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Autore: Harriet    05/06/2019    0 recensioni
Se potessi incontrare le persone più importanti per te da piccole, cosa diresti loro? Come affronteresti i loro drammi e le loro ferite?
I pro hero Deku, Bakugou e Todoroki, per colpa di un quirk dal funzionamento complesso, si ritrovano imprigionati in un mondo mentale creato dai loro ricordi. L'unica via d'uscita è interagire con un frammento delle personalità degli altri, una versione bambina cristallizzata in un momento drammatico...
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou, Shouto Todoroki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IV
 
Something good
 
Il bianco accecante costrinse Izuku a chiudere gli occhi. Quando li riaprì, fu colto da una vertigine. Gli girava la testa. La permanenza all’interno di quel mondo lo stava sfiancando. Si guardò attorno, cercando un punto di riferimento nel candore, e ben presto cominciò a distinguere pareti e pavimenti.
Voci, rumori, odori. Pian piano tutto acquistò un senso. Era in un ospedale, gli ci volle poco a capirlo. Del resto, era un posto di cui aveva una certa esperienza. Ma perché si trovava lì? Era una sua memoria, il ricordo di una delle mille volte in cui l’avevano recuperato dopo qualche scontro o alleanamento e avevano dovuto rimetterlo in sesto?
La parete davanti a lui era decorata: c’era il disegno di un grande albero fiorito, pieno di graziosi animaletti. Ebbe subito l’impressione che si trattasse di un reparto destinato ai bambini. No, non era un suo ricordo e forse poteva anche indovinare dove si trovava.
Camminò lungo l’ampio spazio, ancora troppo luminoso, tenendo gli occhi socchiusi e resistendo alla lieve nausea che lo stava assalendo. Superò una sala d’attesa e un corridoio e si ritrovò in una lunghissima stanza piena di letti vuoti. A un certo punto cominciarono ad apparire delle figure, ma erano bianche e vaghe, prive di volti e tratti precisi. Come se il ricordo fosse stato appanato, come se il protagonista di quella memoria non avesse davvero fissato nella sua mente ciò che gli succedeva.
Poi lo vide, nascosto sotto un letto. Notò il rosso dei capelli, per prima cosa. Subito si lanciò verso di lui, gettandosi a terra e strisciando sul pavimento per raggiungerlo.
Il piccolo Shouto era raggomitolato a terra e aveva un’enorme fasciatura a coprirgli il lato sinistro del viso. Indossava un pigiama bianco troppo grande ed era scalzo. L’occhio grigio era spalancato e vacuo. Per qualche momento sembrò che non si fosse nemmeno accorto della presenza di Izuku. Poi il bambino si riscosse e incontrò lo sguardo dell’altro. Izuku iniziò a vedere il mondo attraverso il filtro tremolante delle proprie lacrime.
«Ehi» mormorò, allungano una mano per raggiungere il piccolo. Shouto però si ritrasse e si allontanò, affondando ancora di più nella penombra del suo rifugio. Izuku si accorse di quanto grande fosse diventato improvvisamente il letto: una tettoia immensa che li inglobava. Anche lo spazio tra lui e il bambino sembrava essersi dilatato. Un alito freddo prese ad aleggiare intorno a loro.
«Shouto» chiamò Izuku, piano, tendendo ancora la sua mano. Il bimbo non rispose ma almeno non fuggì di nuovo. «Posso avvicinarmi? Non avere paura. Voglio solo…»
Cosa voleva, esattamente? La sua concentrazione e la sua determinazione si erano sbriciolate di fronte a quell’immagine. Sapeva benissimo che era un ricordo, conosceva la storia di Shouto. Persino prima che potesse chiamarlo amico, Shouto era entrato nei dettagli più dolorosi della propria infanzia con lui. Eppure quell’immagine era così reale che gli spezzava il cuore.
«Shouto, stai tranquillo» sussurrò.
  «Come fai a sapere come mi chiamo?»
«Io ti conosco. Che cosa ci fai qui sotto?»
Nessuna risposta. Izuku strisciò sotto il letto, ma il pavimento si fece morbido e ondeggiante, riducendo la sua capacità di movimento, mentre il piccolo Shouto sembrava sempre più lontano e il freddo si faceva più intenso.
«Shouto, voglio solo aiuarti!»
Il bambino disteso per terra lo guardò, dubbioso, poi distolse lo sguardo.
«Voglio la mia mamma. Tu sai dov’è?»
«Ora non è qui, ma la potrai vedere tra un po’.»
