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Autore: JoSeBach    03/06/2019    1 recensioni
*Attenzione: scena di suicidio nel primo capitolo!* (incompiuta)
Da quando Randall è precipitato in quelle rovine, Hershel non è più lo stesso: sembra vuoto, apatico, come se lui stesso stia affogando in quelle tenebre...
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Angela Ledore, Erik Ledore, Hershel Layton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
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Alphonse Dalston POV

Come il viaggio di andata, il rientro a Stansbury è silenzioso, ma non mancano occhi sgranati, madidi di rabbia e vendetta. Se non fossi qui con lui, non avrei immaginato che questa situazione potesse turbarlo così tanto. Voglio dire, lo comprendo perfettamente, non lo posso biasimare; è solo che faccio fatica a vederlo così crucciato. Deve volergli un mondo di bene e amare sua moglie per poter mascherare tutte le sue preoccupazioni, per non contagiarla, già troppo malata per la paura.

L'autista si volge verso di me, indirizzandomi uno sguardo stanco.

«Sai dove vive Angela?»

«Sì. Le do le indicazioni.»

Tracciato chilometro per chilometro il tragitto, raggiungiamo la villetta, come la chiama lei, questo perché la mette in confronto con la magione di Bratscot. E pensano anche di perdere tempo vantandosi delle proprietà dei loro genitori e giocando agli "esploratori". Bene, guardate dove siamo finiti per la vostra infantilità, idioti!

Scendiamo dalla vettura e chiudiamo le portiere contemporaneamente. Altrettanto raggiungiamo l'ingresso, dove un bel campanello con il nome Foster ci invita a suonarlo. Ma preferiamo bussare direttamente. La manona dell'uomo colpisce ripetutamente l'uscio, ma non troppo da dare sospetti, né troppo poco da non essere sentita. Seguono dei passi rumorosi. Tacchi. Deve essere la signora Foster.

La signora ci fa attendere solo un minuto, magari era già in prossimità dell'ingresso. Ad ogni modo apre inavvertitamente la porta: appena scorge gli ospiti, il suo sorriso si demolisce. Ma è troppo tardi per i ripensamenti: il signor Layton piazza il piede sullo spiraglio e poi poggia la mano sulla porta, spalancandola completamente a 120 gradi. La signora indietreggia, sentendosi minacciata.

«Cosa vuole lei?» la sua voce è tesa. Ma saprà cos'ha fatto la figlia?

«Voglio parlare con Angela.»

«Lei non è in casa-»

«Signor Layton,―punto l'indice sulle scale―è da questa parte.»

Arthur mi segue, non dando riguardo alle minacce della padrona di casa.

«SIETE IN PROPRIETÀ PRIVATA! CHIAMO LA POLIZIA!» Ma non si dirige verso il telefono più vicino, no: ci segue, cercando invano di fermare la furia di Arthur. Quindi lei pensa bene di raggiungere in anticipo l'entrata per la camera di Angela, dove si è rinchiusa in queste settimane. Quante volte ho provato a farla uscire senza successo. Speriamo che questa sia la volta buona. L'omone raggiunge la donna e non esita a bussare prepotentemente alla porta chiusa a chiave.

«Esci fuori, Angela!»

La signora cerca di fermarlo appendendosi alle braccia. Ma la forza di questo arzillo vecchietto non è da sottovalutare: infatti, i tentativi della donna sono di nuovo vani.
L'unica risposta che riceviamo dall'altra parte è una serie ininterrotta di lamenti e lacrime. Poi captiamo delle parole. Nonostante la voce roca e secca e lo spessore della porta, riusciamo a decifrare i suoni in senso sintattico.

«L-lasciatemi... in pace-» e pianti.

«Avete sentito?!―obietta l'arpia―lasciate stare mia figlia!»

Il signor Layton si sposta dalla porta con la signora Foster, permettendomi di agire.

Continuo a bussare.

«Cosa ho appen-»

«Non mi interessa! Apri questa maledetta porta, Angela! Non puoi fuggire dalla realtà e dalle tue responsabilità!»

«C-che responsabilità?! Io non ho fatto-o niente.»

