiutarmi a uscire!"

 

I suoi ordini abbaiati come quando erano sul campo riscossero la squadra tattica che, in pochi secondi, aveva calato uno dei membri con un'imbragatura per il comandante: "Dia a me l'agente MacGyver." disse lui, guadagnandosi un'occhiata che, se avesse potuto uccidere, lo avrebbe lasciato stecchito al posto dello stesso Mac.

 

Con un tremito, il soldato si affrettò a sistemare lui stesso l'imbracatura attorno alle gambe di Dalton e, pochi secondi dopo, erano di nuovo in superficie, con il corpo di Mac tra le braccia e circondati da numerosi agenti armati e pronti a difendersi, sotto la pioggia e il vento che ululava tra gli alberi.

 

Matty si fece strada tra i suoi uomini seguita da Riley e Bozer, entrambi scossi e con gli occhi pieni di lacrime, e sfiorò con la punta del dito la fronte pallida del suo geniaccio preferito: "Biondino, fammi un altro scherzo del genere...".

 

“Matty... Dobbiamo portarlo..." tentò di dire Jack ma la donna lo interruppe con un gesto della mano: "Sta arrivando una squadra dalla Fondazione per portarlo al Nido, e questa volta voglio che tu, Dalton, vada con loro e non tornerai a casa prima che lo abbiano dichiarato fuori pericolo e non abbiano capito cosa sia successo."

 

"Scherzi, Matty? Io non mi muovo dal suo fianco finché non riprende a camminare, figuriamoci se lo lascio solo."

 

Cullando Mac tra le braccia come un bambino, Jack gli mormorava qualcosa all'orecchio, del tutto isolatosi dal mondo esterno e unicamente concentrato sul corpo tra le sue braccia.

 

Poteva essere simile alla scena che aveva preceduto la morte di Mac ma la differenza sostanziale era che lui fosse invece vivo e, Dalton tremò, appena sopravvissuto all'essere sepolto vivo: il responsabile avrebbe rimpianto il giorno in cui era stato messo al mondo.

 

"Ehi, Mac... So che non puoi parlare, e solo Dio sa quanto vorrei sentire la tua voce saccente dirmi qualunque cosa, ma dobbiamo comunicare. Ti farò delle domande, devi solo rispondere sì o no. Sbatti le palpebre due volte per il sì e una per il no. Hai capito?"

 

Due volte.

 

Aveva capito.

 

"Ti fa male da qualche parte?"

 

Una volta.

 

"Hai freddo?"

 

Due volte.

 

Jack lo strinse di più a sé e lo coprì con la propria giacca da pinguino: qualcuno sopra di loro li coprì con un ombrello, Anderson sorrideva al suo Comandante e al giovane agente con l'affetto di un amico, di un fratello.

 

"Va meglio ora?"

 

Due volte.

 

"Principino viziato. Ok, ora resta sdraiato, tra poco ti portiamo via." sussurrò Jack tra le lacrime.

 

Mac annuì e chiuse gli occhi, cercando di respirare autonomamente ma il paralizzante aveva ancora effetto e faticava a inalare ossigeno; Jill, con i capelli appiccicati alla fronte, lo avvicinò e si inginocchiò al suo fianco con una piccola bombola: "Una delle guardie l'aveva con sé. Me la sono fatta dare." spiegò lei allo sguardo interrogativo di Jack.

 

Con mano leggera, posizionò la maschera sul viso dell'amico e gli accarezzò la fronte, "È bello vederti, Mac.", la sua voce era un sussurro tra le lacrime, nessuno dei presenti aveva gli occhi asciutti ed era difficile capire dove finissero i pianti e iniziasse la pioggia.

 

Jack non si curò di asciugare le proprie lacrime e strinse di più il suo partner, senza smettere di mormorargli parole di conforto, di rassicurarlo del fatto che era lì con lui e che non l'avrebbe lasciato mentre Matty organizzava la sicurezza attorno a loro: non avrebbe permesso a nessuno di attentare nuovamente alla vita del suo agente, del figlio che non aveva avuto.

 

La donna guardò con infinita tenerezza i gesti d'amore che Jack riservava a Mac e rischiò di strozzarsi con la propria saliva: avevano davvero rischiato grosso, avevano rischiato di perderlo…

 

Quando infine arrivò l'ambulanza, la donna era al fianco dei due partner, con la pistola in mano: "Portate l'agente MacGyver al Nido, immediatamente. L'agente Dalton resterà con lui, perfino in sala operatoria se necessario. So che non è il protocollo." prevenne lei, "Ma l'agente MacGyver ha subito un attentato e l'abbiamo appena tirato fuori dalla sua stessa bara, prevenire è meglio che curare. Nella fattispecie, di organizzare un altro funerale.".

 

Le guardie di sicurezza circondarono con le armi in pugno il mezzo e Jack in persona sollevò Mac con delicatezza per depositarlo sulla barella; il ragazzo rantolò e si aggrappò alla sua camicia, guardandolo con sguardo vacuo e qualche lacrima che gli scivolava dagli stessi occhi. Jack sentì il cuore stringersi e, con un dito, la asciugò: "Shh, Mac… va tutto bene. Sei al sicuro, non… non morirai." anche la voce di Jack era roca e rotta dall'emozione ma il suo pensiero era tutto per il suo partner tra le braccia.

 

"Non se posso evitarlo…" pensò tra sé e sé Jack, che prese una mano di Mac tra le proprie: "Respira quell'ossigeno e resta vivo." aggiunse l'ex Delta mentre lo depositava sulla barella in attesa, "E non preoccuparti, resto con te." disse, salendo a bordo a propria volta.

 

Quando il portellone si chiuse con un tonfo, il mezzo si lanciò a tutta velocità fuori dal cimitero e diretto verso il Nido.

 

Fu solo allora che Riley si lasciò cadere a terra tra le lacrime; Bozer si inginocchiò accanto a lei, entrambi incuranti del fango che macchiava i loro vestiti, e le massaggiò le spalle per calmarla: "Riles, calmati." disse il ragazzo con voce spezzata, anche lui in difficoltà, "Matty ci accompagnerà sicuramente da lui, vero?" chiese Wilt, voltandosi verso la direttrice.

 

Matty gli lanciò un'occhiataccia: "Cosa credi, Bozer?" disse lei, "Ho già chiamato qualcuno che venga a prenderci." aggiunse mentre Anderson aveva spostato l'ombrello sopra di loro.

 

Restava soltanto una domanda.

 

"P-Perché, Matty? Perché farci questo? Perché fargli questo?" domandò lo scienziato balbettando, i pugni stretti attorno a un lembo del vestito dell'amica al suo fianco: "Chi è stato ad architettare tutto? S-Stavamo per seppellirlo, s-sarebbe morto lì dentro, d-da solo…" rantolò ancora.

 

La donna scosse la testa e gli sorrise con fare materno mentre accarezzava la sua guancia bagnata: "Non so darti una risposta, Bozer. Ma chiunque sia stato farà meglio a scappare prima che io arrivi a lui. Qualcuno nella Fondazione voleva morto Mac e voleva che noi soffrissimo, gli è andata male e ora tocca a noi fare la nostra mossa. Vi giuro sull'anima di mio padre che non è finita qui.".

 

La pioggia, in quel momento, cessò.

   
 
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