«Ma se poi non ci vedo più dall’occhio sinistro?»
«Non ti preoccupare: ci vedrai benissimo. Ci vorrà un po’, ma andrà tutto bene. Mi credi?»
Sembrava che tutte le parole gentili di Izuku andassero perdute nell’abisso tra lui e il bambino. A momenti gli sembrava di averlo lì a un soffio di distanza, subito dopo era lontanissimo. Izuku si sentì riempire di quella rabbia impotente che avvertiva ogni volta in cui tendeva la mano, ma non era abbastanza per raggiungere chi aveva bisogno di lui.
La luce intorno a loro iniziò ad affievolirsi. Il letto si abbassò quasi fino a schiacciarli, rendendoli prigionieri di una strettoia dove all’improvviso mancava l’aria. Izuku inspirò a fondo e quando rilasciò il respiro, una nuvola bianca uscì dalle sue labbra. Cercò di nuovo di avanzare ma il bambino si ritrasse ancora con un movimento brusco. In quello stesso istante Izuku si accorse della sottile patina di ghiacchio che si stava formando sul pavimento.
«Andrà tutto bene. Presto tornerai a casa.»
Il viso del bambino fu deformato da un lampo di rabbia.
«Sei venuto per riportarmi a casa?»
«Cosa? No, io… Io voglio solo farti uscire da qui.»
«Vattene. Non ci torno, a casa.»
«Shouto, non puoi restare qui.»
«Io da lui non ci voglio andare.»
«Non sono qui per portarti da tuo padre. Voglio…»
Non riuscì a dire altro: alla menzione del padre, si ritrovò ricoperto di cristalli di ghiaccio: scintillavano lungo le sue braccia, se li sentiva gelidi sul viso. Cercò lo sguardo del bambino, e l’occhio grigio gli rimandò un chiaro messaggio di rifiuto.
«Shouto, per favore, vieni da me.»
«È colpa sua se la mamma…»
Non concluse la frase, ma in compenso raggelò totalmente l’ambiente. Izuku strinse i pugni, sentendosi totalmente inutile e frustrato: niente aveva senso, perché avevano già superato tutto quello che stava succedendo! Stava cercando forzare una difesa che in realtà non esisteva più, perché quel bimbo non era che una proiezione passata, un ricordo ferito. Com’era possibile che non riuscisse a trovare un modo per andargli incontro?
«È colpa sua» ripeté il piccolo Shouto, ma qualcosa si era incrinato, nella sua voce. «È colpa
sua.» Si raggomitolò su se stesso e distolse lo sguardo da Izuku. «È colpa mia.»
«Cosa?»
«È colpa mia. Non voglio tornare a casa. Saranno tutti arrabbiati con me.»
«Con te? E per quale motivo?»
«È colpa mia, vero? Se la mamma si è arrabbiata. È colpa mia.»
«No, no, no, Shouto, non pensarci nemmeno!»
«I miei genitori sono tristi o arrabbiati, quando mi guardano.»
Tutto intorno a loro era perso in un turbine gelido. Il pavimento prese a pulsare, divenendo sempre più instabile e minacciando di inghiottirli da un momento all’altro. Izuku si sforzò di muoversi, nonostante ogni cosa cercasse di frenarlo.
«Non è così, Shouto. Tu sei amato. Le cose cambieranno. Mi devi credere.»
Il freddo era così intenso da spezzare le parole di Izuku e il vento che si era levato le sommergeva con il suo rumore, ma lui continuava a ripetere il suo messaggio al bambino, gridandogli quanto si ritenesse fortunato ad averlo incontrato, quanto la sua esistenza fosse importante. Forse almeno qualcosa gli sarebbe arrivatio. Lottò contro il ghiaccio, contro l’instabilità di ogni cosa, contro lo spazio che sembrava allargarsi, e con un ultimo sforzo riusì a colmare la distanza tra sé e il bambino. Lo prese delicamente tra le braccia, e il bambino non oppose nessuna resistenza. Nascose il viso contro il suo petto e Izuku lo strinse, mormorandogli parole confortanti all’orecchio. Intorno a loro ogni cosa aveva preso a vorticare.
Il mondo ebbe un ultimo, potente scossone e poi il candore accecante si trasformò in una fiammata rossa. Il bambino si dissolse tra le sue braccia. Il suolo si fece improvvisamente solido e attorno a lui l’odore dell’ospedale era sparito, lasciando posto a quello acre di bruciato.
Izuku era disteso per terra in mezzo alla strada, ma era nel mondo reale, e a pochi passi da lui c’era una ragazzina dai capelli arancioni, accoccolata sull’asfalto.


***

Titolo rubato agli Alt-j. Grazie di essere qui e grazie alle mie beta che si sono dovute beccare due versioni di questo capitolo dalla lunga
genesi.
   
 
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