«E invece sì. Non mentire a te stessa, Angela. Sai benissimo a cosa mi riferisco!»

Le lacrime si interrompono e un silenzio comprensivo non viene violato neanche dai due adulti che si rivolgono alla porta dopo aver sentito dei passi avvicinarsi. Passi piatti e quasi felpati. Piedi nudi. La porta si spalanca lentamente, ma noi siamo pazienti.

In queste settimane rinchiusa nella più completa clausura, sicuramente non ha pensato a curarsi: visto che gli specchi sono tutti rotti, non saprà neanche il suo aspetto, ma non sembra importarsene. Angela è in uno stato pietoso: i capelli, che riflettevano la luce solare, ora sono spenti, in parte sporchi di qualche goccia di sangue coagulato, il volto non più lucente come prima, con occhi contornati di vene rubino e circondati da anelli color pece. Le mani presentano dei piccoli tagli ma, a giudicare dalla grandezza e dalla quasi totale cicatrizzazione, sono solo lievi incisioni causate dalle schegge di vetro presenti in fondo alla stanza e al bagno. Ora quelle decorate cornici sono inutili. Spero non abbia sette anni di iella...

Mi chiedo se ne distrusse almeno uno quando venne a sapere della... scomp- no, morte del fratello. Ricordo ancora che rimase rintanata nella sua cameretta per giorni e giorni... Da quel momento, non partecipò più ai giochi che Randall proponeva che avevano a che fare con l'archeologia... Come ha fatto lui a non capire mai il perché? Lui, che ha risolto enigmi dalle risposte più impensabili. Non poteva rinunciare all'archeologia? Se non per se stesso, almeno per amore? Per quella là che dall'esasperazione ha detto l'accusa più impensabile? Ma per quanto impensabile, sono certo che lei sa che non è la risposta all'enigma...

La madre raggiunge immediatamente Angela con un abbraccio consolatorio: la stringe a sé quasi strozzandola, le bacia la fronte come per rianimare sua figlia e le pettina i capelli con la mano destra, accarezzando poi la guancia bagnata.

«Tesoro, shhh―la rassicura―andrà tutto bene. Ci sono io. Nessuno ti farà del male...»

Ma la ragazza non risponde: il volto e gli occhi poco lontani da quelli che ho visto stamattina nel possibile cadavere. La madre molla la morsa e la esamina con cura. La sua preoccupazione è chiara come la luce del sole. Preoccupazione che si tramuta in frustrazione.

«Ei. Guardami negli occhi.» ma non esegue. La ascolta, ma nessuna parola può più scalfirla, morta dentro da altro piuttosto che parole. Almeno queste riempiono, non portano via nulla. «Mi rispondi?!» Per l'istinto di chi è impaziente, le sferra cinque dita, macchiandole la guancia di rosso. Con lo stesso silenzio, Angela lascia percorrere una lacrima in soccorso alla ferita.

Il signor Layton la difende accostandola a sé, dominato da un istinto paterno: nonostante il suo primo apparente odio nei suoi confronti, non può permettere che qualcun altro soffra.

«Cosa vuole ancora, Layton?» Lo aggredisce la Foster, pronta a fronteggiarlo dopo la prima ritirata. Ma Arthur non sembra volerla ferire, anzi, non la sfiora neanche.

«Signora Foster-»

«Zitto!» Si affretta verso la figlia e la afferra per il polso, unica resistenza il peso morto. «Da quando voi Layton siete avete messo piede qui non avete fatto altro che portare problemi! Non sapete neanche educare quel bast-»

«Non è ver-»

«Anzi, assassino!»

«Agatha!» La tensione rompe la formalità, quest'ultima una vulnerabile bolla di sapone. La voce di Layton è roca, secca, il volto contorto dallo sgomento e dallo strazio che quelle parole gli procurano.

Volgo lo sguardo ad Angela, apparentemente impassibile. Ma non è necessaria un'espressione addolorata per far correre una lacrima. Mi avvicino, la prendo con cura per il braccio e la porto fuori dalla stanza soffocante.

Accompagnandola lungo il corridoio, mi accorgo che Angela continua a fissarmi. Poi sento la sua stretta stringere il mio polso, le iridi fatte in acquerello. Le accarezzo le dita tese e la porto nella stanza della signora Foster, così potrà sistemarsi tranquillamente. Apro la porta, abbastanza per poter accedere alla camera. Non faccio in tempo di aprir bocca che altre labbra mimano i suoni da formare, la voce vuota, non più abituata a parlare.

«Cosa è successo a Hershel?»

«Lo saprai quando arriveremo all'ospedale.»

Angela ha un'espressione perplessa. «Ma cosa ha fatto-»

«È inutile che te lo spieghi. Dopotutto, sono certo che tu abbia già capito.»

Il volto di Angela contrariato si accartoccia, le sopracciglia troppo pesanti pressano le palpebre, stirando in parte la fronte. Le dita delicate accorrono sulla bocca che ha perso di nuovo la parola. Occhi chiusi ma non abbastanza per fermare la corrente d'acqua gelida. Sì, sa l'amara verità. Con velocità raggiunge il bagno, separato dalla stanza maestra da una porta, ora chiusa a chiave.

Mi dirigo verso la porta, scrutando l'ambiente circostante. La camera di Agatha è estremamente ordinata e spaziosa, mai quanto quella di mio padre ma certamente più raffinata: i mobili sono sfarzosi e costosi, non essenziali e spartani come sono abituato. Il quasi invisibile velo di polvere sugli scaffali mi fa dedurre che Agatha non è un'amante della lettura a differenza dei Lepisma saccharina che nuotano nelle pagine ora logore ma prive di impronte digitali. La cultura è così superficiale agli occhi dei superficiali. Il letto è perfettamente stirato e impeccabile. Certamente non saranno state le mani della villana ad aver ordinato le lenzuola, rimosso le padrone delle ragnatele- Chi ha dato da mangiare ad Angela? Non di certo sua madre, che l'avrà sicuramente aspettata nel suo salottino con una tazza di Oasis Berry e dei biscottini sul tavolino. Che madre rispettabile. Ora so dove Angela ha preso tutta quell'arroganza di cui ci siamo quasi abituati. Non sempre ciò di cui ci abituiamo è poi così salutare.

Sento dei passi avvicinarsi: pesanti e virili con altri piccoli e particolarmente fastidiosi. Arthur e la pidocchiosa Agatha si dirigono verso la stanza, ma per preservare la pace ad Angela li incrocio lasciando la camera. Quindi, in silenzio ma non senza delle occhiate impertinenti, diamo il tempo alla ragazza di prepararsi.

Ma non si fa molto attendere: in un quarto d'ora dalla soglia giunge apparentemente la solita Angela: maglia arancione, gilè chiaro, gonna bruna... Ma non c'è ombra del suo classico sorriso ingenuo che sbocciava, insieme ai suoi occhi, alla vista di quegli occhiali spessi inutili neri. La sua ingenuità è stata distrutta è stata distrutta una volta per tutte dalla causa principale di tutti i problemi della sua vita, portandosi via prima Simon, suo fratello, e poi Randall, il suo amore. Sto parlando dell'archeologia: magari la prima vittima si può giustificare come inesperta, spericolata, non consapevole dei rischi. Ma Randall ne era pienamente al corrente dei pericoli e, nonostante l'amore che lo legava con Angela, lui è caduto in tentazione, sperando di poter portare a casa dell'oro, l'orgoglio della disciplina; forse era una tattica per preservare lo studio dell'antico dalle sue colpe e introdurre Angela nel mondo di carta, sassi e carbone, roba da morti. Ma, come direbbero i suoi adepti, la storia insegna. Sì, ma pare che l'uomo non voglia imparare, troppo orgoglioso per sottostare alle regole della causalità.

Mi viene in mente il suo volto travolto dalle lacrime durante quella serata: non ho ben capito cos'è successo, visto che Hershel non è riuscito in tempo a spiegarmelo, ma ho colto Angela correre con una maschera in mano. Qualche stronzata archeologica.

  
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